Principi Elementari di Filosofia

Parte quarta

LO STUDIO DELLA DIALETTICA

1. Introduzione allo studio della dialettica

2. Prima legge della dialettica: il mutamento dialettico

3. Seconda legge della dialettica: l'azione reciproca

4. Terza legge della dialettica: la contraddizione

5. Quarta legge della dialettica: la trasformazione della quantità in qualità

 

 

 

 

Introduzione allo studio della dialettica

 

1. Precauzioni preliminari


Quando si parla di dialettica, lo si fa spesso in modo misterioso e presentandola come qualcosa di complicato. Sapendo male cosa sia, se ne parla anche a vanvera. Tutto questo è increscioso e fa commettere degli errori che occorrerebbe invece evitare. Preso in senso etimologico, il termine « dialettica » significa semplicemente l'arte di discutere, ed è cosi che si sente dire spesso di un uomo che discute abbondantemente e anche, per estensione, di colui che parla bene: è uno dialettico!

Non è in questo senso che studieremo la dialettica, che ha acquisito, dal punto di vista filosofico, un significato particolare. La dialettica nel suo senso filosofico, contrariamente a quanto si pensa, è alla portata di tutti, perché è una cosa molto chiara e senza mistero. Ma se la dialettica può essere compresa da tutti, racchiude ciononostante delle difficoltà; ed ecco come dobbiamo fare per comprenderle. Tra i lavori manuali, certi sono semplici, altri sono più complicati. Fare delle cassette da imballaggio, per esempio, è un lavoro semplice. Al contrario, montare una radio rappresenta un lavoro che richiede molta più abilità, precisione e agilità nelle dita. Le mani e le dita sono per noi degli strumenti di lavoro. Ma anche il pensiero è uno strumento di lavoro. E se le nostre dita non fanno sempre un lavoro di precisione, per il nostro cervello è la medesima cosa.

Nella storia del lavoro umano, l'uomo, all'inizio, non sapeva fare che lavori grossolani. Il progresso delle scienze gli ha permesso di fare lavori più precisi. È esattamente la medesima cosa per la storia del pensiero. La metafisica è il metodo di pensiero capace soltanto, come le nostre dita, di movimenti grossolani (quali inchiodare le casse o aprire i cassetti della metafisica).
La dialettica differisce da questo metodo perché permette una maggiore precisione. Non è altro che un metodo di pensiero di grande precisione. L'evoluzione del pensiero è stata uguale a quella del lavoro manuale. È la stessa storia e non vi è alcun mistero, tutto è chiaro in questa evoluzione. Le difficoltà che incontriamo provengono dal fatto che fino a venticinque anni inchiodiamo delle casse e che, improvvisamente, ci piazzano davanti delle radio da montare. È certo che avremo delle grosse difficoltà, che le nostre mani saranno pesanti, le nostre dita inabili. Soltanto poco a poco riusciremo a diventare più agili e a realizzare quel lavoro. Ciò che era molto difficile all'inizio ci sembrerà in seguito più semplice. Per la dialettica è lo stesso. Siamo ancora intralciati, impacciati dall'antico metodo di pensiero metafisico, e dobbiamo acquisire l'agilità, la precisione del metodo dialettico. Ma vediamo ancora una volta che non vi è nulla di misterioso né di molto complicato.

2. Da dove viene il metodo dialettico?

Sappiamo che la metafisica considera il mondo come un insieme di cose statiche e che, al contrario, se guardiamo la natura, vediamo che tutto si muove, che tutto cambia. Constatiamo la stessa cosa per quanto riguarda il pensiero. Da questa constatazione risulta quindi un disaccordo tra metafisica e realtà. Per cui, per dare una definizione semplice e fornire un'idea essenziale, si può dire: chi dice « metafisica » dice « immobilità » e chi dice « dialettica » dice « movimento ». Il movimento e il cambiamento che esistono in tutto ciò che ci circonda sono alla base della dialettica.
« Se sottoponiamo alla considerazione del nostro pensiero la natura o la storia umana ola nostra specifica attività spirituale, ci sì offre anzitutto il quadro di un infinito intreccio di nessi, di azioni reciproche, in cui nulla rimane quel che era, ma "tutto si muove, si cambia, nasce e muore. » (1)

Da questo testo di Engels estremamente chiaro vediamo che, dal punto di vista dialettico, tutto cambia, nulla rimane li dov'è, nulla rimane ciò che è, e, quindi, questo punto di vista è in perfetto accordo con la realtà. Nessuna cosa rimane al posto che occupa, perché anche ciò che ci appare immobile si muove; si muove con il movimento della terra intorno al sole e si muove nel movimento della terra su se stessa. In metafisica il principio di identità vuole che la cosa rimanga se stessa. Vediamo, al contrario, che nessuna cosa rimane ciò che è. Abbiamo l'impressione di rimanere sempre gli stessi e però, ci dice Engels, « gli stessi sono diversi ». Pensiamo di essere identici e siamo già cambiati. Da bambini che eravamo, siamo diventati uomini e gli uomini, fisicamente, non restano mai gli stessi: invecchiano ogni giorno. Quindi non è il movimento un'apparenza ingannevole, come sostenevano gli eleatici, ma è l'immobilità che è ingannevole poiché, in effetti, tutto si muove e cambia. Anche la storia ci dimostra che le cose non rimangono quelle che sono. In nessun momento la società è immobile. Prima c'è stata, nell'antichità, la società schiavistica, poi e è succeduta la società feudale, poi la società capitalistica. Lo studio di queste società ci mostra che, continuamente, impercettibilmente, gli elementi che hanno consentito la nascita di una società nuova si sono sviluppati in esse. Cosi la società capitalistica cambia ogni giorno e cosi pure ha smesso di esistere in URSS. Poiché nessuna società rimane immobile, la società socialista, edificata in Unione Sovietica, è destinata anch'essa a scomparire. Si trasforma già a vista d'occhio ed è per questo che i metafisici non capiscono ciò che avviene laggiù. Continuano a giudicare una società completamente trasformata con i criteri di uomini ancora sotto l'oppressione capitalistica.
I nostri stessi sentimenti si trasformano, cosa di cui ci rendiamo conto a fatica. Vediamo ciò che era una semplice simpatia trasformarsi in amore, poi degenerare talvolta in odio.

Ciò che vediamo dappertutto, nella natura, nella storia, nel pensiero, è il cambiamento e il movimento. È da questa constatazione che ha origine la dialettica. I greci sono rimasti colpiti di riscontrare ovunque il cambiamento e il movimento. Abbiamo visto che Eraclito, chiamato « il padre della dialettica », ci ha dato, per primo, una concezione dialettica del mondo, cioè ha descritto il mondo in movimento e non statico. Il modo di vedere di Eraclito può diventare un metodo. Ma questo metodo dialettico non ha potuto affermarsi che molto più tardi, e dobbiamo vedere perché la dialettica è stata a lungo dominata dalla concezione metafisica.

3. Perché la dialettica è stata a lungo dominata dalla concezione metafisica?


Abbiamo visto che la concezione dialettica era nata molto presto nella storia, ma che le insufficienti conoscenze degli uomini avevano consentito alla concezione metafisica di svilupparsi e di prendere il sopravvento sulla dialettica.
Possiamo qui fare un parallelo tra l'idealismo, nato dalla grande ignoranza degli uomini, e la concezione metafisica, nata dalle conoscenze insufficienti della dialettica.

Perché (e come) questo fu possibile?

Gli uomini hanno incominciato lo studio della natura in uno stato di completa ignoranza. Per studiare i fenomeni che constatano, cominciano col classificarli. Ma dal modo di classificare ne viene un'abitudine di pensiero. Stabilendo delle categorie e separandole le une dalle altre, la nostra mente si abitua ad effettuare simili separazioni e ritroviamo li le prime caratteristiche del metodo metafisico. Quindi è proprio dalla carenza di sviluppo delle scienze che proviene la metafisica. Ancora centocinquanta anni fa si studiavano le scienze separandole le une dalle altre. Si studiavano isolatamente la chimica, la fisica, la biologia e tra di loro non si vedeva nessun rapporto. Si continuava anche ad applicare questo metodo all'interno delle scienze: la fisica studiava il suono, il calore, il magnetismo, l'elettricità, ecc., e si pensava che questi diversi fenomeni non avessero nessun rapporto tra di loro; si studiava ognuno di essi in capitoli separati. Non si stenta qui a riconoscere la seconda caratteristica della metafisica, che vuole che non si riconoscano i rapporti tra le cose e che, tra di loro, non vi sia nulla in comune. Allo stesso modo, è più facile concepire le cose allo stato di riposo che in movimento. Prendiamo come esempio la fotografia: vediamo che, innanzitutto, si cerca di fissare le cose nella loro immobilità (la fotografia) e poi, solo in seguito, nel loro movimento (il cinema). Ebbene, la immagine della fotografia e del cinema è l'immagine dello sviluppo delle scienze e del pensiero umano. Studiamo le cose in riposo prima di studiarle in movimento. E questo perché? Perché non si conosceva altra via. Per imparare si è usato il modo più facile, dato che le cose immobili sono più facili da comprendere e da studiare. Certo, lo studio delle cose immobili è un momento necessario del pensiero dialettico, ma solamente un momento, insufficiente, frammentario e che occorre integrare nello studio delle cose in divenire. Ritroviamo questo processo per esempio nella biologia o nello studio della zoologia e della botanica. All'inizio si è incominciato a classificare gli animali (proprio perché non li si conosceva) in razze e in specie, pensando che tra queste non vi fosse nulla in comune e che era sempre stato così (terza caratteristica della metafisica). È da li che viene la teoria chiamata « fissismo » ((che afferma, contrariamente all'« evoluzionismo », che le specie animali sono sempre state quelle che sono, che non hanno avuto alcuna evoluzione), teoria che quindi è metafisica e che deriva da ignoranza.

4. Perché il materialismo del XVIII secolo era metafisico?

Sappiamo che la meccanica ha giocato un grande ruolo nel materialismo del XVIII secolo e che questo materialismo è spesso chiamato « materialismo meccanicistico ». A cosa lo si deve? Al fatto che la concezione materialistica è legata allo sviluppo di tutte le scienze e che, tra queste, la meccanica si è sviluppata per prima. Nel linguaggio corrente, la meccanica è lo studio delle macchine; nel linguaggio scientifico, è lo studio del movimento in quanto spostamento. E se la meccanica fu la scienza che si sviluppò per prima, è perché il movimento meccanico è il movimento piti semplice. Studiare il movimento di una mela quando il vento la fa dondolare su di un melo è molto più facile che studiare il cambiamento che avviene nella mela che matura. Si può studiare più facilmente l'effetto del vento sulla mela che la sua maturazione. Ma questo studio è « parziale » e apre così la strada alla metafisica. Pur osservando che tutto è movimento, i greci antichi non poterono sfruttare questa osservazione, perché il loro sapere era insufficiente. Allora si osservano le cose e i fenomeni, si classifica, ci si accontenta di studiare lo spostamento: di lì la meccanica; e l'insufficienza delle conoscenze nelle scienze dà origine alla concezione metafisica.

