Preludio al Plenum di Febbraio –Marzo

Capitolo 24

 

Il Plenum di Febbraio-Marzo durò una settimana e mezzo - quindi fu molto più lungo di qualsiasi altro Plenum del Comitato centrale, qualunque sia il periodo storico che si voglia considerare. Sia per quanto riguarda il numero degli argomenti trattati, che per il numero di coloro che vi presero la parola, questo Plenum non fu secondo a nessun altro congresso del partito. Si potrebbe anche affermare che l’influenza di questo Plenum sul destino del partito e della nazione, fu molto più ampia dell’influenza avuta da qualsiasi altro Plenum e da qualsiasi altro congresso di partito. Il Plenum gettò le basi per le ‘fondamenta teoriche che avrebbero consentito il dispiegarsi del terrore di massa, sacralizzò la Grande Purga in nome del partito, ne definì, con un serie di direttive appropriate, il metodo e le dimensioni e, per finire, preparò lo sterminio della maggior parte dei partecipanti al Comitato Centrale stesso.

Dopo che si familiarizza con il materiale del Plenum – diventato, per altro, accessibile solo in anni recenti - la prima domanda che viene spontanea è: perché tutti i membri e i membri candidati del Comitato Centrale accettarono supinamente e supportarono le direttive mostruose le formulazioni politiche del Plenum? Com’è stato possibile che non una singola voce si sia levata contro i crimini già commessi e contro i crimini che si andavano preparando? E ancora: Come mai [nonostante la quiescenza dimostrata. M.R], i due terzi dei partecipanti al Plenum furono arrestati e fucilati nel giro di due anni?

La risposta data alla prima domanda è molto simile alla risposta data alla questione sul perché confessarono gli accusati nei processi pubblici. Il Comitato Centrale eletto al diciassettesimo congresso era, nella sua gran maggioranza, composto di gente che, nei tredici anni trascorsi, era stata ampiamente ‘testata’ nella lotta contro l’opposizione interna al partito. A partire dalla ”lotta contro il Trotskismo” nel 1923-1924, questi uomini avevano avuto una involuzione, avevano coscientemente definito nero il bianco e ripetuto tutte le falsificazioni dello Stalinismo. Durante questa lotta hanno rinunciato ai loro fondamenti ideologici e morali, e per un lungo periodo hanno taciuto sui drammi e le tragedie storiche di cui erano stati testimoni; avevano ignorato la sofferenza e la miseria del popolo, sostenuto Stalin nelle rappresaglie di quest’ultimo contro i suoi ex compagni e sciolto inni di gloria al ‘socialismo’ Staliniano. Anche prima del Grande Terrore essi avevano attraversato diversi stadi di degenerazione politica e morale.

Avevano tradito la principale idea comunista – l’idea dell’uguaglianza sociale, mostrandosi molto sensibili ai privilegi materiali e al potere che Stalin gli concedeva, in cambio della loro complicità nei suoi crimini e della loro subordinazione alla perversione delle norme che regolavano la vita interna del partito. Essi erano disposti, pur di rimanere attaccati alla fonte di ogni loro potere e privilegio, a pagare qualsiasi presso, incluso il prezzo delle più sfrenate glorificazioni Stalin, un uomo di cui conoscevano molto bene i limiti intellettuali, le carenze morali, la capacità di commettere qualsiasi crimine.

I membri e i membri candidati del Comitato Centrale scelti dal Diciassettesimo Congresso (così come quella parte di Vecchi Bolscevichi che avevano seguito Stalin), rimanevano Bolscevichi nella misura in cui conservavano elementi dell’ideologia sociale bolscevica, quali l’abnegazione svolgendo il lavoro loro affidato, nello sviluppo dell’economia, nella difesa della repubblica, nella cultura nazionale. Cessavano di essere bolscevichi nella misura in cui da proletari rivoluzionari si trasformavano in burocrati, da oppositori dell’iniquità sociale in suoi difensori, da strumenti d’espressione degli interessi della popolazione in notabili isolati dal resto del popolo.


La principale contraddizione della Grande Purga era la contraddizione tra il suo compito funzionale - la difesa degli interessi dello strato dominante e del suo monopolio sul potere, e il suo obbiettivo prinicipale – i rappresentati dello stesso strato dominante, che, quando il regime burocratico-totalitario si era solidificato, avevano iniziato ad intravedere la luce di una potenziale nuova opposizione. Le migliori qualità dei Vecchi Bolscevichi che erano rimasti al potere, iniziarono a entrare in un conflitto sempre più duro con gli obbiettivi politici che Stalin gli imponeva. In questo io vedo l’inevitabilità della rappresaglia contro la schiacciante maggioranza della vecchia guardia, e anche contro chi non aveva partecipato a nessuna delle opposizioni contro Stalin e che in un modo o nell’altro avevano attraversato un processo di degenerazione.

