Perchè confessarono?

Capitolo 20

 

 

Tra la Grande Purga, con centinaia di migliaia di vittime e i processi pubblici con poco più di 150 accusati, c’era una connessione diretta. Con la loro falsificazione globale, i processi rappresentavano il culmine della Grande Purga. Insomma, senza dei processi in cui, figure politiche ampiamente conosciute in tutto il paese e nel resto del mondo, confessavano l’esistenza di grandiose cospirazioni, lo scatenamento del terrore di massa non sarebbe stato possibile.

Gli accusati ai processi farsa non potevano non essere coscienti che le loro “confessioni” avrebbero aperto la porta alle repressioni di massa - che avrebbero inevitabilmente coinvolto come esecutori materiali delle loro direttive di sabotaggio, terrorismo e disfattismo sia chi veniva chiamato in causa come complice, sia una massa di gente che loro neanche conoscevano. Poco prima del suo arresto Bukharin lo disse apertamente: “Solo la mia testa innocente, trascinerà nella sua caduta migliaia di persone ancora più innocenti. Ma nonostante tutto deve esserci una organizzazione. Un’organizzazione bukharinista”. Allo stesso modo gli accusati - gente politicamente sofisticata – non potevano non essere consapevoli della loro responsabilità politica e morale per le loro “confessioni”, che avrebbero condannato a morte non solo se stessi, ma anche una moltitudine di persone del tutto innocenti.

Le confessioni di crimini mostruosi erano così incredibili, che diedero adito a diverse interpretazioni circa la loro genesi. C’era l’ipotesi che non gli accusati, ma dei loro sosia – attori truccati – fossero apparsi davanti alla Corte. Questa possibilità viene riportata nelle memorie di A. Larina, N. Joffe e K. Ikramov. Leggende e storie apocrife di questo tipo continuarono a circolare per decenni all’interno dell’intelligentsia Sovietica.

Un’altra versione sosteneva che le confessioni erano state ottenute con l’utilizzo di droghe che indebolivano la volontà degli accusati. Questa ipotesi è chiaramente espressa nel racconto di Shalamov “Il Bouchiniste”, che contiene una conversazione tra l’autore e un capitano della NKVD, certo Fleming. Arrestato come migliaia di altri Cekisti, Fleming raccontò all’autore dei Racconti di Kolima di quando stava nei campi:

“Lo sai quale è il più grande segreto dei nostri tempi?”

“ No, qual è?”

“I processi degli anni trenta. Il modo in cui li preparavano. Ero a Leningrado allora. Lavoravo per Zakovsky. La preparazione dei processi aveva a che vedere con la chimica, la medicina e la farmacologia. Sopprimere la volontà con preparati chimici. Di questi preparati ne esistono quanti ne vuoi. E pensi veramente che se questi preparati esistono non vengono utilizzati? Pensi che ci sia un problema tipo Convenzione di Ginevra o qualcosa di simile?”

Shalamov stesso era incline a concordare con le affermazioni del suo interlocutore ex internato. Commentandone la tesi scrisse: “In questo e solo in questo consiste il segreto dei processi degli anni trenta, aperti ai corrispondenti stranieri e ai vari Feuchtwanger. Ai processi non c’era alcun sosia. Il segreto di quei processi stava nella farmacologia”.

Shalomov contrappose questa versione, ritenendola più degna di fede, a quella che si incentrava sui “fisici”, vale a dire gli esperti torturatori, quali veri costruttori delle confessioni rappresentate ai processi pubblici. “I ‘fisici’ scrisse “potevano fornire tutto il materiale che serve alle ‘commissioni speciali’ e alle varie ‘troike’, ma per i processi pubblici la scuola ‘fisica’ non andava bene. La scuola basata sulla pressione fisica (qualcosa del genere credo si trovi in Stanislvsky) non sarebbe stata in grado di mettere in scena per il pubblico un così cruento spettacolo teatrale che fece trattenere il fiato all’umanità intera. Ci riuscirono i chimici: la preparazione di tali spettacoli era pane per i denti dei chimici”.

In ogni modo, che le confessioni siano state ottenute principalmente attraverso la tortura, resta ancora oggi la spiegazione più sostenuta. Secondo questa teoria , le confessioni degli accusati erano dettate dalla paura di ulteriori torture, se durante il processo si fossero rifiutati di confermare quanto dichiarato nell’istruttoria. Oggi, dopo che molto materiale investigativo è stato reso pubblico, così come molte memorie di sventurati che passarono attraverso l’inferno delle prigioni di Stalin, è possibile dubitare della correttezza di questa teoria. Noi oggi sappiamo che molte vittime subirono le più atroci torture, ma rifiutarono sia di dichiararsi colpevoli e, soprattutto, di coinvolgere i loro ‘complici’. L’autore di questo libro ha avuto occasione di incontrare diverse persone che resistettero alla tortura per preservare la loro dignità umana e per non calunniare altri. Uno di loro era D.B. Dobrushkin, un ingegnere della fabbrica di Mosca “Kauchùk”[Gomma]. Passò attraverso due anni di indagini, durante i quali perse la vista a un occhio. Non avendo fatto alcuna confessione, venne liberato, come altri, nel 1939, a seguito della marcia indietro di Beria sulla politica repressiva”.

