Introduzione

 

 

Dopo il rapporto di Kruscev al XX Congresso del PCUS, che aveva scosso il mondo intero, i difensori del socialismo più coerenti sentirono che questa esposizione ufficiale del gran terrore del 1936-38 sarebbe dovuta essere l'inizio di un enorme lavoro rivolto a riesaminare lo Stalinismo e superarlo completamente in tutti i paesi socialisti e all'interno dei Partiti Comunisti. Rilevando l'enorme complessità di quest'opera, Bertold Brecht scrisse: "Si può riuscire a liquidare lo Stalinismo solo se il partito mobilita su larga scala il buon senso delle masse . Tale mobilitazione si pone sulla strada del comunismo". Pensieri analoghi furono espressi anche dal poeta comunista tedesco Johannes Becher, che notò che il contenuto tragico dell'epoca Stalinista non era paragonabile a nessuna delle tragedie avvenute nella storia. "Questa tragedia" scrive "potrà essere superata solo quando verrà considerata come tale, e quando le forze scelte per superarla avranno fatto i conti con la sua natura tragica". Qui sta la garanzia che "nel mondo, il sistema socialista non smetta di esistere ". Becher correttamente notava che "il senso di tragedia può essere elaborato solo da chi ha partecipato, ha lottato e sofferto per il socialismo, ad esempio da chi era socialista e lo rimarrà per sempre".

Purtroppo, al tempo del XX Congresso, le persone in grado di combattere effettivamente lo Stalinismo e che conservavano delle genuine convinzioni comuniste, non esistevano più da tempo in Unione Sovietica e nei partiti comunisti stranieri: la stragrande maggioranza era stata sterminata nelle famigerate purghe.

Quasi tutti i capi del PCUS e degli altri partiti comunisti erano in un modo o nell'altro erano coinvolti nei crimini di Stalin, o almeno nella loro giustificazione e preparazione ideologica. Questo fatto in qualche modo influenza il rapporto di Kruscev, che nella sua essenza non era rivolto contro lo Stalinismo, ma contro i crimini più mostruosi commissionati da Stalin. La tesi che dominava nel rapporto di Kruscev era contenuta nell'affermazione secondo cui Stalin sino al 1934 avrebbe "lottato attivamente per il Leninismo, contro gli oppositori e i revisionisti degli insegnamenti di Lenin". Avrebbe condotto la "lotta contro chi cercava di deviare il Paese dall'unico possibile cammino Leninista - contro i trotskisti, gli zinovievisti, la destra e i nazionalisti borghesi". Solo dopo l'assassinio di Kirov, dichiarò Kruscev, Stalin "iniziò sempre più ad abusare e a colpire membri prominenti del partito e dello stato, applicando metodi terroristici contro l'onesto popolo sovietico". Tuttavia, dichiarò Kruscev che, pur nel terrore di stato massiccio e incontrollato, Stalin aveva agito in difesa "degli interessi della classe proletaria, nell' interesse dei lavoratori, nell'interesse della vittoria del socialismo e del comunismo. Non si può dire che le sue siano azioni dettate dalla crudeltà. Egli sentiva di doverle compiere nell'interesse del partito e dei lavoratori, per non perdere ciò che avevamo ottenuto con la rivoluzione. Qui sta la tragedia!". Da queste parole si dovrebbe concludere che il terrore stalinista non fu una tragedia per il popolo sovietico o per il partito bolscevico, ma che fu una tragedia...per lo stesso Stalin!!!

