Stato e Rivoluzione

IV. Seguito. Spiegazioni complementari di Engels

 

Marx ha detto ciò che è essenziale sull'importanza dell'esperienza della Comune. Engels è ritornato più volte su questo tema, interpretando l'analisi e le conclusioni di Marx e spiegando talvolta altri aspetti della questione con tale vigore e con tale rilievo che è necessario soffermarsi in modo particolare su queste spiegazioni.

 

1. "La questione delle abitazioni"

Nella sua opera sulla questione delle abitazioni (1872) Engels si basa già sull'esperienza della Comune quando, a più riprese, si sofferma sui compiti della rivoluzione nei confronti dello Stato. E' interessante vedere come in questo tema concreto appaiano con chiarezza, da un lato, i tratti di affinità tra lo Stato proletario e lo Stato attuale, - tratti che permettono in entrambi i casi di parlare di Stato - e, dall'altro lato, i tratti che li distinguono l'uno dall'altro, o il passaggio alla soppressione dello Stato.

"Come risolvere dunque la questione delle abitazioni? Nell'odierna società, esattamente come si risolve qualsiasi altra questione sociale: mediante la graduale perequazione economica di domanda ed offerta, soluzione che crea sempre nuovamente la stessa questione, e che quindi non è una soluzione. La soluzione che darebbe alla questione una rivoluzione sociale non dipende soltanto dalle condizioni del momento, ma anche è connessa ad una serie di questioni di molto maggior ampiezza, fra le quali una delle più importanti è quella dell'eliminazione dell'antitesi fra città e campagna. Dato che noialtri non siamo di quelli che creano dei sistemi utopistici per l'instaurazione della società futura, dilungarci in proposito sarebbe superfluo. Però un fatto è sicuro fin da adesso, e cioè che nelle grandi città vi sono già sufficienti edifici di abitazioni da permettere di porre immediato riparo, con una utilizzazione razionale delle abitazioni medesime, ad ogni reale "insufficienza di abitazioni". Ciò può naturalmente farsi solo a condizione che siano espropriati gli attuali proprietari o siano occupate le loro case da parte dei senza tetto o degli operai che in precedenza vivevano ammassati in numero eccessivo nelle loro abitazioni; e non appena il proletariato avrà conquistato il potere politico. una tale misura - prescritta dal bene pubblico - sarà facile a compiere esattamente quanto sono facili oggi altre espropriazioni ed occupazioni da parte dell' attuale Stato" [27] (p. 22, edizione tedesca del 1887).

Non si prende qui in considerazione il cambiamento di forma del potere statale, ma soltanto il contenuto della sua attività. Anche per ordine dello Stato attuale si procede ad espropriazioni e a requisizioni di alloggi. Dal punto di vista formale, lo Stato proletario "ordinerà" esso pure delle requisizioni di alloggi e delle espropriazioni di case. Ma è evidente che il vecchio apparato esecutivo, la burocrazia legata alla borghesia, sarebbe semplicemente incapace di applicare le decisioni dello Stato proletario.

"...D'altronde si deve costatare che la "effettiva presa di possesso" di tutti gli strumenti di lavoro, la presa di possesso di tutta l'industria da parte del popolo lavoratore, sono esattamente il contrario del "riscatto" proudhoniano. Col riscatto il singolo lavoratore diviene proprietario dell'abitazione, della cascina, degli strumenti di lavoro; con l'espropriazione il "popolo lavoratore" rimane proprietario in toto delle case, delle fabbriche e degli attrezzi, e - almeno nel periodo di trapasso - sarà difficile che ne conceda l'usufrutto a singoli o a società senza corresponsione delle spese. Proprio come l'abolizione della proprietà fondiaria non è l'abolizione della rendita fondiaria, ma il suo trasferimento, sia pure in forma modificata, alla società. La presa di possesso effettiva di tutti gli strumenti di lavoro da parte del popolo lavoratore non esclude dunque affatto il permanere dei rapporti di affittanza." [28] (p. 69).

Esamineremo nel capitolo seguente la questione qui accennata, e cioè quella delle basi economiche dell'estinzione dello Stato. Engels si esprime con estrema prudenza dicendo che lo Stato proletario "probabilmente", "almeno nel periodo transitorio", non distribuirà gli alloggi gratuitamente. L'affitto degli alloggi, proprietà di tutto il popolo, a queste o quelle famiglie col corrispettivo di una certa pigione, suppone dunque la percezione di questa pigione, un certo controllo e l'istituzione di certe norme di ripartizione degli alloggi. Tutto ciò esige una certa forma di Stato, ma non rende affatto necessario uno speciale apparato militare e burocratico, con funzionari che godano d'una situazione privilegiata. Il passaggio a uno stato di cose tale in cui gli alloggi possono essere assegnati gratuitamente è connesso alla totale "estinzione" dello Stato.

Parlando dei blanquisti che, dopo la Comune e influenzati dalla sua esperienza, aderirono alle posizioni di principio del marxismo, Engels così definisce di sfuggita la loro posizione:

"...necessità dell'azione politica del proletariato e della sua dittatura, come fase di transizione verso l'abolizione delle classi e, con esse, dello Stato..." [29] (p. 55).

Dilettanti di critica letterale o borghesi "distruttori del marxismo" vedranno forse una contraddizione tra questo riconoscimento dell'"abolizione dello Stato" e la negazione di questa stessa formula, considerata come anarchica, nel passo da noi già citato dell'Antidühring. Non ci sarebbe di che meravigliarsi nel vedere gli opportunisti classificare anche Engels fra gli "anarchici": accusare gli internazionalisti di anarchismo è un'abitudine oggi sempre più diffusa fra i socialsciovinisti.

Il marxismo ha sempre insegnato che con l'abolizione delle classi si compie anche l'abolizione dello Stato. Il passo a tutti noto dell'Antidühring sull'"estinzione dello Stato" rimprovera gli anarchici non tanto di essere per l'abolizione dello Stato, quanto di pretendere che sia possibile abolire lo Stato "dall'oggi al domani".

Poichè la dottrina "socialdemocratica" oggi dominante ha completamente deformato l'atteggiamento del marxismo verso l'anarchismo circa la questione della soppressione dello Stato, sarà particolarmente utile ricordare una polemica di Marx e di Engels con gli anarchici.

 

2. Polemica con gli anarchici

Questa polemica risale al 1873. Marx ed Engels avevano pubblicato, in una raccolta socialista italiana, [30] degli articoli contro i proudhoniani, "autonomisti" o "anti-autoritari", articoli che solo nel 1913 comparvero in traduzione tedesca nella Neue Zeit.

"...Se la lotta politica della classe operaia - scriveva Marx deridendo gli anarchici e la loro negazione della politica - assume forme violente, se gli operai sostituiscono la loro dittatura rivoluzionaria alla dittatura della classe borghese, essi commettono il terribile delitto di leso-principio, perché per soddisfare i loro miserabili bisogni profani di tutti i giorni, per schiacciare la resistenza della classe borghese, invece di abbassare le armi e di abolire lo Stato, essi gli dànno una forma rivoluzionaria e transitoria..." [31] (Neue Zeit, 1913-1914, A. XXXII, vol. I, p. 40).

