Manoscritti economico-filosofici del 1844
Karl Marx(1844)

Critica della dialettica hegeliana



6) A questo punto è venuto forse il momento di dare qualche indicazione tanto sulla dialettica hegeliana in generale per una comprensione e una giustificazione [di quel che s'è detto], quanto in particolare sulla sua applicazione alla fenomenologia e alla logica, e infine sua la situazione del movimento critico recente.
E stato cosi forte l'interesse per il contenuto del vecchio mondo, e così violento lo sviluppo della moderna, critica tedesca, per quanto impacciato dalla sua materia, che si è avuto un comportamento completamento acritico di fronte al metodo critico ed una completa incoscienza rispetto alla domanda, in parte formale, ma realmente essenziale: come dobbiamo comportarci con la dialettica hegeliana? Questa incoscienza nei confronti del rapporto tra la critica moderna e la filosofia hegeliana in generale e la dialettica in particolare, è stata cosi grande che critici come Strauss e Bruno Bauer, il primo in tutte le sue opere, il secondo nei suoi Sinottici (dove contro Strauss colloca «l'autocoscienza» dell'uomo astratto al posto della sostanza della «natura astratta»1) e anche nel Cristianesimo rivelato, sono ancora, per lo meno potenzialmente, del tutto avviluppati nella logica di Hegel. Ad esempio, nel Cristianesimo rivelato si legge: «Come se l'autocoscienza ponendo il mondo, la distinzione, e producendo se stessa in ciò che produce, dal momento che sopprime un'altra volta la distinzione tra ciò che è prodotto e se medesima, ed è se stessa soltanto nel produrre e nel movimento, come se l'autocoscienza non avesse in questo movimento il suo scopo, ecc.»; oppure: «Essi [i materialisti francesi] non hanno ancor potuto vedere che il movimento dell'universo è diventato realmente per sé ed ha raggiunto l'unità con se stesso solo come movimento dell'autocoscienza»2. Espressioni, queste, che non solo non mostrano una differenza dalla concezione hegeliana neppure nella terminologia, ma anzi la riproducono letteralmente.
[XII] Quanto poco fosse presente in questi critici la consapevolezza del loro rapporto con la dialettica hegeliana nell'atto stesso della loro critica (Bauer nei Sinottici), e quanto poco una simile consapevolezza sia sorta dopo l'atto della critica sostanziale, lo dimostra Bauer quando nella sua Buona causa della libertà respinge la domanda impertinente del signor Gruppe: «E adesso che ne è della logica?» e la respinge rinviandola ai critici futuri3.
Ma anche ora, dopoché Feuerbach, sia nelle sue Tesi4 pubblicate negli Anekdota, sia diffusamente nella sua Filosofia dell' avvenire5, ebbe abbattuto colpendola nel suo cuore la vecchia dialettica e la vecchia filosofia; dopoché, invece, quella critica6, che non aveva saputo compiere questa operazione, la vide, al contrario, già compiuta, essendo stata proclamata come la critica pura, decisiva, assoluta, e venuta in chiaro con se stessa; dopoché essa nella sua presunzione spiritualistica ebbe ridotto l'intero movimento storico al rapporto tra il resto del mondo - che di fronte ad essa cade sotto la categoria della «massa» - e se medesima, ed ebbe risolto tutte le opposizioni dogmatiche nell'unica opposizione dogmatica tra la propria furberia e la stupidità del mondo, tra il Cristo critico e l'umanità, come «folla»; dopoché essa, giorno per giorno, ora per ora, ebbe dimostrato la sua eccellenza sulla insulsaggine della massa; dopoché, finalmente, ebbe annunciato il giorno del giudizio critico proclamando che era vicino il momento in cui tutta l'umanità caduta si sarebbe schierata di fronte ad essa, e da essa sarebbe stata divisa in gruppi, e ciascuna schiera particolare avrebbe ricevuto il suo testimonium paupertatis; dopoché essa ebbe fatto imprimere la sua superiorità sia su tutti i sentimenti umani sia sul mondo - sul quale, troneggiando, chiusa nella sua orgogliosa solitudine, fa scrosciare di tanto in tanto dalle sue sarcastiche labbra un'olimpica risata - dopo tutti questi sollazzevoli gesti dell'idealismo (del giovane hegelismo) che rende l'ultimo respiro sotto le spoglie della critica, esso non ha espresso neppure il sospetto che si dovesse ormai venire ad una discussione critica con la propria madre, con la dialettica hegeliana, come pure non ha saputo mettere in rilievo il suo rapporto critico con la dialettica di Feuerbach: atteggiamento completamente acritico verso se stessa.
Feuerbach è l'unico che si trovi in un rapporto serio, in un rapporto critico con la dialettica hegeliana ed abbia fatto in questo campo vere e proprie scoperte: in generale è il vero superatore della vecchia filosofia. La grandezza della sua opera e la semplicità senza chiasso con cui Feuerbach l'ha offerta al mondo, stanno in uno stupefacente contrasto col procedimento inverso degli altri.
Il grande contributo di Feuerbach consiste:

1) nell'aver dimostrato che la filosofia non è altro che la religione ridotta in pensieri e svolta col pensiero; e che quindi bisogna parimenti condannarla, essendo una nuova forma, un nuovo modo di presentarsi dell'estraniazione dell'essere umano;

2) nell'aver fondato il vero materialismo e la scienza reale, facendo del rapporto sociale «dell'uomo con l'uomo» parimenti il principio fondamentale della teoria;

3) nell'aver contrapposto alla negazione della negazione, che pretende di essere l'assolutamente positivo, il positivo che riposa su se stesso ed è fondato positivamente su se stesso.


Feuerbach spiega la dialettica hegeliana (e istituisce in tal modo il punto di partenza da ciò che è positivo, da ciò che è certo per via sensibile) nel modo seguente:
Hegel prende le mosse dall'estraniazione (logicamente, dall'infinito, dall'universale astratto) della sostanza, dalla astrazione assoluta e fissata; vale a dire, con espressione popolare, dalla religione e dalla teologia.


In secondo luogo: egli sopprime l'infinito, e pone l'effettivo, il sensibile, il reale, il finito, il particolare (la filosofia, la soppressione della religione e della teologia).
In terzo luogo: egli sopprime di nuovo il positivo, e pone di nuovo l'astrazione, l'infinito. Ristabilimento della religione e della teologia.


Feuerbach intende quindi la negazione della negazione unicamente come la contraddizione della filosofia con se stessa, come la filosofia che afferma la teologia (trascendenza, ecc.), dopo averla negata, affermandola quindi in contrasto con se stessa.
La positività ovvero l'autoaffermazione e l'autoconferma, implicita nella negazione della negazione, viene intesa come una positività non ancora sicura di se stessa, e quindi viziata dal suo opposto, dubbiosa di se stessa e quindi bisognosa di dimostrazione, incapace com'è di dimostrarsi da sé con la propria esistenza, come una positività non confessata [XIII]; e perciò ad essa viene contrapposta direttamente ed immediatamente la positività che è fondata su se stessa ed è certa per la via dei sensi.
Ma Hegel, concependo la negazione della negazione - in base alla relazione positiva ivi implicita - come l'unico e vero positivo, e in base alla relazione negativa pur ivi implicita, come l'unico atto vero, come l'atto con cui ogni essere attua se stesso, non ha trovato altro che l'espressione astratta, logica, speculativa per il movimento della storia, che non è ancora la storia reale dell'uomo come soggetto presupposto, ma è soltanto l'atto di generazione dell'uomo, la storia dell'origine dell'uomo. Noi spiegheremo tanto la forma astratta di questo movimento quanto la differenza che questo movimento presenta in Hegel in contrasto con la critica moderna allo stesso processo nell'Essenza del Cristianesimo di Feuerbach; o meglio spiegheremo la forma critica di questo movimento, che in Hegel è ancora non critico.
Uno sguardo al sistema hegeliano. Si deve cominciare con la Fenomenologia di Hegel, dove si trova il vero luogo di nascita ed è racchiuso il segreto della filosofia hegeliana.


