Come un partito muore

Bordiga (1921)

 


Articolo per Ordine Nuovo del 27 marzo 1921.
Trascritto dai compagni del Partito Comunista Internazionalista (Battaglia Comunista)


 

Non si può negare che l'Italia proletaria abbia sussulti rivoluzionari, indizi certi di profondo squilibrio nei rapporti sociali.

L'inconciliabilità di classe si manifesta sempre più profonda e la violenza di classe si impone come estrema ratio per la risoluzione dei profondi conflitti sociali. Il Partito socialista, come partito di classe, avrebbe dovuto sentire la necessità della violenza per valorizzare la posizione di classe del proletariato organizzato. Invece sta subendo ovunque la violenza borghese e lascia che dalla tribuna parlamentare un socialista deputato affermi essere la viltà eroismo e che per ricacciare la violenza in gola a che la provoca è necessario essere autorizzati a mettersi su quel terreno! E di fronte ad atti di santa ribellione delle masse, quel deputato, ha potuto affermare che da parte del Partito è venuta sempre la deplorazione, la sconfessione e con candido stupore domanda agli uomini del Governo borghese se l'assassinio premeditato ed organizzato e la ricompensa di quell'atteggiamento, e noi aggiungiamo, di viltà. Ma come se non bastasse una si madornale manifestazione di debolezza lascia che le Camere del Lavoro della potente Confederazione di D'Aragona ardano quasi quotidianamente per mani fascista e che interi Comitati di leghe del bolognese siano incarcerati sotto l'accusa di estorsione per aver concordato con gli agrari un patto colonico che comporta il risarcimento di danni da liquidarsi in forma legale. E tutto anche fatto con relativa carta bollata e con le sacramentali forme di legge! Ma non basta! Laddove il proletariato si strafotte dei funzionari della Confederazione e restituisce, di pari moneta, la violenza alla violenza fascista, interviene il Partito, a cose finite, e mentre gli audaci o sono morti o in galera o perseguitati, s'impanca a predicatore di civiltà, di calma e sempre in Parlamento, il grande collettore di tutte le ambizioni e le rinunzie, fa dire ad un deputato di Toscana parole di compianto per i morti di mano proletaria, fa commuovere i precordi a tutti gli onorevoli parlamentari presenti stigmatizzando le scene di selvaggio terrore comunista ed annunciare che il Partito intende rinunciare ad ogni forma di violenza. E tanto per percorrere il declivio, sino in fondo, i deputati socialisti in quasi maggioranza nel loro gruppo assaporano e votano un ordine del giorno che per far agire, il partito positivamente e secondo le necessità imposte dalla situazione consiglia il coordinamento dell'azione del proletariato con quella parlamentare perché quest'ultima possa, senz'altro, entrare nel giuoco delle forze politiche e, udite, udite, GARANTIRE I DIRITTI DEL PROLETARIATO sul terreno della reazione quotidiana.

Questa è fellonia di un partito, fortunatamente, in decomposizione e preposto a morte certa. Che non salva l'accortezza dei vari Baratono del Partito Socialista se, per un momento, riescono ad arrestare dal suicidio il Partito, ancora caldo del Congresso di Livorno, ancora intrigante verso la III Internazionale, della quale dicono di accettare lo statuto e le condizioni per poi tradirla.

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Tutto il massimalismo del Congresso di Bologna ha servito per ingannare un po' tutti. Oggi i massimalisti più noti, anzi addirittura coloro che, come Abbo, non volevano giurare in Parlamento e come Alessandri sdegnavano di prendere parte ai lavori legislativi e come Niccolai facevano ginnastica sindacalista fra l'azione del deputato nei sindacati e nel Parlamento, tutti costoro dico, sono andati verso Turati con meno lealtà e dirittura del vecchio socialdemocratico. E tutti costoro, per garantire i diritti del proletariato, sul terreno della reazione, scendono sino alla collaborazione politica col Governo borghese. Sconfitti sulla piazza, i socialisti, al primo tentativo di reazione violenta del fascismo, affidano o intendono affidare il divenire, il diritto proletario, al giuoco delle combinazioni parlamentari. Quanto sia antisocialista ed affatto marxista la situazione cui vogliono cacciare il proletariato è superfluo dimostrare con abbondanza di argomenti. Basta solo ricordarsi che lo Stato è il prodotto e la estrinsecazione della inconciliabilità dei conflitti di classe. Lo Stato, secondo Marx, è un organo del dominio di classe, un organo per l'oppressione di una classe da parte di un'altra. Ora cosa fanno i socialisti quando, di fronte alla violenza reazionaria delle forze borghesi, valorizzano lo Stato irrobustendone l'istituto parlamentare, conciliando l'esistenza dello Stato con i diritti delle classi lavoratrici? Cosa fanno quando tentano di attutire l'urto fra le classi, proprio nel momento in cui l'urto è cominciato per iniziativa borghese? Cosa fanno se non opera di tradimento verso la classe lavoratrice? Essi non sono nemmeno dei socialisti, sono dei piccoli borghesi, sono degli opportunisti. Ed un Partito che uscì dalla guerra, ingigantito davanti agli occhi di tutta l'organizzazione operaia del mondo, che raccolse le simpatie della Repubblica dei Soviet russi, che vinse una battaglia elettorale con il simbolo della rivoluzione russa, che ha nei quadri della Confederazione oltre due milioni di operai organizzati, cosa vale quando al primo soffio di reazione, tace, sta fermo e fa il vile e come preso dal panico, invece di aiutare il proletariato per il famoso colpo di piccone demolitore, va a rinsaldare l'esistenza dello Stato traendosi nell'orbita o tentando di attrarvi il proletariato italiano?

Un partito che così agisce, nel momento più difficile della sua storia, va verso il suicidio. E muore così, inerme, di fronte agli incendi ed alle raffiche delle fucilate per le contrade d'Italia. Per noi tutto ciò non è lezione di oggi: sapevamcelo che doveva finire così. Ma vive su tanta rovina, e si fortifica, il movimento comunista il quale tutta l'azione incardina sul semplice enunciato che la storia del movimento proletario e tutte le sue disfatte ha messo sotto una luce di sfolgorante verità e cioè: lo Stato, quale prodotto della inconciliabilità dei conflitti di classe è un potere per l'oppressione della classe opposta; la liberazione delle classi oppresse è solo possibile non solo con la rivoluzione violenta ma anche con l'eliminazione dell'apparato di potere statale.

Per la violenza senza sentimentalismi romantici di nessuna forma, per la svalorizzazione costante del potere statale, noi utilizzeremo le forze della classe operaia.

 


Ultima modifica 2.10.2000