E' contro questa "abolizione" dello Stato, - e solo contro questa, - che Marx si levava nella sua polemica contro gli anarchici! Non contro I'idea che lo Stato scompare con la scomparsa delIe classi, o sarà abolito con la abolizione delIe classi, ma contro la rinuncia degli operai a fare uso delle armi, della violenza organizzata, vale a dire dello Stato, che deve servire a "schiacciare la resistenza deIla classe borghese".

Perchè non si travisi il vero significato della sua lotta contro l'anarchismo. Marx sottolinea intenzionalmente "la forma rivoluzionaria e transitoria"dello Stato necessario al proletariato. Il proletariato ha bisogno dello Stato solo per un certo periodo di tempo. Quanto all'abolizione dello Stato, come fine, noi non siamo affatto in disaccordo con gli anarchici. Affermiamo che per raggiungere questo fine è indispensabile utilizzare temporaneamente, contro gli sfruttatori, gli strumenti, i mezzi e i metodi del potere statale, così com'è indispensabile, per sopprimere le classi, stabilire la dittatura temporanea della classe oppressa. Nel porre la questione contro gli anarchici, Marx sceglie il modo più incisivo e più chiaro: abbattendo il giogo dei capitalisti, gli operai debbono "deporre le armi" o rivolgerle contro i capitalisti per spezzare la loro resistenza? E se una classe fa sistematicamente uso delle armi contro un'altra classe, che cosa è questo se non una "forma transitoria" di Stato?

Si domandi quindi ogni socialdemocratico: è così che egli ha posto il problema dello Stato nella polemica contro gli anarchici? è così che il problema è stato posto dall'immensa maggioranza dei partiti socialisti ufficiali della Seconda Internazionale?

Engels sviluppa le stesse idee in modo ancor più particolareggiato e popolare. Egli deride innanzi tutto la confusione di idee dei proudhoniani che si chiamavano "anti-autoritari", negavano cioè ogni autorità, ogni subordinazione, ogni potere. Prendete una fabbrica, una ferrovia, un piroscafo in alto mare, - dice Engels, - non è evidente che senza una certa subordinazione, e quindi senza una certa autorità o un certo potere, non è possibile far funzionare nemmeno uno di questi complicati apparati tecnici, fondati sull'impiego delle macchine e la metodica collaborazione di un gran numero di persone?

"...Allorchè io sottoposi simili argomenti ai più furiosi anti-autoritari, - scrive Engels, - essi non seppero rispondermi che questo: " Ah! Ciò vero, ma qui non si tratta di un'autorità che noi diamo ai delegati, ma di un incarico!". Questi signori credono aver cambiato le cose quando ne hanno cambiato i nomi..." [32]

Dopo aver così dimostrato che autorità ed autonomia sono nozioni re1ative, che il campo della loro applicazione varia secondo le differenti fasi dello sviluppo sociale, e che è assurdo considerarle come qualcosa

di assoluto; dopo aver aggiunto che il campo di applicazione delle macchine e della grande industria va sempre più estendendosi, Engels passa dalle considerazioni generali sull'autorità al problema dello Stato.

" ...Se gli autonomisti - egli scrive - si limitassero a dire che l'organizzazione sociale dell'avvenire restringerà l'autorità ai soli limiti nei quali le condizioni della produzione la rendono inevitabile, si potrebbe intendersi; invece, essi sono ciechi per tutti i fatti che rendono necessaria la cosa, e si avventano contro la parola.

"Perchè gli anti-autoritari non si limitano a gridare contro l'autorità politica, lo Stato? Tutti i socialisti sono d'accordo in ciò, che lo Stato politico e con lui l'autorità politica scompariranno in conseguenza della prossima rivoluzione sociale, e cioè che le funzioni pubbliche perderanno il loro carattere politico, e si cangieranno in semplici funzioni amministrative veglianti ai veri interessi sociali. Ma gli anti-autoritari domandano che lo Stato politico autoritario sia abolito d'un tratto, prima ancora che si abbiano distrutte le condizioni sociali, che l'hanno fatto nascere. Eglino domandano che il primo atto della rivoluzione sociale sia l'abolizione dell'autorità. Non hanno mai veduto una rivoluzione questi signori? Una rivoluzione è certamente la cosa più autoritaria che vi sia; è l'atto per il quale una parte della popolazione impone la sua volontà all'altra parte col mezzo di fucili, baionette e cannoni, mezzi autoritari, se ce ne sono; e il partito vittorioso, se non vuol avere combattuto invano, deve continuare questo dominio col terrore che le sue armi ispirano ai reazionari. La Comune di Parigi sarebbe durata un sol giorno, se non si fosse servita di questa autorità di popolo armato, in faccia ai borghesi? Non si può al contrario rimproverarle di non essersene servita abbastanza largamente?

"Dunque, delle due cose l'una: o gli anti-autoritari non sanno ciò che si dicono, e in questo caso non seminano che la confusione; o essi lo sanno, e in questo caso tradiscono il movimento del proletariato. Nell'un caso e nell'altro essi servono la reazione" [33] (p. 39).

In questo passo si fa accenno a questioni che devono essere esaminate in connessione con il problema dei rapporti fra la politica e l'economia nel periodo dell'estinzione dello Stato. (Il capitolo seguente è dedicato a questo tema.) Tali sono i problemi relativi alla trasformazione delle funzioni pubbliche da funzioni politiche in semplici funzioni amministrative; tale è il problema dello "Stato politico". Quest'ultima espressione, particolarmente suscettibile di far sorgere malintesi, mostra il processo dell'estinzione dello Stato: lo Stato che si estingue, a un certo punto dalla sua estinzione, può essere chiamato uno Stato non politico.

La cosa più notevole in questo passo di Engels è ancora una volta il modo con cui egli imposta la questione contro gli anarchici. I socialdemocratici, che pretendono di essere allievi di Engels, hanno polemizzato milioni di volte con gli anarchici dopo il 1873, ma non hanno discusso come i marxisti possono e debbono fare. L'idea che si fanno gli anarchici dell'abolizione dello Stato è confusa e non rivoluzionaria: ecco come Engels impostò la questione. E' proprio la rivoluzione, nel suo sorgere e nel suo sviluppo, nei suoi compiti specifici rispetto alla violenza, all'autorità, al potere, allo Stato, che gli anarchici si rifiutano di vedere.