Sappiamo che il materialismo è sempre basato sulle scienze e che nel XVIII secolo la scienza era dominata dallo spirito metafisico. Di tutte le scienze, la scienza più evoluta a quell'epoca era la meccanica.
« Per questo era inevitabile — dirà Engels — che il materialismo del XVIII secolo fosse un materialismo metafisico e meccanicistico, perché le scienze erano così. »
Diremo dunque che questo materialismo metafisico e meccanicistico era da un lato materialistico, in quanto rispondeva davanti al problema fondamentale della filosofia che il primo fattore è la materia, ma dall'altro era metafisico, perché considerava l'universo come un insieme di cose statiche e meccaniche, perché studiava e vedeva ogni cosa attraverso la meccanica.
Ma in seguito si arriverà, con l'ampliarsi delle ricerche, a constatare che le scienze non sono immobili; ci si accorgerà che in esse sono avvenute delle trasformazioni. Dopo aver separato la chimica dalla biologia e dalla fisica, ci si accorgerà che diventa impossibile trattare l'una o l'altra separatamente. Infatti, lo studio della digestione, campo della biologia, diventa impossibile senza la chimica. Verso il XIX secolo ci si accorgerà dunque che le scienze sono legate tra di loro, e ne deriverà un regresso dello spirito metafisico, perché si avrà una conoscenza più approfondita della natura. Fino allora si erano studiati separata mente i fenomeni della fisica; adesso si era costretti a constatare che tutti questi fenomeni sono della stessa natura. Cosi l'elettricità e il magnetismo, studiati una volti separatamente, sono oggi riuniti in una scienza unica l' elettromagnetismo. Studiando i fenomeni del suono e del calore ci si è inoltre accorti che tutti e due erano nati da un fenomeno della stessa natura. Picchiando con un martello si ottiene un suono e si produce del calore. È il movimento che produce calore e il suono altro non è che vibrazioni nell'aria; le vibrazioni sono esse pure movimento. Ecco dunque due fenomeni della stessa natura.

In biologia si è giunti, con classificazioni sempre più minuziose, a trovare delle specie che non si potevano classificare né tra i vegetali né tra gli animali. Non vi era quindi alcuna separazione netta tra vegetali e animali. Approfondendo sempre di più gli studi, si è giunti a concludere che gli animali non erano sempre stati quelli che sono. I fatti hanno condannato il fissismo e lo spirito metafisico. È nel corso del XIX secolo che è avvenuta la trasformazione che ha permesso al materialismo di diventare dialettico. La dialettica è lo spirito delle scienze che, sviluppandosi, hanno abbandonato la concezione metafisica. Il materialismo ha potuto trasformarsi proprio perché le scienze sono cambiate. Alle scienze metafisiche corrisponde il materialismo metafisico e alle scienze nuove corrisponde un materialismo nuovo, il materialismo dialettico.

5. Com'è nato il materialismo dialettico: Hegel e Marx

Se chiediamo come è avvenuta la trasformazione dal materialismo metafisico al materialismo dialettico, ci viene generalmente risposto:

1. C'era il materialismo metafisico, quello del. XVIII secolo.

2. Le scienze sono cambiate.

3. Sono intervenuti Marx e Engels; hanno tagliato in due il materialismo metafisico: abbandonando la metafisica, hanno conservato il materialismo e vi hanno aggiunto la dialettica.

Se abbiamo tendenza a presentare le cose in questo modo, questo deriva dal metodo metafisico, che vuole che si semplifichino le cose e che se ne. faccia uno schema. Invece dobbiamo avere continuamente in mente che i fatti della realtà non devono mai essere schematizzati. I fatti sono più complicati di quanto sembrino a prima vista e di quanto pensiamo. Perciò la trasformazione del materialismo metafisico in materialismo dialettico non è cosi semplice. In realtà, la dialettica fu sviluppata da un filosofo idealista tedesco, Hegel (1770-1831), che seppe capire il cambiamento avvenuto nelle scienze. Riprendendo la vecchia idea di Eraclito, egli constatò, aiutato in questo dai progressi scientifici, che nell'universo tutto è movimento e cambiamento, che nulla è isolato ma che tutto dipende da tutto, e cosi creò la dialettica. Grazie a Hegel, oggi possiamo parlare di movimento dialettico del mondo. Ciò che Hegel ha innanzitutto afferrato è il movimento del pensiero e l'ha chiamato, naturalmente, dialettica. Ma Hegel è idealista, cioè dà rilievo preponderante allo spirito e, quindi, si fa una concezione particolare del movimento e del cambiamento. Pensa che siano i cambiamenti dello spirito a provocare i cambiamenti della materia. Per Hegel, l'universo è l'idea materializzata e, prima dello universo, vi è innanzitutto lo spirito che scopre l'universo. In breve, egli constata che lo spirito e l'universo sono in perenne cambiamento ma ne conclude che i cambiamenti dello spirito determinano i cambiamenti della materia. Esempio: l'inventore ha un'idea, realizza la sua idea ed è questa idea materializzata che crea cambiamenti nella materia.

Hegel è quindi davvero dialettico, pur subordinando la dialettica all'idealismo. È a questo punto che Marx '(1818-1883) e Engels (1820-1895), discepoli di Hegel, ma discepoli materialisti che attribuivano importanza primaria alla materia, pensano che la dialettica di Hegel dia risultati corretti se rovesciata. Engels dirà a questo proposito: con Hegel la dialettica poggiava sulla testa, occorreva rimetterla sui piedi. Marx e Engels trasferiscono dunque alla realtà materiale la causa iniziale del movimento del pensiero definito da Hegel e lo chiamano naturalmente dialettica, prendendo a prestito lo stesso termine.

Pensiamo che Hegel abbia ragione di dire che pensiero e universo sono in perpetuo cambiamento ma che sbagli quando afferma che sono i cambiamenti nelle idee a determinare i cambiamenti nelle cose. Al contrario, sono le cose che ci danno le idee e le idee si modificano perché le cose si modificano. Una volta si viaggiava in diligenza. Oggi viaggiamo in ferrovia. Non è perché abbiamo l'idea di viaggiare in ferrovia che questo mezzo di locomozione esiste. Le nostre idee si sono modificate perché le cose si sono modificate.
Dobbiamo perciò evitare di dire: « Marx e Engels possedevano da un lato il materialismo, nato dal materialismo francese del XVIII secolo, dall'altro la dialettica di Hegel; quindi non avevano che da collegare l'uno all'altra ». Questa è una concezione semplicistica, schematica, che dimentica quanto i fenomeni siano in realtà più complessi; è una concezione metafisica. Marx e Engels prenderanno, è certo, la dialettica da Hegel, ma la trasformeranno. Faranno lo stesso con il materialismo e ci daranno quindi il materialismo dialettico.

 

Prima legge della dialettica: il mutamento dialettico

 

 

1. Cosa si intende per movimento dialettico

La prima legge della dialettica incomincia col constatare che « nulla rimane li dov'è, nulla rimane ciò che è ». Chi dice dialettica dice movimento, mutamento. Quindi, quando si parla di mettersi dal punto di vista della dialettica, ciò significa mettersi dal punto di vista del movimento, del mutamento: quando avremo intenzione di studiare le cose secondo la dialettica, le studieremo nei loro movimenti, nel loro mutamento. Ecco una mela. Abbiamo due modi di studiare questa mela: da un lato dal punto di vista metafisico, dall'altro dal punto di vista dialettico. Nel primo caso daremo una descrizione di questo frutto, della sua forma, del suo colore. Enumereremo le sue proprietà, parleremo del suo sapore, ecc. Poi potremo paragonare la mela con una pera, vedere le loro somiglianze, le loro differenze e infine concludere: una mela è una mela e una pera è una pera. Cosi si studiavano le cose una volta; numerosi libri lo testimoniano.

Se vogliamo studiare la mela da un punto di vista dialettico, ci metteremo a livello del movimento; non del movimento della mela quando rotola e si sposta, ma del movimento della sua evoluzione. Allora constateremo che la mela matura non è sempre stata quella che è. Prima era una mela verde. Prima di essere un fiore era un bocciolo; e così risaliremo fino allo stato del melo al tempo della primavera. La mela non è quindi sempre stata una mela, ha una storia; e, allo stesso modo, non rimarrà quella che è. Se cade, marcirà, si decomporrà, libererà i suoi semi che daranno, se tutto va bene, un germoglio, poi un albero. Quindi la mela non è sempre stata quella che è, e tantomeno rimarrà sempre quella che è.
Ecco quello che si chiama studiare le cose dal punto di vista del movimento. È lo studio dal punto di vista del passato e dell'avvenire. Studiando in questo modo non si vede più la mela presente che come una transizione tra quella che era, il passato, e quella che diventerà, l'avvenire. Per meglio collocare questo modo di vedere le cose, prenderemo ancora due esempi: la terra e la società.

Mettendoci a livello metafisico, descriveremo la forma della terra in ogni suo dettaglio. Constateremo che alla sua superficie vi sono dei mari, delle terre, delle montagne; studieremo la natura del suolo. Poi potremo paragonare la terra agli altri pianeti o alla luna, e infine concluderemo dicendo: la terra è la terra. Mentre, se studiamo la storia della terra dal punto di vista dialettico, vediamo che questa non fu sempre quella che è, che ha subito delle trasformazioni e che, quindi, ne subirà altre in avvenire. Dobbiamo dunque oggi considerare che lo stato attuale della terra non è che una transizione tra i cambiamenti passati e i cambiamenti a venire. Transizione durante la quale i cambiamenti che avvengono sono impercettibili, pur essendo su scala molto più ampia di quelli che avvengono nella maturazione della mela.
Vediamo ora l'esempio della società, che interessa in particolar modo i marxisti. Applichiamo sempre i due metodi: dal punto dì vista metafisico, ci diranno che ci sono sempre stati ricchi e poveri. Si constaterà che esistono grandi banche e enormi fabbriche. Si darà una spiegazione dettagliata della società capitalistica, che si paragonerà alle società passate (feudale, schiavistica), cercando somiglianze e differenze, e ci si sentirà dire: la società capitalistica è quella che è. Dal punto di vista dialettico, impareremo che la società capitalistica non è sempre stata quella che è. Se constatiamo che nel passato, altre società hanno vissuto la loro epoca, sarà per dedurne che la società capitalistica, come tutte le società, non è definitiva, non ha una base intangibile ma, al contrario, non è che una realtà provvisoria, una transizione tra il passato e l'avvenire. Con questi pochi esempi vediamo che considerare le cose da un punto di vista dialettico significa considerare ogni cosa come provvisoria, come qualcosa che ha una storia nel passato e che deve" avere una storia nell'avvenire, che ha un inizio e che deve perciò avere una fine...