Questa idea venne espressa anche più chiaramente nella risoluzione del Comitato Centrale del PCUS il 30 giugno 1956 "Sul Sopravvento del Culto della Personalità e le sue Conseguenze", in cui si affermava chiaramente che i "crimini di Stalin" consistevano unicamente nell'applicazione di metodi illegali e indegni. Questa versione falsa, che offese le coscienze del popolo sovietico negli anni del disgelo, fu ripudiata da Kruscev solo nelle sue memorie, alla fine degli anni sessanta, in cui ritornò più volte sulla sua valutazione di Stalin. Qui definì Stalin un assassino che aveva commesso "atti criminali perseguiti in tutti i paesi, tranne in quelli che non sono guidati da alcuna legge". Kruscev si riferisce correttamente alla "logica piuttosto gretta" di quanti sentono che Stalin commise i suoi crimini "non per guadagno personale, ma per il bene del suo popolo. Che ferocia! Non è nell'interesse del popolo uccidere i suoi figli migliori. Qui si potrebbe aggiungere che le valutazioni di Kruscev sulla "ferocia" e sulla "gretta logica" potrebbero benissimo applicarsi a molte delle sue stesse affermazioni presenti nel rapporto al XX Congresso e in un numero di discorsi successivi che "ammorbidivano" i passaggi del rapporto. Nel capitolo delle sue memorie intitolato "Le mie Riflessioni su Stalin", Kruscev adottò un approccio fondamentalmente diverso che nei suoi primi discorsi ufficiali sulle valutazioni delle ragioni delle Grande Purghe e dell'estirpazione dell'opposizione nel partito e nel paese. "Dopo aver distrutto quel nucleo rilevante di persone che si erano temprate sotto la leadership di Lenin nel periodo Zarista" scrive "seguì lo sterminio selvaggio dei leader del partito, dei soviet, dei quadri accademici e militari, come di milioni di persone il cui modo di vita o di pensare non piaceva a Stalin....Alcuni di loro, naturalmente, smisero di sostenerlo non appena si accorsero che stava prendendo il sopravvento. Stalin capì che esisteva un gruppo numeroso di persone che si opponevano a lui. I sentimenti d'opposizione, tuttavia, ancora non erano diventati sentimenti anti-sovietici, anti-marxisti e anti-comunisti". Così Kruscev, il cui pensiero era profondamente influenzato dal materiale prodotto dalle investigazioni sui crimini di Stalin, giunse a due importanti conclusioni:


1) l'opposizione interna al partito non poteva costituire in nessun modo un male letale (come si insegnò al popolo sovietico per alcuni decenni);

2) l'opposizione anti-stalinista negli anni trenta erano piuttosto numerosa.

Nel dipingere un adeguato quadro per la comprensione del significato politico delle Grandi Purghe, Kruscev le spiegava riferendosi alla rottura di Stalin con i fondamentali della teoria Marxista e della pratica politica Bolscevica. Disse chiaramente che il terrore era stato sguinzagliato da Stalin "per precludere la possibilità che una persona o un gruppo potessero rivendicare un ritorno del partito ai meccanismi di democrazia interna che esistevano con Lenin, e dirigere nuovamente la nazione verso una struttura democratica sociale... Stalin diceva che il popolo è letame, una massa amorfa che avrebbe seguito un leader forte. E proprio in tal modo dimostrava la sua forza, distruggendo qualsiasi cosa potesse contribuire ad una vera comprensione degli eventi o che gli sembrava potesse contraddire il suo punto di vista. Qui sta la tragedia dell'URSS". Per la prima volta Kruscev chiama il grande terrore una tragedia non per Stalin ma per la nazione e il suo popolo.

