Economia e politica nell'epoca della dittatura del proletariato

Vladimir Lenin (1919)

 


Scritto il 30 ottobre 1919,
pubblicato nella Pravda, numero 250, 7 novembre 1919.
La continuazione annunciata alla fine non fu più scritta.
Trascritto per l'Archivio Internet dei Marxisti da mishu, novembre 2003.

 

Per il secondo anniversario del potere sovietico avevo pensato di scrivere un opuscolo sull'argomento indicato nel titolo. Ma nel fervore del lavoro quotidiano non sono riuscito a spingermi oltre la preparazione preliminare di singole sue parti. Ho quindi deciso di esporre brevemente, in compendio, le idee, che, secondo me, sono essenziali su questo argomento. S'intende che un'esposizione succinta presenta molti inconvenienti e difetti. Ma forse a un breve articolo di rivista sarà possibile raggiungere lo scopo modesto di dare l'impostazione della questione ed il canovaccio sul quale i comunisti di tutti i paesi potranno fondare le loro discussioni.

*****

I. Teoricamente è fuori di dubbio che tra il capitalismo e il comunismo vi è un determinato periodo di transizione. Esso non può non racchiudere in sé i tratti o le particolarità di ambedue queste forme di economia sociale. Questo periodo di transizione non può non essere un periodo di lotta tra il capitalismo agonizzante e il comunismo nascente, o in altre parole: tra il capitalismo vinto ma non distrutto, e il comunismo che è nato ma è ancora debolissimo.
Non soltanto per un marxista, ma per ogni persona colta che conosca più o meno la teoria dell'evoluzione, deve essere ovvia la necessità di un'intera epoca storica che si distingua per i tratti propri dei periodi di transazione. Purtuttavia tutte le considerazioni sul passaggio al socialismo che ci vien fatto di sentire dai rappresentanti contemporanei della democrazia piccolo-borghese (e tali sono, nonostante la loro etichetta pseudosocialista, tutti i rappresentanti della II Internazionale inclusi uomini come MacDonald, Jean Longuet, Kautsky e Friedrich Adler), si distinguono appunto per l'oblio completo di questa verità apodittica. Il tratto proprio dei democratici piccolo-borghesi è la ripugnanza per la lotta di classe, il sogno di farne a meno, l'aspirazione a spianare e a conciliare, a smussare gli angoli acuti. Perciò questi democratici non vogliono a nessun costo riconoscere la necessità di un intero periodo storico di transizione dal capitalismo al comunismo, oppure considerano loro compito escogitare dei piani per conciliare le due forze in lotta, invece di dirigere la lotta di una di queste due forze.