2. « Per la dialettica non vi è nulla di definitivo, di assoluto, di sacro »

« Per la dialettica non vi è nulla di definitivo, di assoluto, di sacro; di tutte le cose e in tutte le cose essa mostra la caducità, e null'altro esiste per essa all'infuori del processo ininterrotto del divenire e del perire. »
Ecco una definizione che sottolinea ciò che abbiamo esaminato e che studieremo: « Per la dialettica non vi è nulla di definitivo ».
Ciò significa che, per la dialettica, ogni cosa ha un passato e avrà un avvenire; che, di conseguenza, non è tale una volta per tutte e che ciò che è oggi non è definitivo (esempi della mela, della terra, della società).
Per la dialettica non esiste nessun potere al mondo né al di fuori del mondo in grado di fissare le cose in uno stato definitivo, quindi «niente di assoluto» (assoluto significa: che non è sottoposto a nessuna condizione; quindi universale, eterno, perfetto).

«Nulla di sacro »: questo non significa che la dialettica disprezzi tutto. No! Una cosa sacra è una cosa che si considera immutabile, che non si deve né toccare, né discutere, ma soltanto venerare. La società capitalistica è « sacra », per esempio. Ebbene, la dialettica dice che nulla sfugge al movimento, al mutamento, alle trasformazioni della storia.

« Caducità » viene da caduco, che significa « che cade »; una cosa caduca è una cosa che invecchia e che deve scomparire. La dialettica ci mostra che ciò che è caduco non ha più motivo di essere, che ogni cosa è destinata a scomparire. Ciò che è giovane diventa vecchio; ciò che è in vita oggi muore domani e nulla esiste, per la dialettica, tranne il « processo ininterrotto del divenire e del perire ».
Quindi mettersi sulla linea dialettica equivale a considerare che nulla è eterno, tranne il mutamento. È considerare che nessuna cosa può essere eterna, tranne il « divenire ».

Ma cos'è il « divenire » di cui parla Engels nella sua definizione? Abbiamo visto che la mela ha una storia. Prendiamo adesso per esempio una matita, che ha anch'essa una sua storia. Questa matita, che oggi mostra i segni dell'uso, è stata nuova. Il legno di cui è fatta proviene da un blocco di legno e questo blocco proviene da un albero. Vediamo dunque che la mela e la matita hanno ognuna una storia e che l'uria e l'altra non sono sempre state ciò che sono. Ma vi è differenza tra queste due storie? Certo!
La mela verde è diventata matura. Poteva, essendo verde, se tutto fosse andato bene, non diventare matura? No, doveva maturare, così come, cadendo in terra, deve marcire, decomporsi, liberare i suoi semi. L'albero da cui viene la matita può invece non diventare blocco, e questo blocco può non diventare matita. La matita può, a sua volta, rimanere sempre intera, non essere temperata. Constatiamo dunque una differenza tra queste due Storie. Per la mela, è la mela verde che è diventata matura, se nulla di anormale è intervenuto, ed è il fiore che è diventato mela. Quindi, ad un dato momento di sviluppo ne segue un altro, necessariamente, inevitabilmente (se nulla interrompe la sua evoluzione). Al contrario, nella storia della matita, l'albero può non diventare un blocco di legno, il blocco può non diventare una matita e la matita può non essere temperata. Quindi, ad un dato momento di sviluppo, non ne segue necessariamente un altro. Se la storia della matita percorre tutte queste fasi è grazie a un intervento estraneo: quello dell'uomo. Nella storia della mela troviamo delle fasi che si succedono l'un l'altra, la seconda dalla prima, ecc. Essa segue il « divenire » di cui parla Engels. In quella della matita, le fasi si giustappongono, senza derivare una dall'altra. E tutto questo perché solo la mela segue un processo naturale.

3. Il processo

Questa parola viene dal latino e vuol dire « cammino in avanti », ovvero l'avanzare, il progredire. Per quale motivo la mela diventa matura? A causa di quello che contiene. A causa di concatenamenti interni che la spingono a maturare; è perché era già mela prima ancora di essere matura e perciò non poteva non maturare. Quando si esamina il fiore che diventerà mela, poi la mela verde che diventerà matura, si constata che questi concatenamenti interni, che spingono la mela nella sua evoluzione, agiscono sotto il dominio di forze interne chiamate autodinamismo, parola che significa: forza che viene dalla cosa stessa. Quando la matita era ancora blocco di legno, è stato necessario l'intervento dell'uomo per farlo diventare matita, perché mai il blocco si sarebbe trasformato da sé in matita. Non vi sono state forze interne, né autodinamismo, né processo. Quindi chi dice dialettica dice non solo movimento, ma anche autodinamismo. Vediamo dunque che il movimento dialettico contiene in sé il suo processo, l'autodinamismo, che costituisce la sua essenza, poiché ogni mutamento o movimento non è necessariamente dialettico. Se prendiamo una pulce, che studieremo dal punto di vista dialettico, diremo che non è sempre stata quella che è e che non sarà sempre quella che è: se la schiacciamo, certo, ci sarà per lei un mutamento, ma tale mutamento sarebbe forse dialettico? No. Senza il nostro intervento non sarebbe stata schiacciata. Questo mutamento non è quindi dialettico, ma meccanico.
Dobbiamo dunque stare bene attenti quando parliamo del mutamento dialettico. Riteniamo che, se la terra continua ad esistere, la società capitalistica sarà sostituita dalla società socialista, poi da quella comunista. Sarà un mutamento dialettico. Ma se la terra esplode, la società capitalistica sparirà non a causa di un mutamento autodinamico, ma a causa di un cambiamento meccanico.
In un altro ordine di idee, diciamo che vi è una disciplina meccanica quando questa disciplina non è naturale. Ma è autodinamica quando è liberamente consentita, cioè quando viene dal suo ambiente naturale. Una disciplina meccanica è imposta dall'esterno; è una disciplina dettata da capi che restano distinti da coloro che sono comandati. (Capiamo allora quanto la disciplina non meccanica, la disciplina autodinamica, non sia alla portata di tutte le organizzazioni!)
Dobbiamo quindi evitare di servirci della dialettica in modo meccanico. Si tratta di una tendenza che ci viene dalla nostra abitudine metafisica di ragionare. Non bisogna ripetere come un pappagallo che le cose non sono sempre state quelle che sono. Quando un dialettico dice questo, deve cercare nei fatti quello che le cose sono state prima. Perché dire questo non è la fine di un ragionamento, ma l'inizio degli studi per osservare minuziosamente quello che le cose erano prima.
Marx, Engels, Lenin hanno fatto lunghi e dettagliati studi su ciò che era la società capitalistica prima di loro. Hanno analizzato i più piccoli dettagli per rilevare i mutamenti dialettici. Lenin, per descrivere e criticare i mutamenti della società capitalistica, per analizzare il periodo imperialistico, ha fatto studi molto precisi e consultato numerose statistiche.
Quando parliamo di autodinamismo, non dobbiamo neppure farne una espressione letteraria, ma dobbiamo usare questa parola avendo coscienza di quello che si dice e a chi lo si dice. Infine, dopo aver visto, studiando una cosa, quali sono i suoi mutamenti autodinamici e dopo aver rilevato quale mutamento è stato riscontrato, occorre studiare, cercare per quale ragione è autodinamico.
È per questo che dialettica, ricerche e scienze sono strettamente legate.

La dialettica non è un modo di spiegare e di conoscere le cose senza averle studiate, ma il modo di studiare con cura e di compiere buone osservazioni ricercando l'inizio e la fine delle cose, da dove vengono e dove vanno.

 

Seconda legge della dialettica: l'azione reciproca

 

1. Il concatenamento dei processi

A proposito della storia della mela, abbiamo appena visto che si tratta di un processo. Riprendiamo quell'esempio. Abbiamo cercato da dove veniva la mela e abbiamo dovuto, nelle nostre ricerche, risalire fino all'albero. Ma questo problema di ricerca si pone anche per l'albero. Lo studio della mela ci conduce allo studio delle origini e del destino dell'albero. Da dove viene l'albero? Dalla mela. Viene da una mela che è caduta, che è marcita in terra e che ha fatto nascere un germoglio e questo ci conduce a studiare il terreno, le condizioni nelle quali i semi della mela hanno potuto dare un germoglio, le influenze dell'aria, del sole, ecc. Cosi, partendo dallo studio della mela, ci troviamo a dover esaminare il suolo, passando dal processo della mela a quello dell'albero, e questo processo si collega a sua volta a quello del suolo. Abbiamo visto quel che si chiama un « concatenamento di processi ». Questo ci consentirà di enunciare e di studiare la seconda legge della dialettica: la legge dell'azione reciproca. Prendiamo come esempio di concatenamento di processi, dopo l'esempio della mela, quello dell'Università operaia di Parigi. Se studiamo questa scuola dal punto di vista dialettico, ricercheremo da dove viene e avremo la prima risposta: nell'autunno del 1932 dei compagni si sono riuniti e hanno deciso di fondare a Parigi un'Università operaia per studiare il marxismo. Ma come mai questo comitato ha avuto l'idea di studiare il marxismo? Evidentemente perché il marxismo esiste. Ma allora, da dove viene il marxismo?

Vediamo che la ricerca del concatenamento dei processi ci porta a studi minuziosi e completi. E ancora: nel ricercare da dove viene il marxismo, saremo portati a constatare che questa dottrina è la coscienza stessa del proletariato; vediamo (che si sia pro o contro il marxismo) che il proletariato dunque esiste; e allora porremo di nuovo la domanda: da dove viene il proletariato?
Abbiamo visto che proviene da un sistema economico: il capitalismo. Sappiamo che la divisione della società in classi non è nata, come lo pretendono i nostri avversari, dal marxismo, ma, al contrario, che il marxismo constata l'esistenza della lotta di classe e attinge la sua forza nel proletariato già esistente. Dunque, di processo in processo, arriveremo all'esame delle condizioni di esistenza del capitalismo. Abbiamo così un concatenamento di processi che ci dimostra che tutto influisce su tutto. È la legge dell'azione reciproca.
Dopo questi due esempi, quello della mela e quello dell'Università operaia di Parigi, vediamo come avrebbe proceduto un metafisico.
Nell'esempio della mela avrebbe solo potuto pensare: « Da dove viene la mela? ». E sarebbe rimasto soddisfatto della risposta: « La mela viene dall'albero ». Non avrebbe cercato oltre. Per l'Università operaia si sarebbe accontentato di dire, sulla sua origine, che venne fondata da un gruppo di uomini che volevano « corrompere il popolo francese » o altre fandonie...
Ma il dialettico, al contrario, vede tutti i concatenamenti dei processi che sboccano da una parte nella mela, dall'altra nell'Università operaia. Il dialettico collega il fatto particolare, il dettaglio, all'insieme. Collega la mela all'albero e risale più oltre, fino alla natura nel suo insieme. La mela non è soltanto il frutto del melo, ma anche il frutto di tutta la natura.