Fu molto difficile per Kruscev sganciarsi dalla mitologia stalinista. Questa difficoltà si rinviene in una pagina delle sue memorie, in cui ripete alcune falsità contenute nel rapporto al XX Congresso del Partito. Come in precedenza, definiva l'attività di Stalin "positiva, nel senso che rimaneva Marxista nel suo approccio alla storia; egli era un uomo devoto all'idea Marxista". Avendo poca confidenza con la teoria Marxista, Kruscev decise di introdurre solo ipoteticamente la tesi trotskista: "Forse Stalin era giunto a una degenerazione dell'idea di socialismo e gli si era totalmente rivoltato contro, per questa ragione aveva sterminato i suoi aderenti? - solo per rigettare la stessa possibilità di sollevare tale questione: "Assolutamente no, Stalin rimase fedele ai principi dell'idea di socialismo". Come risultato, Kruscev era assolutamente incapace di trarre un bilancio dalle sue stesse valutazioni, rimanendo prigioniero di una spiegazione puramente psicologica, se non clinica, delle azioni terroriste di Stalin: "Queste azioni potevano essere compiute da un Marxista genuino? Queste azioni può compierle soltanto un despota o un uomo malato...Non può esserci giustificazione alcuna...D'altra parte Stalin rimane un Marxista in linea di principio (ma non nei fatti). Ed escludendo il suo sospetto patologico, la crudeltà e la sua slealtà, dava valutazioni sobrie e corrette." In questo modo il passato da stalinista continuava a pesare sui maggiori iniziatori ed esecutori del processo di destalinizzazione. C'è qualche sorpresa per il fatto che, dopo che le leadership di Breznev e Suslov avevano per anni proibito ogni menzione al tema dello Stalinismo, e dopo il caos della perestroika nelle investigazioni sul nostro passato storico, fossero precisamente queste idee esposte da Kruscev (e dagli stalinisti in generale) a prendere il sopravvento durante gli anni novanta, tra molti partiti e gruppi che definivano se stessi "comunisti"?

La versione della diffidenza di Stalin, "evolutasi in un complesso di persecuzione", servita come maggior causa delle Grandi Purghe, era ripetuta nelle opere storiche datate alla fine degli anni '50 e agli inizi dei '60. La spiegazione del "periodo di Yezhov" attraverso tratti patologici della personalità di Stalin era ricorrente anche tra importanti esperti di storia sovietica, sovietisti occidentali e russi della prima ondata migratoria. Questa versione era stata discussa dettagliatamente nella corrispondenza tra gli ex Menscevichi, N. Valentinov e B. Nikolaevsky. Questa discussione fu argomento di uno scambio epistolare avvenuto tra il 1954-56, quando ormai era ovvio che il terrore di stato e le persecuzioni di massa sulla base di false accuse, non potevano essere in alcun modo un attributo necessario e inevitabile del "sistema comunista". Nei giorni che avevano seguito la morte di Stalin, i suoi successori avevano bloccato una nuova ondata di terrore che minacciava di superare anche il terrore degli anni trenta per i suoi scopi. Un mese dopo, avevano dichiarato che il "Complotto dei dottori" - uno degli ultimi crimini di Stalin, era stata una montatura. Poi si era venuto a sapere che i successori di Stalin stavano iniziando a liberare e riabilitare le persone ingiustamente condannate negli anni precedenti. Sotto queste condizioni, Valentinov cercò di convincere Nikolaevsky che il "Periodo di Yezhov" era stato interamente dovuto alla paranoia di Stalin, cioè una malattia mentale cronica che si esprimeva in ossessioni maniacali. Nel supportare questa tesi, Valentinov fece riferimento alle prove forse fornite da V.I Mezhlauk, un membro del Comitato Centrale, che si presume avesse trasmesso un messaggio all'estero, attraverso il fratello, che nel 1937 si era recato all'Esposizione Internazionale di Parigi. Il messaggio parlava della malattia di Stalin (paranoia), "assieme ad una enorme quantità di dettagli importanti".

Nel rispondere a Valentinov, Nikolaevsky fu d'accordo nel sostenere che negli ultimi anni Stalin "aveva perso il senso di moderazione e, da "uomo brillante che misurava tutto in dosi" come l'aveva definito Bukharin, si era trasformato in una persona che aveva perso il contatto con la realtà". Nikolaevsky obiettò soltanto ai tentativi "di estendere questa giustificazione ai periodi passati per cercare di spiegare il "periodo di Yezhov", che era stato un criminale, ma che aveva accuratamente calcolato e correttamente (dal suo punto di vista) misurato le azioni per distruggere i suoi oppositori, che altrimenti l'avrebbero spodestato".