II. La dittatura del proletariato in Russia, in confronto ai paesi avanzati, deve inevitabilmente distinguersi per certe sue particolarità, in conseguenza del carattere molto arretrato e piccolo-borghese del nostro paese. Ma le forze fondamentali – e le forme fondamentali dell'economia sociale – sono in Russia le stesse che in qualsiasi altro paese capitalistico, cosicché queste particolarità possono riferirsi soltanto a ciò che non è essenziale.
Queste forme fondamentali dell'economia sociale sono: il capitalismo, la piccola produzione mercantile, il comunismo. Queste forze essenziali sono la borghesia, la piccola borghesia (specialmente i contadini), il proletariato.
Nell'epoca della dittatura del proletariato l'economia in Russia rappresenta la lotta del lavoro organizzato in modo comunista ai suoi primi passi, nell'ambito di un immenso Stato, contro la piccola produzione mercantile e contro il capitalismo che si è conservato e che rinasce sulla base della piccola produzione mercantile.
In Russia il lavoro è organizzato in modo comunista in quanto, anzitutto, è abolita la proprietà privata sui mezzi di produzione e, secondariamente, in quanto il potere statale proletario organizza su scala nazionale la grande produzione sulla terra dello Stato e nelle imprese statali, ripartisce la mano d'opera tra i diversi rami dell'economia e tra le imprese, distribuisce tra i lavoratori una grande quantità di generi di consumo appartenenti allo Stato.
Noi parliamo dei «primi passi» del comunismo in Russia (come vien detto nel programma del nostro partito, approvato nel marzo 1919) perché tutte queste condizioni da noi sono realizzate soltanto parzialmente, o, in altre parole, la realizzazione di queste condizioni si trova allo stadio iniziale. Immediatamente, con un colpo rivoluzionario, è stato fatto ciò che in generale è possibile fare subito: per esempio, sin dal primo giorno della dittatura del proletariato, il 26 ottobre 1917 (8 novembre 1917), fu abolita la proprietà privata della terra, senza alcuna indennità ai grandi proprietari; furono espropriati i grandi proprietari terrieri. In qualche mese furono egualmente espropriati, pure senza alcuna indennità, quasi tutti i grandi capitalisti, i proprietari delle fabbriche, delle officine, delle società per azioni, delle banche, ferrovie, ecc. L'organizzazione della grande produzione industriale da parte dello Stato, il passaggio dal «controllo operaio» alla «direzione operaia» delle fabbriche, delle officine, delle ferrovie, tutto ciò, nei suoi tratti essenziali e fondamentali, già è stato realizzato, ma circa l'economia agricola siamo appena agli inizi («aziende sovietiche», grandi aziende organizzate dallo Stato operaio sulla terra dello Stato). Cos ì è appena incominciata l'organizzazione di diverse forme di cooperative di piccoli agricoltori, come transizione dalla piccola agricoltura mercantile a quella comunista [*1]. Bisogna dire la stessa cosa dell'organizzazione statale della distribuzione dei viveri, la quale sostituisce il commercio privato, vale a dire la compera del grano da parte dello Stato e il suo trasporto nelle città, e il trasporto dei prodotti industriali nei villaggi. Citeremo in proposito più sotto i dati statistici esistenti.
L'azienda contadina continua a essere piccola produzione mercantile. Qui abbiamo una base per il capitalismo straordinariamente vasta e con radici molto profonde, molto solide. Su questa base il capitalismo si conserva e rinasce in una lotta accanita contro il comunismo. Forme di questa lotta: la piccola e la grande speculazione contro l'acquisto del grano (e di altri prodotti) da parte dello Stato, e in generale contro la distribuzione dei generi alimentari fatta dallo Stato.

III. Per lumeggiare queste tesi teoriche astratte citerò dei dati concreti.
Secondo i dati del Commissariato del popolo per gli approvvigionamenti, dal 1° agosto 1917 al 1°agosto 1918, in Russia, gli acquisti di grano da parte dello Stato sono ammontati a circa 30 milioni di pud. Nell'anno successivo a circa 110 milioni. Durante i primi tre mesi della successiva campagna per la compera del grano (1919-1920) verosimilmente si raggiungerà la cifra di circa 45 milioni di pud contro 37 negli stessi mesi (agosto-ottobre) del 1918.
Questi dati ci dicono in modo chiaro che il miglioramento nel senso della vittoria del comunismo sul capitalismo, è lento ma sicuro. Questo miglioramento è conseguito nonostante le difficoltà inaudite causate dalla guerra civile organizzata dai capitalisti russi e stranieri, i quali costringono tutte le nazioni più potenti del mondo a tendere tutte le loro forze.
Quindi, nonostante le menzogne e le calunnie dei borghesi di tutti i paesi e dei loro complici aperti e mascherati (i «socialisti» della II Internazionale), una cosa rimane certa: dal punto di vista del problema economico fondamentale, da noi, alla dittatura del proletariato è assicurata la vittoria del comunismo sul capitalismo. E per questa ragione appunto, la borghesia di tutto il mondo infuria e infierisce contro il Bolscevismo, organizza invasioni militari, congiure, ecc. contro i bolscevichi, perché comprende benissimo che noi riporteremo inevitabilmente la vittoria nella riedificazione dell'economia sociale, se non saremo schiacciati dalla forza militare. Ma essa non riuscirà a schiacciarci in tal modo.
Le seguenti cifre complessive mostrano precisamente sino a qual punto, nel breve periodo di tempo che ci era dato e tra le difficoltà inaudite nelle quali siamo stati costretti ad agire, abbiamo già vinto il capitalismo. L'Ufficio centrale di statistica ha appena finito di preparare per la stampa i dati sulla produzione e il consumo del grano non per tutta la Russia sovietica, ma soltanto per 26 governatorati.
Le cifre complessive sono le seguenti:

