L'imperialismo

Fase suprema del capitalismo

VII. L'imperialismo, particolare stadio del capitalismo.

 

Dobbiamo ormai tentare di sintetizzare quanto sin qui abbiamo detto intorno all'imperialismo e di concludere.

L'imperialismo sorse dall'evoluzione e in diretta continuazione delle qualità fondamentali del capitalismo in generale. Ma il capitalismo divenne imperialismo capitalistico soltanto a un determinato e assai alto grado del suo sviluppo, allorché alcune qualità fondamentali del capitalismo cominciarono a mutarsi nel loro opposto, quando pienamente si affermarono e si rivelarono i sintomi del trapasso a un più elevato ordinamento economico e sociale. In questo processo vi è di fondamentale, nei rapporti economici, la sostituzione dei monopoli capitalistici alla libera concorrenza. La libera concorrenza è l'elemento essenziale del capitalismo e della produzione mercantile in generale; il monopolio è il diretto contrapposto della libera concorrenza. Ma fu proprio quest'ultima che cominciò, sotto i nostri occhi, a trasformarsi in monopolio, creando la grande produzione, eliminando la piccola industria, sostituendo alle grandi fabbriche altre ancor più grandi, e spingendo tanto oltre la concentrazione della produzione e del capitale, che da essa sorgeva e sorge il monopolio, cioè i cartelli, i sindacati, i trust, fusi con il capitale di un piccolo gruppo, di una decina di banche che manovrano miliardi. Nello stesso tempo i monopoli, sorgendo dalla libera concorrenza, non la eliminano, ma coesistono, originando così una serie di aspre e improvvise contraddizioni, di attriti e conflitti. Il sistema dei monopoli è il passaggio del capitalismo a un ordinamento superiore nella economia.

Se si volesse dare la definizione più concisa possibile dell'imperialismo, si dovrebbe dire che l'imperialismo è lo stadio monopolistico del capitalismo. Tale definizione conterrebbe l'essenziale, giacché da un lato il capitale finanziario è il capitale bancario delle poche grandi banche monopolistiche fuso col capitale delle unioni monopolistiche industriali, e d'altro lato la ripartizione del mondo significa passaggio dalla politica coloniale, estendentesi senza ostacoli ai territori non ancor dominati da nessuna potenza capitalistica, alla politica coloniale del possesso monopolistico della superficie terrestre definitivamente ripartita.

Ma tutte le definizioni troppo concise sono bensì comode, come quelle che compendiano l'essenziale del fenomeno in questione, ma si dimostrano tuttavia insufficienti, quando da esse debbono dedursi i tratti più essenziali del fenomeno da definire. Quindi noi -senza tuttavia dimenticare il valore convenzionale e relativo di tutte le definizioni, che non possono mai abbracciare i molteplici rapporti, in ogni senso, del fenomeno in pieno sviluppo- dobbiamo dare una definizione dell'imperialismo, che contenga i suoi cinque principali contrassegni, e cioè:

1) la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica;

2) la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo "capitale finanziario", di un'oligarchia finanziaria;

3) la grande importanza acquistata dall'esportazione di capitale in confronto con l'esportazione di merci;

4) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo;

5) la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche.

L'imperialismo è dunque il capitalismo giunto a quella fase di' sviluppo, in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l'esportazione di capitale ha acquistato grande importanza, è cominciata la ripartizione del mondo tra i trust internazionali, ed è già compiuta la ripartizione dell'intera superficie terrestre tra i più grandi paesi capitalistici.

