La Terza Internazionale dopo Lenin

 

Prefazione

1) Il Programma della rivoluzione internazionale o il Programma del socialismo in un paese solo?
1. La struttura generale del Programma
2. Gli Stati Uniti d'America e d'Europa
3. Lo slogan degli Stati Uniti Sovietici d'Europa
4. Il principio dell'Internazionalismo
5. La tradizione teorica del partito
6. Dov'è la "deviazione socialdemocratica"?
7. La dipendenza dell'URSS dall'economia mondiale
8. La contraddizione tra le forze produttive ed i confini nazionali come causa dell'utopica e reazionaria teoria del "socialismo in un paese solo"
9. Il problema può esser risolto solo nell'arena della rivoluzione mondiale
10. La teoria del socialismo in un paese solo: una serie di baggianate socialpatriottiche

6. Dov'è la "deviazione socialdemocratica"?

Le citazioni riportate sono sufficienti per caratterizzare le posizioni teoriche di ieri e di oggi sia di Stalin che di Bucharin. Ma, per poter determinare il carattere dei loro metodi politici, bisogna ricordare che, dopo aver selezionato dai documenti scritti dall'Opposizione alcune affermazioni che sono assolutamente analoghe a quelle da loro stessi fatte fino al 1925 (in questo caso in pieno accordo con Lenin), Stalin e Bucharin hanno eretto sulla base di queste citazioni la teoria della nostra "deviazione socialdemocratica". Sembrerebbe che, sulla questione centrale delle relazioni tra Rivoluzione d'Ottobre e rivoluzione internazionale, l'Opposizione tenga le stesse posizioni di Otto Bauer, il quale non ammette la possibilità di una costruzione socialista in Russia. Verrebbe realmente da pensare che la stampa scritta sia stata inventata solo nel 1928 e che tutto ciò che è avvenuto prima di questa data sia condannato all'oblio. Tale accuse son tutte basate sulla poca memoria!

Eppure, sulla questione della natura della Rivoluzione d'Ottobre, il Comintern ha posto in modo chiaro e definito, nel suo Quarto Congresso, il giudizio su Otto Bauer e su altri filistei della Seconda Internazionale. Nel mio rapporto sulla Nuova Politica Economica e le prospettive della rivoluzione mondiale, autorizzato dal Comitato Centrale, la posizione di Otto Bauer era stata valutata in modo tale da rappresentare il punto di vista del nostro Comitato Centrale di allora; essa non incontrò nessuna obiezione al Congresso ed io ritengo che essa sia tutt'oggi valida. Per quel che riguarda lo stesso Bucharin, egli rifiutò di chiarificare il lato politico della questione in quanto "molti compagni, tra cui Lenin e Trotsky, hanno già parlato in materia"; in altre parole, Bucharin a quel tempo era d'accordo col mio discorso. Ecco cosa ho detto al Quarto Congresso su Otto Bauer:

"I teorici socialdemocratici, che, da un lato, riconoscono nei loro articoli dei giorni festivi che il capitalismo, particolarmente in Europa, ha terminato la sua utilità ed è divenuto un freno allo sviluppo storico, e che, d'altra parte, esprimono la convinzione che l'evoluzione della Russia sovietica porta inevitabilmente al trionfo della democrazia borghese, cadono nella più pietosa e banale contraddizione che questi stupidi e presuntuosi confusionari meritano interamente. La Nuova Politica Economica è calcolata per determinate condizioni spazio-temporali. Essa è una manovra dello Stato operaio circondato da un ambiente capitalista ed è calcolata sullo sviluppo rivoluzionario dell'Europa… Un fattore come quello del tempo non può essere lasciato fuori nelle considerazioni e nei calcoli politici. Se noi ammettessimo che il capitalismo sarà veramente capace di continuare ad esistere in Europa per un altro secolo o per un altro mezzo secolo, e che la Russia sovietica dovrà quindi adattarsi a questo fatto nella sua politica economica, allora la questione si risolverebbe automaticamente, perché, ammettendo questo, noi presupporremmo il collasso della rivoluzione proletaria in Europa e l'ascesa di una nuova epoca di revival capitalistico. Su che terreno si ammette ciò? Se Otto Bauer avesse scoperto nella vita dell'attuale Austria un qualsiasi segno miracoloso di resurrezione capitalistica, allora tutto ciò che si potrebbe dire è che il destino della Russia è predeterminato. Ma, finché non vedremo miracoli, noi non crederemo in essi. Dal nostro punto di vista, se la borghesia europea si mostrerà capace di mantenersi al potere nel corso delle prossime decadi, ciò comporterà, nelle attuali condizioni mondiali, non un nuovo rigoglio capitalista, ma la stagnazione economica ed il declino culturale dell'Europa. Genericamente parlando, non si può negare che tale processo potrebbe portare la Russia sovietica negli abissi. Se dovremo allora attraversare una fase di 'democrazia', o decadere invece in qualche altra forma politica, è una questione di secondaria importanza. Ma noi non vediamo ragione alcuna per adottare la filosofia di Spengler. Noi contiamo definitivamente sullo sviluppo rivoluzionario dell'Europa. La Nuova Politica Economica è semplicemente un adattamento al ritmo di tale sviluppo". (L. Trotsky, "Sulle critiche socialdemocratiche", I primi cinque anni dell'Internazionale Comunista, 1924)

Questa formulazione del problema ci riporta al punto da cui siamo partiti per la valutazione della bozza del programma, ovvero che, nell'epoca dell'imperialismo, è impossibile affrontare il destino di un paese se non prendendo come punto di partenza le tendenze complessive dello sviluppo mondiale, nelle quali il singolo paese, con tutte le sue peculiarità nazionali, è incluso e subordinato. I teorici della Seconda Internazionale escludono l'URSS dall'unità mondiale e dall'epoca imperialista; essi applicano all'URSS, come paese isolato, il semplice criterio della "maturità" economica; essi dichiarano che l'URSS non è matura per un'indipendente costruzione socialista e da qui tirano la conclusione dell'inevitabile degenerazione capitalista dello Stato operaio.

Gli autori della bozza adottano la medesima impostazione teorica e ripercorrono completamente la metodologia metafisica dei teorici socialdemocratici. Anch'essi "fanno astrazione" dall'entità mondiale e dall'epoca capitalistica. Essi procedono dalla fantasticheria dello sviluppo isolato. Essi applicano alla fase nazionale della rivoluzione mondiale un semplice criterio economico. Ma il loro "verdetto" è invece diverso. Il "sinistrismo" degli autori della bozza risiede nel fatto che essi rovesciano completamente la valutazione socialdemocratica. Eppure la posizione dei teorici della Seconda Internazionale, rimodellata quanto si vuole, resta di nessun valore. Si potrebbe semplicemente assumere la posizione di Lenin il quale eliminava semplicemente la valutazione e la prognosi di Bauer come esercizio da asilo nido.

Questo è come stanno le cose con la "deviazione socialdemocratica". Non noi, ma piuttosto gli autori della bozza dovrebbero considerarsi come imparentati con Bauer.

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7. La dipendenza dell'URSS dall'economia mondiale
Il precursore degli attuali profeti della società socialista nazionale non è stato nessun altro se non il Signor Vollmar. Descrivendo, nel suo articolo intitolato "Lo Stato socialista isolato", la possibilità di un'indipendente costruzione socialista in Germania, il cui proletariato era assai più sviluppato di quello dell'avanzata Gran Bretagna, Vollmar, nel 1878, fa riferimento in modo chiaro e netto alla legge dell'ineguale sviluppo che, secondo Stalin, Marx ed Engels non conoscevano. Sulla base di questa legge Vollmar arrivò, nel 1878, all'irrefutabile conclusione che:

"Nelle prevalenti condizioni attuali, che manterranno la loro forza anche in futuro, si può prevedere che una simultanea vittoria del socialismo in tutti i paesi acculturati è assolutamente fuori questione".

Sviluppando quest'idea in modo più approfondito, egli dice: "Siamo così giunti allo Stato socialista isolato che mi auguro aver provato essere l'alternativa più probabile, per quanto non l'unica possibile".

Fintantoché è possibile interpretare il termine "Stato isolato" nel senso di dittatura proletaria, Vollmar ha espresso un'irrefutabile idea già ben nota a Marx ed Engels, idea che Lenin ha poi ripreso nell'articolo sopra citato del 1915.