Fenomenologia. A) L'autocoscienza.
I. Coscienza. a) La certezza sensibile o il questo e l'opinione, b) La percezione o la cosa con le sue proprietà e l'illusione, c) Forza ed intelletto, fenomeno e mondo soprasensibile.
II. Autocoscienza. La verità della certezza di se stessi. a) Indipendenza e dipendenza dell'autocoscienza, padronanza e servitù. b) Libertà dell'autocoscienza. Stoicismo, scetticismo, la coscienza infelice.
III. Ragione. Certezza e verità della ragione. a) Ragione osservatrice; osservazione della natura e dell'autocoscienza. b) Realizzazione dell'autocoscienza razionale mediante se stessa. Il piacere e la necessità. La legge del cuore e il delirio della presunzione. La virtù e il corso del mondo, c) L'individualità che è a se stessa reale in sé e per sé. Il regno animale dello spirito e l'inganno o la cosa stessa. La ragione legislatrice. La ragione esaminatrice delle leggi.


B) Lo spirito.
I. Lo spirito vero: l'eticità. II Lo spirito estraniato a se stesso, la cultura. III. Lo spirito certo di se stesso, la moralità.


C) La religione.
La religione naturale, la religione estetica, la religione rivelata.


D) Il sapere assoluto.


L'Enciclopedia di Hegel comincia con la Logica, e termina col pensiero puro speculativo e con il sapere assoluto, con lo spirito che è cosciente di sé e si comprende da se stesso, con lo spirito filosofico o assoluto, cioè sopraumano ed astratto. Perciò l'intera Enciclopedia non è altro che l'essenza tutta spiegata dello spirito filosofico, la sua autooggettivazione. [Feuerbach intende ancora la negazione della negazione, il concetto concreto come il pensiero che si sopravanza nel pensiero e vuole, come pensiero, essere immediatamente intuizione, natura, realtà]7 . Cosi pure lo spirito filosofico non è altro che lo spirito estraniato del mondo, che pensa nell'ambito della propria autoestraniazione, cioè si comprende astrattamente. La Logica - il denaro dello spirito, il valore speculativo ideale dell'uomo e della natura - l'essenza dell'uomo e della natura diventata completamente indifferente di fronte ad ogni determinatezza reale e perciò diventata irreale - il pensiero alienato, e che perciò astrae dalla natura e dall'uomo reale; il pensiero astratto. L'esteriorità di questo pensiero astratto... la natura, come essa è per questo pensiero astratto. Essa è al pensiero astratto esterna, è per il pensiero astratto la perdita di se stesso; il quale la apprende a sua volta in modo esterno, come pensiero astratto, ma come pensiero astratto alienato. Infine lo spirito, questo pensiero che ritorna al suo luogo d'origine, che come spirito antropologico, fenomenologico, psicologico, etico, artistico-religioso vale pur sempre soltanto per sé, sino a che si trova alla fine come sapere assoluto nello spirito ormai assoluto, cioè astratto, e come tale si riferisce a se stesso, e ivi raggiunge la sua esistenza cosciente e adeguata. Infatti, la sua esistenza reale è l'astrazione.


In Hegel vi è un duplice errore. Il primo si rivela con la massima chiarezza nella Fenomenologia, questo luogo d'origine della filosofia hegeliana. Quando egli, ad esempio, concepisce la ricchezza, il potere statale, ecc., come enti resi estranei all'essere umano, ciò accade soltanto nella loro forma ideale... Essi sono enti ideali, e quindi sono puramente e semplicemente una estraniazione del pensiero filosofico puro, cioè astratto. Tutto il movimento finisce perciò nel sapere assoluto. Ciò da cui questi oggetti sono alienati e a cui si contrappongono con la pretesa di essere oggetti reali, è appunto il pensiero astratto. Il filosofo - e dunque proprio una forma astratta dell'uomo estraniato - si pone come misura del mondo estraniato. Tutta intera la storia dell'alienazione e tutta intera la revoca di questa alienazione non è quindi altro che la storia della produzione del pensiero astratto, cioè assoluto, del pensiero logico speculativo. L'estraniazione che costituisce perciò l'interesse proprio di questa alienazione e della soppressione di questa alienazione, è l'opposizione, all'interno dello stesso pensiero, tra l'in sé e il per sé, tra la coscienza e l'autocoscienza, tra l'oggetto e il soggetto, cioè è l'opposizione tra il pensiero astratto e la realtà sensibile o la sensibilità reale. Tutte le altre opposizioni e tutti gli altri movimenti di queste opposizioni non sono che l'apparenza, l'involucro, la forma essoterica di queste opposizioni, che sono le uniche interessanti e costituiscono il senso delle altre opposizioni, delle opposizioni profane. Come essenza posta e quindi da sopprimere dell'estraniazione vale [per Hegel] non già il fatto che l'essere umano si oggettivizzi in modo disumano, in opposizione a se stesso, ma il fatto che si oggettivizza differenziandosi e opponendosi al pensiero astratto.

[XVIII] L'appropriazione delle forze essenziali dell'uomo, diventate oggetti e oggetti estranei, è dunque prima di tutto solo uri appropriazione che ha luogo nella coscienza, nel pensiero puro, cioè nell'astrazione, è l'appropriazione di questi oggetti come idee e movimenti ideali: perciò già nella Fenomenologia, ad onta del suo aspetto del tutto negativo e critico, e nonostante che vi sia realmente contenuta la critica, spesso anticipatrice dell'ulteriore svolgimento, è latente, ed è presente come germe, come potenza, come un segreto, il positivismo acritico e l'idealismo parimenti acritico delle opere successive di Hegel, questa dissoluzione e restaurazione filosofica dell'empirismo presente. In secondo luogo, la rivendicazione del mondo oggettivo in favore dell'uomo - per esempio, la conoscenza che la coscienza sensibile non è una coscienza astrattamente sensibile, ma una coscienza umanamente sensibile, che la religione, la ricchezza, ecc., non sono che la realtà estraniata dell'oggettivazione umana, delle forze essenziali umane nate per operare, e quindi non sono che la via d'accesso alla vera realtà umana - questa appropriazione, o l'intendimento di questo processo, appare quindi ad Hegel in modo tale che la sensibilità, la religione, il potere statale, ecc., sono enti spirituali - e infatti solo lo spirito è la vera essenza dell'uomo, e la vera forma dello spirito è lo spirito pensante, lo spirito logico, speculativo. L'umanità della natura e della natura prodotta dalla storia, dei prodotti dell'uomo, si manifesta nel fatto che essi sono prodotti dello spirito astratto e dunque, in quanto momenti spirituali, sono enti ideali. La Fenomenologia è perciò la critica nascosta, non ancora chiara a se stessa, e mistificatrice; ma nella misura in cui essa tien ferma l' estraniazione dell'uomo - anche se l'uomo vi appare soltanto nella forma dello spirito -, tutti gli elementi della critica si trovano in essa nascosti e spesso già preparati ed elaborati in un modo che va assai al di là del punto di vista di Hegel. La «coscienza infelice», la «coscienza nobile», la lotta tra la coscienza nobile e quella ignobile, ecc., questi singoli capitoli contengono gli elementi critici - se pure ancora in una forma estraniata - di interi settori, come la religione, lo stato, la vita civile, ecc. Quindi, come l'essenza, l'oggetto sono enti ideali, così il soggetto è sempre coscienza o autocoscienza; o meglio, l'oggetto appare solo come coscienza astratta, l'uomo solo come autocoscienza; le forme distinte dell'estraniazione, che si presentano, sono perciò solo forme diverse della coscienza e dell'autocoscienza. Come la coscienza astratta - quella nella forma della quale viene inteso l'oggetto - è, in sé, semplicemente un momento distintivo dell'autocoscienza, così pure quale risultato del movimento si presenta l'identità dell'autocoscienza con la coscienza, il sapere assoluto, il movimento del pensiero astratto procedente non più verso l'esterno, ma ancora e soltanto in se stesso come risultato; vale a dire il risultato è la dialettica del pensiero puro.