Per i socialdemocratici contemporanei la critica dell'anarchismo si riduce abitualmente a questa pura banalità piccolo-borghese: "Noi ammettiamo lo Stato, gli anarchici no!". Naturalmente una tale banalità non può non suscitare l'avversione degli operai con un minimo di raziocinio e rivoluzionari. Ben altro è ciò che dice Engels: egli sottolinea che tutti i socialisti riconoscono che la scomparsa dello Stato è una conseguenza della rivoluzione socialista. In seguito egli pone in modo concreto la questione della rivoluzione, la questione appunto che i socialdemocratici, per il loro opportunismo, generalmente eludono, abbandonando agli anarchici il monopolio della pseudo "elaborazione" di questo problema. E ponendo tale questione, Engels prende il toro per le corna: la Comune non avrebbe dovuto forse servirsi maggiormente del potere rivoluzionario dello Stato, vale a dire del proletariato armato, organizzato come classe dominante?

La socialdemocrazia ufficiale e dominante ha eluso di solito il problema dei compiti concreti del proletariato nella rivoluzione, o con un semplice sarcasmo da filisteo, o, nel migliore dei casi, con questa battuta sofistica ed evasiva: "Si vedrà poi!". Gli anarchici erano in diritto di rimproverare, a una tale socialdemocrazia, di venir meno al suo dovere di educare in uno spirito rivoluzionario gli operai. Engels mette a profitto l'esperienza dell'ultima rivoluzione proletaria appunto per studiare nel modo più concreto quello che il proletariato deve fare per ciò che riguarda sia le banche che lo Stato, e come deve farlo.

 

3. Una lettera a Bebel

Una delle considerazioni più notevoli, se non la più notevole, che troviamo negli scritti di Marx e di Engels sullo Stato, è nel seguente passo di una lettera di Engels a Bebel del 18-28 marzo 1875. Notiamo tra parentesi che questa lettera è stata pubblicata per la prima volta, per quanto mi è noto, nel secondo volume delle memorie di Bebel (Ricordi della mia vita), apparse nel 1911, cioè trentasei anni dopo che era stata scritta e inviata.

Engels aveva scritto a Bebel criticando il progetto del programma di Gotha, che anche Marx aveva criticato nella sua nota lettera a W. Bracke. Parlando in particolare del problema dello Stato, Engels scrive :

" ...Lo Stato popolare libero si è trasformato in Stato libero. Secondo il senso grammaticale di queste parole, uno Stato libero è quello che è libero verso i suoi cittadini, cioè è uno Stato con un governo dispotico. Sarebbe ora di farla finita con tutte queste chiacchiere sullo Stato, specialmente dopo la Comune che non era più uno Stato nel senso proprio della parola. Gli anarchici ci hanno abbastanza rinfacciato lo "Stato popolare", benchè già il libro di Marx contro Proudhon e in seguito il Manifesto del Partito comunista dicano esplicitamente che con l'instaurazione del regime sociale socialista lo Stato si dissolve da sé [sich auflöst] e scompare. Non essendo lo Stato altro che un'istituzione temporanea di cui ci si deve servire nella lotta, nella rivoluzione, per tener soggiogati con la forza i propri nemici, parlare di uno "Stato popolare libero" è pura assurdità: finchè il proletariato ha ancora bisogno dello Stato, ne ha bisogno non nell'interesse della libertà, ma nell'interesse dell'assoggettamento dei suoi avversari, e quando diventa possibile parlare di libertà allora lo Stato come tale cessa di esistere. Noi proporremo quindi di mettere ovunque invece della parola Stato la parola Gemeinwesen, una vecchia eccellente parola tedesca, che corrisponde alla parola francese Commune" [34] (p. 322 dell'originale tedesco).

Bisogna ricordare che questa lettera si riferisce al programma del partito, criticato in una lettera di Marx scritta solo poche settimane dopo questa (la lettera di Marx è del 5 maggio 1875), e che Engels viveva allora con Marx a Londra. E' dunque certo che Engels, dicendo nella sua ultima frase "noi", propone, a nome suo e di Marx, al capo del partito operaio tedesco di sopprimere nel programma la parola "Stato" e di sostituirla con la parola "Comune".

Come griderebbero all' "anarchia" i capi del moderno "marxismo" adattato alle comodità degli opportunisti, se si proponesse loro un simile emendamento del programma!

Gridino pure! La borghesia li loderà.

Noi, da parte nostra, continueremo la nostra opera. Nel rivedere il programma del nostro partito dovremmo assolutamente tener conto del consiglio di Engels e di Marx, per accostarci alla verità, per ristabilire il marxismo, purificandolo da tutte le deformazioni, per meglio dirigere la classe operaia nella lotta per la sua liberazione. E' certo che la raccomandazione di Engels e di Marx non troverà oppositori tra i bolscevichi. Non ci sarà, crediamo, che una difficoltà: la scelta del termine. In tedesco vi sono due parole che significano "Comune"; Engels scelse quella che indica non una singola comune, ma un insieme, un sistema di comuni. In russo non esiste una parola simile e bisognerà forse ricorrere alla parola francese "Commune", quantunque presenti anch'essa certi inconvenienti.

"La Comune non era più uno Stato nel senso proprio della parola": ecco l'affermazione di Engels, fondamentale dal punto di vista teorico. Dopo l'esposizione che precede, questa affermazione è perfettamente comprensibile. La Comune cessava di essere uno Stato nella misura in cui essa non doveva più opprimere la maggioranza della popolazione, ma una minoranza (gli sfruttatori); essa aveva spezzato la macchina dello Stato borghese; invece di una forza particolare di oppressione, era la popolazione stessa che entrava in campo. Tutto ciò non corrisponde più allo Stato nel senso proprio della parola. Se la Comune si fosse consolidata, le tracce dello Stato si sarebbero "estinte" da sé: la Comune non avrebbe avuto bisogno di "abolire" le sue istituzioni: queste avrebbero cessato di funzionare a mano a mano che non avrebbero più avuto nulla da fare.

"Gli anarchici ci rinfacciano lo "Stato popolare"." Così dicendo Engels allude soprattutto a Bakunin e ai suoi attacchi contro i socialdemocratici tedeschi. Engels riconosce che questi attacchi sono in qualche modo giusti in quanto lo "Stato popolare" è un nonsenso e una deviazione dal socialismo, come lo è lo "Stato popolare libero". Engels si sforza di correggere la lotta dei socialdemocratici tedeschi contro gli anarchici, di farne una lotta giusta nei principi, di sbarazzarla dai pregiudizi opportunisti sullo "Stato". Ahimè! La lettera di Engels è rimasta per ben trentasei anni in un cassetto. Vedremo più avanti che, anche dopo la pubblicazione di questa lettera, Kautsky si ostina a ripetere in sostanza i medesimi errori contro i quali Engels aveva messo in guardia.

Bebel rispose a Engels il 21 settembre 1875, con una lettera nella quale dichiarava tra l'altro di essere "completamente d'accordo" con il giudizio da lui esposto sul progetto del programma e di aver rimproverato a Liebknecht di essere stato troppo accomodante (p. 304 dell'ed. tedesca delle memorie di Bebel, vol. II). Ma se prendiamo l'opuscolo di Bebel intitolato I nostri scopi vi troveremo delle considerazioni sullo Stato completamente sbagliate:

"Lo Stato fondato sulla dominazione di una classe deve essere trasformato in uno Stato popolare" (Unsere Ziele, ed. tedesca, 1886, p. 14).