Ma poi segue dell'altro che è attribuibile esclusivamente ad un'idea propria di Vollmar, la quale, per inciso, è errata; essa non è però così unilaterale e mal posta come quella propugnata dai nostri sostenitori della teoria del socialismo in un paese solo. Nella sua costruzione Vollmar prese come punto di partenza la proposizione secondo cui la Germania socialista avrebbe avuto vivaci relazioni economiche con l'economia capitalista mondiale, godendo nel medesimo tempo i vantaggi derivateli dal possesso di una molto più sviluppata tecnologia e da costi di produzione inferiori. Questa costruzione si basa su una prospettiva di pacifica coesistenza dei sistemi socialista e capitalista. Ma poiché il socialismo deve, mentre progredisce, rivelare costantemente la sua superiorità produttiva, la necessità per una rivoluzione socialista mondiale si imporrà automaticamente: il socialismo si imporrà sul capitalismo vendendo beni sul mercato a costo inferiore.

Bucharin, l'autore della prima bozza del programma ed uno degli autori della seconda, procede invece, nella costruzione del socialismo in un paese, dall'idea di una isolata ed autosufficiente economia. Nel suo articolo intitolato "Sulla natura della nostra rivoluzione e la possibilità di una vittoriosa costruzione del socialismo in URSS" (Bolshevik, No. 19-20, 1926), che è l'ultima parola dello scolasticismo moltiplicato da mille sofismi, tutto il ragionamento è fatto entro i limiti di un'economia isolata. Il principale ed unico argomento è il seguente:

"Siccome noi abbiamo 'tutto ciò che è necessario e sufficiente' per la costruzione del socialismo, ne deriva che, nello stesso processo di costruzione del socialismo, non ci potrà essere alcun punto in cui un'ulteriore costruzione diverrà impossibile. Se abbiamo già nel nostro paese una combinazione di forze tale per cui, in rapporto ad ogni anno passato, stiamo marciando avanti con una sempre maggiore preponderanza del settore socialista della nostra economia su quello capitalistico-privato, allora diventiamo di anno in anno economicamente sempre più forti".

Questo ragionamento è irreprensibile: "Siccome abbiamo tutto ciò che è necessario e sufficiente", allora lo abbiamo. Partendo da un punto che dev'essere provato, Bucharin costruisce un completo sistema di economia socialista auto-sufficiente senza entrata e senza uscita. Per quanto riguarda l'ambiente esterno, cioè il mondo intero, Bucharin, tanto quanto Stalin, si ricorda di esso solo dal punto di vista dell'intervento militare. Quando, nel suo articolo, Bucharin parla della necessità di "fare astrazione" dal fattore internazionale, egli ha in mente non il mercato mondiale, ma l'intervento armato. Egli non ha bisogno di fare astrazione dal mercato mondiale semplicemente perché lui si dimentica completamente di esso attraverso tutta la sua costruzione. In armonia con questo schema, Bucharin campionava, al Quattordicesimo Congresso del Partito, l'idea secondo cui, se non siamo intralciati dall'intervento straniero, costruiremo il socialismo "pure a velocità di tartaruga". La questione dell'ininterrotta battaglia tra i due sistemi, il fatto che il socialismo si può basare solo sulle più alte forze produttive, in una parola, la dinamica marxiana del rimpiazzamento di una formazione sociale da parte di un'altra sulla base delle crescenti forze produttive - tutto ciò è stato completamente cancellato. La dialettica storica e rivoluzionaria è stata soppiantata da una misera utopia reazionaria di socialismo auto-sufficiente, costruito su una bassa tecnologia, che si sviluppa a "velocità di tartaruga" entro confini nazionali, connessa al mondo esterno solo dalla sua paura di un intervento. Il rifiuto di accettare questa miserabile caricatura della dottrina di Marx e di Lenin è stato etichettato come "deviazione socialdemocratica". Nel citato articolo di Bucharin, tale etichetta ci è stata, per la prima volta, avanzata e "dimostrata". La storia prenderà nota del fatto che siamo caduti in una "deviazione socialdemocratica" per il fatto che abbiamo rifiutato di accettare una pessima rimasticatura della teoria di Vollmar del socialismo in un paese solo.

Il proletariato della Russia zarista non avrebbe potuto prendere il potere nell'Ottobre se la Russia non fosse stata un anello - l'anello più debole, ma nondimeno un anello - della catena dell'economia mondiale. La presa del potere da parte del proletariato non ha affatto escluso la repubblica sovietica dal sistema della divisione internazionale del lavoro creato dal capitalismo.

Come il saggio gufo che vola solo nella semioscurità, la teoria del socialismo in un paese solo sbuca fuori proprio nel momento in cui la nostra industria, che consuma sempre maggiori quote del nostro vecchio capitale fisso, nei due-terzi del quale è cristallizzata la dipendenza della nostra industria dall'industria mondiale, ha indicato il suo urgente bisogno di rinnovare e di estendere i suoi legami col mercato mondiale, e nel momento in cui i problemi del commercio estero sono cresciuti nella loro piena portata innanzi ai nostri direttori economici.

All'Undicesimo Congresso, cioè nell'ultimo congresso in cui Lenin ha avuto l'opportunità di parlare al partito, egli ha espresso un opportuno avvertimento dicendo che il partito avrebbe dovuto affrontare un altro test: "... un test che ci sarà messo innanzi dal mercato russo e da quello internazionale cui siamo subordinati, col quale siamo connessi e dal quale non possiamo scappare".

Nulla dà alla teoria di un isolato e "completo socialismo" un colpo tanto mortale quanto il semplice fatto che le cifre del nostro commercio estero sono divenute negli anni più recenti la parte più rilevante dei nostri piani economici. Il "punto fermo" nella nostra economia, includendo la nostra industria, è il nostro commercio all'importazione che dipende interamente dalle nostre esportazioni. E poiché il potere di resistenza di una catena è sempre misurato dall'anello più debole, le dimensioni dei nostri piani economici sono tali da conformare le dimensioni del nostro import.

Sul giornale L'economia pianificata (l'organo teorico della Commissione di Stato per la Pianificazione) abbiamo letto, in un articolo dedicato al sistema di pianificazione, che "... nel tratteggiare le nostre cifre di controllo, abbiam dovuto metodologicamente assumere i nostri piani di export ed import come punto di partenza per l'intero piano; ci siamo dovuti orientare su quelli nei nostri piani per varie branche dell'industria e conseguentemente per l'industria in generale e particolarmente per la costruzione delle nuove imprese industriali" ecc., ecc. (gennaio 1927, p. 27 dell'edizione originale russa).

Quest'approccio metodologico della Commissione di Stato per la Pianificazione afferma chiaramente, per tutti coloro che hanno orecchie per sentire, che le cifre di controllo determinano la direzione ed il tempo del nostro sviluppo economico, ma che queste stesse cifre di controllo sono a loro volta controllate dall'economia mondiale; il fatto di esser divenuti più forti non ci ha liberati dal circolo vizioso dell'isolamento.

Il mondo capitalista ci mostra con le sue cifre su export ed import che esso ha ben altri strumenti di persuasione oltre all'intervento militare. Nell'estensione in cui la produttiva del lavoro e la produttività del sistema sociale nel suo intero vengono misurate sul mercato dalla relazione tra prezzi, non è tanto l'intervento militare quanto piuttosto l'intervento degli economici beni di consumo capitalisti che costituisce forse la più grande minaccia immediata per l'economia sovietica. Già questo mostra che non è affatto questione di un'isolata vittoria economica sulla "propria" borghesia: "La rivoluzione socialista che è imminente in tutto il mondo non consisterà affatto in una semplice vittoria del proletariato di ogni paese sulla propria borghesia" (Lenin, 1919) . È qui coinvolta una rivalità ed una battaglia all'ultimo sangue tra due sistemi sociali, uno dei quali ha appena cominciato la sua costruzione su arretrate forze produttive, mentre l'altro poggia ancora oggi su forze produttive incommensurabilmente più forti.

Chiunque veda "pessimismo" nell'ammissione della nostra dipendenza dal mercato mondiale (Lenin parlava senza mezzi termini della nostra subordinazione ad esso) rivela in ciò il propria timorosità provinciale piccolo borghese di fronte al mercato mondiale, ed il pietoso carattere del suo rozzo ottimismo che cerca di nascondersi dall'economia mondiale mettendosi dietro un cespuglio, cercando di cavarsela in qualche modo facendo affidamento sulle proprie esigue risorse.