Furono in molti a ritrattare al processo quanto gli era stato estorto nell’istruttoria. Questo capitò, è vero, solo nei processi a porte chiuse, dove la ritrattazione di una falsa testimonianza, non avrebbe comunque potuto mutare il destino degli imputati. In un processo pubblico simili comportamenti avrebbero potuto produrre effetti politici devastanti. Sia gli inquisitori che le loro vittime non potevano non essere consapevoli che in un processo pubblico, ben più che in un processo a porte chiuse, un ‘ostinato’, poteva avere la possibilità, il vigore fisico di ritrattare quanto deposto in istruttoria.

Dopotutto ai processi-farsa lo stato di salute degli accusati appariva buono. Diversi giorni prima del processo i prigionieri erano stati ben nutriti e curati.

I principali imputati dei processi-farsa, essendo raffinati politici, non potevano non valutare il rischio che l’organizzazione di tali processi poteva comportare per Stalin. Senza alcun dubbio, Stalin stesso e i suoi cortigiani, erano ben consapevoli del rischio che correvano. La ritrattazione di un imputato davanti alla corte avrebbe potuto demolire completamente la grandiosa montatura e indebolire la Grande Purga nel suo complesso. Per questo motivo un processo a porte aperte comportava una grande cura e una accurata selezione di pochi individui, scelti tra migliaia di possibili imputati.

Due gruppi di persone non furono portate ai Processi di Mosca . Il primo gruppo era costituito dagli oppositori irriducibili, che non avevano mai capitolato, e che non fu possibile costringere a ‘cooperare’ con gli accusatori, quali che fossero stati i mezzi utilizzati allo scopo. Simili uomini, che non avevano mai infangato se stessi abiurando alle proprie convinzioni e che consideravano Stalin il becchino della rivoluzione, dissero apertamente ai carcerieri che odiavano Stalin e il suo regime o che rifiutavano di dare qualsiasi testimonianza in generale.

Il secondo gruppo comprendeva molti ferventi Stalinisti, convinti che l’estorsione di false confessioni fosse opera di ‘nemici’ penetrati all’interno della NKVD, con lo scopo di sterminare gli elementi migliori del paese. Nel rapporto di Kruscev al Ventesimo Congresso del Partito, venivano citati documenti che mostravano che anche prominenti membri del partito accoglievano questa convinzione (o la utilizzavano per ritrattare le confessioni rese). Così, dopo una indagine che durò più di un anno, e dopo continue e crudelissime torture, Rudzutack, membro candidato del Politburo, ritrattò la sua confessione davanti alla corte, e ottenne che la seguente dichiarazione fosse inclusa nella trascrizione del processo: “L’unica richiesta alla corte è che il Comitato Centrale venga informato che la NKVD contiene un occulto ascesso purulento al suo interno, per cui crea dei “casi”, forzando persone innocenti a confessare peccati inesistenti…I metodi d’indagine sono tali da costringere le vittime a inventare fatti mai accaduti e a calunniare, oltre che se stessi, anche altri innocenti.”

Un altro membro candidato del Politburo, Eikhe, adottò un comportamento simile. In una lettera a Stalin descrisse a quali mostruose torture era stato sottoposto allo scopo di estorcergli una testimonianza contro altri dirigenti del partito. Eikhe chiese l’apertura di un’inchiesta sul suo caso, “non per difendere me, ma per svelare la schifosa provocazione che ha velenosamente coinvolto altre persone, anche a causa della mia vigliaccheria, oltre che per le calunnie criminali”. E’ significativo che Eikhe spiegasse le false accuse contro di lui, non solo con “ il lavorio schifoso e maligno dei nemici del popolo e del partito”, ma anche con le calunnie dei “trotskisti”, che tentavano in questo modo di vendicarsi, per avere lui, Eikhe, sancito l’arresto dei loro seguaci, quando era segretario del Comitato Regionale del Partito della Siberia Occidentale .

Qualsiasi persona, anche se non ha mai sofferto l’esperienza di un dolore estremo, potrebbe concordare che, in tali momenti, potrebbe essere capace di compiere i passi più irrazionali pur di far cessare il dolore, includendo anche l’espediente di confessare crimini inesistenti. Ma questo non vuol dire che sarebbe disposto a confermare le confessioni anche in futuro. Pertanto, anche se avevano ottenuto la confessione richiesta, gli inquisitori, potevano paventare che l’imputato di un processo pubblico, una volta davanti alla corte, potesse decidere di svelare in che modo erano state estorte le“confessioni”. Stalin e i suoi satrapi (che per simili incidenti avrebbero pagato con testa), necessitavano della assoluta certezza che gli accusati si sarebbero comportati obbedientemente nei processi-farsa.