[XXIII] L'importante nella Fenomenologia di Hegel e nel suo risultato finale - la dialettica della negatività come principio motore e generatore - sta dunque nel fatto che Hegel concepisce l'autogenerazione dell'uomo come un processo, l'oggettivazione come una contrapposizione, come alienazione e soppressione di questa alienazione; che in conseguenza egli intende l'essenza del lavoro e concepisce l'uomo oggettivo, l'uomo vero perché reale, come il risultato del suo proprio lavoro. Il comportamento reale, attivo dell'uomo con se stesso come essere che appartiene ad una specie, o la attuazione di sé come essere reale appartenente ad una specie, cioè come essere umano, è possibile soltanto quando egli esplica realmente tutte le forze proprie della sua specie - ciò che di nuovo è possibile soltanto attraverso l'opera collettiva dell'uomo, cioè solo come risultato della storia -, e si riferisce ad esse come a oggetti, ciò che anzitutto è possibile di nuovo soltanto nella forma dell'estraniazione.
L'unilateralità e il limite di Hegel esporremo ora distesamente con riferimento al capitolo finale della Fenomenologia intorno al sapere assoluto: un capitolo che contiene sia lo spirito concentrato della Fenomenologia, e il suo rapporto con la dialettica speculativa, sia anche la consapevolezza che Hegel ha di entrambe [la fenomenologia e la dialettica] e del loro rapporto reciproco.
In via preliminare anticipiamo ancora soltanto questo: Hegel si è posto dal punto di vista dell'economia politica moderna. Concepisce il lavoro come l'essenza, come l'essenza che si avvera dell'uomo; egli vede solo il lato positivo del lavoro, non quello negativo. Il lavoro è il divenire-per-sé dell'uomo nell'ambito dell'alienazione o come uomo alienato. Il solo lavoro che Hegel conosce e riconosce, è il lavoro astrattamente spirituale. Quindi quel che costituisce in generale l'essenza della filosofia, l'alienazione dell'uomo che conosce se stesso o la scienza che pensa se stessa alienata, Hegel concepisce come la sua essenza, e quindi può di fronte alla filosofia precedente ricapitolarne i diversi momenti e presentare la sua filosofia come la filosofia. Quello che gli altri filosofi hanno fatto - concepire i singoli momenti della natura e della vita umana come momenti dell'autocoscienza e più precisamente dell'autocoscienza astratta - Hegel lo sa in base al fare della filosofia; perciò la sua scienza è assoluta.
Passiamo ora al nostro argomento.


Il sapere assoluto. Capitolo ultimo della Fenomenologia.

La cosa principale è che l'oggetto della coscienza non è altro che l'autocoscienza o che l'oggetto è soltanto l'autocoscienza oggettivata, l'autocoscienza come oggetto. (Posizione dell'uomo = autocoscienza).
Si tratta quindi di superare l'oggetto della coscienza. L'oggettività come tale vale come rapporto umano estraniato, non corrispondente all'essere umano, alla autocoscienza. La nuova appropriazione dell'essere umano oggettivo, fatto estraneo sotto la determinazione dell'estraniazione, ha dunque il significato di sopprimere non soltanto l'estraniazione, ma anche l'oggettività; onde l'uomo vale come un essere non oggettivo, spiritualistico.
Il movimento che conduce al superamento dell'oggetto della coscienza è descritto da Hegel nel modo seguente:
L'oggetto si mostra non soltanto nel suo ritorno all'Io-personale8(è questa, secondo Hegel, la comprensione unilaterale - cioè comprendente un solo lato - di quel movimento). L'uomo viene equiparato all'Io-personale. Ma l'Io-personale non è altro che l'uomo astrattamente inteso e prodotto mediante una astrazione. L'uomo è egoista. I suoi occhi, le sue orecchie, ecc., sono egoiste; ognuna delle sue forze essenziali ha in lui la caratteristica di essere egoista. Ma perciò è falsissimo dire: l'autocoscienza ha occhi, orecchie, forze essenziali. L'autocoscienza è, se mai, una qualità della natura umana, dell'occhio umano, ecc., non già la natura umana è una qualità [XXIV] dell'autocoscienza.
L'io-personale astratto e fissato per sé è l'uomo come egoista astratto, l'egoismo elevato, nella sua pura astrazione, al pensiero. (Ritorneremo più tardi su questo punto).
L'essere umano, l'uomo, è equiparato in Hegel all'autocoscienza. Ogni estraniazione dell'essere umano è quindi null'altro che estraniazione dell'autocoscienza. L'estraniazione dell'autocoscienza non vale come espressione, come espressione riflettentesi nel sapere e nel pensiero, della estraniazione reale dell'essere umano. L'estraniazione effettiva, che appare come reale, è anzi, secondo la sua più intima e nascosta essenza - messa in luce soltanto dalla filosofia -, null'altro che l'apparenza [il fenomeno] dell'estraniazione dell'essere umano reale, dell'autocoscienza. Per tale ragione la scienza che comprende questo si chiama «fenomenologia». Quindi ogni nuova appropriazione dell'essere oggettivo estraniato appare come una incorporazione nell'autocoscienza; l'uomo che s'impossessa del proprio essere è soltanto l'autocoscienza che si impossessa dell'essere oggettivo, il ritorno dell'oggetto all'Io-personale è perciò la nuova appropriazione dell'oggetto.