Vedremo in seguito come dell'imperialismo possa e debba darsi una diversa definizione, quando non si considerino soltanto i concetti fondamentali puramente economici (ai quali si limita la riferita definizione), ma si tenga conto anche della posizione storica che questo stadio del capitalismo occupa rispetto al capitalismo in generale, oppure del rapporto che corre tra l'imperialismo e le due tendenze fondamentali del movimento operaio. Occorre subito rilevare come l'imperialismo, concepito in tal senso, rappresenti un particolare stadi o di sviluppo del capitalismo. Per dare al lettore una rappresentazione più saldamente fondata dell'imperialismo, abbiamo appositamente cercato di citare quanto più giudizi si potevano di economisti borghesi, che si vedono costretti a riconoscere i fatti ineccepibili della nuovissima economia capitalistica. Allo stesso fine abbiamo prodotto dati statistici circostanziati, che mostrano fino a qual punto si sia accresciuto il capitale bancario, ecc. e in che cosa si sia manifestato il trapasso dalla quantità alla qualità, dal capitalismo altamente sviluppato all'imperialismo. Senza dubbio, tanto nella natura quanto nella società ogni limite è convenzionale e mobile, cosicché non avrebbe senso discutere, per esempio, sulla questione dell'anno e del decennio in cui l'imperialismo si sia "definitivamente" costituito.

Nondimeno bisogna discutere sulla definizione dell'imperialismo, innanzi tutto col maggiore teorico marxista del periodo della cosiddetta II Internazionale, cioè dei 25 anni dal 1889 al 1914, con Karl Kautsky.

Già nel 1915, e perfino dal novembre 1914, Kautsky si schierò risolutamente contro il concetto fondamentale espresso nella nostra definizione, allorché dichiarò non doversi intendere per imperialismo una "fase" o stadio dell'economia, bensì una politica, ben definita, una certa politica "preferita" dal capitale finanziario, e non doversi "identificare" l'imperialismo col "moderno capitalismo", sostenendo che la questione della necessità dell'imperialismo per il capitalismo si riduce ad una "piatta tautologia", allorché s'intendano sotto il nome di imperialismo "tutti i fenomeni del capitalismo moderno", - i cartelli, i dazi protettivi, il dominio dei finanzieri e la politica coloniale, - giacché in tal caso "naturalmente l'imperialismo è, per il capitalismo, una necessità vitale", ecc. Per esprimere con la massima esattezza il pensiero di Kautsky è meglio riportarne la definizione, la quale è diretta proprio contro la sostanza delle idee da noi svolte (giacché le obiezioni sollevate dai marxisti tedeschi, che da anni propugnavano idee simili, sono note da lungo tempo a Kautsky come obiezioni di una determinata corrente del marxismo).

Ecco la definizione kautskiana:

"L'imperialismo è il prodotto del capitalismo industriale, altamente sviluppato. Esso consiste nella tendenza di ciascuna nazione capitalistica industriale ad assoggettarsi e ad annettersi un sempre più vasto territorio agrario [corsivo di Kautsky] senza preoccupazioni delle nazioni che lo abitano" [*1].

Questa definizione non vale un'acca, poiché è unilaterale, arbitrariamente discerne soltanto la questione nazionale (la quale del resto è della massima importanza sia in sé, che in relazione all'imperialismo), arbitrariamente ed erroneamente connette tale questione soltanto col capitale industriale dei paesi che annettono altre nazioni, e altrettanto arbitrariamente ed erroneamente mette in rilievo l'annessione di territori agrari.

L'imperialismo è la tendenza alle annessioni: a questo si riduce la parte politica della definizione kautskiana. E' esatta, ma molto incompleta, poiché, politicamente, imperialismo significa, in generale, tendenza alla violenza e alla reazione. Ma qui noi ci preoccupiamo specialmente del lato economico della questione, incluso da Kautsky stesso nella sua definizione. Gli errori della definizione kautskiana saltano agli occhi. Per l'imperialismo non è caratteristico il capitale industriale, ma quello finanziario. Non per caso in Francia, in particolare il rapido incremento del capitale finanziario, mentre il capitale industriale decadeva dal 1880 in poi, ha, determinato un grande intensificarsi della politica annessionista (coloniale). E'caratteristica dell'imperialismo appunto la sua smania non soltanto di conquistare territori agrari, ma di metter mano anche su paesi fortemente industriali (bramosie della Germania sul Belgio, della Francia sulla Lorena), giacché in primo luogo il fatto che la terra è già spartita costringe, quando è in corso una nuova spartizione, ad allungare le mani su paesi di qualsiasi genere, e, in secondo luogo, per l'imperialismo è caratteristica la gara di alcune grandi potenze in lotta per l'egemonia, cioè per la conquista di terre, diretta non tanto al proprio beneficio quanto a indebolire l'avversario e a minare la sua egemonia (per la Germania, il Belgio ha particolare importanza come punto d'appoggio contro l'Inghilterra; per questa a sua volta è importante Bagdad come punto d'appoggio contro la Germania, ecc.).