Per supportare la sua versione della resistenza a Stalin nell'ambiente bolscevico, Nikolaevsky si riferì sia a fatti significativi ( la nomina di Bukharin nel 1934 ad editore di Izvestiia e la sua corsa all' "umanismo proletario"), o a informazioni di natura chiaramente apocrifa ( "all'inizio del 1932 Stalin non aveva la maggioranza del Politburo o dei Plenum dei Comitati Centrali"). Tuttavia, l'idea di Nikolaevsky che "l'intero periodo di Yezhov sia stato un diabolico gioco di calcolo, un crimine, ma non una follia", è profondamente giustificata. Nello sviluppare questa idea, Nikolaevsky notava che "a persone come Mezhlauk, sembrava che la purga era completamente senza senso e che Stalin era uscito pazzo. In realtà, Stalin non era pazzo, al contrario seguiva precisamente un determinata filo logico. Era arrivato alla conclusione che bisognava distruggere il gruppo di vecchi bolscevichi non più tardi dell'estate del '34, e quindi aveva iniziato a preparare questa operazione".

Nikolaevsky scrisse che sarebbe stato d'accordo nel riconoscere Stalin come un paranoico, se alla fine avesse agito contro i suoi interessi. Ad uno sguardo superficiale, ancora oggi sembrerebbero esistere dei controsensi. Alla vigilia di una guerra che si stava inesorabilmente avvicinando, Stalin non solo distrusse la stragrande maggioranza di dirigenti del partito e del governo, dirigenti delle fabbriche, scienziati e ingegneri che lavoravano alla difesa, ma anche quasi tutto l'intero corpo di comando dell'esercito, gente di cui avrebbe avuto bisogno per difendere il paese dagli invasori stranieri. Tuttavia, ad una più profonda analisi, risulta che le Grandi Purghe corrispondevano pienamente al bisogno di preservare il controllo illimitato di Stalin sopra il partito, la nazione e il movimento comunista internazionale. Come notava correttamente Nikolaevsky, Stalin condusse una "politica criminale, l'unica che avrebbe potuto garantirgli la conservazione della sua dittatura. Le sue azioni furono determinate dalla sua politica. Organizzò il terrore non perché era pazzo come Caligola, ma perché ne aveva fatto un importante fattore della sua sociologia....Uccise milioni di persone e, in particolare, sterminò l'intero gruppo dei vecchi bolscevichi, poiché aveva compreso che si sarebbero opposti al suo "comunismo"...Stalin distrusse il Comitato Centrale del Diciassettesimo Congresso, non perchè era malato di mente, ma perchè aveva indovinato i piani dei suoi oppositori...Kruscev ora vuole dichiararlo pazzo perché sarebbe più semplice per lui attribuire ogni crimine alla follia di un uomo, che riconoscere la propria partecipazione alle attività criminose della sua banda".

Sono di particolare interesse nelle argomentazioni di Nikolaevsky le sue riflessioni sulle condizioni mentali di Stalin tra la fine degli anni trenta e l'inizio degli anni cinquanta. Il complesso di persecuzione di Stalin e i sintomi di altre patologie, negli ultimi anni, erano stati descritti non solo da Kruscev, ma delle persone più vicine a Stalin e che non avevano alcun interesse per discreditarlo. Senza mezzi termini, Molotov aveva dichiarato allo scrittore F.Chuyev che "nell'ultimo periodo Stalin soffriva di un complesso di persecuzione". "Non godeva di ciò che aveva," scrive S.Alliluyeva. "Era spiritualmente vuoto, aveva dimenticato gli affetti umani, ed era tormentato dalla paura dalla paura di aver sviluppato negli ultimi anni una mania di persecuzione - alla fine i suoi nervi crollarono".

In netto contrasto, nel 1937 Stalin mantenne per intero il grandioso meccanismo dello stato di terrore sotto il suo fermo ed efficace controllo. Senza indebolire o perdere questo controllo per neanche un attimo, manifestò nelle sue azioni non l'ansia e il nervosismo di un paranoico, ma al contrario, sorprendentemente, un sovrumano autocontrollo e la più raffinata capacità di calcolo. "Durante gli anni trenta, condusse l'operazione Yezhov con accurata precisione (dal suo punto di vista), poiché aveva preparato ogni cosa e misurato la sprovvedutezza dei propri nemici; loro non lo capivano", Nikolaevsky correttamente notò che "anche molti dei suoi sostenitori non lo comprendevano".