Esaminato da tutte le parti il superamento dell'oggetto della coscienza si esprime in ciò:

1) che l'oggetto come tale si presenta alla coscienza sulla via di dileguarsi;
2) che è l'alienazione dell'autocoscienza che pone la «cosalità»;
3) che questa alienazione ha un significato non solo negativo ma positivo;
4) ed ha questo significato positivo non solo per noi o in sé, ma per l'autocoscienza stessa.
5) Per l'autocoscienza l'elemento negativo dell'oggetto o la sua propria soppressione, ha un significato positivo o conosce questa sua negatività per il fatto che essa stessa [l'autocoscienza] si aliena, poiché in questa alienazione si pone come oggetto o pone l'oggetto come se stessa in grazia dell'unità inscindibile dell' essere-per-sé.
6) D'altra parte si trova qui ad un tempo quest'altro momento, consistente in ciò che la autocoscienza ha parimenti soppresso e ripreso in sé questa alienazione e questa oggettività, e quindi nel suo essere altro in quanto tale è presso di sé.
7) Questo è il movimento della coscienza e questa è perciò la totalità dei suoi momenti.
8) Essa deve in egual modo riferirsi all'oggetto secondo la totalità delle determinazioni dell'oggetto e deve averlo cosi appreso secondo ciascuna di queste. Questa totalità delle determinazioni dell'oggetto fa dell'oggetto in sé un ente spirituale e per la coscienza ciò avviene in verità quando ogni singola determinazione è appresa come determinazione dell'Io-personale o per il già menzionato comportamento spirituale verso di esse.
ad 1) Che l'oggetto come tale si presenti alla coscienza sulla via di dileguarsi, è il ritorno sopra ricordato dell'oggetto all'Io-personale.
ad 2) L' alienazione dell' autocoscienza pone la cosalità. Poiché uomo è uguale ad autocoscienza, il suo essere oggettivo alienato o la cosalità è uguale all'autocoscienza alienata (la cosalità è ciò che per lui è oggetto, e oggetto è veramente per lui soltanto ciò che è per lui oggetto essenziale, e quindi ciò che è il suo essere oggettivo. Siccome non l'uomo reale, e quindi neppure la natura - l'uomo è la natura umana - sono come tali, diventati soggetti, ma solo l'astrazione dell'uomo, l'autocoscienza, cosi la cosalità può essere soltanto l'autocoscienza alienata); e la cosalità è posta da questa alienazione. E' del tutto naturale che un essere vivente, naturale, munito e provveduto di forze essenziali oggettive, cioè materiali, abbia oggetti naturali reali del suo essere, come è altrettanto naturale che la sua autoalienazione consista nella posizione di un mondo reale, ma sotto la forma dell' esteriorità, e di conseguenza di un mondo oggettivo non appartenente al suo essere e predominante. Non c'è nulla di incomprensibile e di misterioso in tutto ciò. Anzi sarebbe misterioso il contrario. Ma è ugualmente chiaro che una autocoscienza, cioè la sua alienazione, può porre soltanto la cosalità, cioè può porre soltanto una cosa astratta, una cosa dell'astrazione e non una cosa reale. Ed è [XXVI] inoltre chiaro che la cosalità non è perciò assolutamente nulla di per sé stante, di essenziale di fronte alla autocoscienza, ma è una semplice cosa creata, una cosa posta dall'autocoscienza; e questa cosa posta, invece di confermare se stessa, è soltanto una conferma dell'atto del porre che fissa per un attimo la sua energia in quanto prodotto e le attribuisce in apparenza - ma solo per un istante - la parte di un essere reale e per sé stante.
Se con la sua alienazione l'uomo reale, corporeo, piantato sulla terra ferma e tonda, quest'uomo che espira ed aspira tutte le forze della natura, pone le sue forze essenziali, reali ed oggettive, come oggetti estranei, questo at-to del porre non è soggetto; è la soggettività di forze essenziali oggettive, la cui azione deve essere quindi anch'essa oggettiva. L'essere oggettivo opera oggettivamente; né opererebbe oggettivamente, se l'oggettività non si trovasse nella determinazione del suo essere. Crea, pone solo oggetti, perché è posto da oggetti, perché è originariamente natura. Dunque nell'atto del porre esso non passa dalla sua «attività pura» ad una creazione dell'oggetto, ma il suo prodotto oggettivo non fa che confermare la sua attività oggettiva, la sua attività come attività di un essere naturale oggettivo.
Vediamo qui come il naturalismo o umanismo condotto al proprio termine si distingua tanto dall'idealismo che dal materialismo, e sia ad un tempo la verità che unisce entrambi. E insieme vediamo che solo il naturalismo è in grado di comprendere l'azione della storia universale.
L'uomo è immediatamente un essere naturale. Come essere naturale, come essere naturale vivente, egli è in parte fornito di forze naturali, di forze vitali, cioè è un essere naturale attivo: e queste forze esistono in lui come disposizioni e facoltà, come impulsi; in parte egli è, in quanto essere naturale, oggettivo, dotato di corpo e di sensi, un essere passivo condizionato e limitato, al pari degli animali e delle piante: vale a dire, gli oggetti dei suoi impulsi esistono fuori di lui, come oggetti da lui indipendenti, ma questi oggetti sono oggetti del suo bisogno, oggetti essenziali, indispensabili ad attuare e confermare le sue forze essenziali. Che l'uomo sia un essere reale ed oggettivo dotato di corpo, di forze naturali, di vita, di sensi, significa che egli ha per oggetto del suo essere, delle sue manifestazioni vitali, oggetti reali e sensibili, o che egli può estrinsecare la sua vita soltanto in oggetti reali e sensibili. Essere oggettivi, naturali, sensibili, e parimenti avere oggetto, natura e sensi fuori di noi o essere noi stessi oggetto, natura e sensi nei confronti di un terzo, è la stessa cosa. ha. fame è un bisogno naturale; essa quindi ha bisogno di una natura fuori di sé, di un oggetto fuori di sé, per soddisfarsi e calmarsi. La fame è il bisogno oggettivo che un corpo ha di un oggetto esterno a lui, indispensabile alla sua integrazione e alla estrinsecazione del suo essere. Il sole è l'oggetto delle piante, un oggetto a loro indispensabile, un oggetto che ne conferma la vita; parimenti, la pianta è oggetto del sole, come estrinsecazione della forza vivificatrice del sole, della forza essenziale oggettiva del sole.
Un essere che non abbia la propria natura fuori di sé, non è un essere naturale, non partecipa all'essere della natura. Un essere, che non abbia un oggetto fuori di sé, non è un essere oggettivo. Un essere, che non sia esso stesso oggetto nei confronti di un terzo, non ha nessun essere per suo oggetto, cioè non si comporta oggettivamente, il suo essere non è oggettivo.

