Antonio Gramsci 1925

Sull’operato del Comitato centrale del partito


Pubblicato per la prima volta ne "L’Unità", 20 dicembre 1925
Trascritto per Internet da Antonio Maggio - Primo Maggio.


1) La linea politica adottata dalla Centrale e seguita dal V Congresso in poi è stata pienamente adeguata alla situazione politica italiana, ha consentito al nostro partito di sviluppare le sue forze, e lo ha portato ad avere un grado di influenza politica reale quale esso mai aveva posseduto. Essa ha fatto compiere al partito passi considerevoli sulla via di una preparazione rivoluzionaria effettiva. Noi siamo oggi collegati politicamente con la classe operaia in modo di gran lunga superiore a quanto mai non siamo stati durante la vita del nostro partito. Noi abbiamo inoltre, favoriti dalla situazione oggettiva, risolutamente impostato e avviato a una soluzione il problema del collegamento politico con la classe dei contadini, in modo come prima non si era riusciti a fare.

Affermiamo che la linea seguita dal partito durante il primo periodo della sua esistenza, e soprattutto quando si resero acuti i dissensi con l’Internazionale, non avrebbe mai potuto portarci al punto in cui ora ci troviamo. Se il partito avesse adottato la tattica che Bordiga propugna, esso non avrebbe in nessun modo potuto trarre profitto dalla situazione determinatasi dopo il delitto Matteotti, non sarebbe affatto riuscito a esercitare in ogni momento della sua azione una influenza sopra vasti strati di massa, sarebbe venuto meno al compito di strappare le masse lavoratrici all’influenza dei partiti intermedi controrivoluzionari, e di estendere quindi gradualmente la sua influenza sino al grado attuale.

Affermiamo che soltanto la tattica che la Centrale ha seguito, in conformità con i deliberati dei congressi mondiali, negli ultimi due anni, ha consentito di porre nei suoi termini reali il problema di creare in Italia il partito della classe operaia come partito di massa e non come setta completamente staccata dalle masse e fossilizzata nella ripetizione di una vuota fraseologia rivoluzionaria. Affermiamo inoltre che un ritorno alla tattica "bordighiana" ci farebbe perdere rapidamente tutto ciò che abbiamo acquistato, e avrebbe quindi le più gravi conseguenze non solo per il partito, ma anche per la classe operaia.

Posta tra la organizzazione settaria "bordighiana" e le formazioni politiche controrivoluzionarie in sfacelo (massimalisti, unitari, aventiniani e simili) la classe operaia ricadrebbe nella passività, nella inerzia, nella disgregazione, dalle quali invece noi la stiamo strappando;

2) per quanto riguarda la politica del partito nel periodo tra il IV e il V Congresso mondiale, se è vero che in quel periodo vi furono, per quanto riguarda le stesse direttive generali, delle incertezze ed oscillazioni, è altrettanto vero che la responsabilità di questo fatto risale a chi, per condurre una lotta contro l’Internazionale, non aveva esitato ad aprire nel partito una gravissima crisi, soprattutto favorendo la formazione di una "destra" che non trovava una ragione d’essere altro che per la sua "fedeltà" alle direttive della Internazionale contro le quali il partito veniva schierato. Seguire Bordiga oggi, vorrebbe dire riprodurre una situazione eguale a quella di allora. Ma, per fortuna, non vi è nessun segno che il partito voglia seguirlo;

3) per quanto riguarda l’organizzazione noi non esitiamo ad affermare che una organizzazione qual ebbe il nostro partito nel primo periodo della sua esistenza, se rappresentò un progresso enorme in confronto della consuetudine socialdemocratica e massimalista e se era adeguata alla situazione di allora, non sarebbe in nessun modo adeguata a risolvere i problemi che oggi al partito si sono posti, in prima linea il problema di mantenere in qualsiasi condizione i contatti con i più vasti strati della classe operaia, e il problema di funzionare come una parte della classe operaia stessa. Il problema di organizzare il partito comunista come parte della classe operaia e come partito di massa fu posto solo dalla attuale Centrale. La Centrale che fu guidata da Bordiga non vide questo problema, in conseguenza del suo indirizzo politico generale. Che oggi esso sia risolto, noi non lo diciamo, certo esso è impostato bene e si sono fatti enormi progressi verso la sua risoluzione;

4) quanto al lavoro pratico di organizzazione, noi non crediamo che tutto dalla attuale Centrale sia fatto bene. Crediamo che difetti e manchevolezze ve ne furono, e ve ne sono tuttora. Se però noi teniamo conto delle condizioni in cui il lavoro del partito si è svolto dopo il V Congresso mondiale non possiamo fare a meno di dire che questi difetti scompaiono di fronte alla enorme opera riorganizzativa compiuta per giungere alla situazione odierna, partendo da una situazione in cui tutta la vecchia impalcatura era crollata e dovette essere ricostruita con nuovi criteri e impiegando "materiale" nuovo.

Il compagno Bordiga queste cose le sa; così come egli sa che, tenendo conto delle diverse condizioni oggettive (oggi per fare arrivare una lettera dal centro alla periferia occorre un "lavoro" dieci volte più grande di quanto ne occorresse ai tempi di Bordiga), l’apparato attuale del partito è più piccolo di quello di una volta, il che vuol dire che è minore, relativamente, il numero dei funzionari. Ma anche se essi fossero di più, noi affermiamo che essi sono scelti in base al più rigoroso criterio, e che in base ai più rigorosi criteri il loro lavoro viene controllato. Noi siamo certi che i tanto deprezzati "funzionari" del partito sono oggi un gruppo disciplinato e cosciente di "rivoluzionari professionali" che alla causa del partito e della classe operaia non verranno mai meno;

5) rimane a vedere se sia vero che la Centrale ha "avvelenato la convivenza" nel partito col settarismo. Orbene, se Bordiga si riferisce, come non v’è dubbio, alla energica e implacabile azione della Centrale per stroncare il tentativo frazionista che prese nome dal "Comitato d’intesa", noi non dobbiamo dirgli altro se non che siamo pronti, oggi, domani e sempre, quando un altro tentativo di quel genere fosse compiuto un’altra volta, a stroncarlo con la stessa implacabile energia.

Non solo, ma siamo convinti che, quando a tutti i compagni sarà noto il punto a cui l’azione disgregatrice del Comitato d’intesa stava per arrivare, essi troveranno che forse si doveva essere anche più aspri nello stigmatizzare l’azione. Chi nel Partito comunista vuole lavorare disciplinato, sulle direttive che l’Internazionale ha tracciato e collaborando per l’applicazione di esse, non troverà mai che la convivenza nelle sue file è "avvelenata". Ma per chi volesse ripetere l’insano tentativo di spezzare l’unità del partito, di porlo contro l’Internazionale, di disgregarne la compagine, per questi, non vi è dubbio, l’aria del nostro partito, dopo il III Congresso, sarà poco respirabile.