Discorso difensivo di Schapper (1849.02.08)


Tradotto da Arturo Labriola (in: Marx, Innanzi ai giurati di Colonia, Roma, Luigi Mongini, 1901) e trascritto da: Leonardo Maria Battisti, settembre 2018.

Testo fornito dalla Biblioteca Franco Serantini.


Signori giurati!

Dopo il discorso defensionale del mio coaccusato Carlo Marx io non ho da dire che poche parole. Nella sua requisitoria contro di noi il Pubblico Ministero ha tentato di porsi sul terreno costituzionale; ma la cosa non gli è troppo ben riuscita, se vorranno avere la pazienza di ascoltarmi. Egli ha tentato di provare: 1° che il re aveva il diritto di aggiornare e sciogliere l'Assemblea nazionale costituente della Prussia e quindi questa non poteva pigliare dopo il 9 novembre di questo anno nessuna decisione di nessun genere, nemmeno quella concernente il rifiuto delle imposte; 2° che l'Assemblea nazionale non aveva il diritto di rifiutare le imposte; 3° che quando anche avesse posseduto questo diritto, essa non poteva esercitarlo se non in caso di estremo bisogno, perché un tal mezzo conduce alla guerra civile — ed un tal caso di estremo bisogno non esisteva; ed infine: 4° che noi, gli accusati, siamo andati più in là dei signori unificatori, perchè noi avremmo tentato direttamente di dar esecuzione alla risoluzione di rifiutare le imposte e quindi ci siamo impigliati nel Codice penale.

Mi permettano i signori giurati di svolgere su questi punti la mia opinione contraria a quella del Pubblico Ministero. Nel marzo il popolo aveva vinto; la monarchia assoluta era infranta ed era completamente in facoltà del popolo abolire la monarchia; ma la maggioranza popolare si dichiarò per la monarchia costituzionale ed a favore di una delimitazione, per mezzo dei proprii rappresentanti, dei diritti e facoltà del re, da un lato, e del popolo, dall'altro.

La sovranità popolare fu solennemente riconosciuta; l'Assemblea costituente fu convocata ed essa stava se non al disopra della Corona, per lo meno al suo stesso livello. Noi abbiamo qui due persone morali, che hanno concluso fra di loro un contratto. Nessuna di esse ha il diritto di rimuovere completamente l'altra o di distruggerla, poiché altrimenti cesserebbe ogni accordo ed ogni unione. Se il re, per interessamento all'Assemblea nazionale, voleva trasferirla da Berlino a Brandeburgo; l'Assemblea nazionale aveva un diritto altrettanto valido di trasferire il re, per interessamento alla sua persona, da Postdam a Berlino; se il re aveva il diritto di disperdere l'Assemblea costituente; l'Assemblea costituente aveva il diritto dì scacciare il re dalla Prussia, eppure il Pubblico Ministero non ha voluto rivendicare all'Assemblea nazionale questo diritto. Il Pubblico Ministero avrebbe dovuto dire che la controrivoluzione ha momentaneamente vinto con abili manovre e questa vittoria le ha dato il diritto di agire a suo talento. Egli non avrebbe dovuto porsi sul terreno legale.

Quanto al secondo punto, io non voglio basarmi su di una quantità di leggi vecchie e infracidite, precedenti il marzo, come ha fatto il Procuratore dì Stato, ma sul semplice buon senso. Signori giurati, in un paese costituzionale il re è il primo magistrato; egli ha ricevuto dal popolo il compito di far rispettare le leggi nell'interesse di tutti e non soltanto della sua casa o della sua casta. Perciò il popolo lo paga. Se egli non fa più il suo dovere, non gli si danno più quattrini; è cosa semplicissima ed altamente borghese, costituzionale. In questo senso agì l'Assemblea costituzionale, quando decise il rifiuto delle imposte ed essa aveva pienamente ragione.

Rispetto al terzo punto, disse il Pubblico Ministero che non sarebbe stato necessario di rifiutare le imposte, anche quando l'Assemblea nazionale ne avesse avuto il diritto. Io affermo per converso che essa lo avrebbe dovuto far prima; se lo avesse fatto, la controrivoluzione non avrebbe momentaneamente vinto. Il mio preopinante vi ha dimostrato chiaramente, che qui non combattono fra loro persone o frazioni politiche, ma che invece si fronteggino la vecchia e decrepita società feudale e la giovane società borghese che tende a dominare e che questo è un duello ad ultimo sangue; che qui si tratti perciò di affermare se noi tedeschi possediamo ancora tanta forza vitale da liberarci da uno stato di cose che da lungo tempo avremmo dovuto rimuovere, oppure se noi ci troviamo in un cammino regressivo e stiamo per precipitare nel dispotismo asiatico.

Che le promesse fatte nel marzo dalla Corona e dai suoi rappresentanti non fossero schiette, fu chiaro nell'agosto anche a coloro che avevano prima creduto alla onestà di quei signori. Allora non si sarebbe dovuto concludere un insostenibile armistizio, ma invece continuare la lotta, perché forse così si sarebbero evitati alla patria mali indicibili.