L'Università operaia non è soltanto « frutto » del proletariato, ma anche « frutto » della società capitalistica. Vediamo dunque che, contrariamente al metafisico che concepisce il mondo come un insieme dì cose statiche, il dialettico vedrà il mondo come un insieme di processi. E se il punto di vista dialettico è vero per la natura e per le scienze, è vero anche per la società.
« Il vecchio metodo di indagine e di pensiero, che Hegel chiamava "metafisico", e che si occupava prevalentemente di indagare le cose considerandole come oggetti fissi determinati [...] ebbe, a suo tempo, una grande giustificazione storica. » Quindi, a quell'epoca si studiava ogni cosa e la società come un insieme di « oggetti fissi determinati », che non solo non cambiano ma, soprattutto per quello che riguarda la società, non erano visti come destinati a scomparire. Engels segnala l'importanza capitale della dialettica, questa «grande idea fondamentale, secondo la quale il mondo non deve essere concepito come un complesso di cose compiute, ma come un complesso di processi, in cui le cose in apparenza stabilite, non meno dei loro riflessi intellettuali nella nostra testa, i concetti, attraversano un ininterrotto processo di origine e di decadenza, attraverso il quale, malgrado tutte le apparenti casualità e malgrado ogni regresso momentaneo, si realizza, alla fine, un progresso continuo». Nemmeno la società capitalistica, quindi, deve essere considerata un «complesso di cose compiute», ma, al contrario, deve essere studiata come un complesso di processi.

I metafisici si rendono conto che la società capitalistica non è sempre esistita e dicono che ha una storia, ma pensano che, dal momento in cui è apparsa, ha finito dà evolversi e rimarrà d'ora in poi «fissa». Considerano tutte le cose compiute e non come l'inizio di un nuovo processo. Il racconto della creazione del mondo fatta da Dio è una spiegazione del mondo come complesso di cose compiute. Dio ha fatto ogni giorno un lavoro compiuto. Ha fatto le piante, gli animali, l'uomo, una volta per tutte; di lì la teoria del fissismo.

La dialettica ragiona nel modo opposto. Non considera le cose in quanto oggetti « fissi » ma « in movimento ». Per la dialettica, nessuna cosa si trova ad essere compiuta; è sempre la fine di un processo e l'inizio di un altro processo, sempre in via di trasformazione, di sviluppo. Per questo siamo così certi della trasformazione della società capitalistica in società socialista. Poiché nulla è definitivamente compiuto, la società capitalistica è la fine di un processo al quale succederà la società socialista, poi la società comunista e cosi di seguito; vi è e vi sarà continuamente uno sviluppo. Ma bisogna fare attenzione a non considerare la dialettica come qualcosa di fatale da cui si potrebbe concludere: «Dato che siete così sicuri del cambiamento che desiderate, perché lottate? ». Perché, come dice Marx, per far nascere la società socialista occorrerà una levatrice; di qui la necessità della rivoluzione, dell'azione.
Le cose non sono infatti così semplici. Non bisogna dimenticare il ruolo degli uomini, che possono anticipare o ritardare questa trasformazione (rivedremo questo punto nel cap. V di questa parte, quando parleremo del materialismo storico).
Ciò che constatiamo attualmente è l'esistenza in ogni cosa di un concatenamento di processi prodotti dalla forza interna delle cose (l'autodinamismo). Il fatto è che per la dialettica (insistiamo su questo punto) nulla è compiuto. Occorre considerare lo sviluppo delle cose come se non vi fosse mai una scena finale. Alla fine di una rappresentazione teatrale del mondo, comincia il primo atto di un'altra rappresentazione. A dire il vero, questo primo atto era già cominciato all'ultimo atto della rappresentazione precedente...

2. Le grandi scoperte del XIX secolo


Ciò che ha determinato l'abbandono dello spirito metafisico ed ha obbligato gli scienziati, e quindi anche Marx e Engels, a considerare le cose nel loro movimento dialettico sono, lo sappiamo, le scoperte fatte nel XIX secolo. Sono soprattutto tre grandi scoperte di quest'epoca, segnalate da Engels nel suo libro su Ludivig Feuerbach, che hanno fatto progredire la dialettica.

La scoperta della cellula vivente e del suo sviluppo (2). Prima di questa scoperta si era preso come base di ragionamento il fissismo. SÌ consideravano le specie come estranee le mie alle altre. In più, si distingueva nettamente da un lato il regno animale, dall'altro il regno vegetale. Poi giunse questa scoperta, che permise di precisare l'idea di « evoluzione » che i pensatori e gli scienziati del XVIII secolo avevano già messo in circolazione, e che permise di capire che la vita è fatta di una successione di morti e di nascite e che ogni essere vivente è un'associazione di cellule. Questa constatazione non lascia più sussistere alcuna frontiera tra gli animali e le piante e respinge così la concezione metafisica .

La scoperta della trasformazione dell'energia. Una volta la scienza credeva che il suono, il calore, la luce fossero completamente estranei gli uni agli altri. Ma a un certo punto si scopre che tutti questi fenomeni possono trasformarsi gli uni negli altri, che vi sono dei concatenamenti di processi tanto nella materia inerte quanto nella natura vivente. Questa rivelazione è un altro colpo inferto allo spirito metafisico.

La scoperta dell'evoluzione nell'uomo e negli animali. Darwin, dice Engels, dimostra che tutti i prodotti della natura sono l'esito di un lungo processo di sviluppo di piccoli organismi unicellulari all'origine: tutto è il risultato di un lungo processo che ha per origine la cellula. E Engels conclude che, grazie a queste tre grandi scoperte, possiamo seguire il concatenamento di tutti i fenomeni della natura, non soltanto all'interno dei differenti campi, ma anche tra i differenti campi.

Sono dunque le scienze che hanno permesso l'enunciazione di questa seconda legge di azione reciproca. Tra i regni vegetale, animale, minerale non vi è nessuna interruzione, ma soltanto dei processi; tutto si concatena. E questo è vero anche per la società. Le diverse società che hanno attraversato la storia degli uomini devono essere considerate come un continuo concatenamento di processi, in cui l'una è stata necessariamente prodotta da quella che l'ha preceduta. Dobbiamo quindi ricordare che la scienza, la natura, la società debbono essere viste come un concatenamento di processi e il motore che agisce per produrre questo concatenamento è l'autodinamismo.

3. Lo sviluppo storico o sviluppo a spirale

Se esaminiamo un po' più da vicino il processo che incominciamo a conoscere, vediamo che la mela è il risultato di un concatenamento di processi. Da dove viene la mela? La mela viene dall'albero. Da dove viene l'albero? Dalla mela. Possiamo dunque pensare che abbiamo un circolo vizioso nel quale giriamo per tornare sempre allo stesso punto. Albero, mela. Mela, albero. Stessa cosa se prendiamo l'esempio dell'uovo e della gallina. Da dove viene l'uovo? Dalla gallina. Da dove viene la gallina? Dall'uovo. Se consideriamo le cose a questo modo, non si tratterebbe di un processo, ma di un cerchio; e quest'apparenza ha, d'altra parte, fornito l'idea dell'« eterno ritorno »: cioè che torneremmo sempre allo stesso punto, al punto di partenza.

Ma vediamo esattamente come si pone il problema.


1. Ecco una mela.
2. Questa, marcendo, genera un albero o degli alberi.
3. Ogni albero non dà una sola mela, ma delle mele. Non torniamo quindi allo stesso punto di partenza;
torniamo alla mela, ma su di un altro piano. Così, se partiamo dall'albero avremo:
1. Un albero che dà
2. delle mele e queste mele daranno
3. degli alberi.
Anche qui torniamo all'albero, ma su di un altro piano. Il punto di vista si è allargato.
Quindi non abbiamo un cerchio, come le apparenze tendevano a farci credere, ma un processo di sviluppo che chiameremo uno sviluppo storico. La storia mostra che il tempo non passa senza lasciare traccia. Il tempo passa ma non sono le stesse situazioni che tornano. Il mondo, la natura, la società costituiscono uno sviluppo che è storico, uno sviluppo che, nel linguaggio filosofico, viene chiamato « a spirale ».
Ci si serve di questa immagine per fissare le idee; è un esempio per illustrare il fatto che le cose si evolvono secondo un processo circolare, ma non tornano al punto di partenza, si «presentano un pochino piti in alto, su un altro piano; e cosi di seguito, in modo da formare una spirale ascendente. Quindi il mondo, la natura, la società hanno uno sviluppo vizioso nel quale giriamo per tornare sempre allo stesso punto. Albero, mela. Mela, albero. Stessa cosa se prendiamo l'esempio dell'uovo e della gallina. Da dove viene l'uovo? Dalla gallina. Da dove viene la gallina? Dall'uovo. Se consideriamo le cose a questo modo, non si tratterebbe di un processo, ma di un cerchio; e quest'apparenza ha, d'altra parte, fornito l'idea dell'« eterno ritorno »: cioè che torneremmo sempre allo stesso punto, al punto di partenza.
Ma vediamo esattamente come si pone il problema.
1. Ecco una mela.
2. Questa, marcendo, genera un albero o degli alberi.
3. Ogni albero non dà una sola mela, ma delle mele. Non torniamo quindi allo stesso punto di partenza;
torniamo alla mela, ma su di un altro piano. Così, se partiamo dall'albero avremo:
1. Un albero che dà
2. delle mele e queste mele daranno
3. degli alberi.
Anche qui torniamo all'albero, ma su di un altro piano. Il punto di vista si è allargato.
Quindi non abbiamo un cerchio, come le apparenze tendevano a farci credere, ma un processo di sviluppo che chiameremo uno sviluppo storico. La storia mostra che il tempo non passa senza lasciare traccia. Il tempo passa ma non sono le stesse situazioni che tornano. Il mondo, la natura, la società costituiscono uno sviluppo che è storico, uno sviluppo che, nel linguaggio filosofico, viene chiamato « a spirale ».
Ci si serve di questa immagine per fissare le idee; è un esempio per illustrare il fatto che le cose si evolvono secondo un processo circolare, ma non tornano al punto di partenza, si «presentano un pochino piti in alto, su un altro piano; e cosi di seguito, in modo da formare una spirale ascendente.
Quindi il mondo, la natura, la società hanno uno sviluppo storico (a spirale) e ciò che anima questo sviluppo è, non dimentichiamolo, l'autodinamismo.

4. Conclusioni

Nei primi capitoli sulla dialettica abbiamo studiato le due prime leggi: quella del mutamento e quella dell' azione reciproca. Era indispensabile per poter affrontare lo studio della legge di contraddizione, perché è questa che ci consentirà di capire la forza che anima il « mutamento dialettico », l'autodinamismo.