E questo è pubblicato nella nona (nona!) edizione dell'opuscolo di Bebel! Non c'è da meravigliarsi che la socialdemocrazia tedesca si sia imbevuta di concezioni opportunistiche sullo Stato così ostinatamente ripetute, tanto più quando i commenti rivoluzionari di Engels giacevano in un cassetto e le circostanze della vita facevano "disimparare" per lungo tempo la rivoluzione.

 

4. Critica del progetto del programma di Erfurt

Non si può, in un'analisi della dottrina marxista sullo Stato, trascurare la critica del progetto del programma di Erfurt inviata da Engels a Kautsky il 29 giugno 1891 [35], e pubblicata solo dieci anni dopo nella Neue Zeit, perchè essa è soprattutto dedicata alla critica delle concezioni opportuniste della socialdemocrazia sui problemi dell'organizzazione dello Stato.

Rileviamo di sfuggita che Engels dà anche, sulle questioni economiche, una indicazione estremamente preziosa, che mostra con quale attenzione e quale profondità di pensiero egli seguisse le trasformazioni del capitalismo moderno, e come sapesse quindi, in una certa misura, presentire i problemi della nostra epoca imperialista. Ecco questa indicazione: a proposito della parola Planlosigkeit (assenza di piano) adoperata nel progetto di programma per caratterizzare il capitalismo, Engels scrive:

"...Se poi dalle società per azioni passiamo ai trust, che dominano e monopolizzano intere branche dell'industria, non soltanto non esiste più produzione privata, ma non possiamo parlare più neppure di assenza di un piano" [36] (Neue Zeit, A. XX, vol. I, 1901-1902, p. 8).

Nella valutazione teorica del capitalismo moderno, cioè dell'imperialismo, è colto qui l'essenziale, vale a dire che il capitalismo si trasforma in capitalismo monopolistico. E da sottolineare capitalismo perchè uno degli errori più diffusi è l'affermazione riformista borghese, secondo la quale il capitalismo monopolistico o monopolistico di Stato non è già più capitalismo e può essere chiamato "socialismo di Stato", ecc. Naturalmente i trust non hanno mai dato, non danno sinora e non possono dare la regolamentazione di tutta l'economia secondo un piano. Ma per quanto essi stabiliscano un piano, per quanto i magnati del capitale calcolino in anticipo il volume della produzione su scala nazionale e persino internazionale, per quanto essi regolino questa produzione in base a un piano, rimaniamo tuttavia in regime capitalistico, benchè in una sua nuova fase, ma, indubbiamente, in regime capitalistico. La "vicinanza" di tale capitalismo al socialismo deve essere per i veri rappresentanti del proletariato un argomento in favore della vicinanza, della facilità, della possibilità, dell'urgenza della rivoluzione socialista, e non già un argomento per mostrarsi tolleranti verso la negazione di questa rivoluzione e verso l'abbellimento del capitalismo, nella qual cosa sono impegnati tutti i riformisti.

Ma ritorniamo al problema dello Stato. Engels ci dà qui indicazioni particolarmente preziose su tre punti: primo, sul problema della repubblica; secondo, sul legame esistente tra la questione nazionale e l'organizzazione dello Stato; terzo, sull'amministrazione autonoma locale.

Engels fa della questione della repubblica il punto cruciale della sua critica nel programma di Erfurt. Se ricordiamo quale importanza il programma di Erfurt aveva assunto per tutta la socialdemocrazia internazionale, come era servito di modello a tutta la Seconda Internazionale, si potrà dire, senza timore di esagerare, che Engels critica qui l'opportunismo di tutta la Seconda Internazionale.

"Le rivendicazioni politiche del progetto - egli scrive - hanno un grosso difetto. In esse manca proprio ciò che invece doveva essere detto" [37] (il corsivo è di Engels).

E più avanti dimostra che la Costituzione tedesca è, in sostanza, una copia ricalcata della Costituzione ultrareazionaria del 1850; che il Reichstag non è altro, come diceva Wilhelm Liebknecht, che "la foglia di fico dell'assolutismo", e che voler realizzare - sulla base di una Costituzione che consacra l' esistenza di piccoli Stati tedeschi e della confederazione di questi piccoli Stati - la "trasformazione dei mezzi di lavoro in proprietà comune" è "manifestamente privo di senso".

"E' pericoloso toccare questo tasto", - aggiunge Engels, il quale sa benissimo che non si può, in Germania, enunciare legalmente in un programma la rivendicazione della repubblica. Tuttavia Engels non si adatta puramente e semplicemente a questa considerazione evidente di cui "tutti" si accontentano. Egli continua: "Ma l'argomento, in un modo o nell'altro, va affrontato. Quanto sia necessario lo sta dimostrando proprio ora l'opportunismo che è penetrato [einreissende] in una grande parte della stampa socialdemocratica. Per timore di una ripresa delle leggi antisocialiste, a causa del ricordo di tutte le varie dichiarazioni prematuramente espresse quando quelle leggi erano in vigore, all'improvviso l'attuale situazione legale in Germania dovrebbe essere sufficiente al partito per attuare per via pacifica tutte le sue rivendicazioni..." [38]

I socialdemocratici tedeschi hanno agito per paura di un rinnovo delle leggi eccezionali: - è questo il fatto essenziale che Engels pone in primo piano e definisce, senza mezzi termini, opportunismo, dichiarando che, appunto perchè in Germania non v'è repubblica e non v'è libertà, sognare una via "pacifica" è cosa insensata. Engels è abbastanza prudente per non legarsi le mani. Egli riconosce che nei paesi retti a repubblica o che godono di una grandissima libertà "si può concepire" (soltanto "concepire"!) un'evoluzione pacifica verso il socialismo, ma in Germania, egli ripete,

"...in Germania, dove il governo è quasi onnipotente e il Reichstag e gli altri organismi rappresentativi sono privi di reale potere, e per di più proclamarlo senza necessità, significa togliere all'assolutismo la foglia di fico e servirsene per coprire le proprie nudità...". [39]

A fare da copertura all'assolutismo furono infatti, nella loro grande maggioranza, i capi ufficiali della socialdemocrazia tedesca, che aveva messo "nel dimenticatoio" gli avvertimenti di Engels.

"...Una simile politica, alla lunga, non può non indurre in errore il partito. Si pongono in prima linea questioni politiche astratte, generali, e si celano così le questioni concrete e più urgenti, quelle questioni che al primo grande avvenimento, alla prima crisi politica, si pongono da sé all'ordine del giorno. Che altro può derivarne, se non il fatto che al momento decisivo il partito si trovi improvvisamente perplesso, che sui punti decisivi regnino la confusione e la discordia perchè questi punti non sono mai stati discussi?...

