L'ORA DI GRAMSCI COINCIDE CON IL TRIONFO DELL'OPPORTUNISMO

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Battaglia comunista n 12/1 - dicembre 1961/gennaio 1962
Fonte: Primo Maggio


 

Destino, meritato o no, quello di Gramsci, non è certo da invidiarsi da tutti coloro che, insieme a lui, hanno vissuto il tempo dell'ascesa rivoluzionaria nel clima infuocato della Rivoluzione d'Ottobre, per essere divenuto - nelle mani di uno spregiudicato apparato di partito - un imperante centro di infezione ideologica e politica per le nuove generazioni di combattenti che volevano far propria la causa del proletariato e conoscere la teoria rivoluzionaria.

Diciamo subito che un conto è la sua vicenda umana che va ricordata nel quadro di una situazione eccezionalmente grave e dolorosa per il proletariato, ma soprattutto per i militanti del Partito comunista che erano in prima fila nella lotta contro il capitalismo fascista per dare una soluzione rivoluzionaria alla crisi che aveva investito le strutture economiche e politiche nel primo dopoguerra; e un conto, invece, è la sistematica e interessata strumentalizzazione del sacrificio di Gramsci per coprire una politica di capitolazione e di tradimento.

Il Gramsci, messo in circolazione dagli uomini che siedono da padroni in via delle Botteghe Oscure, è costruito su misura, proporzionalmente alla loro statura di politicanti che hanno bisogno d'un nome e d'un sacrificio per farne motivo di pubblicità e di imbonimento di crani disposti al lavaggio, qualunque esso sia. Una tale bisogna, che dovrebbe suscitare ripugnanza, affatica invece biografi ed esegeti, storiografi ed agiografi, letterati e persino poeti che all'unisono hanno riempito e riempiono il mercato librario di questo ultimo ventennio, a profitto di un partito che li mobilita, con la costruzione di un Gramsci di maniera, episodico e dal profilo ideologico tra i più deteriori. Chi ha conosciuto molto da vicino Gramsci e con lui l'epoca della sua maggiore maturità politica, ed ha poi approfondito tale conoscenza con lo studio accurato ed obiettivo dei suoi scritti posteriori, non può concludere il suo giudizio che in un modo solo, quello cioè di non ritenere l'opera di Gramsci incentrata nel marxismo e realizzata con mente di marxista, con gli strumenti offerti dal suo metodo di interpretazione e con gli obiettivi che gli sono propri.

Se in lui era prevalente l'interesse per i problemi contingenti e l'urgenza per le soluzioni immediate e concrete, amava tuttavia idealizzare tutto ciò con fervida creatività, quasi volesse equilibrare in tal modo la carica idealizzatrice con la fisica incapacità ad una seria e costante condotta realizzatrice.

Tra il materialismo dialettico e la filosofia generica del mito, Gramsci era in apparenza per il primo, ma di fatto era legato per educazione, per gusto e per tendenza al secondo. Ciò vuol dire forse che la speculazione fatta e che si continua a fare dall'opportunismo sulla personalità di Gramsci, trova nella incompiutezza, nella insufficienza della sua elaborazione teorica e nell'empirismo delle sue indicazioni politiche la sua ragione d'essere e la sua giustificazione? Si può affermare che questa macabra vivisezione da tavolo anatomico dell'intellettualismo di "sinistra" su Gramsci, ha trovato nel suo pensiero e nella sua opera vasta messe di presupposti e di prospettive inconciliabili col marxismo.

Alcune precisazioni, anche se affrettate, si rendono necessarie.

Di fronte alla prima guerra mondiale, Gramsci non solo è indeciso sulla strada da prendere e non vede la reale natura della guerra, ma è incapace di sentire e giudicare il fenomeno stesso dell'imperialismo dall'angolo visuale di classe e della strategia rivoluzionaria, negli stessi anni in cui Lenin e la Luxemburg portavano un contributo, d'importanza fondamentale, alla elaborazione della teoria rivoluzionaria sul problema della guerra.

Sempre sul problema della guerra, nel suo primo articolo apparso sul Grido del Popolo (ottobre 1914), Gramsci scriveva: "...I rivoluzionari che concepiscono la storia come creazione del proprio spirito, fatta di una serie ininterrotta di strappi operati sulle altre forze attive e passive della società, e preparano il massimo di condizioni favorevoli per lo strappo definitivo (la rivoluzione), non devono accontentarsi della formula provvisoria neutralità assoluta, ma devono trasformarla nell'altra neutralità attiva ed operante".

E' questa posizione attivistica di "neutralità attiva ed operante" che porterà Mussolini alla teoria della guerra rivoluzionaria, preludio logico al fascismo, ma non porterà Gramsci né alla teoria né alla pratica del disfattismo rivoluzionario.

Del resto non è un mistero che non riuscisse a Gramsci di concepire il marxismo se non in chiave idealistica per essere egli rimasto ancorato allo storicismo crociano (la storia come creazione dello spirito) e al suo concetto della libertà. Nell'esaminare la Rivoluzione d'Ottobre, Gramsci scriveva infatti (Avanti, 25 luglio 1918) che: "lo sviluppo storico è governato dal ritmo della libertà" la quale "è forza immanente della storia che fa scoppiare ogni schema prestabilito".

La stessa inclinazione idealistica lo porta a vedere nei "Consigli" la possibilità obiettiva di precostituire sul tronco stesso del capitalismo le forme e gli istituti della società socialista, mentre rimaneva cieco e sordo di fronte alla necessità storica della formazione del partito rivoluzionario.

Il Gramsci posteriore, quale lo abbiamo conosciuto dal Congresso di Livorno a quello di Lione, dal delitto Matteotti alle leggi eccezionali, nel ruolo di capo-partito, è assai meno originale e meno conseguente, e non può essere oggetto di approfondimento in questa sede.

E crediamo che questo sia il modo migliore di ricordare Gramsci; falsarlo non sarebbe degno della sua memoria.


Ultima modifica 08.10.2008