[XXVII] Un essere non oggettivo è un non-essere. Si ponga un essere che non sia esso stesso oggetto, né abbia un oggetto. Un essere siffatto sarebbe in primo luogo l'unico essere, non esisterebbe essere alcuno fuori di lui, ed egli esisterebbe solitario e solo. Infatti, non appena si danno oggetti fuori di me, non appena io non sono solo, io sono un altro, una realtà altra da quella dell'oggetto fuori di me. Per questo terzo oggetto io sono dunque una realtà altra da quella che esso è, cioè sono il suo oggetto. Un essere, che non sia oggetto di un altro essere, suppone dunque che non esista nessun essere oggettivo. Non appena io ho un oggetto, quest'oggetto ha me per oggetto. Ma un essere non oggettivo è un essere irreale, non afferrabile coi sensi, soltanto pensato, cioè soltanto immaginato, un essere dell'astrazione. Essere sensibile, cioè essere reale, vuol dire essere oggetto dei sensi, essere oggetto sensibile, e quindi avere oggetti sensibili fuori di sé, oggetti della propria sensibilità. Essere sensibile vuol dire essere passivo.
L'uomo come essere oggettivo sensibile è quindi un essere passivo, e poiché sente questo suo patire, è un essere appassionato. La passione è la forza essenziale dell'uomo che tende energicamente al proprio oggetto.
Ma l'uomo non è soltanto un essere naturale; è anche un essere naturale umano, cioè è un essere che è per se stesso, e quindi un essere che appartiene ad una specie; come tale egli si deve attuare e confermare tanto nel suo essere che nel suo sapere. Perciò gli oggetti umani non sono gli oggetti naturali, come si presentano in modo immediato; e, d'altra parte, il senso umano, come esso è in modo immediato, in modo oggettivo, non è sensibilità umana, oggettività umana. Né la natura, oggettivamente, né la natura, soggettivamente, è immediatamente presente all'essere umano in forma adeguata. E come tutto ciò che è naturale deve avere un'origine, così anche l'uomo ha il suo atto d'origine, la storia, che però è per lui un atto d'origine, di cui egli ha conoscenza, e che per ciò in quanto atto di origine consapevole è un atto di origine che sopprime se stesso. La storia è la vera storia naturale dell'uomo. (Su cui bisogna ritornare).
In terzo luogo, poiché questo atto di porre la cosalità è esso stesso soltanto un'apparenza, un atto che contraddice all'essenza della attività pura, deve essere a sua volta soppresso, la cosalità deve essere negata.
ad 3, 4, 5, 6. 3) Questa alienazione della coscienza ha un significato non soltanto negativo, ma anche positivo; 4) ed ha questo significato positivo non solo per noi o in sé, ma per essa, per la coscienza stessa. 5) Per l'autocoscienza l'elemento negativo dell'oggetto o la sua propria soppressione ha un significato positivo o conosce questa sua negatività per il fatto che essa stessa si aliena, poiché in questa alienazione si conosce come oggetto o conosce l'oggetto come se stessa in grazia dell'unità inscindibile dell'essere-per-sé. 6) D'altra parte si trova qui ad un tempo quest'altro momento, consistente in ciò che l'autocoscienza ha parimenti soppresso e ripreso in sé questa alienazione e questa oggettività, e quindi nel suo essere altro in quanto tale è presso di sé.


Abbiamo già visto che l'appropriazione dell'essere oggettivo estraniato o la soppressione dell'oggettività sotto la determinazione dell' estraniazione - che deve procedere dall'estraneità indifferente sino alla estraniazione ostile reale - significa per Hegel ad un tempo, o meglio principalmente, la soppressione dell'oggettività, perché per la autocoscienza ciò che vi è di scandaloso nell'estraniazione non è il carattere determinato dell'oggetto, ma il suo carattere oggettivo. L'oggetto è quindi qualcosa di negativo, qualcosa che si sopprime da sé, una nullità. Questa nullità dell'oggetto ha per la coscienza un significato non soltanto negativo ma positivo, perché questa nullità dell'oggetto è proprio l'autoconferma della non-oggettività, della [XXVIII] astrazione, di se stessa. Per la coscienza stessa la nullità dell'oggetto ha un significato positivo per il fatto che essa conosce questa nullità, che è l'essere oggettivo, come la sua propria autoalienazione; che essa sa che questa nullità ha luogo solo mediante la sua propria autoalienazione...
Il modo con cui la coscienza è e con cui qualcosa è per essa, è il sapere. Il sapere è il suo unico atto. Quindi qualcosa diviene per essa, in quanto essa sa questo qualcosa. Il sapere è il suo unico comportamento oggettivo. Il sapere ora sa la nullità dell'oggetto, cioè sa che l'oggetto non si distingue da esso, che l'oggetto non è per esso, e lo sa per il fatto che conosce l'oggetto come l'alienazione che esso fa di se stesso; cioè esso conosce se stesso - il sapere come oggetto - per il fatto che l'oggetto è soltanto l'apparenza di un oggetto, un fantasma, e però non è altro secondo la sua essenza che il sapere stesso; che si è contrapposto a se stesso e quindi ha contrapposto a se stesso una nullità, un qualcosa che non ha nessuna oggettività al di fuori del sapere; o in altre parole il sapere sa che, riferendosi ad un oggetto, è soltanto fuori di sé, si aliena; che soltanto esso stesso appare a sé come oggetto, o che ciò che gli appare come oggetto non è altri che lui stesso.
D'altra parte, dice Hegel, si trova qui a un tempo quest'altro momento; consistente in ciò che la coscienza ha parimenti soppresso e ripreso in sé questa alienazione e questa oggettività, e quindi nel suo esser altro in quanto tale è presso di sé.
Troviamo in questa spiegazione tutte insieme le illusioni della speculazione.

In primo luogo: la coscienza, l'autocoscienza, nel suo esser altro in quanto tale è presso dì sé. Astraendo qui dall'astrazione di Hegel e collocando al posto dell'autocoscienza l'autocoscienza dell'uomo, diciamo quindi che questa nel suo essere altro come tale è presso di sé. Qui si verifica in primo luogo che la coscienza - il sapere come sapere - il pensiero come pensiero - pretende di essere immediatamente altra da se stessa, pretende d'essere sensibilità, realtà, vita: il pensiero che si sopravanza nel pensiero (Feuerbach). Questo momento è quivi contenuto, in quanto la coscienza come coscienza trova il suo motivo di scandalo non nell'oggettività estraniata, ma nell'oggettività come tale.

In secondo luogo vi si trova che l'uomo autocosciente, in quanto ha riconosciuto e soppresso il mondo spirituale - o l'esistenza universale spirituale del suo mondo -come alienazione di se stesso, pur tuttavia lo riconferma in questa forma alienata e lo fa passare come la sua vera esistenza, lo ricostituisce, pretende di essere presso dì sé nel suo essere altro come tale; e quindi dopo aver soppresso, ad esempio, la religione, dopo aver riconosciuto la religione come un prodotto della alienazione di sé, si trova tuttavia riconfermato nella religione come religione. Qui è la radice del falso positivismo di Hegel o del suo criticismo solo apparente; è ciò che Feuerbach indica come la posizione, la negazione e la ricostituzione della religione o della teologia, ma che conviene intendere in un modo più generale. Dunque la ragione è presso di sé nella non-ragione in quanto tale. L'uomo che ha riconosciuto che nel diritto, nella politica, ecc., conduce una vita alienata, conduce in questa vita alienata come tale la sua vera vita umana. Così, il vero sapere, la vera vita è l'affermazione di sé e la conferma di sé in contraddizione con se stessi, tanto col sapere quanto con l'essere dell'oggetto.
Di un accomodamento di Hegel nei confronti della religione, dello stato, ecc., non si può dunque più far parola, dacché questa menzogna è la menzogna del suo principio.