Il mistero del Grande Terrore ha anche suscitato l'interesse di molte personalità prominenti che si collocano al di fuori della politica. Nel romanzo il Dottor Zivago, Boris Pasternak usò il suo eroe per esprimere le seguenti riflessioni: "Credo che la collettivizzazione fu un errore e una misura impopolare, ma sarebbe stato impossibile ammettere un cosa del genere . Per nascondere il fallimento, era necessario usare tutti i mezzi terroristici a disposizione per distogliere le persone da queste critiche e convincerle a vedere ciò che non esisteva, o ad affermare l'opposto di ciò che era evidente. Da qui la spietata crudeltà del periodo di Yezhov, la promulgazione di una Costituzione che non si aveva intenzione di applicare e l'introduzione di elezioni che non si basavano su principi elettivi".

Queste affermazioni appaiono, superficialmente, molto simili alle idee di Trotsky, che ripetutamente indicava la relazione tra il Grande Terrore e il malcontento delle masse che era aumentato nel Paese dopo la collettivizzazione forzata. Insisteva anche sul decoro liberale della "costituzione più democratica del mondo di Stalin" con cui si mascherava la barbarie delle purghe, e che assumeva una funzione puramente propagandistica.

La spiegazione di Pasternak del periodo di Yezhov, si approssima senza dubbio a quanto previsto da Lenin nel 1921. Riferendosi alle alternative che la Russia Sovietica affrontava a quel tempo, Lenin vedeva solo due possibili risvolti delle contraddizioni che si erano accumulate sino ad allora: "dieci o ventanni di relazioni corrette con i contadini e vittoria garantita su scala mondiale (anche dato che il ritardo delle rivoluzioni proletarie stava crescendo), o venti o quarant'anni di terrore. Aut Aut. Tertium non datur."

Poiché non era in grado di assicurare delle corrette relazioni con la classe contadina, e avviata la collettivizzazione forzata per trovare una via d'uscita, la cricca stalinista, dal 1928-33, aveva provocato una gravissima crisi economica e politica. Anziché dare l'esempio del primo paese al mondo a percorrere una strada socialista, esempio che Lenin sentiva essere la più importante condizione per la sollevazione mondiale della rivoluzione, per dimostrare il suo potere, l'Unione Sovietica diede un esempio negativo nella sfera economica, sociale, politica e intellettuale - mostrando una profonda falla nella produttività agricola e nella produzione di merci, l'aumento di povertà e ineguaglianza, il consolidamento di un regime totalitario, il soffocamento del pensiero dissidente, della critica e l'inquisizione ideologica.

Tutti questi fattori, uniti alle politiche scorrette del Comintern stalinizzato, frenarono le rivoluzioni negli altri paesi - proprio nel momento in cui la crisi economica mondiale del sistema capitalista poneva le migliori condizioni storiche per la sollevazione rivoluzionaria del movimento dei lavoratori.

Si trattava essenzialmente del terrore preannunciato da Lenin, collocato cronologicamente in un periodo di tempo di 25 anni (1928 - 1953). Tuttavia questo terrore, che annientò molti più comunisti che non i regimi fascisti di Germania e Italia, era realizzato in una specifica forma politica che non era stata prevista dai marxisti: partiva dal partito bolscevico stesso, agiva in suo nome e sotto la direzione dei suoi capi.