La nuova teoria ha fatto come suo punto d'onore la bizzarra idea secondo cui l'URSS può morire per l'intervento straniero ma non invece per la propria arretratezza economica. Ma, poiché in una società socialista la prontezza delle masse lavoratrici nel difendere il loro paese è molto maggiore di quella degli schiavi capitalistici ad attaccare quel paese, sorge la domanda: per quale motivo l'intervento militare minaccia di distruggerci? Perché il nemico è infinitamente più forte sul piano tecnologico. Bucharin ammette la preponderanza delle forze produttive solo nel loro aspetto tecnico-militare. Egli non vuol capire che un trattore di Ford è altrettanto pericoloso quanto una pistola Creusot, con l'unica differenza che mentre la pistola può essere usata solo di quando in quando, il trattore fa pressione su di noi in modo continuo. Inoltre, il trattore sa che la pistola sta dietro di esso, come sua ultima risorsa.

Noi siamo il primo Stato operaio, una sezione del proletariato mondiale, e con quest'ultimo dipendiamo dal capitale mondiale. L'indifferente, neutrale è burocraticamente castrato termine "connessioni", è messo in circolazione al solo unico scopo di celare l'estremamente onerosa e pericolosa natura di tali "connessioni". Se noi stessimo producendo ai prezzi del mercato mondiale, la nostra dipendenza da questo, senza cessare di essere una dipendenza, avrebbe un carattere assai meno severo di quello che ha oggi. Ma sfortunatamente questo non è il nostro caso. Il nostro monopolio dello stesso commercio estero è prova della severità e del pericoloso carattere di questa nostra dipendenza. La decisiva importanza del monopolio nella nostra costruzione socialista è precisamente il risultato dell'esistente rapporto di forza a noi sfavorevole. Ma non dobbiamo dimenticare nemmeno per un attimo che il nostro monopolio sul commercio estero si limita a regolare la nostra dipendenza dal mercato mondiale, ma non la elimina.

"Fintantoché la nostra Repubblica sovietica [dice Lenin] resta un'isolata zona di confine circondata dall'intero mondo capitalista, sarà una fantasia assolutamente ridicola e utopica il pensare ad una nostra completa indipendenza economica ed alla scomparsa di alcuno dei pericoli che ci sovrastano".

Il primo pericolo scaturisce direttamente dalla posizione dell'URSS come "isolata zona di confine" in un'economia capitalista che ci è ostile. Questi pericoli possono però diminuire o accrescersi. Ciò dipende dall'azione di due fattori: da un lato la nostra costruzione socialista, e dall'altro lo sviluppo dell'economia capitalista. In ultima analisi il secondo fattore, cioè il destino dell'economia mondiale nel suo insieme, è certamente quello di importanza decisiva.

Può succedere - ed in quale caso - che la produttività del nostro sistema socialista resti costantemente in ritardo rispetto a quella del sistema capitalista, cosa che porterebbe inevitabilmente alla fine ed al crollo della repubblica socialista? Se gestiremo abilmente la nostra economica in questa nuova fase, nella quale diviene necessario creare in modo indipendente una base industriale con tutte le sue incomparabilmente maggiori richieste alla leadership, allora la nostra produttività del lavoro crescerà. È, però, inconcepibile il fatto che la produttività del lavoro nei paesi capitalisti, o meglio, nei predominanti paesi capitalistici, cresca più velocemente che nel nostro paese? Senza una chiara risposa a tale questione non esiste alcuna base per l'insulsa asserzione che il nostro ritmo è "in se stesso" sufficiente (lasciando da parte la stupida filosofia della "velocità di tartaruga"). Ma lo stesso tentativo di fornire una risposta alla questione della rivalità di due sistemi ci porta nell'arena dell'economia mondiale e della politica mondiale, cioè nell'arena di azione e decisione dell'Internazionale rivoluzionaria che include la repubblica sovietica, che non è l'arena dell'autosufficiente repubblica sovietica che di tanto in tanto si assicura l'appoggio dell'Internazionale.

Parlando dell'economia dell'URSS la bozza dice che essa "sta sviluppando la grande industria ad un ritmo che supera quello dei paesi capitalisti". Questo tentativo di giustapporre i due ritmi rappresenta, dobbiamo concederlo, un passo avanti rispetto al periodo i cui gli autori del programma rigettavano categoricamente la stessa questione di un coefficiente comparativo tra il nostro sviluppo e quello mondiale. Non c'è bisogno di "introdurre il fattore internazionale", disse Stalin. Lasciateci costruire il socialismo "anche a velocità di tartaruga", ha detto Bucharin. È proprio lungo questa linea che le controversie di principio sono avvenute per un periodo di svariati anni. Formalmente, abbiamo vinto su questo fronte. Ma se non ci limitiamo ad inserire nel testo comparazioni tra i ritmi di sviluppo economico ma penetriamo nel cuore della materia, diverrà apparente che è inammissibile parlare, in un'altra sezione della bozza, di "una sufficiente industria minima" senza fare alcuna relazione col mondo capitalista, prendendo come punto di partenza solo le relazioni interne; ed è egualmente inammissibile non solo prendere una decisione, ma persino porre la questione del se sia "possibile o impossibile" per un qualsiasi dato paese costruire il socialismo in modo indipendente. La questione è decisa dalla dinamica della lotta tra i due sistemi, tra le due classi mondiali; ed in questa lotta, indipendentemente dagli alti livelli di crescita del nostro periodo di risanamento, resta incontestabile il fatto che:

"Il capitalismo, se preso su cala internazionale, è ancor ora, non solo in termini militari ma anche economici, più forte del potere sovietico. Dobbiamo partire da questa fondamentale considerazione e non scordarlo mai". (Lenin, Works, Vol. XVII, p. 102.)

Quella dell'interrelazione tra i differenti ritmi di sviluppo resta una questione aperta per il futuro. Essa dipende non solo dalla nostra capacità di raggiungere realmente lo "smychka", garantire la raccolta del grano ed i nostri export ed import; in altre parole, non solo sui nostri successi interni, i quali sono certamente fattori estremamente importanti in questa lotta, ma anche dal destino del capitalismo mondiale, dalla sua stagnazione, ripresa o collasso, che è a dire dal corso dell'economia mondiale e della rivoluzione mondiale. Conseguentemente tale questione è decisa non entro la struttura nazionale ma nell'arena della lotta economica e politica mondiale.

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8. La contraddizione tra le forze produttive ed i confini nazionali come causa dell'utopica e reazionaria teoria del "socialismo in un paese solo"
Le basi per la teoria del socialismo in un paese solo, come abbiamo visto, si riassumono da una lato in un'interpretazione sofistica di e, dall'altro, in un'interpretazione scolastica della legge dell' "ineguale sviluppo". Dando una corretta interpretazione alla legge suddetta, tanto quanto alle citazioni in questione, giungiamo a conclusioni diametralmente opposte, cioè alle conclusioni cui erano già pervenuti Marx, Engels, Lenin e tutti noi, inclusi Stalin e Bucharin, fino al 1925.

Dall'ineguale e sporadico sviluppo del capitalismo scaturisce il non simultaneo, ineguale ed occasionale carattere della rivoluzione socialista; dall'estrema tensione dell'interdipendenza di vari paesi l'uno nei confronti dell'altro scaturisce l'impossibilità non solo politica, ma persino economica, di costruire il socialismo in un solo paese.

Lasciateci esaminare ancora una volta, più da vicino e da quest'angolatura, il testo del programma. Abbiamo già detto nell'introduzione che:

"L'imperialismo […] aggrava ad un grado eccezionale la contraddizione tra crescita delle forze produttive nazionali dell'economia mondiale e barrire nazionali".