"Questo dimenticare i grandi principi fondamentali di fronte agli interessi passeggeri del momento, questo lottare e tendere al successo momentaneo senza preoccuparsi delle conseguenze che ne scaturiranno, questo sacrificare il futuro del movimento per il presente del movimento, può essere considerato onorevole, ma è e rimane opportunismo, e l'opportunismo "onorevole" è forse il peggiore di tutti...

"Se vi è qualcosa di certo, è proprio il fatto che il nostro partito e la classe operaia possono giungere al potere soltanto sotto la forma della repubblica democratica. Anzi, questa è la forma specifica per la dittatura del proletariato, come già ha dimostrato la Grande Rivoluzione francese..." [40]

Engels ripete qui, mettendola particolarmente in rilievo, l'idea fondamentale che attraversa, come un filo ininterrotto, tutte le opere di Marx: la repubblica democratica è la via più breve che conduce alla dittatura del proletariato. Questa repubblica, infatti, benchè non sopprima affatto il dominio del capitale, e quindi l'oppressione delle masse e la lotta di classe, porta inevitabilmente questa lotta a un'estensione, a uno sviluppo, a uno slancio e ad un'ampiezza tale che, una volta apparsa la possibilità di soddisfare gli interessi essenziali delle masse oppresse, questa possibilità si realizza necessariamente e unicamente con la dittatura del proletariato, con la direzione di queste masse da parte del proletariato. Per tutta la Seconda Internazionale anche queste sono state "parole dimenticate" del marxismo, e questa dimenticanza si è manifestata con particolare evidenza nella storia del partito menscevico durante i primi sei mesi della rivoluzione russa del 1917.

Sul problema della repubblica federativa in relazione con la composizione nazionale della popolazione, Engels scriveva:

"Che cosa dovrebbe subentrare al loro posto?" (al posto della costituzione monarchica reazionaria dell'attuale Germania e della sua non meno reazionaria suddivisione in piccoli Stati, che perpetua le caratteristiche specifiche del "prussianesimo" anziché dissolverle in una Germania come un tutto unico). "A mio giudizio, il proletariato può utilizzare soltanto la forma della repubblica una e indivisibile. La repubblica federale ancora oggi, nel complesso, è una necessità, data la gigantesca estensione territoriale degli Stati Uniti, sebbene nella loro parte orientale costituisca già un impedimento. Sarebbe un progresso in Inghilterra, dove sulle due isole vivono quattro nazioni, e dove nonostante un Parlamento unico sussistono già oggi, uno accanto all'altro, tre tipi di sistemi legislativi. Già da tempo essa è divenuta un ostacolo nella piccola Svizzera, sopportabile soltanto perché la Svizzera si accontenta di essere un membro puramente passivo del sistema degli Stati europei. Per la Germania una imitazione del federalismo svizzero sarebbe un enorme passo indietro. Due punti dividono lo Stato federale dallo Stato unitario, cioè il fatto che ogni singolo Stato federato, ogni Cantone, ha la propria legislazione civile e penale e la propria organizzazione giudiziaria, e il fatto che accanto al Parlamento del popolo (Volkshaus) esiste un Parlamento degli Stati (Staatenhaus), nel quale ogni Cantone, grande o piccolo, vota come tale."

In Germania lo Stato federale rappresenta una forma di transizione verso uno Stato completamente unitario; non si deve far retrocedere la "rivoluzione dall'alto", compiuta nel 1866 e nel 1870, ma si deve completarla con un "movimento dal basso" [41].

Ben lontano dal disinteressarsi delle forme dello Stato, Engels si sforza al contrario di analizzare con la massima attenzione proprio le forme transitorie, per determinare in ogni caso specifico, in base alle particolarità storiche concrete, quale passaggio, da che cosa e verso che cosa, rappresenti la forma transitoria esaminata

Come Marx, Engels difende, dal punto di vista del proletariato e della rivoluzione proletaria, il centralismo democratico, la repubblica una e indivisibile. Egli considera la repubblica federale o come un'eccezione alla regola e un ostacolo allo sviluppo, o come una transizione tra la monarchia e la repubblica centralizzata, come un "passo avanti", in certe condizioni particolari. E fra queste condizioni particolari, mette in evidenza la questione nazionale.

Sia in Engels che in Marx, benché essi abbiano criticato implacabilmente il carattere reazionario degli staterelli in quanto tali e l'utilizzazione, in casi concreti, della questione nazionale per mascherare questo carattere reazionario, non si troverà, in nessuno dei loro scritti, neppur l'ombra della tendenza ad eludere la questione nazionale, tendenza di cui parlano spesso i marxisti olandesi e polacchi, pur partendo dalla lotta del tutto legittima contro il nazionalismo angustamente piccolo-borghese dei "loro" piccoli Stati.

Persino in Inghilterra, dove le condizioni geografiche, la comunanza della lingua e una storia multisecolare sembrerebbero "aver messo fine" alla questione nazionale per singole piccole suddivisioni del paese, - persino qui Engels tiene conto del fatto evidente che la questione nazionale non è ancora superata e riconosce perciò che la repubblica federale costituirebbe un "passo in avanti". Ma non vi è qui neppur l'ombra della rinuncia a criticare i difetti della repubblica federale e a condurre la propaganda e la lotta più decisa in favore della repubblica unitaria, democratica, centralizzata.

Ma Engels non concepisce affatto il centralismo democratico nel senso burocratico dato a questa nozione dagli ideologi borghesi e piccolo-borghesi, compresi, fra questi ultimi, gli anarchici. Per Engels il centralismo non esclude affatto una larga autonomia amministrativa locale, la quale, mantenendo le "comuni" e le regioni volontariamente l'unità dello Stato, sopprime recisamente ogni burocrazia e ogni "comando" dall'alto.

"...Dunque repubblica unitaria, - scrive Engels sviluppando le concezioni programmatiche del marxismo a proposito dello Stato. - Ma non nel senso di quella francese odierna, che non è altro se non l'impero senza imperatore, fondato nel 1798. Dal 1792 al 1798 ogni dipartimento francese, ogni comune (Gemeinde) godettero di una amministrazione completamente autonoma, secondo il modello americano, e anche noi dobbiamo averla.

L' America e la prima repubblica francese mostrarono a noi tutti in che modo si debba istituire l'amministrazione autonoma e come si possa fare a meno della burocrazia, e ancor oggi ce lo dimostrano l'Australia, il Canadà e le altre colonie inglesi. Tale amministrazione autonoma provinciale e comunale è assai più libera che, ad esempio, il federalismo svizzero, dove il Cantone è bensì assai indipendente rispetto alla Confederazione, ma lo è anche rispetto al distretto e al comune. I governi cantonali nominano governatori distrettuali e prefetti, mentre di tutto questo non si ha traccia nei paesi di lingua inglese, e anche noi in futuro vorremmo garbatamente fare a meno di essi come dei presidenti distrettuali e dei consiglieri di prefettura prussiana."