Kautsky si riferisce specialmente -e replicatamente- agli inglesi, i quali avrebbero fissato il significato puramente politico del concetto di imperialismo appunto nel senso sostenuto dallo stesso Kautsky. Apriamo l'Imperialismo dell'inglese Hobson, pubblicato nel 1902:

"Il nuovo imperialismo si distingue dall'antico in primo luogo per il fatto di aver sostituito alle tendenze di un solo impero in continua espansione la teoria e la prassi di imperi gareggianti, ciascuno dei quali è mosso dagli stessi avidi desideri di espansione politica e di vantaggi commerciali; in secondo luogo per il dominio degli interessi finanziari, ossia degli interessi che si riferiscono al collocamento di capitale, sugli interessi commerciali" [*2].

Kautsky, come si vede, non ha alcun diritto di richiamarsi agli inglesi in generale, o almeno avrebbe dovuto chiamare in suo aiuto soltanto gli imperialisti inglesi più volgari o i diretti panegiristi dell'imperialismo. Kautsky, che pretende di continuare nella difesa del marxismo, di fatto fa un passo indietro in confronto del social-liberale Hobson, il quale molto più giustamente prende in considerazione due concrete peculiarità "storiche" (Kautsky invece, con la sua definizione, si beffa della concretezza storica!) del moderno imperialismo, e cioè: 1) la concorrenza di diversi imperialismi; 2) la prevalenza del finanziere sul commerciante. Mentre se si trattasse soprattutto della annessione di territori agricoli per opera di Stati industriali il commerciante avrebbe la funzione più importante.

La definizione di Kautsky non soltanto è erronea e non marxista, ma serve di base a tutto un sistema di concezioni che sono in aperto contrasto con la teoria e la prassi marxista. Di ciò riparleremo in seguito. E', priva di qualunque serietà la disputa sollevata da Kautsky la quale ha per oggetto soltanto delle parole: se il recentissimo stadio del capitalismo debba denominarsi "imperialismo" oppure "fase del capitalismo finanziario". Comunque lo si voglia denominare, è lo stesso. L'essenziale è che Kautsky separa la politica dell'imperialismo dalla sua economia interpretando le annessioni come la politica "preferita" del capitale finanziario, e contrapponendo ad essa un'altra politica borghese, senza annessioni, che sarebbe, secondo lui, possibile sulla stessa base del capitale finanziario. Si avrebbe che i monopoli nella vita economica sarebbero compatibili con una politica non monopolistica, senza violenza, non annessionista; che la ripartizione territoriale del mondo, ultimata appunto nell'epoca del capitale finanziario e costituente la base della originalità delle odierne forme di gara tra i maggiori Stati capitalistici, sarebbe compatibile con una politica non imperialista. In tal guisa si velano e si attutiscono i fondamentali contrasti che esistono in seno al recentissimo stadio del capitalismo, in luogo di svelarne la profondità. Invece del marxismo si ha del riformismo borghese.

Kautsky polemizza contro i ragionamenti, altrettanto goffi quanto cinici, del panegirista tedesco dell'imperialismo, Cunow [1], il quale argomenta così: l'imperialismo è il moderno capitalismo; lo sviluppo del capitalismo è inevitabile e progressivo; dunque l'imperialismo è progressivo, e si deve strisciare servilmente davanti ad esso ed esaltarlo. Ciò ricorda la caricatura che i populisti nel 1894-1895 facevano dei marxisti russi, dicendo che poiché questi ultimi ritenevano inevitabile e progressivo il capitalismo in Russia, dovevano aprir bottega e dedicarsi ad impiantarvelo. Kautsky "obietta" a Cunow: no, l'imperialismo non è il capitalismo moderno, ma semplicemente una forma della politica del moderno capitalismo, e noi possiamo e dobbiamo combattere tale politica, dobbiamo combattere contro l'imperialismo, contro le annessioni, ecc.