Abbiamo già sottolineato che questa proposizione è, o piuttosto era, il perno del programma internazionale. Ma è proprio questa affermazione che esclude, rigetta e spazza via a priori la teoria del socialismo in un paese solo come teoria che è reazionaria (in quanto è opposta non solo alla tendenza fondamentale dello sviluppo delle forze produttive, ma anche ai risultati materiali che son già stati raggiunti dal suo sviluppo). Le forze produttive sono incompatibili con i confini nazionali. Da qui scaturiscono non solo il commercio estero, l'esportazione di uomini e di capitali, la conquista di territori, la politica coloniale e la guerra imperialistica, ma anche l'impossibilità di un'auto-sufficiente società socialista. Le forze produttive dei paesi capitalisti han da lungo tempo sfondato i confini nazionali. Una società socialista, però, può essere costruita solo sulle più avanzate forze produttive, sull'applicazione dell'elettricità e della chimica ai processi di produzione, agricoltura inclusa; combinando, generalizzando e portando a massimo sviluppo la moderna tecnologia. Da Marx in poi, abbiamo costantemente ripetuto che il capitalismo non può far fronte allo spirito della nuova tecnologia al cui sviluppo esso ha contribuito e che sradica non solo il rivestimento dei diritti di proprietà privati borghesi, come ha mostrato la guerra del 1914, ma anche i cerchi nazionali dello stato borghese. Il socialismo, però, non si deve limitare a prendere dal capitalismo le più sviluppate forze produttive, ma deve immediatamente portarle avanti, accrescerle sino al massimo livello e dar loro uno stato di sviluppo tale che mai uno stato capitalistico è riuscito a dargli. Scaturisce qui la domanda: come può allora il socialismo riportare le forze produttive indietro, entro i confini degli stati nazionali che esse han violentemente cercato di distruggere sotto il capitalismo? O, forse, dovremmo abbandonare l'idea di forze produttive "liberate" per le quali i confini nazionali, e conseguentemente anche i confini della teoria del socialismo in un paese solo, son troppo stretti, e che quindi si limitano a frenate ed addomesticate forze produttive, ovvero alla tecnologia dell'arretratezza economica? Se è questo il caso, allora in molte branche dell'industria dovremmo immediatamente smettere di fare progressi e declinare ad un livello addirittura inferiore al nostro presente pietoso livello tecnico che ha cercato di unire la Russia borghese e l'economia mondiale in un vincolo inseparabile, e a portarlo nel vortice del disastro imperialistico per un'espansione nel suo territorio delle forze produttive che han travalicato i confini statali.

Avendo ereditato e rimesso in funzione queste forze produttive, lo Stato operaio è costretto ad importare ed esportare.

Il guaio è che la bozza introduce meccanicamente nel suo testo la tesi dell'incompatibilità tra la moderna tecnologia capitalistica ed i confini nazionali e poi continua nelle sue argomentazioni come se tale incompatibilità non esistesse. Essenzialmente l'intera bozza è una combinazione di tesi rivoluzionarie già pronte, prese da Marx e da Lenin, e di conclusioni centriste e opportuniste che sono assolutamente incompatibili con queste tesi. Questo è il motivo per cui è necessario guardare più da vicino, e senza farsi affascinare dalle isolate formule rivoluzionarie contenute in essa, a dove ci portano le sue tendenze principali.

Abbiamo già citato la parte del primo capitolo che parla della possibilità della vittoria del socialismo "in un isolato paese capitalista". Quest'idea è ancora più crudamente espressa nel quarto capitolo, il quale afferma che:

"La dittatura [?] mondiale del proletariato [...] può essere realizzata solo come vittoria del socialismo [?] in singoli paesi capitalisti, quando le neonate repubbliche proletarie formeranno una federazione con quelle già esistenti".

Se dovessimo interpretare l'espressione "vittoria del socialismo" semplicemente come sinonimo di "dittatura del proletariato", allora ci troveremmo di fronte ad una dichiarazione generale che è irrefutabile e che dovrebbe solo essere formulata in maniera meno equivoca. Ma ciò non è quello che gli autori della bozza hanno in mente. Per "vittoria del socialismo" essi non intendono semplicemente la presa del potere e la nazionalizzazione dei mezzi di produzione, ma la costruzione di una società socialista in un solo paese. Se noi accettassimo questa interpretazione otterremmo allora non un'economia socialista mondiale basata sulla divisione internazionale del lavoro, ma una federazione di auto-sufficienti comuni socialiste nello spirito del beato anarchismo, l'unica differenza si troverebbe nel fatto che queste comuni sarebbero grandi quanto gli attuali Stati nazionali.

Nella sua fretta di coprire ecletticamente la nuova costruzione teorica per mezzo di vecchie e abituali formule, la bozza fa ricorso alla tesi seguente:

"Solo dopo la completa vittoria mondiale del proletariato ed il consolidamento del suo potere, sarà assicurata un'epoca di intensa costruzione dell'economia socialista mondiale" (Cap. 4).

Utilizzato come difesa teorica, questo postulato in realtà non fa altro che mettere in mostra la contraddizione basilare della bozza. Se dovessimo interpretare questa tesi nel senso che l'epoca di una genuina costruzione socialista potrebbe iniziare solo dopo la vittoria del proletariato di almeno svariati paesi avanzati, allora essa sarebbe semplicemente un rifiuto della teoria della costruzione del socialismo in un paese solo ed un ritorno alla posizione di Marx e Lenin. Ma, se teniamo come punto di partenza la nuova teoria di Stalin e Bucharin che è presentata in varie sezioni della bozza del programma, allora otteniamo la seguente prospettiva: fino alla completa vittoria del proletariato mondiale, un certo numero di paesi costruiscono entro i loro confini un completo socialismo, ed in seguito con questi paesi socialisti verrà costruita un'economia socialista mondiale, nello stesso modo in cui i bambini costruiscono strutture con i loro singoli blocchi già pronti.

Ma l'economia socialista mondiale non può essere affatto la somma totale di economie socialiste nazionali. Essa può prendere forma nei suoi aspetti fondamentali solo sul terreno della divisione internazionale del lavoro che è stata creata dall'intero sviluppo del capitalismo. Nella sua essenza, essa sarà costruita non dopo la costruzione di un "completo socialismo" in un certo numero di singoli paesi, ma nei tumulti e nelle tempeste di una rivoluzione proletaria mondiale che richiederà un certo numero di decenni. Il successo economico nei primi paesi della dittatura proletaria sarà misurato non dal grado della loro approssimazione ad un auto-sufficiente e "completo socialismo", ma dalla stabilità politica della dittatura stessa e dai successi raggiunti nel preparare gli elementi della futura economia socialista mondiale.

Quest'idea revisionista è espressa in modo ancor più definitivo, e quindi più grossolano (se ciò è possibile), nel quinto capitolo, nel quale (nascondendosi dietro una riga e mezza del postumo articolo di Lenin di cui abbiam già discusso) gli autori della bozza dichiarano che l'URSS:

"... possiede al suo interno i necessari e sufficienti pre-requisiti materiali, non solo per il rovesciamento dei proprietari terrieri feudali e della borghesia, ma anche per la completa costruzione del socialismo".

Grazie a quali circostanze abbiamo ottenuto tali straordinari vantaggi storici? Su questo punto troviamo una risposta nel secondo capitolo della bozza:

"Il fronte imperialista è stato rotto nel suo anello più debole, la Russia zarista".

Questa è la splendida formula di Lenin. Il suo significato è che la Russia era il più arretrato ed economicamente debole fra tutti gli stati imperialisti. Questo è il motivo per cui le sue classi dominanti son state le prime a giungere al collasso quando hanno caricato un insopportabile fardello sulle insufficienti forze produttive del paese. L'ineguale sviluppo ha così costretto il proletariato del paese imperialista più arretrato ad essere il primo a prendere il potere. In precedenza ci era stato insegnato che è precisamente per questa ragione che la classe operaia dell' "anello più debole" avrebbe incontrato le maggiori difficoltà nei suoi progressi verso la costruzione del socialismo, a differenza invece del proletariato dei paesi avanzati, il quale avrebbe incontrato difficoltà maggiori nella sua lotta per la presa del potere ma che, avendolo conquistato comunque prima che noi fossimo capaci di superare la nostra arretratezza, non solo ci avrebbe sorpassato, ma ci avrebbe portato dietro così da farci raggiungere il punto della reale costruzione socialista sulla base della migliore tecnologia mondiale e della divisione internazionale del lavoro. Questa era la nostra idea quando ci siamo avventurati nella Rivoluzione d'Ottobre. Il partito ha espresso quest'idea decine, centinaia, migliaia di volte nella sua stampa e nelle sue riunioni, ma dal 1925 ci sono stati tentativi di sostituire questa posizione col suo opposto. Ora ci viene insegnato che, il fatto che l'ex Russia zarista era l' "anello più debole", dà al proletariato dell'URSS, l'erede della Russia zarista e di tutte le sue debolezze, l'inestimabile vantaggio di possedere né più né meno che tutti i pre-requisiti per la "completa costruzione del socialismo".