Allo scopo di purgare il partito dai suoi veri oppositori, il terrore fu diretto verso la classe burocrate che aveva aiutato Stalin a raggiungere i vertici del potere. Trotsky spiegò in questo modo il significato sociale di questo stadio delle Grandi Purghe: "la classe dirigente sta espellendo dal suo interno tutti coloro che ricordano il passato rivoluzionario, i principi del socialismo, della libertà, dell'uguaglianza e della fraternità, del problema irrisolto della rivoluzione del mondo...In questo senso le purghe aumentano l'uniformità della classe dirigente e rafforzano similmente la posizione di Stalin". La brutale espulsione degli elementi estranei dalla classe dirigente, ad esempio di quelle persone la cui coscienza era rimasta fedele alla tradizione bolscevica, ebbe la conseguenza di creare una spaccatura tra la burocrazia e le masse, e di avviare un degrado del livello morale e intellettuale dei membri del partito, dei capi militari, degli studiosi e così via. "Tutti gli elementi avanzati e creativi veramente devoti agli interessi dell'economia, all'istruzione del popolo e alla sua difesa, entrarono inevitabilmente in collisione con gli interessi dell'oligarchia dirigente", scriveva Trotsky. "Questi sistemi erano vigenti durante lo zarismo, e lo sono ora, in misura maggiore, sotto il regime di Stalin. L'economia, la vita culturale e l'esercito hanno bisogno di innovatori, costruttori e creatori; il Kremlino ha bisogno di esecutori fedeli, affidabili e di agenti senza scrupoli; questi tipi umani - agenti e creatori - sono per natura ostili l'uno verso l'altro".

Una tale sostituzione dei tipi sociali nel corso delle Grandi Purghe del 1936/38, venne notata anche dagli scrittori anticomunisti che poteva osservare le conseguenze della "Rivoluzione dei Quadri" di Stalin. Così, M. Voslensky, un ex funzionario emigrato in occidente, diventato uno specialista dei problemi delle elite sovietiche, insisteva sul fatto che nei processi delle Grandi Purghe "quelli che inevitabilmente venivano schiacciati e uccisi erano coloro che ancora credevano nella correttezza del Marxismo e nella costruzione di una società comunista; tra le classi dirigenti della società i comunisti di fatto erano rimpiazzati da comunisti di nome". Per i dirigenti giunti al potere nel 1937 e negli anni seguenti, "la questione della correttezza del Marxismo era di scarso interesse, ed era rimpiazzata da fraseologia marxista e citazioni. In realtà, a dispetto dei fievoli motti sul "comunismo radioso futuro dell'umanità", i protetti di Stalin che avevano scalato i vertici, erano quelli che meno avrebbero desiderato una società in cui nei fatti, non a parole, ciascuno lavorasse secondo le sue capacità e ricevesse secondo i suoi bisogni".

Nelle generazioni seguenti, questo clima sociale inesorabilmente premiava quanti, al momento opportuno, si trasformavano in rinnegati dichiarati del comunismo - Gorbachev, Yeltsin e , Yeltsin e Yakovlev, come la maggior parte dei presidenti dei nuovi stati formatisi dalle rovine dell'Unione Sovietica.

Il significato e il risultato politico delle Grandi Purghe, era già stato adeguatamente compreso dagli analisti occidentali più seri dalla fine degli anni trenta. In un rapporto dell'Istituto Regale Britannico per le Relazioni con l'Estero, pubblicato nel marzo del '39, si sostiene che " lo sviluppo interno della Russia sta mirando alla formazione di una "borghesia" di funzionari e ufficiali che godono di tanti privilegi da essere assolutamente soddisfatti dello status quo....Nelle varie purghe si può distinguere un congegno attraverso cui tutti coloro che auspicano un cambiamento vengono sterminati. Questa rappresentazione rafforza l'idea che il periodo rivoluzionario sia giunto alla fine, e da che da ora in poi, i dirigenti cercheranno soltanto di mantenere i benefici che la rivoluzione gli ha garantito". Queste parole spiegano in vari modi le ragioni della tenacia dei regimi stalinisti e post-stalinisti nel corso dei cinquant'anni che seguirono le Grandi Purghe, che insanguinarono il paese e lo privarono di un gigantesco potenziale intellettuale che si era accumulato negli anni.

Alla luce di tutto quanto è stato detto, è facile determinare il reale valore delle manipolazioni ideologiche dei "democratici" di oggi, che definiscono Bolscevico o Leninista chiunque abbia occupato un posto dirigenziale in URSS, da Breznev, Chernenko e Gorbacev. Viene manifestata indulgenza solo verso quei capi di partito che hanno demolito tutto ciò che nel passato veneravano, e ora hanno iniziato ad venerare ciò che nel passato demolivano.