Sia chiaro che non sto parlando dei carrieristi, ciarlatani e avventuristi, che sempre vengono attirati da un partito al governo: cioè della schiuma, che secondo Lenin, nessun grande movimento di massa nella storia, è riuscito ad evitare. Io sto parlando d’uomini che, nonostante la loro grande esperienza politica e la loro devozione personale agli ideali del bolscevismo, caddero vittima di una serie di errori di portata storica e , alla fine , permisero che l’intero strato dirigente venisse giustiziato; comunque non senza una lotta (che sarà al centro dell’attenzione nell’ultimo capitolo di questo libro).


Affrontando le più concrete circostanze che determinarono la passività e il silenzio, o anche il sostegno attivo e aggressivo alle mostruose risoluzioni da parte dei partecipanti al Plenum, è necessario citare due eventi che precedettero di qualche giorno l’apertura del Plenum e servirono come duro avvertimento ai membri del CC: un chiaro segnale che nessuno di loro poteva considerarsi al sicuro dalla minaccia di essere annoverato tra i ‘nemici’ o tra i ‘complici dei nemici.


Il primo di questi eventi era rappresentato dal decreto del Comitato Centrale del 2 Gennaio 1937 ”Sugli errori del Segretario della regione Azov-Mar Nero, Compagno Sheboldaev e l’insoddisfacente gestione politica della dirigenza del Comitato Regionale del Partito”. In questo decreto, uno dei più importanti segretari di partito veniva accusato di aver mostrato ”scarsa oculatezza politica, cosa intollerabile per un Bolscevico…nei fatti, le cariche principali di parecchie tra le maggiori città e delle organizzazioni regionali del partito, sono state occupate, fino a tempi recentissimi, da odiosi nemici del popolo, spie e sabotatori trotskisti, che, in totale impunità, avevano potuto compiere il loro lavoro di distruzione”. A conferma di tutto questo, veniva presentata una lista imponente di arrestati: segretari di varie città, segretari di comitati regionali, direttori di grandi fabbriche, e interi staff di comitati regionali.

Sheboldaev venne rimosso dalla carica di segretario del comitato regionale, “messo a disposizione del CC” e avvertito che se egli, ”nel suo futuro lavoro,mostrerà di non aver imparato la lezione dagli errori compiuti, il CC del partito sarà costretto ad adottare misure più severe di una semplice reprimenda”. Così la risoluzione contrapponeva un anonimo CC del partito a uno dei suoi membri, cosa che, come vedremo in seguito, diventerà la norma dei lavori del Plenum di Febbraio-Marzo.


Un altro sinistro avvertimento fu immediatamente diretto contro uno dei grandi dirigenti del partito, con un decreto del CC del 13 Gennaio,” Sul lavoro insoddisfacente della leadership del Comitato del partito dell’area di Kiev, e sui difetti del CC della regione”. In esso si puntava il dito contro il comitato della regione di Kiev, sostenendo che era “infiltrato da un numero spaventoso di trotskisti”, così come “situazioni simili” [presenza di un gran numero di trotskisti] si erano verificate in altri comitati attraverso tutta l’Ucraina. A conferma di questo, il decreto elencava una lista di nomi di persone molto vicine al vice-segretario del Comitato Centrale dell’Ucraina e segretario del Comitato di Kiev, nonché membro candidato del Politburo, Postyshev. Tra loro figuravano quattro capi di dipartimento del comitato zonale di Kiev, tra cui una delle persone più vicine a Postyshev - il capo del dipartimento agitazione e propaganda, Karpov.