La sfortunata Gran Bretagna non gode di questo vantaggio a causa dell'eccessivo sviluppo delle sue forze produttive, le quali necessitano di quasi tutto il mondo per essere rifornite delle necessarie materie prime e per collocare i suoi prodotti finiti. Fossero le forze produttive della Gran Bretagna più "modeste" ed avessero mantenuto un relativo equilibrio tra industria ed agricoltura, allora il suo proletariato sarebbe a quanto pare capace di costruire un completo socialismo nella sua "isolata" isola, protetta dall'intervento straniero dalla sua flotta.

La bozza del programma, nel suo quarto capitolo, divide gli stati capitalisti in tre gruppi: 1) "Paesi ad alto sviluppo capitalistico "Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna, ecc.); 2) "Paesi a medio sviluppo capitalistico (Russia prima del 1917, Polonia, ecc.); 3) "Paesi coloniali e semi-coloniali (Cina, India, ecc.)".

Malgrado il fatto che la "Russia prima del 1917" era molto più vicina all'attuale Cina che agli attuali Stati Uniti, ci si potrebbe astenere da qualsiasi seria obiezione verso questa divisione schematica se non fosse per il fatto che, in relazione ad altre parti della bozza, essa serve come fonte di false conclusioni. Fintantoché i paesi "di medio livello" sono dichiarati nella bozza avere "sufficienti minimi industriali" per l'indipendente costruzione socialista, questo è ancora più vero per paesi ad alto sviluppo capitalistico. Sono solo i paesi coloniali a semi-coloniali quelli che necessitano assistenza esterna. Come vedremo più avanti, questo è precisamente il modo in cui essi sono caratterizzati in un seguente capitolo della bozza.

Se, però, ci avvicinassimo al problema della costruzione socialista sono con questo criterio, facendo astrazione da altre condizioni (così come le risorse naturali di un paese, i rapporti al suo interno tra industria e agricoltura, la sua posizione nel sistema economico mondiale), cadremmo allora in nuovi e non meno grossolani errori e contraddizioni. Abbiamo giusto parlato della Gran Bretagna. Essendo questo, senza ombra di dubbio, un paese capitalisticamente assai avanzato, esso non ha, proprio per questo motivo, alcuna possibilità di costruire vittoriosamente il socialismo nella sua propria isola. La Gran Bretagna, se ostruita, sarebbe semplicemente strangolata nel giro di pochi mesi.

Sicuramente, altre condizioni inalterate, forze produttive più sviluppate sono un enorme vantaggio per gli obiettivi della costruzione socialista. Esse danno alla vita economica un'eccezionale flessibilità anche nel caso in cui il paese fosse circondato da ostruzionismi, come si evince dalla situazione della borghesia tedesca durante la guerra. Ma la costruzione del socialismo su basi nazionali implicherebbe, per questi paesi avanzati, un declino generale, una globale riduzione delle forze produttive, ovvero qualcosa di diametralmente opposto ai compiti della costruzione socialista.

La bozza dimentica completamente la tesi dell'incompatibilità tra le attuali forze produttive ed i confini nazionali, da cui segue che forze produttive altamente sviluppate non sono affatto un ostacolo minore per la costruzione del socialismo che quelle di un paese di forze produttive basse, per quanto ciò avvenga per la ragione inversa rispetto a quest'ultimo caso: nei paesi sviluppati sono le basi a mostrarsi inadeguate. La legge dell'ineguale sviluppo viene dimenticata proprio nel punto in cui essa risulta essere più importante.

Il problema della costruzione del socialismo non si pone semplicemente in termini di "maturità" o "immaturità" industriale di un paese. Tale immaturità è essa stessa ineguale. Nell'URSS alcune branche dell'industria (particolarmente riguardo alla costruzione di macchinari) sono estremamente inadeguate per soddisfare le più elementari necessità interne, altre branche per converso non possono svilupparsi, nelle condizioni attuali, senza estensive e crescenti esportazioni. Tra queste ultime ci sono branche di massima importanza come quelle del legname, del petrolio e del manganese, per non parlare dell'agricoltura. D'altra parte neppure la branche "inadeguate" possono svilupparsi seriamente se quelle (relativamente) "super-abbondanti" non possono effettuare esportazioni. L'impossibilità della costruzione di un'isolata società socialista, non in un'Utopia o in un'Atlantide, ma nelle concrete condizioni geografiche e storiche della nostra economia terrestre, è determinata per vari paesi in modi differenti - dall'insufficiente sviluppo di alcune brache tanto quanto dall' "eccessivo" sviluppo di altre. Nell'insieme, ciò significa che le forze produttive moderne sono incompatibili coi confini nazionali.

"Cosa è stata la guerra imperialistica? È stata la rivolta delle forze produttive non solo contro la forma borghese di proprietà, ma anche contro i confini dei paesi capitalisti. La guerra imperialista ha espresso il fatto che le forze produttive sono insopportabilmente imprigionate entro i confini degli stati nazionali. Abbiamo sempre sostenuto che il capitalismo è incapace di controllare le forze produttive che esso stesso sviluppa, e che solo il socialismo può incorporare in una più elevata entità economica le forze produttive che han travalicato i confini nazionali. Tutte le strade che riportano indietro verso una stato isolato sono state bloccate…" (Verbali, Settimo Plenum del C.E.I.C., discorso di Trotsky).

Sforzandosi di provare la teoria del socialismo in un paese solo, la bozza del programma commette un doppio, triplo e addirittura quadruplo errore: esagera le forze produttive dell'URSS; chiude gli occhi innanzi alla legge dell'ineguale sviluppo delle varie branche industriali; ignora la divisione internazionale del lavoro e, infine, dimentica la più importante contraddizione dell'epoca imperialistica, la contraddizione tra forze produttive e barriere nazionali.

Per non lasciare fuori dall'analisi alcun singolo argomento, dobbiamo ricordare un'altra proposizione generale di Bucharin in difesa della nuova teoria.

Su scala mondiale, dice Bucharin, la correlazione tra proletariato e contadini non è più favorevole di quella esistente in URSS. Conseguentemente, se per ragioni d'arretratezza fosse impossibile costruire il socialismo in URSS, allora sarebbe altrettanto impossibile la sua realizzazione su scala economica mondiale.

Tale argomento merita d'essere inserito in tutti i testi riguardanti la dialettica, come classico esempio di pensiero scolastico.

In primo luogo, è piuttosto probabile che la correlazione di forze tra proletariato e contadini a livello mondiale non sia molto differente da quella esistente all'interno dell'URSS. Ma la rivoluzione mondiale non si compie affatto in base a metodi aritmetici, e, per inciso, neppure la rivoluzione nazionale lo fa. Così la Rivoluzione d'Ottobre è avvenuta, e si è trincerata, prima di tutto nella proletaria Pietrogrado anziché scegliere una regione in cui la correlazione tra operai e contadini fosse quella corrispondente alla media russa. Dopo che Pietrogrado e Mosca avevano creato il governo e l'esercito rivoluzionario, essi han dovuto abbattere la borghesia nelle campagne esterne, nel corso di molti anni; solo come risultato di questo processo, chiamato rivoluzione, si è stabilita, entro i confini dell'URSS, l'attuale correlazione di forze tra proletariato e contadini. La rivoluzione non avviene in accordo coi metodi dell'aritmetica. Essa può iniziare in settori meno favorevoli, ma, finché non si trincera nei settori decisivi delle frontiere sia nazionali che mondiali, non si può parlare della sua completa vittoria.

Secondo, la correlazione tra proletariato e contadini, dato un livello "medio" di tecnologia, non è l'unico fattore per la soluzione del problema. Esiste in aggiunta la lotta di classe tra il proletariato e la borghesia. L'URSS è circondata non da un mondo operaio e contadino, ma da un mondo capitalista. Se la borghesia fosse abbattuta in tutto il mondo, questo fatto, di per sé, non cambierebbe né la correlazione tra proletariato e contadini, né il livello medio di tecnologia entro l'URSS e nel mondo intero. Ma, nondimeno, la costruzione socialista in URSS acquisirebbe immediatamente possibilità e proporzioni assolutamente incomparabili con quelle attuali.

Terzo, se le forze produttive di ogni paese avanzato avessero ad un certo grado travalicato i confini nazionali, allora, in accordo con Bucharin, ne dovrebbe seguire che le forze produttive di tutti i paesi persi assieme hanno travalicato i limiti del nostro paese, e che conseguentemente il socialismo può essere costruito non altrimenti che a livello di sistema solare.

Ripetiamo che l'argomento Buchariniano della proporzione media tra operai e contadini dovrebbe essere incluso in tutti i testi politici, naturalmente non nel modo in cui vi è inserito ora, a difesa della teoria del socialismo in paese solo, ma come prova dell'assoluta incompatibilità tra cavillosità scolastica e dialettica marxista.