Nell' Urss l'argomento delle Grandi Purghe venne messo a tacere sino alla fine degli anni '80. L'assenza di un'analisi marxista di questo periodo storico, come dello stalinismo in generale, aveva portato all'avverarsi della profezia espressa da J.Becher negli anni '50: l'incapacità di dare una spiegazione marxista ai gravi problemi della recente storia avrebbe portato ad utilizzare le rivelazioni su Stalin per "sferrare un colpo alle nuove strutture sociali e liquidarle gradualmente, a pezzi." Questo, essenzialmente, è quanto accadde alla fine degli anni '80 e all'inizio dei '90, quando questi tentativi raggiunsero il completo successo.

Mentre tra gli accademici sovietici questi temi erano ufficialmente tabù, i sovietologi occidentali e i dissidenti russi, a loro modo, si occuparono in maniera estesa dell'argomento. In ognuno di questi autori è molto frequente trovare diversi errori fattuali, formulazioni inesatte, manipolazioni e distorsioni dei fatti. Questo si può interamente spiegare per due ragioni. La prima è la natura limitata delle fonti storiche che questi autori avevano a disposizione. Così, la base della ricerca nel "Grande Terrore" di R. Conquest consiste nell'analisi dei quotidiani sovietici e di altre pubblicazione ufficiali, a cui sono state aggiunte nella bibliografia le memorie di molte che riuscirono a scappare dall'URSS. La seconda ragione è che la maggioranza dei sovietologi e dei dissidenti servivano un fine ideologico - utilizzare questa immensa tragedia storica per mostrare che le sue premesse fatali sono state l'idea "utopistica" di comunismo e la pratica bolscevica. Così i ricercatori, consapevolmente, ignoravano quelle fonti storiche in contraddizione con i loro paradigmi e i loro schemi mentali. Nemmeno uno degli anticomunisti che avevano analizzato i processi di Mosca del 1936/38 si preoccupò di considerare le testimonianze dell' imputato principale, anche se non era stato alla sbarra. Così, il libro di A. Solzhenitsyns "Arcipelago Gulag" non contiene neanche un cenno a qualsiasi lavoro di Trotsky. Il lavoro di Solzhenitsyns, come il più oggettivo scritto di R. Medvedev, appartiene al genere che in Occidente si chiama "storia orale", cioè che è quasi esclusivamente basato sui racconti dei testimoni oculari che presero parte agli eventi narrati. Inoltre, poiché le memorie dei prigionieri nei campi di Stalin che gli sono pervenute non sono mai state pubblicate, Solzhenitsyns ha piena licenza di esporli ed interpretarli a proprio piacimento i contenuti.

Accanto ai miti messi in circolazione dagli anticomunisti, ci sono miti creati dai così detti "nazional-patrioti". Questi uniscono al rigetto per la Rivoluzione d'Ottobre e il Bolscevismo, l'ammirazione per Stalin e la giustificazione delle sue azioni terroristiche. Questa sorta di "concezione del mondo", di cui era disseminata la stampa sovietica ai tempi della perestroika e del regime di Yeltsin, si era sviluppata in alcuni circoli dell'intelligentsia sovietica verso la fine degli anni '60. L'articolo di S. Semanov, "Sui Valori Relativi e Eterni", pubblicato nel 1970 nel giornale Molodaia Gvardiia (Giovane Guardia), divenne una specie di manifesto ideologico di questa tendenza. Il suo autore, ancora incapace di dichiarare la propria fedeltà agli ideali dell' "autocrazia, dell'ortodossia e del nazionalismo" (che dai nazional-patrioti sono considerati i valori "eterni" e "veramente Russi"), si limitava a paragonare i nichilisti anni '20 ai patriottici anni '30.