Nel primo capitolo, relativo allo studio della dialettica, abbiamo visto perché questa teoria era stata lungamente dominata dalla concezione metafisica e perché il materialismo del XVIII secolo era metafisico. Capiamo meglio ndesso, dopo aver rapidamente esaminato le tre grandi scoperte del XIX secolo, che hanno permesso al materialismo di svilupparsi fino a divenire dialettico, perché era necessario che la storia della filosofia attraversasse i tre grandi periodi che conosciamo: 1) materialismo dell'antichità (teoria degli atomi); 2) materialismo del XVIII secolo (meccanici-stico e metafisico) per giungere, infine, 3) al materialismo dialettico.
Avevamo affermato che il materialismo era nato dalle scienze e legato ad esse. Possiamo vedere, dopo questi tre capitoli, quanto questo sia vero. Abbiamo visto in que-sto studio del movimento e del mutamento dialettici, poi della legge di azione reciproca, che tutti i nostri ragionamenti sono basati sulle scienze.
Oggi che le ricerche scientifiche sono specializzate al massimo e che gli scienziati (ignorando in genere il materialismo dialettico) non possono spesso neppure capire la importanza delle loro scoperte specifiche rispetto all'insieme delle scienze, il ruolo della filosofia (la cui missione è come abbiamo detto, di dare una spiegazione del mondo e dei problemi più generali) e il compito in particolare del materialismo dialettico sono di dare ordine a tutte le scoperte specifiche di ogni scienza per farne una sintesi, ed elaborare così una teoria che ci renda sempre più, come diceva Cartesio, « padroni e signori della natura »


 

 

 

Terza legge della dialettica: la contraddizione

 

Abbiamo visto che la dialettica considera le cose in perpetuo cambiamento, evolvendosi continuamente, cioè subendo un movimento dialettico (la legge). Questo movimento dialettico è possibile perché ogni cosa, al momento in cui la studiamo, non è. altro che un risultato, cioè un concatenamento di processi che hanno origine gli uni dagli altri. E, spingendo il nostro studio più avanti, abbiamo visto che questo concatenamento di processi si sviluppa necessariamente nel tempo in un movimento progressivo « malgrado ogni inversione momentanea ». Abbiamo chiamato questo sviluppo uno « sviluppo storico » o « a spirale » e sappiamo che questo sviluppo genera se stesso, per un fenomeno di autodinamismo.
Ma quali sono le leggi dell'autodinamismo? Quali sono le leggi che permettono alle diverse fasi di prodursi? Sono le « leggi del movimento dialettico ». La dialettica ci insegna che le cose non sono eterne: hanno un inizio, una maturità, una vecchiaia che termina con una fine, una morte. Tutte le cose sono sottoposte a queste fasi: nascita, maturità, vecchiaia, fine. Perché questo? Perché le cose non sono eterne? Si tratta di una vecchia questione che ha sempre appassionato d'umanità. Perché dobbiamo morire? Non si capisce questa necessità e gli uomini, nel corso della storia, hanno sognato la vita eterna, i mezzi per cambiare questo stato di fatto; nel medioevo, per esempio, inventando delle bevande magiche (elisir della giovinezza o di lunga vita). Perché, dunque, ciò che nasce è costretto a morire? Ecco una grande legge della dialettica che dovremo confrontare, per capirla, con la metafisica.

1. La vita e la morte

Dal punto di vista metafisico si considerano le cose in modo isolato, prese in se stesse e, poiché la metafisica studia le cose in tale maniera, le considera unilateralmente, cioè da un solo lato. Per questo si può dire di quelli che vedono le cose da un solo lato che sono metafisici. In breve, quando un metafisico esamina il fenomeno che si chiama vita, lo fa senza collegarlo ad un altro. Vede la vita per se stessa e in se stessa, in maniera unilaterale. La vede da un solo lato. Se esamina la morte, farà la stessa cosa; applicherà il suo punto dì vista unilaterale e concluderà dicendo: la vita è la vita e la morte è la morte. Tra di loro nulla in comune, non si può essere contemporaneamente vivo e morto, poiché queste sono due cose opposte, assolutamente contrarie l'una all'altra.
Vedere così le cose significa vederle in modo superficiale. Se le si esamina un po' più da vicino, si vedrà innanzitutto che non si può opporle l'una all'altra, che non si può nemmeno separarle cosi decisamente, poiché l'esperienza e la realtà ci mostrano che la morte è la continuazione della vita, che la morte viene da ciò che è vivo. E la vita può avere origine dalla morte? Si. Perché gli elementi del corpo umano si trasformeranno per dar vita ad altre vite e serviranno da concime alla terra che, per esempio, sarà più fertile. La morte, in molti casi, aiuterà la vita; la morte permetterà alla vita di nascere; e nei corpi stessi la vita è possibile soltanto perché vi è un continuo ricambio di cellule che muoiono con altre che nascono Quindi vita e morte si trasformano continuamente l'una nell'altra e in ogni cosa constatiamo la costanza di questa grande legge: ovunque, le cose si trasformano nel loro contrario.

2. Le cose si trasformano nel loro contrario

I metafisici oppongono i contrari, ma la realtà ci dimostra che i contrari si trasformano l'uno nell'altro; che le cose non rimangono le stesse ma si trasformano nei loro contrari. Se esaminiamo la verità e l'errore, pensiamo: tra di loro, non vi è nulla in comune. La verità è la verità e un errore è un errore. Questo è il punto di vista unilaterale, che oppone brutalmente i due contrari cosi come si opporrebbero la vita e la morte. Però può succedere che non abbiamo nemmeno, finito di dire: « Toh, piove! » che già non piove più. Questa frase era giusta quando l'avevamo cominciata e si è trasformata in errore. (I greci avevano già constatato questo e dicevano che, per non sbagliare, occorreva non dire mai niente!). Riprendiamo l'esempio della mela. Si vede per terra una mela matura e si dice: «Ecco una mela matura». Però è per terra da un po' di tempo e comincia già a marcire, dimodoché la verità diventa errore.
Anche le scienze ci forniscono numerosi esempi di leggi considerate per lunghi anni delle « verità » che si sono rivelate, a un certo punto, a causa dei progressi scientifici, essere degli « errori ». Vediamo dunque che la verità si trasforma in errore. Ma l'errore si trasforma in verità?

Al principio della civiltà gli uomini immaginavano, soprattutto in Egitto, dei combattimenti tra gli dei per spiegare il sorgere e il calare del sole. Ciò è un errore se si dice che gli dei spingono o tirano il sole per farlo muovere. Ma la scienza dà parzialmente ragione a questo ragionamento, dicendo che vi sono effettivamente delle forze (puramente fisiche, però) che fanno muovere il sole. Vediamo dunque che l'errore non è nettamente contrapposto alla verità. Ora, come è possibile che le cose si trasformino nel loro contrario? Che la vita si trasformi in morte? Se non ci fosse la vita, la vita al cento per cento, non potrebbe mai esservi la morte e se la morte fosse totalmente se stessa, la morte al cento per cento, sarebbe impossibile che una si trasformasse nell'altra. Ma vi è già un elemento di morte nella vita e dunque un elemento di vita nella morte. Se guardiamo da vicino, vedremo che un essere vivente è composto di cellule, che queste cellule sono rinnovate, che spariscono e ricompaiono nello stesso posto. Vivono e muoiono continuamente in un essere vivente, in cui vi è vita e morte. Sappiamo anche che la barba di un morto continua a crescere. Cosi avviene per le unghie e per i capelli. Ecco dei fenomeni caratteristici che dimostrano che la vita continua nella morte.
« Quindi la vita è dei pari una contraddizione presente nelle cose e nei fenomeni stessi, contraddizione che continuamente si pone e continuamente si risolve; e non appena la contraddizione cessa, cessa anche la vita e sopraggiunge la morte. »
Quindi le cose non solo si trasformano le une nelle altre, ma una cosa non è soltanto se stessa, bensì anche un'altra cosa che è il suo contrario, perché ogni cosa contiene il suo contrario.

Ogni cosa contiene contemporaneamente se stessa e il suo contrario. Se rappresentiamo una cosa con un cerchio, avremo una forza che spingerà questa cosa verso la vita, spingendo dal centro verso l'esterno (espressione), ma avremo anche delle forze che spingeranno questa cosa in direzione opposta, delle forze di morte, che spingeranno dall'esterno verso il centro (compressione).
Così, all'interno di ogni cosa, coesistono forze opposte, antagonismi. Cosa avviene tra queste forze? Lottano. Quindi una cosa non è mossa soltanto da una forza che agisce in un solo senso ma è in realtà mossa da due forze di direzione opposta. Verso l'affermazione e verso la negazione delle cose, verso la vita e verso la morte. Cosa significa: affermazione e negazione delle cose?
Nella vita vi sono forze che mantengono la vita, che tendono verso l'affermazione della vita. Poi vi sono anche, negli organismi viventi, forze che tendono verso la negazione. In ogni cosa, alcune forze tendono verso l'affermazione e altre tendono verso la negazione; e tra affermazione e negazione vi è contraddizione. (Se siamo costretti a impiegare talvolta parole più meno complicate, come dialettica, autodinamismo, ecc., o termini che sembrano contrari alla logica tradizionale e difficili da capire, non è perché amiamo complicare le cose per il gusto di complicarle e imitare in questo la borghesia. No. Ma questo studio, benché elementare, vuol essere il più completo possibile e permettere qui di leggere più facilmente le opere filosofiche di Marx ed Engels e di Lenin, che usano questi termini. In ogni caso, poiché dobbiamo usare un linguaggio che non è consueto, ci sforziamo di renderlo comprensibile a tutti.)

3. Affermazione, negazione e negazione della negazione

Dobbiamo qui fare una distinzione tra quella che si chiama la contraddizione verbale, che significa che al « sì » si può contrapporre il « no », e la contraddizione che abbiamo appena vista e che si chiama contraddizione dialettica, cioè contraddizione nei fatti, nelle cose. Quando parliamo della contraddizione che esiste in seno alla società capitalistica, questo non significa che gli uni dicono sì, e gli altri no su determinate teorie; significa che vi è una contraddizione nei fatti, che vi sono forze reali che si combattono: innanzitutto una forza che tende ad affermarsi, la classe borghese che tende a mantenersi; poi una seconda forza sociale che tende alla negazione della classe borghese, il proletariato. Come dice Marx, « innanzitutto, la borghesia produce i suoi propri seppellitori »(3). Per impedirlo, occorrerebbe che la borghesia rinunciasse ad essere se stessa, il che è assurdo. Quindi, dal momento che si afferma, la borghesia crea la propria negazione. Prendiamo l'esempio di un uovo che è deposto e covato da una gallina: constatiamo che nell'uovo vi è il germe che, a una determinata temperatura e in determinate condizioni, sì sviluppa. Questo germe, sviluppandosi, genera un pulcino: cosi questo germe è già la negazione dell'uovo. Vediamo bene che nell'uovo vi sono due forze: quella che tende a farlo rimanere un uovo e quella che tende a farlo diventare un pulcino. L'uovo è quindi in disaccordo con se stesso e allo stesso modo tutte le cose sono in disaccordo con se stesse.