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9. Il problema può esser risolto solo nell'arena della rivoluzione mondiale
La nuova dottrina proclama che il socialismo può essere costruito su basi nazionali solo se non c'è intervento esterno. Da ciò può e deve seguire (nonostante tutte le pompose dichiarazioni contenute nella bozza del programma) una politica collaborazionista nei confronti della borghesia straniera acciocché essa non intervenga, poiché ciò garantirà la costruzione del socialismo. Il compito dei partiti del Comintern assume, quindi, un carattere ausiliario; la loro missione è quella di proteggere l'URSS dall'intervento, e non quella di lottare per il potere. Non si tratta, ovviamente, di intenzioni soggettive, ma di oggettiva logica del pensiero politico.

"La differenza di vedute risiede nel fatto che" dice Stalin, "il partito considera che tali contraddizioni [interne] ed i possibili conflitti possono essere completamente superati sulla base delle forze intrinseche della nostra rivoluzione, laddove il compagno Trotsky e l'Opposizione pensano che tali contraddizioni e conflitti possono essere superati 'solo su scala internazionale, nell'arena della rivoluzione proletaria mondiale'." (Pravda, No. 262, 12 Novembre 1926).

Sì, la differenza è proprio questa. Non si potrebbe esprimere meglio e con maggior chiarezza la differenza tra riformismo nazionale ed internazionalismo rivoluzionario. Se le nostre difficoltà, ostacoli e contraddizioni interne, che sono fondamentalmente un riflesso delle contraddizioni mondiali, possono essere sistemate meramente "dalle forze intrinseche della nostra rivoluzione" senza entrare nella "arena della rivoluzione proletaria internazionale", allora l'Internazionale è in parte un ausiliario ed in parte un'istituzione decorativa, il Congresso della quale può esser convocato una volta ogni quattro anni, una volta ogni dieci anni, o forse non convocato affatto. Se si aggiunge che il proletariato degli altri paesi deve proteggere la nostra costruzione dall'intervento militare, allora l'Internazionale, in accordo con questo schema, deve giocare il ruolo di strumento pacifista. Il suo ruolo principale, quello di strumento della rivoluzione mondiale, è quindi inevitabilmente relegato nello sfondo. E ciò, lo ripetiamo, non deriva dalle intenzioni deliberate di alcuno (al contrario, un certo numero di punti del programma sono prova delle migliori intenzioni dei suoi autori), ma scaturisce dalla logica interna della nuova posizione teorica che è mille volte più pericolosa delle peggiori intenzioni soggettive.

Come dato di fatto, al Settimo Plenum del CEIC, Stalin è divenuto così spavaldo da sviluppare e difendere la seguente idea:

"Il nostro partito non ha il diritto di imbrogliare [!] la classe operaia; esso dovrebbe dichiarare apertamente che la mancanza di fiducia [!] nella possibilità di costruire il socialismo nel nostro paese porta all'abdicazione del potere e al passaggio del nostro partito da una posizione di governo all'opposizione" (Verbali). [1]

Ciò significa che noi abbiamo solo il diritto di riporre la nostra fiducia sulle scarse risorse della nostra economia nazionale ma che non dobbiamo osare di riporre alcuna fiducia sulle inesauribili risorse del proletariato internazionale. Se non possiamo andare avanti senza rivoluzione internazionale, allora dobbiamo abbandonare il potere, abbandonare quel potere dell'Ottobre che abbiamo conquistato nell'interesse della rivoluzione internazionale. Ecco la sorta di debacle ideologico cui giungiamo se partiamo da una formulazione che è falsa fino all'osso!

La bozza esprime un'idea incontrovertibile quando dice che i successi economici dell'URSS costituiscono una parte inseparabile della rivoluzione proletaria mondiale. Ma il pericolo politico della nuova teoria risiede nella falsa valutazione comparativa delle due leve del socialismo mondiale - la leva dei nostri successi economici e la leva della rivoluzione proletaria mondiale. Senza una vittoriosa rivoluzione proletaria mondiale noi non potremo costruire il socialismo. I lavoratori europei e di tutto il mondo devono comprendere chiaramente questo fatto. La leva della costruzione economica è certo di estrema importanza; senza un corretta leadership, la dittatura del proletariato ne risulterà indebolita e la sua caduta darebbe un duro colpo alla rivoluzione internazionale, colpo che la danneggerebbe per molti, molti anni. Ma la conclusione della lotta storica tra il mondo socialista ed il mondo del capitalismo dipende dalla seconda leva, cioè dalla rivoluzione proletaria mondiale. La colossale importanza dell'Unione Sovietica risiede nel fatto che essa è la base conquistata dalla rivoluzione mondiale e non affatto nella presunzione che essa sia capace di costruire il socialismo indipendentemente dalla rivoluzione mondiale.

Con un tono di suprema superiorità completamente infondato, Bucharin ci ha chiesto più di una volta:

"Se esistono già le precondizioni, i punti di partenza, una base sufficiente e persino alcuni successi nel lavoro di costruzione del socialismo, dov'è allora il limite oltre il quale tutto 'viene rivoltato'? Non c'è alcun limite del genere". (Verbali, Settimo Plenum del CEIC).

C'è qui pessima geometria e nessuna dialettica storica. Ci può essere tale "limite". Ci possono essere molti limiti del genere, interni tanto quanto internazionali, politici tanto quanto economici o militari. Il più importante ed infausto "limite" potrebbe risultare essere una prolungata e seria stabilizzazione del capitalismo mondiale ed un nuovo boom. In conseguenza la questione si sposta politicamente ed economicamente nell'arena mondiale. Riuscirà la borghesia ad assicurarsi una nuova epoca di crescita capitalistica e di potere? Negare semplicemente tale possibilità, contando semplicemente sulla "posizione senza speranze" in cui il capitalismo si trova oggi, sarebbe un semplice e vuoto utilizzo di frasario rivoluzionario. "Non ci sono affatto situazioni prive di speranza" (Lenin). L'attuale instabile equilibrio di classe dei paesi europei non può perdurare all'infinito proprio a causa della sua instabilità.

Quando Stalin e Bucharin sostengono che l'URSS può andare avanti senza l'aiuto "statale" del proletariato degli altri paesi, cioè senza la sua vittoria sulla borghesia, poiché l'attuale simpatia attiva delle masse operaie già ci protegge dall'intervento, essi tradiscono la stessa cecità che si rivela nell'intera ramificazione del loro errore principale.

È assolutamente incontestabile il fatto che, dopo che la socialdemocrazia ha sabotato le insurrezioni postbelliche del proletariato europeo contro la borghesia, è stata la simpatia attiva delle masse lavoratrici a salvare la repubblica sovietica. Durante quegli anni la borghesia europea si è dimostrata incapace di ingaggiare una guerra su larga scala contro lo Stato operaio. Ma pensare che tale correlazione di forze possa continuare per svariati anni, ovvero fino alla costruzione del socialismo in URSS, equivale ad essere tanto miopi da giudicare l'intera curva di uno sviluppo partendo ad un suo piccolo segmento. Una situazione così instabile, in cui il proletariato non può prendere il potere e la borghesia non si sente sufficientemente ferma per riuscire a mantenere il potere a casa sua, deve prima o poi risolversi bruscamente in una direzione o nell'altra: o in favore della dittatura proletaria o in favore di una seria e prolungata stabilizzazione capitalista sulle spalle delle masse popolari, sulle ossa dei popoli coloniali e forse sulle nostre stesse ossa. "Non ci sono affatto situazioni prive di speranza!". La borghesia europea ha un'ultima via di scampo alle sue gravi contraddizioni solo attraverso una sconfitta del proletariato e gli errori della leadership rivoluzionaria. Ma è altrettanto vero il contrario. Non ci sarà un nuovo boom del capitalismo mondiale (ovviamente nella prospettiva di un'epoca di grandi rivolte) solo nel caso in cui il proletariato sarà capace di trovare una via d'uscita all'attuale equilibrio instabile per via rivoluzionaria.

"È necessario 'provare', con il lavoro pratico," ha detto Lenin il 19 luglio del 1920 al Secondo Congresso Mondiale " che i partiti rivoluzionari son sufficientemente consci e organizzati, che hanno un sufficiente contatto con le masse sfruttate e che hanno la determinazione e la capacità di utilizzare la crisi per una vittoriosa e trionfante rivoluzione". (Works, Vol. XVII, p. 264.)