 

 

Produ-zione del grano

(sementi

 e foraggi esclusi)

(milioni

di pud)

grano consegnato

quantità totale di grano

di cui dispone la popolaz.

(milioni di pud)

consumo medio di grano

per ogni abitante

(in pud)

26

Governatorati della Russia Sovietica

popolazione

(in milioni)

da commis-sariato degli approv-

vigiona-menti

dai

piccoli specu-latori

(in milioni di pud)

Governatorati produttori di grano

Città 4,4

 

20,9

20,6

41,5

9,5

Campagna 28,6

625,4

 

 

481,8

16,9

Governatorati consumatori di grano

Città 5,9

 

20

20

40

6,8

Campagna 13,8

114

12,1

27,8

151,4

11

 

Totale (26 gov.) 52,7

739,4

53

68,4

714,7

13,6

Quasi la metà del grano viene quindi fornita alle città dal Commissariato degli approvvigionamenti e l'altra metà dai piccoli speculatori. Nel 1918, un'inchiesta minuziosa sull'alimentazione degli operai delle città ha dato precisamente questa proporzione. Inoltre l'operaio paga per il grano procuratogli dallo Stato nove volte meno che ai piccoli speculatori. Il prezzo di speculazione del grano è dieci volte più alto dei prezzi di Stato. Ciò è dimostrato dallo studio minuzioso dei bilanci operai.

 