Questo può sembrare difficile da capire, perché siamo abituati al ragionamento metafisico, ragion per cui dobbiamo fare uno sforzo per abituarci di nuovo a vedere le cose nella loro realtà. Una cosa comincia con l'essere un'affermazione che proviene dalla negazione. Il pulcino è un'affermazione nata dalla negazione dell'uovo. Questa è una fase del processo. Ma la gallina sarà a sua volta la trasformazione del pulcino e, al centro di questa trasformazione, vi sarà una contraddizione tra le forze che lottano perché il pulcino diventi gallina e le forze che lottano perché il pulcino rimanga pulcino, la gallina sarà quindi la negazione del pulcino che proveniva, a sua volta, dalla negazione dell'uovo. La gallina sarà quindi la negazione della negazione. E questo è il procedimento generale delle fasi della dialettica.
1. Affermazione o tesi.
2. Negazione o antitesi.
3. Negazione della negazione o sintesi.

Queste tre parole riassumono lo sviluppo dialettico. Sono usate per rappresentare il concatenamento delle diverse fasi, per indicare che ogni fase è la distruzione della fase precedente. La distruzione è una negazione. Il pulcino è la negazione dell'uovo, poiché nascendo distrugge l'uovo. La spiga di grano è, allo stesso modo, la negazione del chicco di grano. Il grano nella terra germinerà; questa germinazione è la negazione del chicco di grano che darà la pianta e questa pianta, a sua volta, fiorirà e darà una spiga; questa ultima sarà la negazione della pianta o la negazione della negazione. Vediamo dunque che la negazione di cui parla la dialettica è un modo riassuntivo per parlare della distruzione. Vi è negazione di ciò che sparisce, di ciò che è distrutto.
1. Il feudalesimo è stato la negazione dello schiavismo.
2. Il capitalismo è la negazione del feudalesimo.
3. Il socialismo è la negazione del capitalismo.

Come per la contraddizione, in cui abbiamo fatto una distinzione tra contraddizione verbale e contraddizione logica, dobbiamo capire cos'è la negazione verbale, che dice « no », e la negazione dialettica, che significa « distruzione ».
Ma se la negazione significa distruzione, non si tratta di una distruzione qualunque, bensì di una distruzione dialettica. Così, quando schiacciamo una pulce, questa non muore per distruzione interna, per distruzione dialettica. La sua distruzione non è il risultato di fasi autodinamiche, bensì di un cambiamento puramente meccanico. La distruzione è una negazione soltanto in quanto prodotto dell'affermazione, frutto di essa. Cosi l'uovo covato, essendo l'affermazione di ciò che l'uovo realmente è, genera la sua negazione: diventa pulcino, e quest'ultimo rende evidente la distruzione, o negazione dell'uovo, quando schiude, quando distrugge il guscio.
Nel pulcino notiamo due forze avverse: « pulcino » e « gallina »; nel corso di questo processo la gallina coverà delle uova, da cui nuova negazione della negazione. Da queste uova inizierà allora una fase successiva del processo.

Anche per il grano vediamo un'affermazione, poi una negazione e una negazione della negazione. Come altro esempio daremo quello della filosofia materialistica. All'inizio troviamo un materialismo primitivo, spontaneo che, in quanto nato dall'ignoranza, crea la propria negazione: l'idealismo. Ma l'idealismo che nega il vecchio materialismo sarà negato a sua volta dal materialismo moderno o dialettico, perché la filosofia si sviluppa e provoca, con le scienze, la distruzione dell'idealismo. Quindi, anche in questo esempio abbiamo affermazione, negazione e negazione della negazione.

Constatiamo questo ciclo anche nell'evoluzione della società. All'inizio della storia constatiamo l'esistenza di una società di comunismo primitivo, società senza classi, basata sulla proprietà comune del suolo. Ma questa forma di proprietà diventa un impedimento allo sviluppo della produzione e, con questo fatto, crea la propria negazione: la società di classe, basata sulla proprietà privata e sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Ma tale società reca in sé anche la sua propria negazione perché uno sviluppo maggiore dei mezzi di produzione determina la necessità di negare la divisione della società in classi, di negare la proprietà privata, e cosi torniamo al punto di partenza: la necessità della società comunista, ma su di un altro piano; all'inizio avevamo una carenza di prodotti: oggi abbiamo una capacità di produzione molto elevata. Notiamo a questo proposito che, per tutti gli esempi che abbiamo fornito, torniamo effettivamente al punto di partenza ma su di un altro piano (sviluppo a spirale), un piano più elevato.
Vediamo dunque che la contraddizione è una grande legge della dialettica. Che l'evoluzione è una lotta di forze antagonistiche. Che non solo le cose si trasformano le une nelle altre, ma inoltre ogni cosa si trasforma nel suo contrario. Che le cose non sono d'accordo con se stesse perché in esse vi è lotta tra forze opposte, perché in esse vi è una contraddizione interna.

Osservazione. Dobbiamo stare bene attenti al fatto che l'affermazione, la negazione, la negazione della negazione non sono che espressioni riassuntive dei diversi momenti dell'evoluzione dialettica e che queste tre fasi non si troveranno ovunque. Non le troveremo sempre tutte: talvolta soltanto la prima o la seconda, dato che l'evoluzione non è terminata. Non dobbiamo quindi vedere automaticamente in ogni cosa questi cambiamenti tali e quali. Ricordiamo soprattutto che la contraddizione è la grande legge delia dialettica. È la sua essenza.

4. Facciamo il punto

Sappiamo già che la dialettica è un metodo di pensare di ragionare, di analizzare che permette di fare delle buon: osservazioni e di studiare bene, poiché ci obbliga a ricercare la fonte di ogni cosa e a descriverne la storia.
Certo il vecchio metodo di pensiero, l'abbiamo visto, è stato necessario a suo tempo. Studiare con il metodo dialettico significa constatare, ripetiamolo, che tutte le cose in apparenza immobili non sono che un concatenamento di processi dove tutto ha un inizio e una fine, dove in ogni cosa « alla fine, malgrado tutte le apparenti casualità e malgrado ogni regresso momentaneo, si realizza un progresso continuo ».
Solo la dialettica ci permette di comprendere lo sviluppo, l'evoluzione delle cose; solo essa ci permette di comprendere la distruzione delle cose vecchie e la nascita delle nuove. Solo la dialettica ci fa comprendere tutti gii sviluppi nelle loro trasformazioni, mostrandoceli come delle totalità costituite da contrari. Perché, per la concezione dialettica, lo sviluppo naturale delle cose, l'evoluzione, è una lotta continua di forze e di principi opposti. Quindi, se per la dialettica la prima legge è la constatazione del movimento e del mutamento: « Nulla rimane ciò che è, nulla rimane dov'è » (Engels), sappiamo ora che la spiegazione di questa legge risiede nel fatto che le cose cambiano non solo trasformandosi le une nelle altre, ma trasformandosi nei loro contrari. La contraddizione è quindi una grande legge della dialettica. Abbiamo studiato cos'è la contraddizione dal punto di vista dialettico, ma dobbiamo ancora apportare alcune precisazioni e anche segnalare alcuni errori che non si devono commettere. È evidente che dobbiamo prima familiarizzare con questa affermazione, che è in accordo con la realtà: la trasformazione delle cose nei loro contrari. Certo, questa affermazione si oppone al cosiddetto buonsenso, ci stupisce, dato che siamo abituati a pensare secondo il vecchio metodo metafisico. Ma abbiamo visto perché le cose stanno così; abbiamo visto dettagliatamente, mediante esempi, sia che ciò fa parte della realtà sia per quali ragioni le cose si trasformano nei loro contrari. Quindi si può dire e affermare che se le cose si trasformano, cambiano, si evolvono, questo avviene perché sono in contraddizione con se stesse, perché portano in se il loro contrario, perché contengono in sé l'unità dei contrari.

5. L'unità dei contrari

Ogni cosa è un'unità di contrari.

Affermare questo sembra, a prima vista, un'assurdità. « Una cosa e il suo contrario non hanno nulla in comune », si pensa in genere. Ma per la dialettica ogni cosa è nello stesso tempo se stessa e il suo contrario, ogni cosa è una unità di contrari, e occorre spiegarlo bene. Per un metafisico l'unità dei contrari è una cosa impossibile. Per lui le cose sono tutte d'un pezzo, in accordo con se stesse; ed ecco che noi, invece, affermiamo l'opposto, cioè che le cose sono fatte di due elementi, se stesse e i loro contrari, e che in esse vi sono due forze che si combattono, dato che le cose non sono in accordo con se stesse, che si contraddicono.
Prendiamo l'esempio dell'ignoranza e della conoscenza, cioè dell sapere; sappiamo che dal punto di vista metafisico queste sono due cose totalmente opposte e contrarie. Colui che è ignorante non è sapiente e colui che è sapiente non è ignorante.
Se però esaminiamo i fatti vediamo che non si prestano a un'opposizione cosi rigida. Vediamo che all'inizio ha regnato l'ignoranza, poi è venuta la conoscenza, e possiamo quindi verificare che una cosa si trasforma nel suo contrario: l'ignoranza si trasforma in sapere.
Non vi è ignoranza senza conoscenza, non vi è ignoranza al cento per cento. Un individuo, per quanto possa essere ignorante, sa riconoscere almeno gli oggetti, il suo cibo; non vi è mai un'ignoranza assoluta; vi è sempre una parte di conoscenza nell'ignoranza. La conoscenza è già in germe nella ignoranza; è dunque giusto affermare che il contrario di una cosa è nella cosa stessa.
Adesso vediamo la conoscenza. Può esservi una conoscenza al cento per cento? No. Si ignora sempre qualcosa. Lenin dice: « L'oggetto della conoscenza è inesauribile »; il che significa che vi è sempre da imparare. Non vi è conoscenza assoluta. Ogni sapere, ogni conoscenza contengono una parte d'ignoranza(4).
Esistono nella realtà un'ignoranza e una conoscenza relative, un miscuglio di conoscenza e d'ignoranza. Non è dunque la trasformazione delle cose nei loro contrari che constatiamo in questo esempio ma è, nella stessa cosa, l'esistenza dei contrari o l'unità dei contrari. Potremmo riprendere gli esempi già esaminati: la vita e la morte, la verità e l'errore, e constateremmo che nell'uno e nell'altro caso, come in tutte le cose, esiste una unità dei contrari, cioè che ogni cosa contiene nello stesso tempo se stessa e il suo contrario. Perciò Engels dirà:
« Se però nelle ricerche si parte continuamente da questo modo di vedere, allora finisce una volta per sempre la esigenza di soluzioni e di verità definitive; si è sempre coscienti che ogni conoscenza acquisita è necessariamente limitata, è dipendente dalle circostanze in cui la si è acquistata; ugualmente non ci si lascia più condizionare dalle vecchie antinomie di vero e di falso, di buono e di cattivo, di identico e di diverso, di necessario e di casuale, antinomie che la vecchia metafisica ancor sempre in voga non è in grado di superare; si sa che queste antinomie hanno un valore relativo, che ciò che oggi viene riconosciuto come vero ha il suo lato falso, oggi nascosto ma che verrà alla luce più tardi, cosi come ciò che oggi è riconosciuto come falso, ha il suo lato vero, grazie al quale prima poteva essere considerato vero ». Questo testo di Engels ci mostra chiaramente come occorre comprendere la dialettica e il vero senso dell'unità dei contrari.