Le nostre contraddizioni interne però, le quali dipendono direttamente dal corso della lotta europea e mondiale, possono essere razionalmente regolate ed alleviate attraverso una corretta politica interna basata sulle previsioni marxiane. Ma esse potranno essere del tutto superate solo quando le contraddizioni di classe saranno superate, cosa che è fuori questione senza una vittoriosa rivoluzione in Europa. Stalin ha ragione. La differenza risiede proprio in questo punto, e questa è la differenza fondamentale tra riformismo nazionale ed internazionalismo rivoluzionario.

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10. La teoria del socialismo in un paese solo: una serie di baggianate socialpatriottiche
La teoria del socialismo in un paese solo porta inesorabilmente ad una sottostima delle difficoltà che occorre superare e ad una sopravvalutazione dei risultati raggiunti. Non si può trovare un'asserzione tanto antisocialista ed antirivoluzionaria quanto la dichiarazione di Stalin secondo cui "il socialismo è già stato realizzato in Urss per il 90 percento". Tale dichiarazione pare essere specialmente significativa per burocrati compiaciuti. In tal modo si scredita però completamente l'idea di una società socialista agli occhi delle masse lavoratrici. Il proletariato sovietico ha raggiunto grandiosi successi, se teniamo conto delle condizioni nelle quali essi son stati ottenuti e del basso livello culturale ereditato dal passato. Ma questi successi costituiscono piccole cose rispetto all'ideale socialista. Per rafforzare gli operai, i lavoratori agricoli ed i poveri contadini, i quali vedono che dopo undici anni dalla rivoluzione la povertà, la miseria, la disoccupazione, le file per il pane, l'analfabetismo, i bambini senzatetto, l'alcolismo e la prostituzione non sono stati sconfitti, serve la dura verità, e non mielose menzogne. Invece di raccontar loro bugie riguardo la realizzazione del socialismo al 90%, dobbiamo dir loro che il nostro livello economico, come le nostre condizioni sociali e culturali, si avvicinano oggi più al capitalismo, e ad un capitalismo arretrato per giunta, che al socialismo. Dobbiamo dir loro che entreremo nella fase della costruzione socialista solo quando il proletariato dei paesi più avanzati avrà preso il potere, che è necessario lavorare ininterrottamente per raggiungere tale obiettivo, facendo perno su ambo le leve - quella corta dei nostri sforzi economici interni e quella lunga della lotta proletaria internazionale.

In breve, invece delle frasi staliniane sulla costruzione socialista già completata al 90%, dobbiamo parlare con loro con le parole di Lenin:

"La Russia (la terra della povertà) diverrà tale terra (la terra dell'abbondanza) solo se gettiamo via tutto il nostro pessimismo e le vuote parole: solo se, stringendo i nostri denti, ci facciamo forza e tiriamo ogni nostro muscolo ed ogni nervo, solo se capiamo che la salvezza è possibile solo lungo la strada della rivoluzione socialista mondiale che stiamo attraversando". (Works, Vol. XV, p. 165.)

Da prominenti leader del Comintern ci è capitato di leggere argomenti quali: la teoria del socialismo in un paese solo è, certamente, infondata, ma essa fornisce gli operai russi di una prospettiva nelle difficili condizioni in cui essi lavorano e, così, dà loro coraggio. È difficile plumb the depths del debacle teorico di coloro i quali fondano un programma non su basi scientifiche e di classe ma sulla consolazione morale. Le teorie consolatorie che contraddicono i fatti appartengono alla sfera della religione e non alla scienza: e la religione è l'oppio dei popoli.

Il nostro partito ha vissuto il suo periodo eroico con un programma che era interamente orientato verso la rivoluzione internazionale e non verso il socialismo in un solo paese. Sotto una bandiera programmatica sulla quale era scritto che l'arretrata Russia non avrebbe potuto costruire da sola, basandosi sulle proprie forze, il socialismo, la Lega dei Giovani Comunisti ha attraversato i duri annui della guerra civile, la fame, il freddo, sabati e domeniche di duro lavoro, epidemie, studi sul razionamento del cibo e innumerevoli sacrifici pagati per ogni piccolo passo avanti compiuto. I membri del partito e della Lega Giovanile hanno lottato al fronte o trascinato travi alle stazioni ferroviarie non perché speravano, con quelle travi, di costruire il socialismo nazionale, ma perché servivano la causa della rivoluzione internazionale per la quale era necessario che la fortezza russa tenesse duro - ed ogni singola trave è importante per la fortezza sovietica. Questo era il modo in cui usavamo affrontare il problema. I tempi sono cambiati, le cose son diventate differenti (seppur non in modo assai radicale), ma l'approccio principale mantiene ancora tutta la sua forza. L'operaio ed il contadino povero, il partigiano ed il giovane comunista, tutti hanno precedentemente mostrato, con la loro condotta fino al 1925, anno in cui il nuovo vangelo fu per la prima volta proclamato, che loro non hanno bisogno di esso. Chi ne ha bisogno è il funzionario che guarda le masse dall'alto in basso, il piccolo amministratore che non vuol essere disturbato, il dipendente dell'apparato che cerca il potere dietro una formula consolante. Sono loro che pensano che il popolo ignorante ha bisogno delle "buone notizie" e che non c'è rapporto con il popolo senza dottrine consolatrici. Sono loro che colgono al volo le false parole sul "socialismo al "90%", poiché questa formula giustifica le loro posizioni di privilegio, il loro diritto di dominare e di comandare, il loro bisogno d'essere liberi dalle critiche degli "scettici" e degli "uomini di poca fede".

Lamentele ed accuse agli effetti che il rifiuto della possibilità di costruire il socialismo in un paese solo, ovvero dire che tali critiche scoraggiano lo spirito ed uccidono l'entusiasmo, sono teoricamente e psicologicamente vicine alle accuse che i riformisti han sempre scagliato contro i rivoluzionari, nonostante le condizioni totalmente differenti in cui esse son state generate. Dicevano i riformisti: "Voi state dicendo agli operai che essi non possono migliorare la loro condizione entro l'ordinamento della società capitalistica; e con questo voi uccidete il loro incentivo alla lotta". È stato, in realtà, solo sotto la leadership dei rivoluzionari che gli operai han veramente lottato per i miglioramenti economici e per le riforme parlamentari.

L'operaio che capisce l'impossibilità della costruzione di un paradiso socialista, di un'oasi socialista nel mezzo dell'inferno del capitalismo mondiale, che il destino della repubblica sovietica e quindi il suo stesso destino dipendono interamente dalla rivoluzione internazionale, svolgerà i suoi compiti verso l'Urss in modo ancor più energico dell'operaio a cui vien detto che ciò che già possediamo è presumibilmente socialismo al 90%. "Se è così, a che serve allora sforzarsi per realizzare il socialismo?". Qui, ancora, l'orientamento consolatorio lavora come al solito non solo contro la rivoluzione, ma anche contro le riforme stesse.

Nel già citato articolo del 1915 sullo slogan degli Stati Uniti d'Europa, abbiam scritto:

"Abbracciare la prospettiva di una rivoluzione sociale entro i confini nazionali è cadere vittime della medesima ristrettezza nazionale che costituisce la sostanza del social-patriottismo. Vaillant, nei suoi ultimi giorni, considerava la Francia come la terra promessa delle rivoluzione sociale; ed è precisamente partendo da quest'angolazione che egli ha, fino alla fine, appoggiato la difesa nazionale. Lensch and Co. (alcuni ipocritamente ed altri in modo sincero) considerano la sconfitta della Germania innanzitutto come la distruzione delle basi della rivoluzione sociale… Non bisognerebbe scordare, in generale, che nel social-patriottismo c'è, affianco al più volgare riformismo, un messianismo rivoluzionario nazionale che crede che il proprio stato-nazione, a causa del suo livello di sviluppo nazionale piuttosto che per la sua forma 'democratica' e le sue conquiste rivoluzionarie, è chiamato a guidare l'umanità verso il socialismo e verso la 'democrazia'. Se la rivoluzione vittoriosa fosse concepibile semplicemente entro i confini di una singola, e più sviluppata delle altre, nazione, questo messianismo insieme al programma della difesa nazionale avrebbe qualche relativa giustificazione storica. Ma, nei fatti, ciò è inconcepibile. La lotta per preservare le basi nazionali della rivoluzione, con metodi tali da minare i legami internazionali del proletariato, in realtà significa minare la rivoluzione stessa, la quale può iniziare su basi nazionali ma non può essere su esse completata, e ciò data l'attuale interdipendenza economica, militare e politica degli stati europei, la quale non sì è mai in precedenza presentata in modo così pieno ed ampio prima dell'attuale guerra. Questa interdipendenza che condizionerà direttamente ed immediatamente l'azione concentrata da parte del proletariato europeo nella rivoluzione si esprime nello slogan del Stati Uniti d'Europa" (Works, Vol. III, part 1, pp. 90f.)