IV. Le cifre sopraccitate, se vengono studiate attentamente, son una documentazione precisa di tutti i tratti essenziali dell'economia attuale in Russia.
I lavoratori sono stati liberati dal loro secolari oppressori e sfruttatori, i proprietari fondiari e i capitalisti. Questo passo in avanti verso la vera libertà e la vera uguaglianza, passo che non ha precedenti nel mondo per la sua grandiosità, la sua ampiezza e la sua rapidità, non è tenuto in nessun conto dai fautori della borghesia (compresi i democratici piccolo-borghesi), i quali parlano della libertà e dell'eguaglianza dal punto di vista della democrazia borghese parlamentare, chiamandola falsamente «democrazia» in generale o «democrazia pura» (Kautsky).
Ma per i lavoratori quello che conta sono appunto la vera eguaglianza, la vera libertà (la liberazione dai proprietari fondiari e dai capitalisti), e perciò essi difendono con tanta fermezza il potere sovietico.
In un paese agricolo i primi a trar vantaggio – a trarre il massimo vantaggio, un vantaggio immediato – dalla dittatura del proletariato sono stati i contadini in generale. Sotto i proprietari fondiari e i capitalisti il contadino in Russia soffriva la fame. Per lunghi secoli della nostra storia il contadino non ebbe la possibilità di lavorare per sé: egli soffriva la fame mentre forniva ai capitalisti, alla città e all'estero centinaia di milioni di pud di grano. Per la prima volta, in regime di dittatura del proletariato, il contadino ha cominciato a lavorare per sé e nutrirsi meglio dell'abitante della città. Per la prima volta, egli ha conosciuto la libertà nei fatti; è libero di mangiare il proprio pane, è libero dalla fame. Com'è noto, nella spartizione della terra è stato stabilito il massimo di uguaglianza: nella stragrande maggioranza dei casi i contadini dividono la terra proporzionalmente «alle bocche».
Il socialismo è la soppressione delle classi.
Per abolire le classi è necessario innanzi tutto abbattere i proprietari fondiari e i capitalisti. Questa parte del compito l'abbiamo adempiuta, ma essa è soltanto una parte, e inoltre non è la più difficile. Per abolire le classi è necessario in secondo luogo distruggere la differenza che esiste tra l'operaio e il contadino, fare di tutti dei lavoratori. E' impossibile fare ciò di punto in bianco. Questo problema è molto più complesso e, per forza di cose, la sua soluzione richiede un lungo periodo di tempo. E' impossibile risolverlo abbattendo una classe qualsiasi. Esso può essere risolto soltanto riorganizzando tutta l'economia sociale, mediante il passaggio dalla piccola economia mercantile, individuale, isolata, alla grande economia sociale. Tale passaggio si compie necessariamente con molta lentezza. Decretare provvedimenti amministrativi affrettati e mal ponderati non servirebbe che a rendere più lento e più difficile questo passaggio. E' possibile affrettarlo soltanto offrendo al contadino un aiuto tale che gli dia la possibilità di migliorare in grandissima misura tutta la tecnica agricola, di trasformarla radicalmente.
Per risolvere la seconda parte di questo compito – la parte più difficile – il proletariato, dopo aver vinto la borghesia, nella sua politica deve seguire costantemente, nei riguardi dei contadini, la seguente linea fondamentale: deve separare, fare una netta distinzione tra il contadino lavoratore e il contadino proprietario, tra il contadino lavoratore e il contadino mercante, tra il contadino lavoratore e il contadino speculatore.
Tutta la sostanza del socialismo sta in questa distinzione.