[XXIX] Se io della religione so che è l'autocoscienza umana alienata, so dunque che in essa come religione è confermata non la mia autocoscienza, ma la mia autocoscienza alienata. E allora so che la mia autocoscienza, in quanto appartenente a se stessa, alla propria essenza, è confermata non nella religione, ma piuttosto nella religione annullata, soppressa.
In Hegel la negazione della negazione non è pertanto la conferma dell'essere vero, raggiunta appunto mediante la negazione dell'essere apparente, ma è la conferma dell'essere apparente o dell'essere estraniato a se stesso nella sua negazione, o la negazione di questo essere apparente come essere oggettivo dimorante fuori dell'uomo e da lui indipendente, e il suo trasferimento nel soggetto.
Una funzione particolare ha quindi la soppressione, dove la negazione e la conservazione, l'affermazione, sono connesse.
Così, per esempio, nella filosofia del diritto di Hegel il diritto privato soppresso è uguale a morale, la morale soppressa è uguale a famiglia, la famiglia soppressa è uguale a società civile, la società civile soppressa è uguale a stato, lo stato soppresso è uguale a storia del mondo. Nella realtà diritto privato, morale, famiglia, società civile, stato, ecc., rimangono, solo che son diventati momenti, esistenze e modi d'esistere dell'uomo che non valgono isolatamente, si dissolvono e si producono reciprocamente, ecc. Momenti del movimento.
Nella loro esistenza reale questo loro essere in movimento è nascosto. Esso appare e si rivela soltanto nel pensiero, nella filosofia, e perciò la mia vera esistenza religiosa è la mia esistenza filosofico-religiosa, la mia vera esistenza politica è la mia esistenza filosofico-giuridica, la mia vera esistenza naturale è l'esistenza filosofico-naturale, la mia vera esistenza artistica è l'esistenza filosofico-artistica, la mia vera esistenza umana è la mia esistenza filosofica. Parimenti la vera esistenza della religione, dello stato, della natura, dell'arte è la filosofia della religione, della natura, dello stato e dell'arte. Ma se soltanto la filosofia della religione, ecc., è per me la vera esistenza della religione, allora pure io sono veramente religioso soltanto come filosofo della religione e cosi nego la religiosità reale e l'uomo realmente religioso. Ma nello stesso tempo io li confermo, in parte entro i limiti della mia propria esistenza o dell'esistenza estranea che contrappongo ad essi, poiché questa è soltanto la loro espressione filosofica; in parte nella loro caratteristica forma originaria, perché valgono per me come l'esser-altro soltanto apparente, come allegorie, come forme, nascoste sotto involucri sensibili, della loro vera esistenza, cioè della mia esistenza filosofica.
Parimenti la qualità soppressa è uguale a quantità, la quantità soppressa è uguale a misura, la misura soppressa è uguale ad essenza, l'essenza soppressa è uguale a fenomeno, il fenomeno soppresso è uguale a realtà, la realtà soppressa è uguale a concetto, il concetto soppresso è uguale ad oggettività, l'oggettività soppressa è uguale a idea assoluta, l'idea assoluta soppressa è uguale a natura. La natura soppressa è uguale a spirito soggettivo, lo spirito soggettivo soppresso è uguale a spirito soggettivo etico, lo spirito etico soppresso è uguale ad arte, l'arte soppressa è uguale a religione, la religione soppressa è uguale a sapere assoluto.
Da una parte, questa soppressione è una soppressione dell'ente pensato, e quindi la proprietà privata pensata si sopprime nel pensiero della morale. E poiché il pensiero si figura di essere immediatamente l'altro di se stesso, la realtà sensibile, e quindi la sua azione ha per lui anche il valore di azione reale sensibile, questa soppressione nel pensiero, che lascia sopravvivere il suo oggetto nella realtà, crede di avere superato l'oggetto realmente, e d'altra parte questo oggetto, essendo diventato ormai per essa un momento ideale, ha per essa anche nella sua realtà valore di un'autoconferma di se stessa, di un'autoconferma dell'autocoscienza, dell'astrazione.
[XXX] Perciò, da un lato, l'esistenza che Hegel sopprime nella filosofia, non è la religione reale, lo stato reale, la natura reale, ma la religione stessa già come un oggetto del sapere, cioè la dogmatica; così la giurisprudenza, la scienza politica, la scienza naturale. Da questo lato, dunque, egli sta in opposizione tanto all'ente reale quanto alla scienza non filosofica, alla scienza immediata o ai concetti non filosofici di questo ente. Egli quindi contraddice i loro concetti correnti.
D'altra parte, l'uomo religioso, ecc., può trovare in Hegel la sua ultima conferma.
Bisogna ora cogliere i momenti positivi della dialettica hegeliana nell'ambito della determinazione dell'estraniazione.
a) La soppressione come movimento oggettivo che revoca riportandola a sé l'alienazione. È questo, espresso entro l'estraniazione, il modo d'intendere l'appropriazione dell'essere oggettivo attraverso la soppressione della sua estraniazione, il modo estraniato d'intendere l'oggettivazione reale dell'uomo, l'appropriazione reale del suo essere oggettivo attraverso l'annullamento della determinazione estraniata del mondo oggettivo, cioè attraverso la sua soppressione, nella sua esistenza estraniata: così l'ateismo è, in quanto soppressione di Dio, il divenire dell'umanismo teoretico, e il comunismo, in quanto soppressione della proprietà privata, è la rivendicazione della vita umana reale come sua proprietà, cioè è il divenire dell'umanismo pratico; o in altre parole l'ateismo è l'umanismo mediato con se stesso dalla soppressione della religione, il comunismo è l'umanismo mediato con se stesso dalla soppressione della proprietà privata. Solo attraverso la soppressione di questa mediazione, che però è un presupposto necessario, si forma l'umanismo che ha inizio positivamente da se stesso, l'umanismo positivo.
Ma l'ateismo e il comunismo non sono una fuga, una astrazione, una perdita del mondo oggettivo prodotto dall'uomo, delle sue forze essenziali venute all'oggettività, non sono una povertà che ritorna alla semplicità non naturale, non sviluppata. Anzi essi sono soltanto il divenire reale, la realizzazione divenuta reale per l'uomo del suo essere e del suo essere come essere reale.
Così Hegel, intendendo il senso positivo della negazione riferita a se stessa - se pure a sua volta in modo estraniato -, intende gli atti con cui l'uomo si estrania da se stesso, aliena il proprio essere, e vien meno alla propria oggettivazione e alla propria realizzazione, come un atto con cui conquista se stesso, muta il proprio essere, si fa oggettivo e reale. In breve, egli intende - entro l'astrazione - il lavoro come l'atto con cui l'uomo produce se stesso, e intende il rapporto dell'uomo a se stesso come rapporto ad essere estraneo e l'attuazione di sé come attuazione di un essere estraneo, come la coscienza della specie e la vita della specie, in divenire.
b) Ma a prescindere, o meglio come conseguenza dell'assurdità già descritta, in Hegel questo atto appare in primo luogo come un atto puramente formale, perché astratto, e perché l'essere umano stesso è ritenuto come null'altro che un essere pensante astratto, come autocoscienza; o in secondo luogo, perché il modo d'intenderlo è formale e astratto; e quindi la soppressione dell'alienazione diventa una conferma dell'alienazione, ed il movimento dell'auto-produzione e della auto-oggettivazione, intese come autoalienazione e autoestraniazione, è per Hegel la manifestazione assoluta della vita umana, e quindi definitiva, che ha per scopo se stessa ed in sé si acquieta, essendo pervenuta alla propria essenza.
Questo movimento nella sua forma astratta [XXXI] in quanto dialettica, ha quindi il valore della vita veramente umana, ed essendo tuttavia un'astrazione, una estraniazione della vita umana, ha valore di processo divino, e quindi di processo divino dell'uomo, - un processo, percorso dallo stesso essere assoluto distinto dall'uomo, astratto, puro.
In terzo luogo: questo processo deve avere un portatore, un soggetto; ma il soggetto si forma soltanto come risultato; questo risultato, il soggetto che sa di essere autocoscienza assoluta, è quindi Dio, lo spirito assoluto, l' idea che conosce e attua se stessa. L'uomo reale e la natura reale diventano puri predicati e simboli di questo uomo nascosto, irreale, e di questa natura irreale. Il soggetto e il predicato stanno quindi fra di loro in un rapporto di inversione assoluta, oggetto-soggetto mistico o soggettività oltrepassante l'oggetto, il soggetto assoluto come un processo, come soggetto che si aliena e ritorna in sé dalla alienazione, ma ad un tempo la riprende in sé, e il soggetto in quanto è questo processo; il circolo puro e senza riposo che si chiude in se stesso.
Anzitutto il modo formale e astratto di intendere l'atto dell'autoproduzione o della auto-oggettivazione dell'uomo. Poiché Hegel identifica l'uomo con l'autocoscienza, l'oggetto estraniato, la realtà estraniata dell'essere dell'uomo non è altro che la coscienza, il pensiero dell'estraniazione, la sua espressione astratta e quindi priva di contenuto e di realtà, la negazione. La soppressione dell'alienazione è quindi parimenti null'altro che una soppressione astratta priva di contenuto, di quella astrazione priva di contenuto, la negazione della negazione. Di conseguenza, l'attività dell'auto-oggettivazione, che è attività ricca di contenuto, viva, sensibile, concreta, diventa la sua pura e semplice astrazione, la negatività assoluta, un'astrazione che viene a sua volta fissata come tale e pensata come attività per sé stante, come l'attività senz'altro. Poiché questa cosiddetta negatività non è altro che la forma astratta, priva di contenuto, di quell'atto reale e vivo, anche il suo contenuto può essere soltanto un contenuto formale, prodotto facendo astrazione da ogni contenuto. Perciò le forme universali ed astratte dell' astrazione, appartenenti ad ogni contenuto, e quindi altrettanto indifferenti ad ogni contenuto quanto, proprio perciò, valide per ogni contenuto, le forme del pensiero, le categorie logiche sono staccate dallo spirito reale e dalla natura reale. (Svolgeremo più oltre il contenuto logico della negatività assoluta).