Karpov era uno Stalinista sfrenato, che aveva ben assimilato quelle ‘norme della vita di partito’ che iniziarono ad essere tacitamente osservate già dall’inizio degli anni trenta. Se ne può avere una dimostrazione in uno degli episodi riportati da uno dei filosofi Sovietici più anziani, A.Ya. Zin. Nel 1933, Postyshev, che guidava la campagna contro il ‘nazionalismo borghese’ in Ucraina, in un suo discorso accusò il giovane assistente universitario A.Ya. Zin di collaborazione con il ’fascismo Ucraino’. La causa immediata di quest’accusa era dovuta al fatto che A.Ya. Zin si era rifiutato di denunciare pubblicamente lo stimato filosofo Iurinets, allora arrestato. Quando A.Ya. Zin chiese aiuto a Karpov, quest’ultimo gli rispose: ” Io so che non sei colpevole di niente, ma dovresti essere in grado di capire che, nessuna persona, in tutto il paese, può permettersi di dire al segretario del Comitato Centrale che è in errore”. Capendo bene quali conseguenze poteva avere per A.Ya. Zin l’accusa di Postyshev, Karpov consigliò al giovane ricercatore di lasciare immediatamente l’Ucraina. Questo consiglio salvò la vita a Zin, che in seguito divenne l’autore di più di venti monografie di carattere scientifico, oltre che uno studioso di valore nella Repubblica Russa.

Il biasimo di aver ‘infarcito’ di trotskisti l’apparato del partito di Kiev fu fatto ricadere su Postyshev che ebbe la puntuale reprimenda da parte del CC: “Se simili fatti dovessero ripetersi…molto più gravi misure di punizione sarebbero prese contro di lui”.

Kaganovich andò a Kiev a ‘spiegare’ il decreto ai membri del partito. Incontrò la Nikolaenko, una donna che seguiva i corsi di specializzazione all’Istituto di Storia di Kiev, che essendo stata espulsa dal partito per aver fatto una serie numerosa di dichiarazioni calunniose in cui chiedeva la punizione ’dei i nemici del popolo’, si era appellata direttamente a Stalin. Quando ritornò da Kiev, Kaganovich riferì a Stalin della impressione favorevole che la Nikolaenko aveva fatto su di lui.

La ‘vigilanza’ della Nikolaenko era molto apprezzata da Stalin, tanto che gli dedicò uno speciale passaggio nel suo rapporto al Plenum di Febbraio-Marzo.”Nikolaenko fa parte della base del partito” dichiarò Stalin ”è una persona qualunque. Per un anno intero aveva segnalato il cattivo funzionamento dell’organizzazione del partito di Kiev, denunciando…la dominazione dei sabotatori trotskisti. Veniva schivata come un insetto fastidioso. Alla fine, per sbarazzarsi di lei, fu espulsa dal partito. Né l’organizzazione di Kiev, né il Comitato Centrale del Partito dell’Ucraina l’aiutarono a ottenere giustizia. Solo l’intervento del CC del partito è riuscito a sbrogliare la matassa. E che cosa ha rivelato l’esame del caso? Ha rivelato che la Nikolaenko aveva ragione e l’organizzazione di Kiev aveva torto. Niente di più e niente di meno…Come si può vedere, a volte, le persone umili sono più vicine alla verità di molti venerati notabili”.

Mentre era a Kiev, Kaganovich propose la Nikolaenko come modello in contrapposizione a Postyshev, accusato di ‘cecità politica’. Il 16 Gennaio Il Plenum del Cc del Partito di Kiev - presente Kaganovich – rimosse Postyshev dalla carica di segretario,” per via dell’impossibilità di combinare insieme la carica di vicesegretario del CC Ucraino con la carica di segretario del CC di Kiev”. Un mese dopo il CC Ucraino rimosse dal suo posto di lavoro la moglie di Postyshev, la Vecchia Bolscevica Postlovskaia. Alla luce di tutti questi fatti diventa chiaro perché Postyshev, nei suoi interventi e nelle sue interiezioni al Plenum di Febbraio-Marzo, tentasse di ‘riabilitarsi’ dimostrando la sua profonda ‘irreconciliabilità’ verso i ‘nemici’.

L’inizio delle rappresaglie contro Postyshev e Sheboldadev intendevano mostrare a tutti i membri del Comitato Centrale, quale sarebbe stato il loro destino se avessero opposto anche la più piccola resistenza alle repressioni che colpivano i loro più stretti collaboratori e colleghi.

Proprio come in passato, durante la più aspra battaglia contro l’Opposizione, Stalin scelse il momento migliore per il ”salto di qualità”, che in questo caso era rappresentato dal Plenum di Febbraio-Marzo, convocato per dare il via allo sterminio praticamente dell’intero partito, dello stato e della dirigenza economica e militare della nazione intera. Egli convocò questo Plenum solo dopo tre purghe del partito negli anni 33-36, dopo due processi pubblici, e per finire,dopo l’adozione della nuova costituzione che aveva suscitato speranze di democratizzazione nella maggioranza dei Sovietici.