O perché non si era riusciti a ottenere le confessioni degli imputati, nonostante le più disumane torture, o perché gli investigatori non avevano la certezza che le confessioni da loro ottenute sarebbero state confermate al processo, molti processi pubblici previsti vennero annullati. Nel suo rapporto, al Ventesimo Congresso, Kruscev rivelò che si stava preparando un processo contro un “centro di riserva” che avrebbe dovuto includere tra gli accusati Eikhe, Rkhimovich , Meshlauk e altri. Era in programma anche un processo contro un “centro di Leningrado, che avrebbe dovuto essere composto da ex dirigenti del partito della città. Noi ora sappiamo della cancellazione del “processo al Comintern”( Piatnisky tra gli accusati), al “Komsomol”(con Kosarev alla sbarra) e altri. La stragrande maggioranza degli accusati non scampò alla morte, ma almeno evitò la vergogna delle confessioni pubbliche.

Certamente la condizione nelle prigioni unite ai metodi da inquisizione nelle indagini, avrebbero consentito di ottenere una “confessione” dalla gran maggioranza delle persone. Esiste una certa somiglianza tra i fatti del 1937 e i fatti degli anni ottanta in Uzbekistan. Nell’epoca in cui il paese intero assisteva alla rivelazione dei crimini di 50 anni prima, crimini simili venivano commessi da Gdlian e Ivanov, e dal gruppo investigativo che dirigevano. Sull’onda della nuova atmosfera politica, sfruttando abilmente il malcontento crescente della gente contro la corruzione, coinvolsero nella loro inchiesta centinaia di migliaia di persone. A questo riguardo l’ Uzbekistan faceva la parte del leone, con la scoperta di imbrogli nei registri della produzione del cotone, che avevano permesso, anche a impiegati di basso livello degli uffici degli ammassi di Stato, di sgraffignare milioni di rubli da spartire con gli alti burocrati che avevano chiuso gli occhi di fronte a simili crimini. Ma Gdlian e Ivanov, non soddisfatti di aver scoperto i veri colpevoli, volevano incriminare, per aver preso o ricevuto mazzette, tutti i funzionari dei Soviet e del partito della repubblica: insomma, volevano dimostrare che il filo portava a Mosca, e provare che le tangenti venivano pagate da leader Uzbeki ai membri del Politburo del Comitato Centrale del CPSU e a responsabili di uffici giudiziari dell’Unione Sovietica.

Gdlian e Ivanov costruirono le loro ‘prove’- pienamente nello spirito del 1937- con le sole confessioni degli accusati, ottenute seguendo la tradizione di Yezhov, con la sola esclusione della tortura fisica, che si decise di non utilizzare negli anni ottanta. Le calunnie e le auto-calunnie furono ottenute prospettando la pena di morte per gli imputati, minacciando l’arresto dei familiari (molti parenti vennero arrestati, anche famiglie intere), non fornendo le cure mediche, mettendoli in cella con gente che aveva picchiato chi si era ostinato a non rendere la necessaria confessione. Ricatto, intimidazione, brutalità, dileggio contro gli indifesi: così da costringerli, assieme a delinquenti veri, a firmare confessioni sotto dettatura, o a riempire di nomi gli spazi mancanti. Spesso l’accusato firmava un verbale redatto in anticipo. In cambio delle confessione falsa si prometteva la libertà all’accusato e gli si assicurava che avrebbe evitato la pena.

Dopo una accurata contro-inchiesta sui casi Gdlian e Ivanov fatta da altri investigatori, dopo la testimonianza di esperti ai processi riaperti, quindici membri del partito, arrestati da Gdlian e Ivanov, furono dichiarati innocenti. Avevano scontato da nove mesi a più di tre anni di galera.

Per la loro attività in Uzbekistan, Gdlian e Ivanov ebbero avanzamenti di carriera e aumenti di stipendio. Parlarono attraverso la stampa, intervennero ai meeting democratici, vennero eletti al Soviet Supremo dell’URSS. Organizzarono una provocazione ancora più grande alla Conferenza Plenaria del Partito (1988), pubblicarono un clamoroso articolo su Ogonek , dove svelarono i nomi dei delegati alla Conferenza “ compromessi in fatti di tangenti”. Solo un anno e mezzo dopo la pubblicazione della lista dei reprobi su Ogonek, fu appurato che nessuno di loro era mai stato accusato di alcunché.

Ritornando agli anni trenta bisogna citare un' ulteriore teoria che tenta di spiegare le confessioni: si tratta dei processi ‘recitati’, in cui gli imputati, dopo aver presumibilmente negato le accuse che gli erano state rivolte, si rendevano conto dell’insensatezza di tale gesto, in quanto il pubblico in sala era stato sostituito da agenti operativi dei servizi segreti. Questa versione, che servì come base di un film malriuscito ”Bukharin, il Nemico del Popolo”, non aveva nessun fondamento nei fatti. Gli accusati ai Processi pubblici non avrebbero potuto non scorgere in sala, figure politiche ben note, giornalisti, scrittori e via dicendo, così come diplomatici e famosi giornalisti stranieri. Così essi potevano essere sicuri che se avessero ritrattato, la verità sarebbe senz’altro uscita dai muri del tribunale.