L'obiezione si presenta bene, e tuttavia essa non è che una più raffinata e coperta (e perciò più pericolosa) propaganda per la conciliazione con l'imperialismo, giacché una "lotta" contro la politica dei trust e delle banche che non colpisca le basi economiche dei trust e delle banche si riduce ad un pacifismo e riformismo borghese condito di quieti quanto pii desideri. Un saltare a píè pari gli antagonismi esistenti, un dimenticare i più importanti contrasti, invece di svelarli in tutta la loro profondità; ecco la teoria di Kautsky, la quale non ha niente in comune col marxismo. Ed è comprensibile che una tal "teoria" non può servire che a difendere l'accordo con i Cunow.

"Dal punto di vista strettamente economico -scrive Kautsky- non può escludersi che il capitalismo attraverserà ancora una nuova fase: quella cioè dello spostamento della politica dei cartelli nella politica estera. Si avrebbe allora la fase dell'ultra-imperialismo" [*3],

cioè del superimperialismo, della unione degli imperialismi di tutto il mondo e non della guerra tra essi, la fase della fine della guerra in regime capitalista, la fase

"dello sfruttamento collettivo del mondo ad opera del capitale finanziario internazionalmente coalizzato" [*4].

Dovremo occuparci più avanti di questa "teoria dell'ultra-imperialismo" per dimostrare esattamente sino a qual punto, come decisamente e irrimediabilmente, essa sia in contrasto con il marxismo. Per rimanere fedeli a tutta l'impostazione del presente saggio, anzitutto vogliamo esporre i precisi dati economici della questione. E' possibile un "ultra-imperialismo" dal "punto di vista strettamente economico", oppure esso non rappresenta che un'ultra-stupidità?

Se con l'espressione "puramente economico" s'intende una "pura" astrazione, allora tutto ciò che si può dire si riduce alla tesi seguente: l'evoluzione si muove nella direzione dei monopoli, e quindi verso un unico monopolio mondiale, un unico trust mondiale. Ciò è indubbiamente esatto, ma senza significato, come sarebbe l'affermazione che "l'evoluzione procede" verso la produzione delle derrate alimentari nei laboratori. In questo senso, la "teoria"dell'ultra-imperialismo è una sciocchezza come sarebbe quella dell'ultra-agricoltura.

Se invece si parla delle condizioni "puramente economiche" dell'epoca del capitale finanziario come epoca storicamente concreta, che coincide cogli inizi del secolo XX, allora si ottiene la migliore risposta alla morta astrazione dell'"ultra-imperialismo" (la quale serve soltanto allo scopo reazionario di distogliere l'attenzione dalla gravità delle contraddizioni esistenti), contrapponendole la concreta realtà economica dell'economia mondiale contemporanea. Le chiacchiere di Kautsky sull'ultra-imperialismo favoriscono, tra l'altro, una idea profondamente falsa e atta soltanto a portare acqua al mulino degli apologeti dell'imperialismo, cioè la concezione secondo cui il dominio del capitale finanziario attutirebbe le sperequazioni e le contraddizioni in seno all'economia mondiale, mentre, in realtà, le acuisce.

R. Calwer, nella sua breve Introduzione all'economia mondiale [*5], ha fatto il tentativo di raccogliere i dati più importanti, puramente economici, che ci consentono un'idea concreta dei rapporti reciproci in seno all'economia mondiale sul limitare del XX secolo. Egli suddivide il mondo in cinque "principali sfere economiche": 1) l'Europa centrale (tutta l'Europa tranne la Russia e l'Inghilterra); 2) la britannica; 3) la russa; 4) l'orientale-asiatica; 5) l'America. Inoltre le colonie sono incluse nelle "sfere" degli Stati cui esse appartengono, e sono "lasciati fuori dal calcolo" alcuni pochi paesi, per esempio la Persia, l'Afganistan, l'Arabia, in Asia; il Marocco, l'Abissinia, in Africa, ecc.