Partendo da una falsa interpretazione della polemica del 1915, Stalin ha più volte tentato di mostrare che col termine "ristrettezza nazionale" io stavo facendo allusione a Lenin. Non si potrebbe immaginare assurdità più grande. Nella mia polemica con Lenin sono sempre stato aperto, perché ero guidato da considerazioni ideologiche. Nel caso specifico Lenin non era per nulla coinvolto. L'articolo cita per nome le persone contro cui tali accuse erano lanciate - Vaillant, Lensch ed altri. Bisogna ricordare che il 1915 è stato l'anno dell'orgia social-patriottica e della nostra strenua lotta contro di essa. Questo era il nostro metro di confronto per ogni questione.

La questione fondamentale sollevata dal precedente passo è stata senza dubbio correttamente formulata: la concezione della costruzione del socialismo in un paese solo è una concezione social-patriottica.

Il patriottismo dei socialdemocratici tedeschi iniziò come legittimo patriottismo vero il loro partito, il più potente della Seconda Internazionale. Sulla base dell'altamente sviluppata tecnologia tedesca e delle superiori qualità organizzative del popolo tedesco, la socialdemocrazia tedesca si preparò a costruire la "propria" società socialista. Se lasciamo da parte i burocrati insensibili, i carrieristi, i parlamentaristi imbroglioni ed i truffatori politici in generale, il social-patriottismo della massa socialdemocratica derivava precisamene dalla fiducia verso la costruzione del socialismo tedesco. È impossibile pensare che centinaia di migliaia di socialdemocratici (lasciando da parte i milioni di lavoratori) volessero difendere gli Hohenzollern o la borghesia. No. Essi volevano proteggere l'industria tedesca, le loro ferrovie e le grandi strade, la loro tecnologia e la loro cultura, e specialmente le organizzazioni della classe operaia tedesca, viste come "necessari e sufficienti" pre-requisiti nazionali per il socialismo.

Un simile processo c'è stato anche in Francia. Guesde, Vaillant, e con loro migliaia tra i migliori membri del partito e centinaia di migliaia di lavoratori, credevano che proprio la Francia, con la sua tradizione rivoluzionaria, il suo eroico proletariato, il suo altamente acculturato, flessibile e ingegnoso popolo, era la terra promessa del socialismo. Il vecchio Guesde ed il Comunardo Vaillant, e con loro centinaia di migliaia di sinceri operai, non lottavano per proteggere i banchieri o i rentier. Essi credevano sinceramente di difendere il suolo ed il potere creativo della futura società socialista. Essi partivano interamente dalla teoria del socialismo in un paese solo e nel nome di quest'idea essi sacrificavano la solidarietà internazionale, considerando questo sacrificio come "temporaneo".

A questa comparazione con i social-patriottici verrà risposto, certamente, con l'argomento che il patriottismo verso lo stato sovietico è un dovere rivoluzionario mentre il patriottismo verso uno stato borghese è un tradimento. Verissimo. Ci potrebbe mai essere una seria disputa su tale questione tra rivoluzionari adulti? Ma, procedendo, vediamo come quest'incontrovertibile postulato viene trasformato sempre più in una difesa scolastica per una deliberata falsificazione.

Il patriottismo rivoluzionario può avere solo un carattere di classe. Inizia come patriottismo verso le organizzazioni di partito e verso i sindacati, cresce poi a livello di patriottismo di stato nel momento in cui il proletariato prende il potere. Allorquando il potere è nelle mani dei lavoratori, il patriottismo diviene un dovere rivoluzionario. Ma questo patriottismo dev'essere una parte inseparabile dell'internazionalismo rivoluzionario. Il marxismo ha sempre insegnato ai lavoratori che persino la loro battaglia per più alti salari e minori ore di lavoro non può avere successo a meno che non sia combattuta a livello internazionale. Ed ora ci vien detto d'improvviso che l'ideale della società socialista può esser raggiunto basandosi solo sulle forze nazionali. Questo è un colpo mortale inferto all'Internazionale.

L'invincibile convinzione che lo scopo fondamentale della classe, anche più dei suoi obiettivi parziali, non può esser realizzato a livello semplicemente nazionale entro i propri confini, costituisce il fulcro ineliminabile dell'internazionalismo rivoluzionario. Se, invece, lo scopo ultimo fosse realizzabile entro i confini nazionali attraverso gli sforzi del proletariato interno, allora la spina dorsale dell'internazionalismo risulterebbe rotta. La teoria del socialismo in un paese solo distrugge l'intima connessione tra il patriottismo del proletariato vittorioso ed il disfattismo del proletariato dei paesi borghesi. Il proletariato dei paesi capitalisti avanzati sta ancora viaggiando sulla strada della presa del potere. In che maniera esso marci verso di esso dipende interamente da come egli consideri il compito della costruzione della società socialista, dal fatto che esso lo consideri un compito nazionale piuttosto che internazionale.

Se fosse possibile realizzare il socialismo in un solo paese, allora si potrebbe credere in tale teoria non solo dopo, ma anche prima della conquista del potere. Se il socialismo è realizzabile entro i confini nazionali dell'arretrata Russia, allora si può, a maggior ragione, credere che esso sia realizzabile nell'avanzata Germania. Domani i leader del Partito Comunista di Germania si accingeranno a proporre tale teoria. La bozza del programma li legittima a farlo. Dopodomani toccherà al partito francese fare questa svolta. Sarà l'inizio della disgregazione del Comintern lungo le linee del social-patriottismo. Il partito comunista di ogni singolo paese capitalista, che sarà ormai imbevuto dell'idea che il suo particolare paese possiede tutti i "necessari e sufficienti" pre-requisiti per la costruzione indipendente di una "completa società socialista", non differirà in modo sostanziale dalla socialdemocrazia rivoluzionaria, la quale non è degenerata con Noske, ma che si è impantanata definitivamente il 4 agosto 1914 proprio su questa medesima questione.

Quando si afferma che la stessa esistenza dell'Urss è una garanzia contro il social-patriottismo, poiché il patriottismo verso la repubblica operaia è un compito rivoluzionario, allora in quest'unilaterale applicazione di un'idea corretta si trova espressa la ristrettezza di pensiero nazionale. Quelli che dicon ciò hanno in mente solo l'Urss e chiudono i loro occhi innanzi al proletariato mondiale. È possibile vincere il proletariato al disfattismo verso lo Stato borghese solo attraverso un orientamento programmatico internazionalista su questo tema ed un feroce rifiuto del contrabbando social-patriottico che al momento è ancora mascherato, ma che cerca di costruirsi un nido teorico all'interno del programma dell'Internazionale di Lenin.

Non è troppo tardi per tornare sulla via di Marx e di Lenin. Solo questo ritorno può riaprire ogni immaginale strada verso il progresso. Indirizziamo questa critica alla bozza del programma presentata al Sesto Congresso del Comintern proprio per render possibile la realizzazione di questa svolta nella quale risiede la salvezza.

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NOTE

1. "Nella grande discussione del 1926 sorse la questione dei tempi, che abbiamo fondamentalmente chiarita. Stalin diceva: se qui il pieno socialismo è impossibile, allora dobbiamo lasciare il potere. Trotsky gridò di credere nella rivoluzione internazionale, ma di doverla attendere al potere anche per 50 anni. Gli fu risposto che Lenin aveva parlato di 20 anni per la Russia isolata. Documentammo che Lenin intendeva 20 anni di buoni rapporti con contadini, dopo dei quali, anche in Russia economicamente non socialista, si sarebbe scatenata la lotta di classe tra operai e contadini per troncare la microproprietà rurale e il microcapitale privato agrario, tara della rivoluzione". Questo il commento di Bordiga a quegli eventi [cfr. Arrigo Cervetto, La difficile questione dei tempi, capitolo primo, La questione dei tempi nella teoria e nella pratica marxista, paragrafo primo, La questione dei tempi]


Ultima modifica 24.12.2003