Per finire c’è l’interpretazione proposta da A. Koestler, ampiamente sviluppata nel suo romanzo”Buio a Mezzogiorno”. Secondo questa versione gli accusati erano mossi dal sofisma di “aiutare il partito” con le loro confessioni . Di simili argomentazioni è pervaso il già citato “diario” del protagonista principale del romanzo, il vecchio bolscevico Rubasciov.

Se la spiegazione precedente era politicamente neutra, quella proposta da Koestler, sviluppata con maestria artistica, era fortemente tendenziosa. Essa dava per scontata l’esistenza di una “filosofia” compiuta che avrebbe guidato il comportamento del Vecchio Bolscevico. Per Koestler, questa filosofia consisteva essenzialmente nella trasformazione del partito in feticcio, e nella giustificazione degli atti più infami a favore di tale feticcio – dall’auto-flagellazione all’assassinio di milioni di persone innocenti.

Il fatto che Koestler fosse stato vicino al movimento comunista negli anni trenta, e avesse conosciuto di persona alcuni degli accusati nei Processi di Mosca rese credibile la sua spiegazione in Occidente e anche in Russia, dove ‘Buio a Mezzogiorno’ circolava negli anni sessanta. Come notò Gorge Orwell, Koestler alla domanda , “perché hanno confessato?” rispondeva, implicitamente: “perché sono stati rovinati dalla Rivoluzione”. Questo guidava il lettore a concludere, che “la rivoluzione stessa contiene qualcosa di marcio, e gli sforzi per trasformare la società con mezzi violenti , devono per forza concludersi nella cella della GPU, e che Lenin ha generato Stalin, e lo stesso Lenin, se fosse vissuto più a lungo, si sarebbe comportato come Stalin.”. Queste idee sono state le armi di un gruppo di autori che si sono accostati al tema del Grande Terrore- Da Koestler a Solgenitsin, e oggi, ai ‘democratici “ Russi .

Il libro di Koestler giocò un non piccolo ruolo nello spingere molte persone ad abbandonare il movimento comunista in Occidente, e nel rafforzare il sentimento anticomunista nella intelligentsia Sovietica.

Merita attenzione il fatto che, tutti gli interpreti anti-comunisti dei Processi di Mosca , hanno sempre evitato le argomentazioni di Trotsky in merito alle motivazioni delle confessioni degli accusati.

Prima di iniziare l’analisi di queste argomentazioni, bisogna ricordare che ai processi pubblici c’erano due categorie di accusati. La prima era costituita da uomini comuni, scelti tra migliaia di persone in quanto considerati materiale plasmabile per la confessione. Tra le ragioni che spinsero tali accusati a fornire false confessioni, Trotsky indicò il ricatto da parte degli investigatori, per via di effettive colpe commesse, di natura criminale o para-criminale. “la maggioranza di chi è stato fucilato all’ultimo processo”, scrisse Trotsky, “non era costituita da figure politiche, ma da burocrati di alto o medio livello. Essi hanno – probabilmente - compiuto vari errori, trasgressioni, e forse anche crimini. La GPU, comunque, esigette da loro la confessione di crimini di portata storica, completamente diversi dal ricatto di partenza- e dopo li fucilò. Nessun burocrate potrà, da ora in poi, sentirsi sicuro e tranquillo. Stalin possiede dossier su ogni rilevante figura di politico e di burocrate. In questi dossier sono registrati tutti i peccati ( uso disinvolto di denaro pubblico, avventure amorose, parenti compromessi, e così via). In ogni momento Stalin può degradare e schiacciare ciascuno dei suoi colleghi, non esclusi i membri del Politburo”.

La seconda categoria di imputati includeva note figure politiche che ebbero un ruolo rilevante nella opposizione degli anni venti. Nei primi due Processi di Mosca ce n’erano una quindicina. Trotsky studiò dettagliatamente le ragioni delle confessioni di questi imputati in numerosi articoli dedicati all’analisi dei Processi di Mosca.

In uno dei primi articoli in risposta ai processi, Trotsky scrisse che non sapeva, e quindi non poteva pronunciarsi in merito, se gli accusati erano stati sottoposti a tortura, o alla somministrazione di sostanze chimiche o medicinali per coartare la loro la volontà .Ma anche rinunciando a queste ipotesi, restava possibile spiegare perché gli imputati avevano confessato crimini che non avevano commesso. Per questo era importante, prima di tutto, concentrare l’attenzione sulle caratteristiche delle persone che Stalin aveva deciso di portare a un processo pubblico. Infatti, a fianco di perfetti sconosciuti, e di noti provocatori reclutati dalla NKDV, il banco degli imputati comprendeva alcuni soggetti che avevano rotto con l’opposizione da lungo tempo. “Tutti loro erano persone che avevano abiurato diverse volte e che, nelle dichiarazioni di resa, si erano auto-accusati di azioni ignobili e delle più turpi intenzioni: uomini che avevano accantonato ogni obbiettivo politico, smarrito il significato della vita, perso il rispetto di se stessi… Per anni questi uomini svuotati, demoralizzati, esauriti, erano restati sospesi tra la vita e la morte. Che bisogno c’era di ricorrere alla farmacologia?”