Il contributo positivo che qui, nella sua logica speculativa, Hegel ha portato a compimento sta in ciò che i concetti determinati, le forme fisse e universali del pensiero sono, nella loro indipendenza dalla natura e dallo spirito, un risultato necessario della estraniazione universale dell'essere umano, e quindi anche dell'umano pensiero, onde Hegel li ha esposti e riassunti come momenti del processo di astrazione. Per esempio, l'essere soppresso è l'essenza, l'essenza soppressa è il concetto, il concetto soppresso... l'idea assoluta. Ma che cosa è mai l'idea assoluta? Essa a sua volta si sopprime da se stessa, se non vuole ripercorrere da capo l'intero atto dell'astrazione e quindi accontentarsi di essere una totalità di astrazioni o l'astrazione che comprende se stessa. Ma l'astrazione che si comprende come astrazione sa di non essere nulla; essa deve rinunciare a se stessa, all'astrazione, e cosi finisce di giungere ad un essere che è proprio il suo contrario, la natura. Tutta la Logica è dunque la prova che il pensiero astratto non è per se stesso nulla, che nulla è l'idea assoluta per se stessa, e che solo la natura è qualche cosa.
[XXXII] L'idea assoluta, l'idea astratta che «considerata in base alla sua unità con se stessa è intuizione» (Hegel, Enciclopedia, 3 ed., p. 222)9, che «nella assoluta verità di se stessa si decide a liberare da se stessa il momento della sua particolarità o del suo primo determinarsi e del suo esser altro, l'idea immediata, come il suo riflesso, come natura» , tutta intera questa idea che si atteggia in modo cosi strano e barocco, ed ha procurato agli hegeliani tanti grattacapi, non è assolutamente altro che l'astrazione - cioè il pensatore astratto -, la quale, ammaestrata dall'esperienza e illuminata intorno alla sua verità, si decide, a certe condizioni - false e ancor esse astratte -, a rinunciare a se stessa e a metter l'esser altro, il particolare, il determinato al posto del suo essere presso di sé, del suo esser nulla, della sua universalità e indeterminatezza, a liberare da sé la natura, che essa nascondeva in se soltanto come astrazione, come oggetto ideale, cioè ad abbandonare l'astrazione e a contemplarsi finalmente la natura libera da essa. L'idea astratta che diventa immediatamente intuizione, non è assolutamente null'altro che il pensiero astratto che rinuncia a se stesso e si decide per l'intuizione. Tutto questo trapasso dalla Logica alla Filosofia della natura non è altro che il trapasso - tanto difficile da mettere in atto per il pensatore astratto e quindi da lui descritto in modo tanto avventuroso - dall'astrazione all'intuizione. Il sentimento mistico, che spinge il filosofo dal pensiero astratto all'intuizione, è il tedio, la nostalgia di un contenuto.
(L'uomo reso estraneo a se stesso è pure il pensatore reso estraneo al proprio essere, cioè all'essere naturale ed umano. I suoi pensieri sono quindi spiriti fissi, dimoranti fuor della natura e dell'uomo. Hegel nella sua Logica ha rinchiusi insieme tutti questi spiriti fissi e concepito ciascuno di essi, prima, come negazione, cioè come alienazione del pensiero umano, poi come negazione della negazione, cioè come soppressione di questa alienazione, come manifestazione reale del pensiero umano; ma essendo in quanto tale ancora prigioniera dell'estraniazione questa negazione della negazione, in parte, ristabilisce la stessa negazione nella sua estraniazione; in parte si tien ferma all'ultimo atto, cioè si riferisce a se stessa nell'alienazione quale vera esistenza di questi spiriti fissi [(cioè Hegel mette l'atto dell'astrazione che gira su se stesso al posto delle astrazioni fisse; e con ciò ha il merito di averci indicato il luogo di nascita di tutti questi concetti indebiti, che appartengono, a seconda della loro data d'origine, alle singole filosofie, di averli raccolti insieme, e di aver creato come oggetto della critica, invece di un'astrazione determinata, lo svolgimento completo dell'astrazione in tutta la sua estensione). (Vedremo più tardi perché Hegel separa il pensiero dal soggetto, ma ora è evidente che se l'uomo non è, anche la manifestazione del suo essere non può essere umana, e quindi anche il pensiero non poteva essere inteso come manifestazione dell'essere dell'uomo quale soggetto umano e naturale, provvisto di occhi, orecchie, ecc., vivente nella società, nel mondo, nella natura)]; in parte, in quanto questa astrazione si intende da se stessa e prova di se stessa un tedio infinito, la rinuncia al pensiero astratto che si muove soltanto nel pensiero, e che è senz'occhi, senza denti, senz'orecchie, senza nulla, appare in Hegel come la decisione di riconoscere la natura come essere e di rivolgersi all'intuizione).
[XXXIII] Ma anche la natura, astrattamente presa, per sé, fissata nella separazione dall'uomo, non è per l'uomo un bel nulla. S'intende da sé che il pensatore astratto, che si è deciso per l'intuizione, guarderà la natura astrattamente. Allo stesso modo che la natura si trovava dal pensatore racchiusa, come idea assoluta, come oggetto ideale, nella sua forma, a lui nascosta e misteriosa; così egli, liberandola da sé, ha in verità liberato da sé soltanto questa natura astratta, ma con l'intendimento che essa sia l'esser-altro del pensiero, la natura reale, intuita, distinta dal pensiero astratto; ha liberato da sé soltanto la natura come oggetto ideale, oppure, per parlare un linguaggio umano, il pensatore astratto esperimenta, nella sua intuizione della natura, che gli esseri, che egli nella dialettica divina credeva di creare dal nulla, dalla pura astrazione, quali prodotti puri del lavoro che il pensiero compie movendosi in se stesso e non affacciandosi mai alla realtà, non sono null'altro che astrazioni delle determinazioni della natura. Tutta intera la natura, quindi, non fa che ripetergli le astrazioni logiche in una forma sensibile, esterna. Egli torna ad analizzare la natura e queste astrazioni. La sua intuizione della natura è dunque soltanto l'atto con cui egli conferma la sua astrazione dall'intuizione della natura, il processo generativo della sua astrazione, riprodotto da lui consapevolmente. Così, per esempio, il tempo si identifica con la negatività che si riferisce a se stessa (l. c., p. 238)10. Al divenire soppresso nell'esistenza corrisponde, in forma naturale, il movimento soppresso nella materia. La luce è - la forma naturale - la riflessione in sé. Il corpo come luna e cometa è - la forma naturale - dell'opposizione, che, secondo la Logica, è da un lato il positivo che riposa su se stesso, dall'altro il negativo che riposa su se stesso. La terra è la forma naturale del fondamento logico, in quanto è l'unità negativa dell'opposizione, ecc.
La natura come natura, cioè in quanto si distingue ancora sensibilmente da quel senso segreto e ivi nascosto, la natura separata, distinta da queste astrazioni, non è nulla, è un nulla che si conferma come nulla, è senza senso o ha soltanto il senso di una cosa esterna che è stata soppressa.
« Nel punto di vista teologico-finito si trova il giusto presupposto che la natura non contiene in se stessa il fine assoluto», p. 22511. Il suo fine è la conferma dell'astrazione. «La natura si è determinata come l'idea nella forma dell'esser-altro. Poiché l'idea è in tal modo negazione di se stessa ed è esterna a se stessa, la natura non è esterna soltanto relativamente rispetto a questa idea, ma l'esteriorità costituisce la determinazione in cui essa è come natura», p. 22712.
L'esteriorità non si deve qui intendere come la sensibilità che si estrinseca, e si apre alla luce, all'uomo sensibile; bensì questa esteriorità è qui da assumere nel senso dell'alienazione, di un errore, di un difetto che non dovrebbe essere. Infatti, il vero è ancor sempre l'idea. La natura non è altro che la forma del suo esser-altro. E poiché il pensiero astratto è ciò che è, ciò che è esterno a lui è essenzialmente soltanto un qualcosa di esterno. Il pensatore astratto riconosce ad un tempo che la sensibilità è l'essenza della natura, l'esteriorità in opposizione al pensiero che si muove in se stesso. Ma nello stesso tempo esprime questa opposizione in modo che questa esteriorità della natura è l'opposizione della natura al pensiero, la sua deficienza, e che essa è, in quanto distinta dall'astrazione, un essere deficiente. [XXXIV] Un essere deficiente non solo per me, ai miei occhi, ma anche in se stesso, ha fuori di sé qualcosa che gli manca. Vale a dire, il suo essere è altro da se stesso. Per il pensatore astratto quindi la natura deve sopprimersi da sé, essendo già da lui posta come un essere potenzialmente soppresso.
« Lo spirito ha per noi come suo presupposto la natura, di cui è la verità e quindi il principio assoluto. In questa verità la natura è dileguata e lo spirito risulta come l'idea giunta al suo essere per sé, della quale tanto l'oggetto quanto il soggetto è il concetto. Questa identità è negatività assoluta, perché nella natura il concetto ha la sua perfetta oggettività esterna, ma questa sua alienazione è stata eliminata ed esso in questa alienazione si è identificato con se stesso. Così il concetto è questa identità solo come ritorno dalla natura», p. 39213.
«La rivelazione, che come idea astratta è un passaggio immediato, un divenire della natura, è in quanto rivelazione dello spirito, che è libero, la posizione della natura come proprio mondo; una posizione che come riflessione è nello stesso tempo una presupposizione del mondo come natura per se stante. La rivelazione nel concetto è la creazione dello stesso mondo come essere suo proprio, in cui il concetto si dà l'affermazione e la verità della sua libertà». «L'assoluto è lo spirito; questa è la suprema definizione dell'assoluto»14.