È caratteristico che, dal 1934 al 1936 Stalin non si stancava di ripetere le sue formule demagogiche, con lo scopo di creare l’impressione che, dopo un periodo di povertà e repressioni di massa, l’Unione Sovietica era entrata in un periodo di ripresa e benessere, di fioritura della democrazia e di rispetto dei diritti umani. In un incontro al Cremlino con i metallurgici, dichiarò, ”se in passato abbiamo unilateralmente posto l’enfasi sulla tecnologia, sulle macchine, adesso l’enfasi la dobbiamo mettere sulle persone che hanno reso possibile la tecnologia…Noi dobbiamo prenderci cura di ogni lavoratore capace ed esperto, dobbiamo prenderci cura di lui e coltivarlo. La gente deve essere accuratamente coltivata come fa il giardiniere con il suo albero preferito. Dobbiamo aiutarlo a crescere, dargli una prospettiva, promuoverlo tempestivamente, o trasferirlo per tempo se il suo lavoro non è adatto a lui, prima che si riveli un fallimento completo”.

Stalin sviluppò questi concetti in un discorso svolto durante la cerimonia di diploma dei cadetti dell’accademia militare, dove affermò che per creare un’industria moderna nel più breve tempo possibile, ”è stato necessario fare sacrifici ed imporre la più drastica economia in tutto: abbiamo economizzato sul cibo, sull’istruzione, sulla manifattura”. Ora comunque, secondo Stalin, il periodo della fame, col dominio della tecnologia, è stato superato, e il paese è entrato “in una nuova epoca, vorrei dire, di dominio del popolo, di dominio dei quadri”. Richiamando la sostituzione dello slogan precedente” La tecnologia decide su tutto”, con il nuovo slogan ”i quadri decidono tutto”, Stalin dichiarò che “la nostra gente”, non ha ancora capito ”l’importanza del significato di questo nuovo slogan…Altrimenti non avremmo avuto quell’atteggiamento vergognoso verso le persone, quadri o semplici lavoratori, che abbiamo potuto osservare nella pratica quotidiana. Lo slogan i quadri decidono tutto richiede che i nostri dirigenti prestino la più grande attenzione ai nostri lavoratori, grandi e piccoli, qualsiasi sia il loro lavoro. Devono coltivarli con grande cura, aiutarli quando ne hanno bisogno, incoraggiarli quando raggiungono i loro obbiettivi, promuoverli e cosi via…Mentre siamo in presenza di atteggiamenti burocratici, senz’anima, nei confronti dei lavoratori. Questo,sia detto per inciso, spiega perché spesso le persone vengono gettate via come si getta via una pietra”. A conclusione di questa dichiarazione programmatica, Stalin disse: “Bisogna alla fine capire che tra tutto il capitale del mondo, il capitale più prezioso e decisivo è il capitale umano, i quadri”. Presentandosi come un difensore dei “quadri” contro alcuni anonimi ”nostri dirigenti”, Stalin dichiarò anche che era errato attribuire tutti meriti per le realizzazioni ai “dirigenti”, dimenticandosi dei meriti dei “quadri”.

Stalin, dopo la pubblicazione della bozza della nuova costituzione, iniziò a parlare con lo speciale zelo di un appassionato avocato difensore della democrazia. In una conversazione con il giornalista Americano Roy Howard si soffermò a su un’affermazione di quest’ultimo secondo la quale i Bolscevichi avevano “sacrificato la loro libertà personale”. Riconoscendo che, nell’interesse della costruzione del socialismo, ” abbiamo temporaneamente limitato la soddisfazione dei nostri bisogni”, Stalin dichiarò che la società socialista, a quel punto, era stata costruita, e inoltre, che era stata costruita “non per limitare le libertà personali, ma affinché la persona umana si senta veramente libera”. Disse anche che la garanzia di questa libertà era la nuova costituzione, dichiarando: “sarà, secondo la mia opinione, la costituzione più democratica tra quelle esistenti nel mondo”. Egli ripeté questo pensiero in un rapporto all’Ottavo Congresso Straordinario dei Soviet, polemizzando contro quei giornalisti stranieri che avevano affermato che la nuova costituzione dell’URSS era, “una promessa vuota, messa in campo per coprire qualche altra manovra e ingannare il popolo”.


Questo era il sostrato ideologico contro il quale era stato convocato il Plenum di Febbraio-Marzo del Comitato Centrale.

 

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Ultima modifica 5.03.2008