Bastava conoscere questi uomini e l’atmosfera politica del paese, per capire come erano stati portati a mettersi la corda al collo da soli. Le umilianti ritrattazioni pubbliche a cui furono costretti a prestarsi negli anni, senza l’utilizzo della tortura, furono propedeutiche alle ‘confessioni’ che gli vennero estorte ai processi .

Queste ritrattazioni assunsero un “carattere meramente rituale, standardizzato, il cui obbiettivo politico era di educare l’un l’altro se non a pensare, quantomeno a esprimersi tutti in una unica maniera. Proprio per questo, gli iniziati per primi, non prendevano sul serio tali abiure. La ritrattazione non aveva il senso del pentimento, ma di un accordo con la burocrazia”.

A partire dal 1924, ad ogni oppositore, semi-oppositore, semplice cittadino in disgrazia, per poter continuare a guadagnarsi da vivere, veniva fatta un'unica richiesta : “Prendere le distanze dal Trotskismo e condannare Trotsky; e nel farlo, più era volgare la denuncia e meglio era. Tutti si erano adattati a queste ritrattazioni e denunce che avevano preso l’aspetto ritualistico di una funzione religiosa”. Molto tempo prima di cadere nel tritacarne delle indagini di Yezhov, i principali protagonisti dei Processi di Mosca erano stati portati ad uno stato di estrema prostrazione, causato dalle incensanti autocritiche dei loro errori che conducevano alla ‘controrivoluzione’. Tutti questi uomini avevano rinunciato alla loro identità politica, alle loro più profonde convinzioni, per sciogliere inni a Stalin e al ‘socialismo’ di Stalin, del cui effettivo valore erano consapevoli più di chiunque altro. “Può una persona onesta parlare di confessioni” scrisse Trotsky “sorvolando sul fatto che la GPU, per anni, ha educato e preparato gli accusati, con capitolazioni periodiche, abiure, auto-umiliazioni, calunnie, promesse, persecuzioni ed esempi terrificanti?”

È vero, ammetere errori politici è altra cosa dal confessare atti di terrorismo, spionaggio, sabotaggio, accordi con Hitler e così via. Comunque “la GPU aveva abbastanza tempo a disposizione per costringere le sue vittime a una esaustiva confessione”.

Alcuni degli accusati ai Processi di Mosca si accorsero della sorveglianza della GPU quando erano ancora membri del Politburo (Bukharin, per esempio). Nel corso delle campagne infinite contro ‘opportunisti e doppiogiochisti’, erano costretti, non solo a stare a sentire accuse chiaramente false, ma anche a confermare pubblicamente tali accuse. Questa sorta di patto con la burocrazia conduceva direttamente alle confessioni dei processi pubblici dove loro “ hanno ripetuto le parole dei più servili agenti di Stalin. Persone normali, che obbediscono alla propria coscienza, non si comporterebbero mai come si sono comportati al processo e durante le investigazioni Zinovev, Kamenev, Radek, Piatakov e altri. Rispetto per le proprie idee, dignità politica, e il semplice istinto di auto-conservazione li avrebbe portati a lottare per loro stessi, per la loro individualità, per i loro interessi e per la loro vita. La sola domanda corretta da porre dovrebbe essere: chi, e come, ha portato queste persone a uno stato in cui i normali riflessi umani vengono calpestati?”

Ricostruendo in via ipotetica i metodi usati dagli inquisitori stalinisti, Trotsky si concentrò sul loro obbiettivo principale – legare i futuri accusati in un unico amalgama, cioè mescolare fatti realmente accaduti e falsità. “Oggi A ammette un fatto minimo. Se B rifiuta di confessare lo stesso fatto, le sue precedenti ritrattazioni umilianti vengono considerate insincere (sincerità è una delle parole preferite da Stalin). Così B si affretta a confermare la confessione di A, aggiungendo qualcosa di più. Viene il turno di C. Per evitare le contraddizioni troppo stridenti, se risulta conveniente, A, B e C vengono messi insieme per preparare una storia credibile. A questo punto chi rifiuta di dare il suo consenso all’elaborato, rischia di perdere ogni speranza di salvezza. Così partecipa alla gara per dimostrare la propria buona volontà. La GPU dispone anche di una Maser…Se si prevede che una determinata confessione potrebbe rivelarsi imbarazzante in futuro, viene semplicemente accantonata come un’ ipotesi insensata”. Date simili procedure d’indagine, unite ai confronti faccia-a-faccia che spezzano la forza di volontà dell’accusato, la tortura fisica vera e propria potrebbe non essere necessaria . Le feroci calunnie, l’insicurezza e la paura distruggono il sistema nervoso non meno della tortura” .