Ricordate, o signori, la proposta del deputato Stein. Egli domandava semplicemente che il ministro mostrasse la sincerità dei suoi propositi favorevoli alle istituzioni costituzionali, imponendo agli ufficiali reazionari di uscire dall'esercito. Che cosa fecero i servitori della Corona? Essi rifiutarono ostinatamente di applicare la risoluzione dell'Assemblea nazionale; poi vennero altri che per che per guaadagnar tempo fecero delle mezze promesse, perché non si osava allora di manifestare apertamente i propri disegni. Qualora si fosse proceduto con schiettezza e si avesse voluto sacrificare la vecchia società feudale e riconoscere quella nuova o borghese si sarebbero applicate sin dalla primavera le proposte presentate dallo Stein e non si sarebbe entrato in conflitto con l'Assemblea nazionale. Infatti, o signori, in un paese costituzionale gli ufficiali non sono più i servitori della Corona, ma servitori dello Stato che li paga per i loro servizi. Qualora essi non siano d'accordo con le istituzioni dello Stato, o qualora essi non vogliano o non possano servirlo fedelmente ed onestamente, è un debito d'onore per essi che si dimettano e non si facciano più pagare per servizi che essi non vogliono più rendere.

Quando più tardi l'Assemblea nazionale volle abolire i pesi feudali gravanti sui contadini ed abolì i titoli e gli ordini nobiliari si vociferò d'ogni lato e si spinse la Corona a compiere al più presto un colpo di Stato. Si gridò all'offesa della proprietà, come se non si fosse mirato, con l'abolizione dei privilegi, a ristabilire la proprietà borghese. Se si fosse realmente voluto il moderno Stato costituzionale-borghese, si sarebbero senz'altro abolito i privilegi che ne impediscono lo sviluppo, anzi lo rendono impossibile, e non si sarebbe tenuto ai nastrini degli ordini equestri, che nell'epoca nostra non hanno più importanza, anzi nessun valore, che sono inutili giocattoli ed oltre ciò costano del denaro al già troppo gravato popolo.

Sì, signori giurati; io l'affermo ancora una volta: si sarebbe dovuto sin dal settembre rifiutare le imposte; ve ne era sin d'allora la maggiore urgenza, se si voleva veramente salvare la moderna società e si voleva farla finita con la società feudale.

Il Pubblico Ministero afferma inoltre che il rifiuto delle imposte mena direttamente alla guerra civile, all'anarchia.

Signori, l'anarchia esisteva già, prima ancora che si adottasse la risoluzione per il rifiuto delle imposte; l'anarchia esiste sempre, quando, come è il caso della Prussia, una minoranza cerca di mantenersi alla testa dello Stato, con l'uso della violenza. Il rifiuto delle imposte era l'unico mezzo per evitare una nuova rivoluzione; perciò l'Assemblea nazionale ricorse a quell'espediente. — Non date più da mangiare ai servitori della reazione e la loro resistenza svanirà presto. — Innanzi al bisogno economico si piegano anche i cannoni e divengono impotenti. Il rifiuto delle imposte è l'ultima ratio popolorum contro l'ultima ratio regum. Quando il potere dello Stato non vuol riconoscere la volontà della maggioranza, esso contrappone a questa volontà cannoni e baionette. Allora la maggioranza serra il borsellino e l'appetito richiamerà i recalcitranti alla ragione. Infatti il rifiuto delle imposte è l'unico mezzo pacifico per affermare la volontà popolare di fronte alla forza brutale. Infine il Pubblico Ministero a afferma che siamo andati oltre il segno degli stessi signori unificatori.

Vuoi forse il Pubblico Ministero affermare che l'Assemblea nazionale ha semplicemente deliberato e non ha voluto applicare le sue deliberazioni; che ha fatto per ischerzo? Non lo credo. Se si delibera qualche cosa, si deve anche aver in animo di applicarla, quindi noi accusati non siamo andati più in là dei signori unificatori. Se voi sapeste che un certo tale non ha diritto di togliervi il vostro denaro e questo tale vi acchiappa e vuol togliervi con la forza questo danaro, che cosa fate voi? Voi vi ponete sulla difensiva, difendete la vostra proprietà e colpite alla testa il vostro aggressore; è naturale. L'istessa cosa si ha col rifiuto dell'imposte. L'Assemblea nazionale aveva dichiarato che un Ministero reo di alto tradimento non ha più il diritto di esigere 1' imposte ed era quindi obbligo dì ogni buon cittadino di porsi sulla difensiva e di respingere una ingiusta aggressione alla sua proprietà. In tali casi in Inghilterra, si sbarra la propria casa e si tratta chiunque cerchi di penetrarvi come un ladro.

Signori, io son sicuro che voi riconoscerete il diritto di rifiutare le imposte e che perciò non troverere colpevoli noi, che cercammo di far valere questo diritto popolare dietro ingiunzione dei rappresentanti del popolo, non ostante la vittoria della controrivoluzione. Ma qualora non vorrete riconoscerlo, voi ci assolverete egualmente, perché il governo, forse per motivi politici, non ha fatto processare gli autori della, risoluzione, come dichiarava lo stesso signor Rintelen.

Il nostro processo ha qualche rassomiglianza con quello di Strasburgo del 1836. Anche allora il governo francese, per vedute politiche, lasciò libero l'accusato principale, oggi presidente della Repubblica francese, mentre mandò innanzi alle Assise quei cittadini ed ufficiali che ne avevano sostenuto i principii. I giurati di Strasburgo li dichiararono innocenti, alla unanimità, benché fossero stati presi con le armi alla mano.

Signori giurati, io non ho più niente da aggiungere alla mia difesa, poiché io son convinto che voi, riconosciate o no il diritto dell'Assemblea nazionale a rifiutare le imposte, risponderete unanimamente: no, alle accuse della Procura di Stato.


Ultima modifica 2018.09.08