Engels propone quindi di formulare nel modo seguente l'articolo del programma relativo all'autonomia amministrativa: "Amministrazione completamente autonoma nella provincia," (governatorato o regione) "nei distretti e nei comuni, da parte di impiegati eletti con suffragio universale. Abolizione di ogni autorità locale e provinciale nominata dallo Stato". [42]

Nella Pravda (n. 68, 28 maggio 1917), proibita dal governo di Kerenski e dagli altri ministri "socialisti", ho già avuto occasione di mostrare che, su questo punto, - il quale evidentemente è tutt'altro che il solo, - i nostri rappresentanti pseudosocialisti di una pseudodemocrazia pseudorivoluzionaria si allontanano in modo clamoroso dai princípi democratici. Si comprende come questa gente, legata dalla sua "coalizione" con la borghesia imperialista, sia rimasta sorda a queste considerazioni.

E' molto importante rilevare che Engels, prove alla mano, smentisce con il più preciso degli esempi il pregiudizio straordinariamente diffuso - specie nella democrazia piccolo-borghese, - secondo il quale una repubblica federale significhi necessariamente maggiore libertà di quanto non si abbia in una repubblica centralizzata. E' falso. I fatti citati da Engels relativi alla repubblica francese centralizzata del 1792-l798 e alla repubblica federale svizzera confutano questa affermazione. In realtà la repubblica centralizzata, effettivamente democratica, diede maggiore libertà che non la repubblica federale. In altri termini: la maggiore libertà locale, regionale, ecc., che la storia abbia conosciuta è stata data dalla repubblica centralizzata e non dalla repubblica federale.

La nostra propaganda e la nostra agitazione di partito hanno dedicato e dedicano tuttora una insufficiente attenzione a questo fatto, come, in generale, a tutto il problema della repubblica federale e centralizzata e della autonomia amministrativa locale.

 

5. La prefazione del 1891 alla "Guerra civile" di Marx

Nella sua prefazione alla terza edizione della Guerra civile in Francia - prefazione in data del 18 marzo 1891, pubblicata per la prima volta nella rivista Neue Zeit -, accanto ad alcune interessanti riflessioni incidentali sui problemi connessi all'atteggiamento nei confronti dello Stato, Engels dà un riassunto meravigliosamente incisivo degli insegnamenti della Comune. Questo riassunto, - arricchito di tutta l'esperienza del periodo di vent'anni che separa il suo autore dalla Comune, e in particolar modo rivolto contro la "fede superstiziosa nello Stato" tanto diffusa in Germania, - può a buon diritto essere considerato come l'ultima parola del marxismo sulla questione in esame.

In Francia, dopo ogni rivoluzione, - osserva Engels, - gli operai erano armati; "per i borghesi che si trovavano ancora al governo dello Stato il disarmo degli operai era quindi il primo comandamento. Ecco quindi sorgere dopo ogni rivoluzione vinta dagli operai una nuova lotta, la quale finisce con la disfatta degli operai". [43]

Questo bilancio dell'esperienza delle rivoluzioni borghesi è tanto succinto quanto eloquente. Il fondo del problema - come, fra l'altro, nella questione dello Stato (la classe oppressa dispone di armi?) - è individuato in modo ammirevole. Ed è proprio questo fondo che tanto i professori influenzati dall'ideologia borghese quanto i democratici della piccola borghesia eludono cosí spesso. Nella rivoluzione russa del 1917 fu al "menscevico" Tsereteli, "marxista anche lui", che toccò l'onore (l'onore d'un Cavaignac) di svelare inavvertitamente questo segreto delle rivoluzioni borghesi. Nel suo "storico" discorso dell'11 giugno, Tsereteli ebbe l'imprudenza di annunziare che la borghesia era decisa a disarmare gli operai di Pietrogrado, decisione ch'egli naturalmente presentò anche come propria e, in generale, come una necessità "di Stato"!

Lo storico discorso di Tsereteli, pronunciato l'11 giugno, sarà certamente per tutti gli storici della rivoluzione del 1917 una delle migliori illustrazioni del passaggio del blocco dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi, con a capo il signor Tsereteli, dalla parte della borghesia, contro il proletariato rivoluzionario.

Un'altra riflessione incidentale di Engels, anch'essa legata al problema dello Stato, riguarda la religione. E' noto che la socialdemocrazia tedesca, a mano a mano che si incancreniva e diventava sempre più opportunista, scivolava con sempre maggiore frequenza verso una interpretazione erronea e filistea della celebre formula: "La religione è un affare privato". Questa formula infatti era interpretata come se, anche per il partito del proletariato rivoluzionario, la questione della religione fosse un affare privato!! Contro questo completo tradimento del programma rivoluzionario del proletariato si levò Engels, che, non potendo ancora, nel 1891, osservare nel suo partito se non dei debolissimi germi di opportunismo, si esprimeva quindi con grande prudenza:

"Come nella Comune vi erano quasi solo operai o rappresentanti riconosciuti degli operai, così anche le sue deliberazioni avevano una decisa impronta proletaria. O decretavano riforme che la borghesia repubblicana aveva trascurato soltanto per viltà, ma che rappresentavano una base necessaria per la libertà d'azione della classe operaia, come l'attuazione del principio che di fronte allo Stato la religione non è che un semplice affare privato; oppure emettevano deliberazioni nell'interesse diretto della classe operaia, che talvolta incidevano anche profondamente sull'antico ordinamento sociale..." [44].

E' con intenzione che Engels ha sottolineato le parole "di fronte allo Stato"; in tal modo egli attaccava in pieno l'opportunismo tedesco che dichiarava la religione un affare privato di fronte al partito e abbassava così il partito del proletariato rivoluzionario al livello del più volgare piccolo-borghese "libero pensatore", che è disposto ad ammettere che si possa rimanere fuori della religione, ma rinnega il compito del partito di lottare contro la religione, quest'oppio che inebetisce il popolo.

Il futuro storico della socialdemocrazia tedesca, ricercando le prime fonti della sua vergognosa bancarotta nel 1914, troverà numerosi documenti interessanti su questa questione, a cominciare dalle dichiarazioni evasive fatte nei suoi articoli dal capo ideologico del partito, Kautsky, dichiarazioni che spalancavano le porte all'opportunismo, per finire con l'atteggiamento del partito verso il Los-von-Kirche-Bewegung (movimento per la separazione dalla Chiesa) nel 1913.

Ma vediamo come, vent' anni dopo la Comune, Engels riassumeva gli insegnamenti ch'essa - aveva dato al proletariato in lotta.

Ecco gli insegnamenti che Engels poneva in primo piano:

"...Proprio l'opprimente potere del precedente governo centralizzato, il potere dell' esercito della polizia politica, della burocrazia, che Napoleone aveva creato nel 1798 e che da allora in poi ogni nuovo governo aveva accettato come uno strumento ben accetto e aveva sfruttato contro i suoi avversari, proprio quel potere doveva cadere dappertutto, come già era caduto a Parigi.