Ecco, informa riassuntiva, i dati economici forniti dal Calwer sulle dette sfere:

N. B. Le cifre fra parentesi si riferiscono alla superficie e alla popolazione delle colonie.

Abbiamo qui tre sfere di elevato sviluppo capitalistico (forte sviluppo tanto dei trasporti quanto del commercio e dell'industria): quella dell'Europa centrale, la britannica e l'americana; e in esse tre Stati che dominano il mondo; la Germania, l'Inghilterra e gli Stati Uniti. La gara imperialistica e la lotta tra di essi è inasprita in modo particolare dal fatto che la Germania possiede un ristretto territorio e poche colonie; l'"Europa centrale" (Mitteleuropa) appartiene all'avvenire e sta nascendo in mezzo a lotte disperate. Per il momento la caratteristica di tutta l'Europa è il frazionamento politico. Invece tanto nel territorio britannico quanto nell'americano è assai forte la concentrazione politica; ma v'è enorme sproporzione tra le estese colonie del territorio britannico e le insignificanti dell'americano. Frattanto, nelle colonie il capitalismo è appena sul nascere. La lotta per l'America meridionale diventa sempre più aspra.

In due sfere è debole lo sviluppo capitalista, la russa e l'orientale-asiatica. Nella prima si ha scarsa densità di popolazione; nella seconda, densità altissima; nella prima è grande la concentrazione politica, che manca interamente nella seconda. Si incomincia appena la spartizione della Cina, che diventa oggetto di lotte sempre più aspre tra il Giappone, gli Stati Uniti, ecc.

Si metta ora questa realtà, con le sue immense varietà di condizioni politiche ed economiche, con la sua sproporzione estrema tra la rapidità di sviluppo dei vari paesi, ecc., con la lotta furiosa tra gli Stati imperialisti, a raffronto con la stupida favola kautskiana del "pacifico" ultra-imperialismo! Questo non è forse il tentativo reazionario di un piccolo borghese impaurito per sfuggire alla tempestosa realtà? I cartelli internazionali, considerati da Kautsky come germi dell'"ultra-imperialismo" (così come la produzione delle pastiglie nutritive nei laboratori può essere proclamata il germe dell'ultra-agricoltura!), non ci offrono forse l'esempio della spartizione e nuova ripartizione del mondo, del passaggio dalla ripartizione pacifica alla non pacifica e viceversa? Forse il capitale finanziario americano e d'altra nazionalità, che ripartì già il mondo in via pacifica con la partecipazione della Germania -per esempio col sindacato internazionale delle rotaie e col trust internazionale della marina mercantile- non ripartisce ora di bel nuovo il mondo intero sulla base di nuovi rapporti di forza che vanno modificandosi in maniera nient'affatto pacifica?

Il capitale finanziario e i trust acuiscono, non attenuano, le differenze nella rapidità di sviluppo dei diversi elementi dell'economia mondiale [2]. Ma non appena i rapporti di forza sono modificati, in quale altro modo in regime capitalistico si possono risolvere i contrasti se non con la forza? Nelle statistiche sulle ferrovie troviamo dati eccezionalmente precisi indicanti la diversa rapidità di sviluppo del capitalismo e del capitale finanziario nell'economia mondiale [*6]. Negli ultimi decenni di sviluppo imperialistico la lunghezza delle linee ferroviarie si modificò nel modo seguente:

Come si vede, lo sviluppo della rete ferroviaria fu più rapido nelle colonie e negli Stati indipendenti (e semindipendenti) d'Asia e d'America. E' noto che ivi domina illimitatamente il capitale finanziario dei quattro o cinque maggiori Stati capitalistici. Duecentomila chilometri di nuove ferrovie nelle colonie e negli altri paesi d'Asia e d'America vogliono dire un nuovo investimento di oltre 40 miliardi di marchi impiegati in guisa particolarmente vantaggiosa, con speciali garanzie di reddito, di proficue ordinazioni alle acciaierie, ecc.