A questi sistemi di pressione degli accusati si aggiungevano anche espedienti politici - giocando sul pericolo di guerra che gravava sull’URSS. In questo senso anche il ’complesso di Koestler’ conteneva un granello di verità, già rilevato da Victor Serge in un articolo scritto a seguito del Processo dei Sedici. Essendo egli stesso passato attraverso diversi stadi delle repressioni, Serge conosceva personalmente parecchi degli imputati al processo, così come conosceva i sentimenti e l’ambiente di chi aveva capitolato. Il ruolo giocattolo dagli inquisitori lo immaginava in questa maniera :

“Voi rimanete, qualsiasi cosa abbiate detto o fatto, dei nostri oppositori irreconciliabili. Ma siete devoti al partito, lo sappiamo. Il partito vi chiede un altro sacrificio, più grande di quelli fatti in precedenza: il suicidio politico. La cancellazione della vostra coscienza. Dovete autenticare il vostro sacrificio arrivando a un passo dalla pena capitale. Solo in questo caso potrete dimostrare di aver davvero deposto le armi davanti al Capo. Noi vi chiediamo questo sacrificio perché la repubblica è in pericolo. L’ombra della guerra ci sovrasta e il fascismo cresce ovunque intorno a noi. Noi dobbiamo ad ogni costo riuscire a giungere fino a Trotsky nel suo esilio, per poter screditare la nascente Quarta Internazionale e serrare i nostri ranghi in un sacra unità intorno al Capo, che voi odiate, ma di cui riconoscete la forza. Se siete d’accordo potete sperare di sopravvivere. Se rifiutate la proposta, in un modo o nell’altro, sarete eliminati”.

Dopo Serge, anche Trotsky descrisse un possibile dialogo tra un investigatore e un accusato che già da molti anni prima dell’arresto aveva accettato le formule usate dagli Stalinisti : “ Siete per la patria (cioè per Stalin) o contro di essa?...Voi, è vero, avete capitolato da tempo, e non rappresentate, lo sapete bene, un pericolo per noi…Ma Trotsky sta continuando il suo lavoro rovinoso all’estero. Egli sta demolendo l’URSS (il dispotismo burocratico). La sua influenza è crescente…Noi dobbiamo una volta per tutte screditare Trotsky. Questo è il problema che avete da risolvere: se siete a favore dell’URSS dovete aiutarci. Se non ci aiutate vuol dire che il vostro pentimento non era sincero e, in vista della imminente guerra saremo costretti a considerarvi complici di Trotsky e nemici interni. Voi dovete dire che Trotsky vi ha incitato a compiere atti di terrorismo - Ma cosa accade se non ci crede nessuno?- Lasciate che siamo noi a occuparci di questo aspetto del problema. Noi abbiamo i nostri Duclos e Thorez, i nostri Pritts e Rosenmark”

Nel corso di questo gioco scabroso, secondo l’opinione di Trotsky, qualche imputato, oltre ad accettare, non solo di collaborare con gli investigatori, si è prestato a correggere, nelle parti più assurde, la versione che avrebbe dovuto esporre al processo. Trotsky aveva la sensazione che tale ruolo - di collaboratore dell’accusa e revisore del verbale - fosse stato assunto da Radek che, in quanto “uomo più raffinato, aveva, probabilmente, chiesto che le accuse fossero ricalibrate”

Una conferma a questa ipotesi si trovava nella testimonianza di Radek, quando dichiarava che Trotsky propose si di fare ”concessioni” dei territori dell’Ucraina e del lontano Oriente alla Germania e al Giappone, ma prevedendo che queste regioni sarebbero state restituite all’URSS, appena la rivoluzione socialista avesse vinto nei paesi aggressori . “La GPU ha tentato di presentarmi come semplice fascista” scrisse Trotsky, ma “per dare almeno una patina di credibilità alle accuse, Radek mi ha trasformato, almeno potenzialmente, in un rivoluzionario anti-fascista, attribuendomi un programma di transizione, che comprende una alleanza solo temporanea con i fascisti, e una riduzione degli smembramenti territoriali previsti in URSS. Ambedue le versioni si sono sentite durante la varie testimonianze degli accusati: il pasticcio provocatorio, originato direttamente da Stalin, e il complesso feuilleton diplomatico-militare radekiano. Queste due versioni sono incompatibili tra loro. Una [quella di Radek] era destinata agli educati e delicati ‘amici dell’URSS ‘ all’estero, l’altra ai più sempliciotti operai e contadini dell’URSS.”