Nulla di strano quindi che i socialisti a parole, e di fatto democratici piccolo-borghesi (i Martov, i Cernov, i Kautsky e consorti), non comprendano questa sostanza del socialismo.
E' molto difficile stabilire la delimitazione qui indicata, perché nella vita pratica tutti questi tratti particolari del «contadino», per quanto differenti, per quanto contraddittori, sono fusi in un tutto. Eppure è possibile fare questa delimitazione, e non solo è possibile, ma essa sgorga inevitabilmente dalle condizioni dell'economia contadina e della vita contadina. Il contadino lavoratore anche nelle repubbliche borghesi più democratiche è stato oppresso per secoli e secoli dal proprietario fondiario, dal capitalista, dal mercante, dallo speculatore e dal loro Stato. Il contadino lavoratore ha nutrito durante secoli nel suo intimo l'odio e l'ostilità verso questi oppressori e sfruttatori, e questa «educazione», datagli dalla vita, lo costringe a cercare l'alleanza con l'operaio contro il capitalista, contro lo speculatore, contro il mercante. E al tempo stesso l'ambiente economico, ambiente di economia mercantile, rende inevitabilmente il contadino (non sempre, ma nella immensa maggioranza dei casi) mercante e speculatore.
I dati statistici da noi citati più sopra dimostrano in modo evidente la differenza che passa tra il contadino lavoratore e il contadino speculatore. Il contadino, il quale ha dato nel 1918-1919, a prezzi fissi, a prezzi di Stato, 40 milioni di pud di grano agli operai affamati delle città, consegnandoli agli organismi statali, nonostante tutti i difetti di questi organismi, difetti di cui si rende perfettamente conto il governo operaio, ma che non si possono eliminare nel primo periodo del passaggio al socialismo – quel contadino è il contadino lavoratore, è effettivamente un degno compagno dell'operaio socialista, il suo più sicuro alleato, è suo fratello nella lotta contro il giogo del capitale. Mentre il contadino il quale ha venduto sottomano 40 milioni di pud di grano a prezzi dieci volte superiori ai prezzi di Stato, approfittando della miseria e della fame dell'operaio urbano, truffando lo Stato, incoraggiando e provocando dappertutto l'inganno, il ladrocinio, la frode, quel contadino è uno speculatore, un alleato del capitalista, è un nemico di classe dell'operaio, è uno sfruttatore. Poiché possedere eccedenze di grano, raccolto sulla terra appartenente allo Stato, mediante strumenti nei quali è incorporato in un modo o in un altro il lavoro dell'operaio, ecc., e non soltanto quello del contadino, possedere eccedenze di grano e speculare su di esse, significa essere uno sfruttatore dell'operaio affamato.
Voi violate la libertà, l'uguaglianza, la democrazia, ci si grida da tutte le parti alludendo all'ineguaglianza tra l'operaio e il contadino, fissata nella nostra Costituzione, allo scioglimento dell'Assemblea costituente, alla confisca delle eccedenze di grano, ecc. Noi rispondiamo: non è esistito nel mondo uno Stato il quale abbia fatto tanto quanto noi per eliminare quell'effettiva ineguaglianza, quell'effettiva mancanza di libertà, di cui per secoli e secoli ha sofferto il contadino lavoratore. Ma non riconosceremo mai l'uguaglianza col contadino speculatore, come non riconosciamo l'«uguaglianza» tra lo sfruttatore e lo sfruttato, tra il sazio e l'affamato, la «libertà» del primo di derubare il secondo. E tratteremo alla stessa stregua delle guardie bianche le persone colte che non vogliono comprendere questa differenza, anche se costoro si chiamano democratici, socialisti, internazionalisti, i Kautsky, i Cernov e i Martov.