"La Comune dovette riconoscere sin dal principio che la classe operaia, una volta giunta al potere, non può continuare ad amministrare con la vecchia macchina statale; che la classe operaia, per non perdere di nuovo il potere appena conquistato, da una parte deve eliminare tutto il vecchio macchinario repressivo già sfruttato contro di essa, e dall'altra deve assicurarsi contro i propri deputati e impiegati, dichiarandoli revocabili senza alcuna eccezione e in ogni momento...". [45]

Engels sottolinea ancora una volta che non solo in una monarchia, ma anche nella repubblica democratica, lo Stato rimane lo Stato; conserva cioè la sua caratteristica fondamentale: trasformare i funzionari, da "servitori della società" e suoi organi, in padroni della società.

"...Contro questa trasformazione, inevitabile finora in tutti gli Stati, dello Stato e degli organi dello Stato da servitori della società in padroni della società, la Comune applicò due mezzi infallibili. In primo luogo, assegnò elettivamente tutti gli impieghi amministrativi, giudiziari, educativi, per suffragio generale degli interessati e con diritto costante di revoca da parte di questi. In secondo luogo, per tutti i servizi, alti e bassi, pagò solo lo stipendio che ricevevano gli altri lavoratori. Il più alto assegno che essa pagava era di 6.000 franchi [*]. In questo modo era posto un freno sicuro alla caccia agli impieghi e al carrierismo, anche senza i mandati imperativi per i delegati ai Corpi rappresentativi, che furono aggiunti per soprappiù..." [46]

Engels affronta qui l'interessante limite, passato il quale la democrazia conseguente da un lato si trasforma in socialismo, e dall'altro richiede il socialismo. Infatti, per sopprimere lo Stato è necessario trasformare le funzioni del servizio statale in operazioni di controllo e di registrazione, talmente semplici da essere alla portata dell'immensa maggioranza della popolazione e, in seguito, di tutta la popolazione. Ma per sopprimere completamente il carrierismo, bisogna che un impiego statale "onorifico", anche se non retribuito, non possa servire di passerella per raggiungere impieghi molto lucrativi nelle banche e nelle società anonime, come sistematicamente avviene in tutti i paesi capitalistici, anche i più liberi.

Engels non cade però nell'errore che commettono, ad esempio, certi marxisti a proposito del diritto delle nazioni all'autodecisione: in regime capitalistico, essi dicono, questo diritto è irrealizzabile, e in regime socialista diventa superfluo. Questo ragionamento, che vorrebbe essere spiritoso, ma è soltanto sbagliato, potrebbe essere applicato a qualsiasi istituzione democratica, compreso il modesto stipendio assegnato ai funzionari, poichè un sistema democratico rigorosamente conseguente non è possibile in regime capitalistico, e in regime socialista ogni democrazia finirà per estinguersi.

E' un sofisma del genere della vecchia barzelletta: in quel momento l'uomo che perde ad uno ad uno i suoi capelli può essere considerato calvo?.

Sviluppare la democrazia fino in fondo, ricercare le forme di questo sviluppo, metterle alla prova della pratica, ecc.: tutto ciò costituisce uno dei problemi fondamentali della lotta per la rivoluzione sociale. Preso a sé, nessun sistema democratico, qualunque esso sia, darà il socialismo; ma nella vita il sistema democratico non sarà mai "preso a sé", sarà "preso nell'insieme" ed eserciterà la sua influenza anche sull'economia di cui stimolerà la trasformazione, mentre esso stesso subirà l'influenza dello sviluppo economico, ecc. E' questa la dialettica della storia viva.

Engels continua:

"...Questa distruzione violenta [Sprengung] del potere dello Stato esistente e la sostituzione ad esso di un nuovo potere veramente democratico, è descritta esaurientemente nel terzo capitolo della Guerra civile. Era però necessario ritornar qui brevemente sopra alcuni tratti di essa, perchè proprio in Germania la fede superstiziosa nello Stato si è trasportata dalla filosofia nella coscienza generale della borghesia e perfino di molti operai. Secondo la concezione filosofica, lo Stato è "la realizzazione dell'Idea" ovvero il regno di Dio in terra tradotto in linguaggio filosofico, il campo nel quale la verità e la giustizia eterne si realizzano o si devono realizzare. Di qui una superstiziosa venerazione dello Stato e di tutto ciò che ha relazione con lo Stato, che subentra tanto più facilmente in quanto si è assuefatti fin da bambini a immaginare che gli affari comuni a tutta la società non possono venir curati altrimenti che come sono stati curati fino a quel momento cioè per mezzo dello Stato e dei suoi ben pagati funzionari. E si crede è liberati dalla fede nella monarchia ereditata e si giura nella repubblica democratica. Però lo Stato non è in realtà che una macchina per l'oppressione di una classe da parte di un' altra, nella repubblica democratica non meno che nella monarchia; e nel migliore dei casi è un male che viene lasciato in eredità al proletariato riuscito vittorioso nella lotta per il dominio di classe i cui lati peggiori il proletariato non potrà fare a meno di amputare subito, nella misura del possibile come fece la Comune, finchè una generazione, cresciuta in condizioni sociali nuove, libere, non sia in grado di scrollarsi dalle spalle tutto il ciarpame statale". [47]

Engels metteva in guardia i tedeschi perchè non dimenticassero, nell'eventualità della sostituzione della monarchia con la repubblica, i princípi del socialismo sul problema dello Stato in generale. Questi suoi avvertimenti appaiono oggi come una lezione impartita direttamente ai signori Tsereteli e Cernov, che hanno manifestato, nella loro pratica di "coalizione", la loro fede superstiziosa nello Stato e la loro superstiziosa venerazione verso di esso!

Ancora due osservazioni: 1) Quando Engels dice che nella repubblica democratica "non meno" che nella monarchia, lo Stato rimane "una macchina per l'oppressione di una classe da parte di un'altra", ciò non significa affatto che la forma d'oppressione sia indifferente per il proletariato, come "insegnano" certi anarchici. Una forma più larga, più libera, più aperta, di lotta di classe e di oppressione di classe facilita immensamente al proletariato la sua lotta per la soppressione delle classi in generale. 2) Perchè soltanto una nuova generazione sarà in grado di scrollarsi dalle spalle tutto il ciarpame statale? Questo problema è connesso a quello del superamento della democrazia, del quale parleremo ora.

 

6. Engels sul superamento della democrazia

Engels ha avuto modo di pronunciarsi su questo punto trattando della inesattezza scientifica della denominazione "socialdemocratico".

Nella prefazione alla raccolta dei suoi articoli degli anni 1870 su diversi temi, dedicati in prevalenza ad argomenti "internazionali" (Internatiolanes aus dem Volkstaat [48]), - prefazione in data 3 gennaio 1894, cioè scritta un anno e mezzo prima della sua morte, - Engels scrive che in tutti i suoi articoli egli ha impiegato la parola "comunista" e non "socialdemocratico", perchè a quell'epoca si chiamavano socialdemocratici i proudhoniani in Francia e i lassalliani in Germania.