Quello che abbiamo chiamato il “complesso di Koestler”, secondo Trotsky, era solo uno degli elementi che avevano favorito le confessioni, ed era applicabile solo a quegli individui che erano passati attraverso diversi stadi di abiure degradanti. Sviluppando l’idea di Serge, che aveva prestato una grande attenzione al comportamento degli imputati, ritenendolo dettato dalla devozione al partito e dal rispetto per la sua unità, Trotsky scrisse: “Queste persone sono nate spiritualmente nel Partito Bolscevico, si sono formati lottando per esso ed esso li ha portati molto in alto. Ma questa organizzazione nata da una ideale, è degenerata in un apparato delle elite dirigenti. La fedeltà all’apparato costituiva il tradimento dell’ideale e delle masse. Il pensiero dei “capitolatori” si impigliò disperatamente in questa contraddizione. Essi mancavano della libertà intellettuale e del coraggio rivoluzionario per rompere, in nome del Partito Bolscevico, con coloro che ne usurpavano il nome. Avendo capitolato, avevano tradito il partito in nome dell’unità dell’apparato. La GPU ha trasformato il feticcio dell’unità in un laccio e gradualmente, senza fretta lo ha stretto al collo dei capitolatori. Questi, nei momenti di lucidità, non potevano non rendersi conto di dove li avrebbe condotti tutto ciò. Ma più diventava chiara la prospettiva della distruzione morale, più diminuivano le possibilità di liberarsi dalla trappola in cui erano caduti. Se nel primo periodo, il feticcio dell’unità del partito, era servito ad agevolare psicologicamente la capitolazione, poi, nell’ultimo stadio, il feticcio dell’unità, serviva solo a coprire i convulsi tentativi di auto-conservazione”.

Il “complesso di Koestler” può essere utile per spiegare la differenza tra il comportamento della vittime dei Processi di Mosca e il comportamento dei dissidenti negli anni sessanta-ottanta. Questi ultimi sapevano che la loro morte nella lotta contro il regime era un evento improbabile, e il massimo che potesse accadergli era il carcere o il campo di concentramento. Anche in questo caso potevano aspettarsi che i governi esteri e l’opinione pubblica internazionale, avrebbero fatto pressioni per la loro libertà.

Comunque, anche qualche attivo dissidente degli anni sessanta e settanta (per esempio P. Yakir), in televisione e in conferenza stampa, fece delle false confessioni preparate in anticipo. Solo quando la speranza della libertà e della emigrazione divennero una realtà in URSS (per merito delle proteste internazionali), cessarono le abiure pubbliche dell’attività politica passata.

Per gli accusati degli anni trenta non c’era quella speranza di aiuto dall’estero che avrebbe dato l’energia per ingaggiare la battaglia ai dissidenti anti-comunisti. Essi avevano la schiacciante sensazione di avere di fronte un muro impenetrabile. Avevano partecipato alla costruzione del potere sovietico, avevano lottato per esso durante lunghi anni, ed ora avrebbero voluto conservare almeno qualcuno dei risultati raggiunti. Questo obbiettivo sovra-personale era più importante della conservazione del loro onore e della loro dignità.

Per finire, i capitolatori non avevano nessun ‘gruppo di pressione dalla loro parte, mentre i dissidenti del periodo della stagnazione erano sostenuti da tutta l’intelligentsia sovietica illuminata. Né gli Stalinisti, né i Trotskysti consideravano ‘dei loro’ i capitolatori.

A differenza di Stalin, che descrisse i Bolscevichi come superuomini (“Noi comunisti siamo uomini di fattura speciale. Noi siamo costruiti con materiale speciale”…”Non c’è nessuna fortezza che non possa essere abbattuta dai lavoratori Bolscevichi”), Trotsky applicava spesso la formula di Nietzsche ‘umano, troppo umano’. Con questa formula intendeva riferirsi sia alle comuni debolezze umane, alle quali i comunisti, come i comuni mortali, erano soggetti, che alla loro capacità di razionalizzare, vale a dire, di giustificare comportamenti abbietti con supposte questioni di principio. Se aveva notato segnali ‘umani troppo umani’ quando gli accusati erano suoi oppositori ed erano al potere, tanto più poteva denunciarli quando erano chiusi nelle prigioni di Stalin. “Forse” scrisse Trotsky “ al mondo ci sono molte persone capaci di sopportare le torture, fisiche o morali, applicate a loro, alle loro mogli e ai loro figli. Non lo so…L’esperienza mi dice che i nervi umani hanno un limite di sopportazione. Attraverso la GPU Stalin può portare le sue vittime a uno stato di orrore, umiliazione, tale da costringerle ad addossarsi i più mostruosi crimini. Davanti alla prospettiva di una morte certa, anche un filo minimo di speranza può essere considerata una via d’uscita praticabile. A meno che non si ricorra al suicidio…Ma non bisogna dimenticare che anche il suicidio, nelle carceri di Stalin diventa un lusso irraggiungibile”.

