Contro la reazione

Bordiga (1921)

 


Articolo per Ordine Nuovo del 26 marzo 1921.
Trascritto dai compagni del Partito Comunista Internazionalista (Battaglia Comunista)


 

Le masse proletarie italiane sono vivamente emozionate e percorse da un caldo slancio di solidarietà per le vittime delle persecuzioni politiche, per gli incarcerati in seguito a reati di pensiero e ad accuse di complotto contro lo Stato, o comunque sottratti con un qualsiasi pretesto alla circolazione e alla loro attività di agitatori politici.

Malatesta, Borghi, Quaglino, detenuti da mesi, con la chiara intenzione di porli nella impossibilità di proseguire l'opera loro di dirigenti del movimento anarchico e sindacalista, hanno iniziato lo sciopero della fame per ottenere che ad essi venga almeno applicata la normale procedura di cui la stessa legalità borghese dovrebbe garantirli.

Questa notizia ha giustamente commossi i lavoratori di ogni tendenza e sfumatura politica che spontaneamente tendono ad esercitare una azione efficace per ottenere la liberazione dei perseguitati.

Naturalmente il metodo borghese adottato con parzialità troppo sfacciata di assolvere ad occhi chiusi tutti i bianchi che nella loro azione antirivoluzionaria trovino comodo di oltrepassare i limiti delle leggi e di cogliere ed inventare pretesti inammissibili per mettere dentro i sovversivi, ha causato un vivo fermento che tende ad organizzarsi in una agitazione generale nella quale la solidarietà dei comunisti non può mancare.

Noi d'altra parte siamo in larghissima misura vittime di questi metodi della reazione. Molteplici sintomi lasciano immaginare che questa si prepara a fare del nostro partito il suo preferito bersaglio, che la lotta tra noi ed essa diverrà sempre più serrata.

Non faremo qui l'elenco dei nostri compagni arrestati e in mille modi perseguitati. In intere plaghe, in intere provincie imperversa una vera orgia di persecuzioni contro i comunisti, le loro associazioni, le loro sedi, i Comuni da essi amministrati. In molti posti i capi sono stati direttamente colpiti. Dobbiamo ricordare l'assassinio di Lavagnini? Dobbiamo rinnovare la espressione della nostra indignazione per quanto si compie a danno di Tuntar e dei suoi compagni di Trieste, che anche stanno conducendo lo sciopero della fame? Dobbiamo narrare ancora la incredibile odissea di Edmondo Peluso, oggi relegato senza un motivo sullo scoglio di santo Stefano? Degli episodi di Milano e del diretto attentato alle sedi del nostro partito e di tutti i nostri organismi centrali diciamo, con serenità di spirito, altrove. Un'altra figura che i proletari italiani non deve dimenticare è quella di Ersilio Ambrogi di Cecina, uno dei nostri uomini più coraggiosi e coscienti, che è tuttora detenuto per i fatti di Cecina, sotto la gravissima imputazione di omicidio; e al processo del quale si frappongono tutti i mille ostacoli procedurali in cui gli agenti del Governo borghese sono provetti.

Si tratta dunque di manifestazioni di un fatto generale, che va anche al di là della adozione di un particolare indirizzo politico da parte di un Governo. Ed appunto il partito comunista vuole influire perché questo problema sia affrontato a sangue freddo ed a ragione veduta, con tutto il corredo indispensabile della nostra esperienza critica e sulla traccia sicura dei nostri metodi di azione, anziché affidarne la soluzione secondo il metodo tradizionale, alle facili influenze del sentimentalismo, e ricadere in vecchissimi e deplorevoli errori.

Agitiamoci, si; operiamo per ottenere l'obiettivo di recare il doveroso aiuto ai compagni nostri che più si sacrificano, per restituire al movimento delle masse i suoi dirigenti. Ma evitiamo l'errore di considerare l'azione che questo risultato deve conseguire come cosa avulsa da tutto il restante quadro della nostra azione quale essa viene ad intrecciarsi colla attuale situazione e le vaste e profonde cause che l'hanno determinate.