6. Errori da evitare.

Onde non creare malintesi, occorre spiegare chiaramente quella grande legge della dialettica che è la contraddizione.
Occorre innanzitutto non comprenderla in modo meccanico. Non bisogna pensare che, in ogni cognizione, vi sia la verità più l'errore, o il vero più il falso. Se si applicasse cosi, questa legge darebbe ragione a coloro che dicono che, in ogni opinione, vi è una parte di vero più una parte di falso e che « se togliamo ciò che è falso, rimarrà ciò che è vero, ciò che è buono ». Si dice questo in taluni ambienti che si professano marxisti, ambienti in cui si pensa che il marxismo ha ragione a far vedere che nel capitalismo vi sono delle fabbriche, dei consorzi, delle banche che hanno in pugno la vita economica, che ha ragione a dire che questa vita economica funziona male; ma quel che è falso nel marxismo, si aggiunge, è la lotta di classe: lasciamo da parte la teoria della lotta di classe e avremo una buona dottrina. Si dice anche che il marxismo applicato allo studio della società è giusto, è vero, « ma perché mischiarvi la dialettica? Ecco il lato falso; togliamo la dialettica e conserviamo il resto del marxismo! ».

Queste sono interpretazioni meccaniche dell'unità dei contrari. Ecco un altro esempio: dopo esser venuto a conoscenza di questa teoria dei contrari, Proudhon pensava che in ogni cosa vi fosse un lato buono e un lato cattivo. Così, constatando che nella società vi è la borghesia e il proletariato, diceva: togliamo quello che vi è di cattivo: il proletariato! Ed è cosi che mise in piedi un suo sistema di credito per creare la proprietà parcellare, cioè un sistema che permettesse ai proletari di diventare tutti proprietari; in questo modo non vi sarebbero stati altro che borghesi e la società sarebbe stata buona. Sappiamo però che non vi è proletariato senza borghesia e che la borghesia può esistere solo a condizione che vi sia il proletariato: sono due contrari che sono inseparabili. Quest'unità dei contrari è interna, vera: è un'unione inseparabile. Non basta, quindi, per sopprimere i contrari, separatili l'uno dal!'altro. In una società basata sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, esistono necessariamente due classi antagonistiche: padroni e schiavi nell'antichità, signori e servi nel medioevo, borghesia e proletariato oggi. Per sopprimere la società capitalistica, per fare la società senza classi, occorre sopprimere la borghesia e il proletariato, per permettere agli uomini liberi di creare una società più evoluta materialmente e intellettualmente, per procedere verso il comunismo nella sua forma più alta e non per creare, come pretendono i nostri avversari, un comunismo « egualitario nella miseria ».
Dobbiamo dunque stare ben attenti quando spieghiamo o quando applichiamo a un esempio o a uno studio l'unità dei contrari. Dobbiamo evitare di voler ovunque e sempre ritrovare e applicare meccanicamente la negazione, della negazione, di voler ovunque e sempre ritrovare l'unità dei contrari, perché le nostre conoscenze sono in genere molto limitate e questo può condurci in vicoli ciechi.
Quel che conta davvero è questo principio: la dialettica e le sue leggi ci obbligano a studiare le cose per scoprirne l'evoluzione e le forze, i contrari che determinano quest'evoluzione. Dobbiamo dunque studiare l'unità dei contrari contenuta nelle cose e questa unità dei contrari sta a significare che un'affermazione non è mai un'affermazione assoluta, poiché contiene in se stessa una parte ili negazione. Ed è questo l'essenziale: è in quanto contengo no la propria negazione che le cose si trasformano. La negazione è il «solvente»: se non esistesse, le cose non cambierebbero. Siccome, in effetti, le cose cambiano, devono pur contenere un principio solvente. Possiamo sin d'ora affermare che esiste dato che vediamo le cose evolversi, ma non possiamo scoprire questo principio senza uno studio minuzioso della cosa stessa, perché questo principio non ha lo stesso aspetto in ogni cosa.

7. Conseguenze pratiche della dialettica

Quindi praticamente la dialettica ci obbliga sempre a considerare non soltanto un lato delle cose, ma i loro due lati: a non considerare mai la verità senza l'errore, la scienza senza l'ignoranza. Il grande errore della metafisica è appunto quello di considerare un solo lato delle cose, di giudicare unilateralmente e, se commettiamo molti errori, è sempre perché vediamo un lato solo delle cose, è perché spesso ci limitiamo a ragionamenti unilaterali. Se la filosofia idealistica afferma che il mondo non esiste che nella mente degli uomini, dobbiamo pur riconoscere che vi sono effettivamente cose che esistono soltanto nel nostro pensiero. Questo è vero. Ma l'idealismo è unilaterale, non vede che quest'aspetto. Vede solo l'uomo che crea realtà che non sono materiali e ne conclude clic nulla esiste al di fuori delle idee. L'idealismo ha ragione a sottolineare questa facoltà creatrice dell'uomo ma, poiché non utilizza il criterio della pratica, non vede altro.

Anche il materialismo metafisico sbaglia: vede che un lato dei problemi. Vede l'universo come un sistema meccanico. Ma il sistema meccanico esiste? Si! Svolge un ruolo importante? Si! il materialismo metafisico ha dunque ragione di dire questo ma sbaglia quando vede solamente il movimento meccanico.
Naturalmente siamo tutti portati a vedere un solo lato delle cose e delle persone. Se giudichiamo un compagno, vediamo quasi sempre solo il suo lato buono o il suo lato cattivo. Bisogna vedere l'uno e l'altro, altrimenti non sarebbe possibile avere dei quadri nelle organizzazioni. Nella pratica politica il metodo di giudizio unilaterale porta al settarismo. Se incontriamo un avversario che appartiene a un'organizzazione reazionaria, lo giudichiamo sul metro dei suoi superiori. Invece si tratta forse di un piccolo impiegato inasprito e malcontento e non dobbiamo giudicarlo allo stesso modo di un grosso padrone fascista. Questo ragionamento si può ugualmente applicare ai padroni e capire che, se ci si presentano come cattivi, è perché sono loro stessi dominati dalla struttura della società e che, in altre condizioni sociali, sarebbero forse diversi.
Se pensiamo all'unità dei contrari, consideriamo le cose sotto i loro molteplici aspetti. Vedremo dunque che questo reazionario è reazionario da un lato ma, dall'altro, è un lavoratore e che vi è in lui una contraddizione. Si cercherà e si capirà perché ha aderito a quest'organizzazione e si cercherà nel medesimo tempo perché non avrebbe dovuto aderirvi. E così solo allora potremo giudicare e discutere in maniera meno settaria. Conformemente alla dialettica, dobbiamo dunque considerare le cose sotto ogni angolazione.
Per riassumere e per concludere in maniera teorica, diremo: le cose cambiano perché racchiudono una contraddizione interna (esse stesse e i loro contrari). I contrari sono in conflitto e i cambiamenti nascono da tali conflitti; così il cambiamento è la soluzione del conflitto. Il capitalismo contiene questa contraddizione interna, questo conflitto tra il proletariato e la borghesia; il cambiamento si spiega con questo conflitto e la trasformazione «della società capitalistica in società socialista è la soppressione di tale conflitto.
Vi è cambiamento, movimento, dove vi è contraddizione. La contraddizione è la negazione dell'affermazione e quando il terzo termine, la negazione della negazione, è raggiunto, appare la soluzione, poiché allora la ragione ( della contraddizione è eliminata, superata.
Si può dunque dire che se le scienze (chimica, fisica, biologia, ecc.) studiano le leggi del cambiamento a loro proprie, la dialettica' studia le leggi del cambiamento più generali. Engels dice: « La dialettica non è niente altro che la scienza delle leggi generali del movimento e dello sviluppo della natura, della società umana e del pensiero »


 

Quarta legge della dialettica:

la trasformazione della quantità in qualità

 

Prima di affrontare il problema dell'applicazione della dialettica alla storia, ci rimane da studiare un'ultima legge della dialettica.
Questo ci sarà reso più facile da quello che abbiamo detto finora, ora che abbiamo visto cos'è la negazione della negazione e cosa si intende per unità dei contrari.
Ma, come sempre, procediamo con degli esempi.

1. Riforme o rivoluzione?

Quando si parla della società si dice: occorre ricorrere alle riforme oppure fare la rivoluzione? Si discute per sapere se, per trasformare la società capitalistica in una società socialista, si raggiungerà questo scopo mediante riforme successive o mediante una trasformazione brusca: la rivoluzione.
Dinanzi a tale problema, ricordiamo ciò che abbiamo già studiato. Ogni trasformazione è il risultato di una lotta tra forze opposte. Se una cosa evolve è perché contiene in sé il suo contrario, ogni cosa essendo un'unità di contrari. Si nota che vi è lotta dei contrari e trasformazione della cosa nel suo contrario. Come avviene questa trasformazione? Questo è il nuovo problema che si pone.
Si può pensare che questa trasformazione si effettui a poco a poco, attraverso una serie di piccole trasformazioni, che la mela verde si trasformi in una mela matura attraverso una serie di piccoli cambiamenti progressivi.
Molte persone pensano che la società si trasformi a poco a poco e che il risultato di una serie di queste piccole trasformazioni sarà la trasformazione della società capitalistica in società socialista. Queste piccole trasformazioni sono le riforme e sarà il loro totale, la somma dei piccoli cambiamenti graduali, a darci una società nuova.
È la teoria chiamata riformismo. Colorò che appoggiano questa teoria sono chiamati riformisti non perché vogliono delle riforme, ma perché pensano che le riforme siano sufficienti, che a furia di accumularsi debbano impercettibilmente trasformare la società.
Esaminiamo se ciò è vero:

L'argomentazione politica. Se esaminiamo i fatti, cioè quanto è avvenuto negli altri paesi, vedremo che laddove è stato tentato questo sistema non è riuscito. La trasformazione della società capitalistica (la sua distruzione) è riuscita in un solo paese: l'URSS, e constatiamo che ciò non è avvenuto attraverso una serie di riforme, ma attraverso la rivoluzione.

L'argomentazione storica. In linea di massima, è forse vero che le cose si trasformano attraverso una serie di piccoli cambiamenti, attraverso le riforme?
Vediamo i fatti. Se esaminiamo i cambiamenti storici, vedremo che i cambiamenti non si riproducono all'infinito, non sono continui. Vi è un momento in cui, invece di piccoli cambiamenti, il cambiamento si compie mediante un salto brusco.
Nella storia delle società gli avvenimenti salienti che riscontriamo sono cambiamenti bruschi, rivoluzioni.
Perfino coloro che non conoscono la dialettica sanno, oggigiorno, che nella storia si sono prodotti cambiamenti violenti però fino al XVII secolo si credeva che « la natura non fa salti», non compie balzi; non si volevano vedere i cambiamenti bruschi nella continuità dei mutamenti. Ma la scienza intervenne e dimostrò che nei fatti avvenivano dei mutamenti bruschi. La rivoluzione del 1789 servi ad aprire gli occhi alla gente; era un esempio palese di netta rottura con il passato. E ci si accorse allora che tutte le tappe decisive della storia erano state ed erano sconvolgimenti rilevanti, bruschi, improvvisi. Per esempio: le relazioni tra tale Stato e talaltro, da amichevoli che erano, diventavano più fredde, più tese, si inasprivano, assumevano un carattere di ostilità, e tutt'a un tratto era la guerra, brusca rottura nella continuità degli avvenimenti, O ancora: in Germania, dopo la guerra del 1914-18, vi fu una ascesa graduale del fascismo, poi un giorno Hitler prese il potere: la Germania entrò in una nuova fase storica. Oggi coloro che non negano questi bruschi cambiamenti pretendono che siano degli accidenti, e per accidente si intende una cosa che avviene e che avrebbe potuto non avvenire.