Dalle lettere dei suoi sostenitori che erano uscite dalle prigioni di Stalin, Trotsky sapeva bene che dalla fine degli anni venti, la GPU aveva iniziato a utilizzare ampiamente il metodo della privazione del sonno ai prigionieri, ‘il nastro trasportatore’ [ interrogatori ininterrotti, giorno e notte , con i giudici che si alternavano. NdT] e via di seguito. Poteva quindi presumere che durante la Grande Purga, simili mezzi venissero usati con più crudeltà. Comunque non aveva prove dirette per affermare che la tortura fisica era stata applicata alle vittime dei Processi di Mosca. Pertanto, solo ipoteticamente un suo lettore poteva dedurre che, tra le sofisticate forme di pressione psicologica, gli investigatori, per strappare le confessioni, usassero anche torture disumane.

Trotsky ricordò che ‘l’Inquisizione, con meno tecnologia, riusciva a strappare agli inquisiti tutte le confessioni necessarie. I codici penali moderni hanno rinunciato ai metodi medioevali, in quanto non servivano a stabilire la verità, ma a confermare le accuse fatte in istruttoria. I processi della GPU hanno tutte le caratteristiche dell’Inquisizione: questa è la semplice verità dietro il mistero delle confessioni”. Il solo fatto che i processi fossero basati esclusivamente sulle confessioni, testimonia il ritorno della giustizia di Stalin alla barbarie medioevale. Questo è sufficiente per spiegare come mai, anche vecchi bolscevichi e politici navigati, essendo fatti di carne sangue come tutti gli altri, si comportarono ai processi come si erano comportate le vittime dell’Inquisizione.

Allo stesso tempo Trotsky sottolineò che anche dalle trascrizioni ufficiali dei processi, traspariva quanto lunga e difficile fosse stata la trattativa prima che gli imputati accettassero di cospargersi di vergogna ai processi. La trascrizione del Processo dei Sedici, da cui erano state sfacciatamente tagliate le risposte di Smirnov e sostituite da una sintesi falsificata, dimostrava, nonostante tutto, “in modo piuttosto chiaro la tragica lotta che un sincero e onesto rivoluzionario aveva combattuto con se stesso e con i suoi inquisitori”.

Più inattaccabili, almeno a prima vista, apparivano le confessioni rese da Zinovev e Kamenev. Comunque anche queste erano vuote, prive di contenuti reali. “Questi erano discorsi burocratici, note diplomatiche, non vivi documenti umani. Con questi termini gli imputati anno rinunciato a se stessi”. Il confronto tra le confessioni di Zinovev e Kamenev al Processo dei Sedici e le confessione del processo del gennaio 1935 e con le loro precedenti abiure a partire dal 1927, permettono di stabilire una “sorta di progressione geometrica durante nove anni di capitolazioni, umiliazioni, prostrazioni. Se si conosce il coefficiente di progressione, le confessioni ci appaiono come il numero conclusivo di una lunga serie.”

Di sicuro, per convincere gli accusati, in cambio delle confessioni ‘volontarie’, gli era stato promesso che avrebbero avuto salva la vita. Ma come potevano gli accusati credere a una simile promessa, se sapevano bene che i loro predecessori erano stati fucilati dopo il processo ? Trotsky rispose a questa domanda nel modo seguente: “La GPU ha lasciato solo un filo di speranza a Radek, Piatakov e agli altri. – Ma voi avete fucilato Kamenev e Zinovev - certo , li abbiamo fucilati perché era necessario; perché erano nemici occulti; perché hanno rifiutato di confessare i legami con la Gestapo, perché…e così via. Ma non abbiamo bisogno di fucilare anche voi. Voi dovete aiutarci a liquidare l’opposizione e a compromettere, una volta per tutte, il nome di Trotsky agli occhi delle masse. Per questo servizio noi risparmieremo la vostra vita. E dopo qualche tempo voi potrete ritornare al vostro lavoro…etc , etc. Certamente, dopo tutto ciò che era successo, né Radek, né Piatakov, né tutti gli altri …potevano attribuire un grande valore a simili promesse. Ma da una parte c’era la prospettiva di una morte certa e immediata. Dall’altra, sempre la prospettiva della morte, ma illuminata da una fioca speranza. In tali circostanze, un uomo, specie se è stato intrappolato, umiliato, torturato, è incline ad aggrapparsi anche alla minima speranza”.

I processi pubblici includevano solo figure politiche che da lungo tempo avevano proclamato enfaticamente la loro lealtà al primo comandamento di Stalin: un odio furioso contro il ‘trotskismo’. A causa del loro attività passata di oppositori il ‘complesso di colpevolezza’ era diventato sempre più forte nella loro coscienza. Quindi era possibile, mescolandolo ad altri elementi, utilizzare questo complesso in vari modi.

Il destino di Bukharin e Rikov ci mostra come è stato utilizzato. Prima di farli arrestare, Stalin decise di farli passare attraverso una lunga procedura di nuove umiliazioni.



 

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Ultima modifica 5.03.2008