V. Il socialismo è la soppressione delle classi. La dittatura del proletariato ha fatto tutto quanto ha potuto per sopprimerle. Ma non è possibile eliminare le classi di colpo.
E le classi sono rimaste e rimarranno durante l'epoca della dittatura del proletariato. Il giorno in cui le classi spariranno la dittatura sarà inutile. Esse non spariranno senza la dittatura del proletariato.
Sono rimaste le classi, ma nell'epoca della dittatura del proletariato il carattere di ogni classe si è mutato, e si sono mutati anche i rapporti reciproci fra le classi. Durante l'epoca della dittatura del proletariato la lotta di classe non sparisce, ma assume unicamente altre forme.
Sotto il capitalismo il proletariato era una classe oppressa, una classe privata della proprietà dei mezzi di produzione, era l'unica classe che si contrapponeva direttamente e interamente alla borghesia, e perciò era l'unica classe capace di essere rivoluzionaria sino in fondo. Il proletariato, abbattuta la borghesia e conquistato il potere politico, è diventato la classe dominante: esso ha nelle sue mani il potere statale, dispone dei mezzi di produzione già socializzati, dirige le classi e gli elementi esitanti, intermedi, reprime la cresciuta forza di resistenza degli sfruttatori. Questi sono compiti specifici della lotta di classe, compiti che prima non erano posti e non potevano essere posti dal proletariato.
Sotto la dittatura del proletariato la classe degli sfruttatori, dei proprietari fondiari e dei capitalisti non è sparita e non può sparire ad un tratto. Gli sfruttatori sono stati sconfitti, ma non soppressi. E' rimasta loro la base internazionale, il capitale internazionale, del quale essi sono una sezione. In parte sono rimasti loro alcuni mezzi di produzione; sono rimaste loro somme di denaro; sono loro rimasti larghissimi legami sociali. La loro forza di resistenza è aumentata, precisamente in conseguenza della loro sconfitta, centinaia e migliaia di volte. L'«arte», da loro posseduta, dell'amministrazione statale, militare ed economica dà loro una grandissima superiorità e la loro importanza è quindi incomparabilmente maggiore di quella che dovrebbe essere, data la loro proporzione rispetto al numero complessivo della popolazione. La lotta di classe degli sfruttatori abbattuti contro l'avanguardia vittoriosa degli sfruttati, cioè contro il proletariato, è diventata infinitamente più accanita. E non può essere altrimenti se si parla della rivoluzione, se non si sostituisce questa concezione con illusioni riformiste (come fanno tutti gli eroi della Il Internazionale).
Infine, i contadini come, in generale, tutta la piccola borghesia, occupano, anche nella dittatura del proletariato, una posizione di mezzo, intermedia: da un lato, si tratta di una massa di lavoratori abbastanza numerosa (immensa nella Russia arretrata), tenuta insieme dall'interesse comune dei lavoratori di liberarsi dal giogo del proprietario fondiario e del capitalista; dall'altro lato, si tratta di piccoli padroni isolati, proprietari e mercanti. Questa situazione economica causa inevitabilmente delle oscillazioni tra il proletariato e la borghesia. E data l'aspra lotta tra questi due ultimi, dato lo sconvolgimento violento di tutti i rapporti sociali, data l'inveterata abitudine - precisamente dei contadini e dei piccoli borghesi in generale - a quel che è vecchio, consueto, immutevole, è naturale che noi osserveremo inevitabilmente tra di essi dei passaggi da una parte all'altra, delle oscillazioni, dei voltafaccia, delle esitazioni, ecc.
Nei riguardi di questa classe – o nei riguardi di questi elementi sociali – il compito del proletariato consiste nel dirigerla, nel lottare per avere un'influenza su di essa. Ecco quello che deve fare il proletariato: condurre al suo seguito gli elementi esitanti, indecisi.
Se mettiamo a confronto tutte le forze o classi fondamentali e i loro rapporti reciproci, mutati dalla dittatura del proletariato, vedremo quale enorme assurdità teorica, quale ottusità rappresenta la concezione corrente piccolo-borghese sul passaggio al socialismo «attraverso la democrazia» in generale, concezione che riscontriamo in tutti i rappresentanti della II Internazionale. La base di quest'errore sta nel pregiudizio, ereditato dalla borghesia, circa il contenuto assoluto, non classista della «democrazia». Ma in realtà sotto la dittatura del proletariato anche la democrazia passa ad una fase del tutto nuova, e la lotta di classe sale a un gradino superiore, sottomettendo a sé ogni e qualsiasi forma.
Le frasi generiche sulla libertà, l'uguaglianza, la democrazia equivalgono di fatto a una ripetizione cieca di concezioni che sono una copia conforme dei rapporti della produzione mercantile. Voler risolvere i compiti concreti della dittatura del proletariato mediante queste frasi generiche, significa passare su tutta la linea alla posizione teorica e di principio della borghesia. Dal punto di vista del proletariato la questione si pone in un modo solo: liberarsi dall'oppressione di quale classe? eguaglianza di quale classe con quale altra classe? democrazia sul terreno della proprietà privata oppure sulla base della lotta per l'abolizione della proprietà privata? ecc,
Molto tempo fa Engels ha spiegato nell'Anti-Dühring che la nozione di uguaglianza, essendo una copia conforme dei rapporti della produzione mercantile, si trasforma in un pregiudizio se non concepisce l'uguaglianza nel senso della soppressione delle classi. Questa verità elementare sulla differenza tra il concetto democratico borghese e quello socialista dell'eguaglianza viene sempre dimenticata. Ma se non si dimentica questa differenza, appare in modo evidente che il proletariato, il quale ha abbattuto la borghesia, fa con ciò stesso un passo decisivo verso la soppressione delle classi, e che per portare a compimento questa soppressione esso deve continuare la sua lotta di classe, utilizzando l'apparato del potere statale e applicando differenti metodi per lottare contro la borghesia, che è stata rovesciata, e contro la piccola borghesia esitante, per influire e agire su di essa.

NOTE

*1. Nella Russia sovietica il numero delle aziende sovietiche e delle comuni agricole è pressappoco rispettivamente di 3.536 e di 1.961; il numero delle cooperative agricole di 3.696. Il nostro Ufficio centrale di statistica sta eseguendo il censimento esatto di tutte le aziende sovietiche e di tutte le comuni. I risultati saranno noti nel novembre 1919.

 


Ultima modifica 24.12.2003