"...Per Marx come per me, continua Engels, - era dunque assolutamente impossibile adoperare un'espressione così elastica per definire la nostra posizione. Oggi la cosa è diversa, e questa parola" ("socialdemocratico") "può forse andare [mag passieren] per quanto rimanga imprecisa [unpassend, impropria] per un partito il cui programma economico non è semplicemente socialista in generale, ma veramente comunista; per un partito il cui scopo politico finale è la soppressione di ogni Stato e, quindi, di ogni democrazia. Del resto, i veri (il corsivo è di Engels) partiti politici non hanno mai una denominazione che loro convenga perfettamente; il partito si sviluppa, la denominazione rimane."

Il dialettico Engels nel declino dei suoi giorni rimane fedele alla dialettica. Marx ed io, egli dice, avevamo per il partito un nome eccellente, scientificamente esatto, ma allora non c'era un vero partito, cioè un partito proletario di massa. Ora (fine del secolo decimonono) esiste un vero partito, ma la sua denominazione è scientificamente inesatta. Non importa, essa "può andare" purchè il partito si sviluppi, purchè l'inesattezza scientifica del suo nome non gli sfugga e non gli impedisca di svilupparsi in una giusta direzione!

Qualche burlone potrebbe forse venirci a consolare, noi bolscevichi, alla maniera di Engels: noi abbiamo un vero partito; esso si sviluppa nel migliore dei modi: dunque il nome assurdo e barbaro di "bolscevico", che non esprime assolutamente nulla se non il fatto puramente accidentale che al congresso di Bruxelles-Londra del 1903 avemmo la maggioranza, può anch'esso "andare"... Forse, ora che le persecuzioni del nostro partito da parte dei repubblicani e della democrazia piccolo-borghese "rivoluzionaria" nel luglio-agosto 1917, hanno reso così popolare, così onorevole il titolo di bolscevico e hanno inoltre confermato l'immenso progresso storico del nostro partito nel corso del suo sviluppo reale, io stesso esiterei forse a proporre, come in aprile, di cambiare il nome del nostro partito. Proporrei forse ai compagni un "compromesso": chiamarci Partito comunista, conservando, fra parentesi, la parola "bolscevico"...

Ma la questione del nome del partito è infinitamente meno importante di quella dell'atteggiamento del proletariato rivoluzionario verso lo Stato.

Discutendo sullo Stato si cade abitualmente nell'errore contro il quale Engels mette qui in guardia e che noi abbiamo già prima segnalato di sfuggita: si dimentica cioè che la soppressione dello Stato è anche la soppressione della democrazia, e che l'estinzione dello Stato è l'estinzione della democrazia.

A prima vista questa affermazione pare del tutto strana e incomprensibile: alcuni potrebbero forse persino temere che noi auspichiamo l'avvento di un ordinamento sociale in cui non verrebbe osservato il principio della sottomissione della minoranza alla maggioranza; perché in definitiva che cos'è la democrazia se non il riconoscimento di questo principio?

No! La democrazia non si identifica con la sottomissione della minoranza alla maggioranza. La democrazia è uno Stato che riconosce la sottomissione della minoranza alla maggioranza, cioè l'organizzazione della violenza sistematicamente esercitata da una classe contro un'altra, da una parte della popolazione contro l'altra.

Noi ci assegniamo come scopo finale la soppressione dello Stato, cioè di ogni violenza organizzata e sistematica, di ogni violenza esercitata contro gli uomini in generale. Noi non auspichiamo l'avvento di un ordinamento sociale in cui non venga osservato il principio della sottomissione della minoranza alla maggioranza. Ma, aspirando al socialismo, noi abbiamo la convinzione che esso si trasformerà in comunismo, e che scomparirà quindi ogni necessità di ricorrere in generale alla violenza contro gli uomini, alla sottomissione di un uomo a un altro, di una parte della popolazione a un'altra, perchè gli uomini si abitueranno a osservare le condizioni elementari della convivenza sociale, senza violenza e senza sottomissione.

Per mettere in risalto questo elemento di consuetudine, Engels parla della nuova generazione, "cresciuta in condizioni sociali nuove, libere" e che sarà "in grado di scrollarsi dalle spalle tutto il ciarpame statale", ogni forma di Stato, compresa la repubblica democratica.

Per chiarire questo punto dobbiamo analizzare le basi economiche dell'estinzione dello Stato.

 

Note

27. F. Engels, La questione delle abitazioni, Edizioni Rinascita, 1950, pp. 43-44.

28. Op. cit., pp. 131-132.

29. Op. cit., p.108.

30. L'Almanacco repubblicano per l'anno 1874, Milano-Lodi, 1873. Vi apparvero un articolo di Marx, L'indifferenza in materia politica, e uno di Engels, Dell'autorità.
Ripubblicati in K. Marx-F. Engels, Contro l'anarchismo, Roma, Edizioni Rinascita, 1950.

31. Contro l'anarchismo, cit., p.10.

32. Op. cit., p.46.

33. Op. cit., pp. 47-48.

34. K. Marx-F. Engels, Il partito e l'internazionale, cit., pp. 250-251.

35. Per la traduzione italiana cfr. F Engels, Per la critica del progetto di programma del Partito socialdemocratico - 1891 (a cura di E. Ragionieri), in Critica marxista, a. I, n. 3, maggio-giugno 1963, pp. 118-132. Si tratta del progetto di programma della socialdemocrazia tedesca discusso al congresso di Erfurt nell'ottobre 1891.

36. F. Engels, Op. cit., p.125.

37. Op. cit., p. 127.

38. Op. cit., pp. 127-128.

39. Op. cit., p. 128.

40. Op. cit., pp. 128-129.

41. Op. cit., pp. 129-130.

42. Op. cit., pp. 130-131.

43. K. Marx, La guerra civile in Francia, in Il partito e l'Internazionale, cit., p. 131.

44. Op. cit., p. 136.

45. Op. cit., pp. 139-140.

*. Ciò che fa circa 2400 rubli al corso nominale, e 6.000 al corso attuale. I bolscevichi che propongono, ad esempio nei municipi, stipendi di 9.000 rubli, invece di proporre per tutto lo Stato un massimo di 6.000 rubli - somma sufficiente -, commettono un errore imperdonabile.

46. Op. cit., pp. 140-141.

47. Op. cit., p. 141.

48. Traduzione italiana di questa raccolta: F Engels, Cose internazionali estratte dal Volkstaat (1871-1875), Roma, L. Mongini ed., poi riunito in Marx-Engels-Lassalle, Opere, a cura di E. Ciccotti, vol. IV, Milano, Società Editrice Avanti!, 1914.

 


Ultima modifica 15.09.2000