Il più rapido sviluppo capitalistico si verifica nelle colonie e nei paesi transoceanici. Tra essi sorgono nuove potenze imperialistiche (il Giappone). La lotta degli imperialisti mondiali diventa più aspra. Le imprese coloniali e transoceaniche particolarmente redditizie pagano sempre maggiori tributi al capitale finanziario. Nella ripartizione del "bottino" la parte di gran lunga maggiore spetta a paesi che non sempre hanno i primi posti per la rapidità di sviluppo delle forze produttive. La lunghezza delle linee ferroviarie delle maggiori potenze, comprese le loro colonie, ammonta a (migliaia di Km.):

1890

1913

Aumento

Stati Uniti

268

413

145

Impero Britannico

107

208

101

Russia

32

78

46

Germania

43

68

25

Francia

41

63

22

Totale

491

830

339

 

Circa l'80 % della lunghezza totale delle linee ferroviarie si concentra nelle cinque maggiori potenze. Ma assai più considerevole è la concentrazione della proprietà di queste ferrovie, la concentrazione del capitale finanziario, giacché per esempio gran parte delle azioni e obbligazioni delle ferrovie americane, russe e altre, appartiene ai milionari inglesi e francesi.

L'Inghilterra, grazie alle sue colonie, ha aumentato la "sua" rete ferroviaria di 100 mila Km., cioè quattro volte più della Germania. E tuttavia in questo stesso periodo di tempo lo sviluppo delle forze produttive e specialmente dell'industria mineraria e siderurgica fu notoriamente assai più rapido in Germania che in Inghilterra, per tacere della Francia e della Russia. Nel 1892, la Germania produceva 4,9 milioni di tonnellate di ghisa. L'Inghilterra 6,8; ma già nel 1912 rispettivamente 17,6 contro 9,0: vale a dire un poderoso sopravvento della Germania [*7]! Si domanda: quale altro mezzo esisteva, in regime capitalista, per eliminare la sproporzione tra lo sviluppo delle forze produttive e l'accumulazione di capitale da un lato, e dall'altro la ripartizione delle colonie e "sfere" d'influenza, all'infuori della guerra?

 

Note

*1. Die Neue Zeit, anno XXXII, 1913-1914, 11, p. 909 (11 settembre 1914). Si veda pure 1915-1916, 11, p. 107 e sgg.

*2. HOBSON, op. cit., Londra, 1902, p. 324.

1. Economista socialdemocratico, polemizzò con Bernstein nell'opera Sulla teoria del crollo (Die Neue Zeit 1898-99), ma in modo giudicato assai debole.

*3. Die Neue Zeit, anno XXXII, 1913-1914, 11, p. 921 (11 settembre 1914). Si veda pure 1915-1916, Il, p. 107 e sgg.

*4. Die Neue Zeit, anno XXXIII, I, p. 144 (30 aprile 1915).

*5. R. CALWER, Einfübrung in die Weltwirtschaft, Berlino, 1906,

2. Lenin mette qui in evidenza l'operare della legge dell'ineguale sviluppò economico del capitalismo nella fase dell'imperialismo.

*6. Statistisches Jahrbuch für das Deutsche Reick, 1915, appendice, pp. 46-47; Archiv für Eisenbahnwesen, 1892. Per l'anno 1890, per quel che concerne piccoli particolari circa la ripartizione delle ferrovie nelle colonie abbiamo dovuto accontentarci di dati approssimativi.

*7. Si veda pure EDGAR CRUMMOND, The Economic Relations of the British and German Empires, nel Journal of the Royal Statistical Society, luglio 1914, p. 777 e sgg.

 


Ultima modifica 21.9.2001