E' una illusione quella di credere che si possa indurre la classe dominante ed il suo Governo a ritornare ad un regime normale, a rispettare quelle garanzie che i suoi istituti giuridici lasciano alla libertà di agire degli individui e della collettività. Non interpretiamo il problema come quello di riportare l'avversario alla legge, nella sua legge. Questo vorrebbe dire avvalorare l'illusione controrivoluzionaria che l'ambiente della legalità borghese si presti alla lotta di emancipazione delle masse, e se per poco nella nostra azione noi accettassimo di unirsi a quei movimenti che hanno come loro patrimonio di teoria e di tattica quel fondamentale errore, noi rovineremmo tutta la nostra propaganda tra le masse, noi cadremmo nell'equivoco di mostrare di assumere o di lasciare assumere l'impegno che se la borghesia rispetterà i limiti delle sue leggi, noi faremo altrettanto. Ciò vorrebbe dire che l'imperio dell'attuale sistema costituzionale è per noi una situazione desiderabile, vorrebbe dire dimenticare che, secondo la critica marxista, la libertà che esso ostenta di concedere non è che una turlupinatura ed una risorsa conservatrice.

Ora in bocca ai comunisti, non devono trovarsi le frasi stereotipate e ridicole di libertà di opinione, di diritto individuale, e simili giaculatorie, care alla democrazia borghese e all'opportunismo socialistoide. Noi dobbiamo anche evitare di incoraggiare la tendenza in taluni elementi, prossimi ai nostri cugini sindacalisti ed anarchici, a cadere nell'abuso piccolo borghese di quelle frasi, credendo di fare con ciò del puro estremismo.

I comunisti sono su ben altro terreno. Essi sanno che nei limiti convenzionali della legalità borghese non si ritornerà più. Essi dichiarano che la storia ha universalmente posto questo dilemma: o se ne esce per realizzare la dittatura aperta della controrivoluzione, o per fondare la dittatura rivoluzionaria del proletariato. Essi non si pongono come obiettivo di riaprire il periodo dei rapporti normali, politici e giuridici - che sarebbe, ove non fosse un assurdo, il periodo del ristabilimento pacifico dei poteri e dei privilegi capitalistici - ma di sospingere il trapasso da esso al periodo del potere rivoluzionario del proletariato. I comunisti non dicono alla borghesia: bada che se non rientri nella tua legalità faremo la rivoluzione... per conservarla. Essi si propongono invece di varcare i limiti del potere borghese con la loro azione rivoluzionaria. Chi, come i socialdemocratici, intendono restare sul terreno delle lotte civili, non sarà mai un nostro alleato.

Per lottare contro i sistemi della reazione non c'è dunque altra via che organizzarsi per spezzarli, lottando contro di essa senza esclusione di colpi. Occorre dare alla nostra azione un andamento che la rende indipendente dalle facili sanzioni del potere borghese, che colpisca più addentro e più sicuramente il sistema avversario. E quindi a ciò si ricollega tutto il problema del metodo rivoluzionario, nel quale noi non siamo coi socialdemocratici che credono di poter fare a meno dell'infrangimento della legalità borghese, non siamo coi liberali che credono che uno sforzo che infranga il vecchi sistema non debba seguire il costituirsi di un nuovo sistema di potere, di organizzazione disciplinata, di militarismo ed anche di polizia, e anche di reazione contro la classe borghese.

Il problema delle vittime politiche e della lotta contro la reazione non è dunque problema incidentale e negativo, ma si riconduce al problema positivo e generale dell'azione contro l'attuale ordine di cose. Chi pensa che si possa affrontarlo al fianco dei socialdemocratici, lo pone in modo controrivoluzionario ed opera con analogo effetto anche se di quelli dice di essere agli antipodi.

Il partito comunista lotta contro la reazione perché lotta contro il potere borghese, anche quando questo non ecceda dalle sue funzioni<legali>. Esso conduce questa lotta organizzando in tali direzioni la coscienza e la forza proletaria; accettando di portarsi sul terreno della illegalità e della violenza, non perché l'abbia scelto la borghesia, ma perché è l'unico che con vantaggio possa scegliere il proletariato, per accelerare il dissolversi della legalità borghese, verso il momento in cui sulla sua disfatta si istituirà formidabile la legalità proletaria, alla quale non occorre legare preventivamente le mani per velleità fraseologiche.

Precisamente quindi tutte le ragioni per cui il partito comunista è sorto e quelle che lo conducono a fissare i suoi metodi, vengono in campo quando si pone il problema di affrontare la reazione. La reazione è il potere stesso della borghesia; mai ci troveremo di fronte l'avversario con diverse e più vulnerabili armature.

E' per questo che i comunisti scendono in lotta contro le prepotenze e le violenze avversarie con tutta la precisa fisionomia della loro organizzazione e della loro tattica di partito.

 


Ultima modifica 2.10.2000