NOTE

1. B. BAUER, Kritik der evangelischen Geschichte des Joannes [Critica del Vangelo secondo Giovanni], Bremen 1840, Kritik der evangelischen Geschichte der Synoptiker [Critica dei Vangeli sinottici], vol. II, Leipzig 1841; vol. III, Braunschweig 1842. Il passo citato si trova nel vol. II, pp. 154 sgg., §42, 1.

2. B. BAUER, Das entdeckte Christentum. Eine Erinnerung an das achtzehnte Jahrhundert und ein Beitrag zur Krisis der neunzehnten [Il cristianesimo rivelato. Ricordo del secolo XVIII e contributo alla crisi del XIX], Zürich und Winterthur 1843, pp. 113 e 114 sg.

3. ID., Die gute Sache der Freiheit und meine eigene Angelegenheit [La buona causa della libertà e la mia questione personale], Zürich und Winterthur 1842. La citazione è inesatta: il passo in questione (pp. 193 sg.) riguarda non già Gruppe ma Marheineke.

4. Vorläufige Thesen zur Reformation der Philosophie, in Anekdota zur neuesten deutschen Philosophie und Publizistik, editi da A. Ruge, Zürich und Winterthur 1843, vol. II, pp. 62 sgg.

5. Gründsätze der Philosophie der Zukunft, Zürich und Winterthur 1843.

6. Cfr. «Allgemeine Literatur-Zeitung», edita da B. Bauer , 1844, fasc. I, pp. 1 sgg.; fasc. V, pp. 23 sgg.; fasc. 8, pp. 18 sgg.

7. La seguente osservazione si trova senza segno di riferimento dopo «spirito filosofico» nel margine inferiore della colonna sinistra

8. Selbst

9. La citazione completa è: «L'idea, che è per sé, considerata in base a questa sua unità con sé stessa, è intuizione; e l'idea intuitiva è natura» (Enc., §244).

10. Il passo suona: «La negatività che si riferisce come punto allo spazio e vi svolge le sue determinazioni come linea e superficie, è però nella sfera dell'esser-fuori-di-sé altresì per sé, e pone ivi le sue determinazioni ma nello stesso tempo che nella sfera dell'esser-fuori-di-sé, e vi appare come indifferente verso l'accostamento senza moto- La negatività, posta così per sé, è il tempo» (Enc., §257)

11. Enc., §245

12. Enc., §247

13. Enc., §381

14. Enc., §384


Ultima modifica 05.01.2008