Così si spiegano le rivoluzioni nella storia delle società: « Sono degli accidenti ». Per quanto riguarda la storia della Francia, si spiega per esempio che la caduta di Luigi XVI e la rivoluzione sono avvenute perché Luigi XVI era un uomo debole e molle: « Se fosse stato un uomo energico, non avremmo avuto la rivoluzione ». Si legge perfino che se, a Varennes, non avesse prolungato il suo pasto, non lo avrebbero fermato e il corso della storia sarebbe cambiato. Quindi la rivoluzione francese è un accidente, si dice.

Al contrario, la dialettica riconosce che le rivoluzioni sono delle necessità. Vi sono certo dei cambiamenti continui ma, accumulandosi, questi finiscono col produrre dei cambiamenti bruschi.

L'argomentazione scientifica. Prendiamo l'esempio dell'acqua. Partiamo da 0° e facciamo salire la temperatura dell'acqua da 1°, 2°, 3° fino a 98°: il cambiamento è continuo. Ma è possibile che questo continui all'infinito?
Arriviamo a 99° ma, a 100° abbiamo un cambiamento brusco: l'acqua si trasforma in vapore.
(Se, inversamente, da 99° scendiamo a 1° avremo di nuovo un cambiamento continuo ma non potremo scendere cosi all'infinito, perché a 0° l'acqua si trasforma in ghiaccio).
Da 1° a 99° l'acqua rimane sempre acqua; non vi è che la temperatura che cambia. È quello che si chiama un cambiamento quantitativo, che risponde alla domanda: « Quanto? », cioè: « Quanto calore nell'acqua? ». Quando l'acqua si trasforma in ghiaccio o in vapore, abbiamo un cambiamento qualitativo, un cambiamento di qualità. Non è più acqua; è diventata ghiaccio o vapore.
Quando la cosa non cambia natura abbiamo un cambiamento quantitativo (nell'esempio dell'acqua abbiamo un cambiamento del grado di calore, ma non un cambiamento di natura). Quando cambia natura, quando la cosa diventa altra cosa, il cambiamento è qualitativo. Vediamo dunque che l'evoluzione delle cose non può essere quantitativa all'infinito: le cose, trasformandosi, subiscono alla fine un cambiamento qualitativo. La quantità si trasforma in qualità. Questa è una legge generale. Ma, come sempre, non bisogna limitarsi a questa formula astratta. Nell'Antiduhring di Engels si troveranno al capitolo « Dialettica, quantità e qualità » un gran numero di esempi che fanno capire che in tutto come nelle scienze della natura si verifica l'esattezza della legge secondo cui « a certi gradi di cambiamento quantitativo interviene improvvisamente un mutamento qualitativo repentino ».
Ecco ora un altro esempio, citato da H. Wallon nel volume VII dell'Encyclopédie française (in cui rimanda a Engels): l'energia nervosa che si accumula in un bambino provoca il riso; ma se continua a crescere, il riso si trasforma in una crisi di lacrime; così, quando i bambini si eccitano e ridono troppo forte, finiscono per piangere. Daremo un ultimo esempio che tutti conoscono: quello di un uomo che pone la propria candidatura per un qualsiasi mandato. Se occorrono 4.500 voti per ottenere la maggioranza assoluta, con 4.499 voti il candidato non è eletto, ma rimane quello che è: un candidato. Con un voto in più, questo cambiamento quantitativo determina un cambiamento qualitativo, poiché da candidato che era diventa un eletto. Questa legge ci fornisce la soluzione del problema: riforma o rivoluzione..
I riformisti ci dicono: « Volete cose impossibili, che non si ottengono se non accidentalmente; siete degli utopisti ». Ma vediamo chiaramente attraverso questa legge chi sono coloro che sognano cose impossibili! Lo studio dei fenomeni della natura e della scienza ci mostra che i cambiamenti non sono indefinitamente continui ma che a un certo momento il cambiamento diventa brusco. Non siamo noi ad affermarlo arbitrariamente, è la scienza, è la natura, la realtà!
Ci si può allora chiedere: quale ruolo svolgiamo in queste brusche trasformazioni?
Risponderemo a questa domanda e svilupperemo questo problema applicando la dialettica alla storia. Eccoci giunti a una parte famosa del materialismo dialettico: il materialismo storico.

2. Il materialismo storico

Cos'è il materialismo storico? È semplicemente, adesso che si sa cos'è la dialettica, l'applicazione di questo metodo alla storia delle società umane. Per meglio comprendere tutto ciò, occorre precisare cos'è la storia. Chi dice storia dice cambiamento e cambiamento nella società. La società ha una storia, nel cui corso cambia continuamente; infatti vediamo prodursi grandi avvenimenti. Allora si pone il seguente problema: poiché, nella storia, le società cambiano, cos'è che spiega questi cambiamenti?

Come spiegare la storia? Ci si chiede: « Per quale motivo avvengono nuove guerre? Gli uomini potrebbero vivere in pace! ».
A queste domande forniremo risposte materialistiche.
La guerra, spiegata da un cardinale, è una punizione di Dio; si tratta di una risposta idealistica, perché spiega gli avvenimenti mediante Dio; è spiegare la storia mediante lo spirito. In questo caso è lo spirito che crea e fa la storia.
Anche parlare della provvidenza è una risposta idealistica. È Hitler colui che ci dice, nel Mein Kampf, che la storia è opera della provvidenza e la ringrazia di averlo fatto nascere vicino alla frontiera austriaca.
Rendere Dio o la provvidenza responsabili della storia è una teoria comoda: gli uomini non possono fare niente contro la guerra, occorre lasciare che le cose vadano come vanno!
Possiamo, dal punto di vista scientifico, sostenere una simile teoria? Possiamo trovare nei fatti la sua giustificazione? No.
In questa discussione, la prima affermazione materialistica è che la storia non è opera di Dio ma è opera degli uomini. Allora gli uomini possono agire sulla storia e possono anche impedire la storia.

La storia è opera degli uomini. « In qualsiasi modo si svolga la storia degli uomini, sono gli uomini che la fanno, perseguendo ognuno i suoi propri fini consapevolmente, e sono precisamente i risultati di queste numerose volontà operanti in diverse direzioni, i risultati delle loro svariate ripercussioni sul mondo esteriore, che costituisco no la storia. Si tratta dunque di conoscere ciò che vogliono i molti singoli. La volontà viene determinata dalla passione o dalla riflessione. Ma le leve che a loro volta determinano in modo immediato la passione o la riflessione sono di natura molto diversa. [...] si domanda ancora [...] quali sono le cause storiche che nei cervelli degli uomini che agiscono si trasformano in questi motivi. »
Questo testo di Engels ci dice che sono gli uomini che agiscono secondo le loro volontà ma che queste volontà non vanno sempre nella medesima direzione! Cos'è allora che determina le azioni degli uomini? Perché le loro volontà non vanno nella medesima direzione?
Taluni idealisti ammetteranno che sono le azioni degli uomini che fanno la storia e che questa azione è frutto della nostra volontà: è la volontà che determina l'azione e sono i nostri pensieri o i nostri sentimenti a determinare la nostra volontà. Avremmo dunque il seguente processo: idea-volontà-azione e, per spiegare l'azione, seguiremo il senso opposto per risalire all'idea come causa determinante.

Ma precisiamo subito che l'azione dei grandi uomini e delle dottrine è innegabile: ha solo bisogno di essere spiegata. Non è il processo idea-volontà-azione che la spiega. È cosi che alcuni sostengono che, nel XVIII secolo, Diderot e gli enciclopedisti, diffondendo la teoria dei diritti dell'uomo, hanno, mediante le loro idee, sedotto e conquistato la volontà degli uomini che, di conseguenza, hanno fatto la rivoluzione; allo stesso modo in URSS le idee di Lenin sono state diffuse e la gente avrebbe agito conformemente a tali idee. Se ne conclude che, se non vi fossero idee rivoluzionarie, non vi sarebbe rivoluzione. È questo punto di vista che fa dire che le forze motrici della storia sono le idee dei grandi uomini; che sono appunto questi uomini che fanno la storia.
Ma qual è il punto di vista materialistico su questa questione?
Abbiamo visto che tra il materialismo del XVIII secolo e il materialismo moderno vi erano molti punti comuni ma che il vecchio materialismo aveva della storia una teoria Idealistica. Quindi, che sia francamente idealistica o dissimulata notto un materialismo incoerente, questa teoria che sembra spiegare la storia, in realtà non spiega nulla. Infatti, chi è che provoca l'azione?
« Il vecchio materialismo — dice Engels — giudica tuto secondo i motivi dell'azione, divide gli uomini operanti nella storia in nobili e ignobili, e di regola scopre che i nobili sono i gabbati e gli ignobili i vincitori. La conclusione è, pel vecchio materialismo, che dallo studio della storia non si cava molto di edificante; per noi, invece, la conclusione è che il vecchio materialismo viene meno a se stesso, perché prende per cause prime le forze motrici ideali che agiscono nella storia, invece di ricercare che cosa si nasconde dietro di esse. »
La volontà, le idee, si dice. Ma perché mai i filosofi del XVIII secolo hanno avuto proprio queste idee? Se avessero cercato di esporre il marxismo non sarebbero stati ascoltati perché, in quell'epoca, la gente non sarebbe stata in grado di capire. Non è sufficiente fornire delle idee, occorre anche che siano comprese; quindi vi sono determinate epoche per accogliere le idee e altre per crearle.
Abbiamo sempre detto che le idee hanno una grande importanza, ma dobbiamo vedere da dove vengono.
Dobbiamo quindi ricercare quali sono le cause che ci forniscono queste idee; quali sono, in ultima analisi, le forze motrici della storia.

 

 


Note

1. F. Engels, Anti-Duhring

2. Furono Schwann e Schleiden, chee scoprirono con la cellula organica l'« unità dalla quale si sviluppa, mediante la moltiplicazione e la differenziazione, ogni organismo vegetale e animale », a stabilire la continuità dei due grandi regni della natura vivente.

3. K. Marx, F. Engels, Il manifesto del Partito Comunista

4. « La storia delle scienze è la storia dell'eliminazione progressiva dell'errore, cioè della sua sostituzione con un errore nuovo, ma sempre meno assurdo » (Engels).


Ultima modifica o8.12.2008