"E' chiaro oggi" scrive Semanov "che nella battaglia contro le forze distruttive e nichiliste (cioè rivoluzionarie N.d.T), nella metà degli anni '30 si era giunti ad un punto di svolta. Quante frasi sprezzanti sono state urlate contro quest'epoca storica! .....Mi sembra che non si sia ancora riconosciuto il pieno significato degli enormi cambiamenti avvenuti in questo periodo. Questi cambiamenti esercitarono un'influenza estremamente positiva sullo sviluppo della nostra cultura". Senza alcun ritegno, Semanov dichiara che "precisamente dopo l'adozione della Costituzione, che rafforzavano per legge gli enormi cambiamenti sociali che stavano avvenendo nella nostra nazione e nella nostra società, i cittadini sovietici iniziarono a godere di una generale uguaglianza dinnanzi alla legge. E questo fu un enorme risultato del nostro popolo....Tutti i lavoratori onesti, da questo momento in poi e per sempre, si unirono in un unico, monolitico insieme." L'articolo di Semanov suggeriva "il più importante criterio di valutazione riguardo ai fenomeni che avvenivano nella società." Il criterio, secondo l'opinione dell'autore, era il seguente: "Un determinato fenomeno, riesce o no a rafforzare lo Stato?".

L'ideologia basata su questo "criterio di valutazione" era molto diffusa durante gli anni della "perestroika" e delle "riforme" sulle pagine di Nash Sovremennik (Il Contemporaneo), Moskva e Molodaia Gvardiia, giornali i cui autori si definivano "gosudarstvenniki" (statisti). I loro articoli storici e polemici uniscono l'odio per il bolscevismo alla glorificazione di Stalin. Come verrà sviluppato successivamente, questo insieme di vedute proveniva in maniera organica dalla borghesia nazionalista che si opponeva alla borghesia compradora e ai suoi rappresentanti politici. La battaglia tra queste due fazioni della nascente Russia durante gli anni novanta spazzava tutte le altre tendenze dal contesto culturale.

Semanov, come tutti gli attuali membri dell' "opposizione irriducibile" che si mantengono sulle posizioni ideologiche di un quarto di secolo fa, aveva correttamente indicato il punto di svolta ideologico, sociale e politico nello sviluppo della società sovietica. Tuttavia, questa valutazione del punto di svolta era del tutto parziale. Secondo la logica dell'articolo di Semanov, il primo "anno felice" nella storia sovietica fu il 1937, "quando i cittadini sovietici iniziarono a godere di una generale uguaglianza dinnanzi alla legge", e grazie a questa "eguaglianza", tutta la società si era consolidata in un "unico, monolitico insieme". Purtroppo, a quel tempo, questa "eguaglianza" poteva soltanto essere osservata nei Gulag, in cui, per usare le parole di A.Tvardovsky:

E dietro la facciata della legge
il fato fa tutti uguali:
figlio del kulak o del narkom
figlio di comandante d'armi o prete di villaggio

 

Mettendo da parte gli esponenti relativamente pochi della tendenza "statolatrica", la maggior parte degli intellettuali sovietici, incluso il fenomeno dei movimenti dissidenti degli anni '70, riteneva che la tragedia che aveva colpito la nazione e il popolo era ciò che veniva chiamato "1937" o "Yezhovshchina" (il periodo di Yezhov), non la Rivoluzione d'Ottobre. Quasi nessuno in Unione Sovietica aveva considerato la versione del XX Congresso del Partito una totale rivelazione. La dimensione e il carattere della brutalità di Stalin erano conosciuti da milioni di sovietici. Durante gli anni dello stalinismo, molti di loro si erano salvati grazie all'auto-inganno, che era necessario per tirare avanti: nelle loro menti avevano costruito una catena di ragionamenti, come per esempio la giustificazione, anche solo parziale, del terrore di Stalin, visto come qualcosa che politicamente aveva senso. Riguardo ciò va considerato che uno dei fini (e quindi uno dei risultati o delle conseguenze) del periodo di Yezhov era la distruzione della memoria sociale e storica delle persone, che viene trasmessa da generazione in generazione attraverso chi ne è depositario. Si fece terra bruciata attorno ai capi del Bolscevismo assassinati, anche attraverso la successiva eliminazione delle loro vedove, dei figli e dei compagni più stretti. La paura evocata dal terrore stalinista lasciò il segno nelle coscienze e nei comportamenti di molte generazioni di sovietici; in molti radicò la risolutezza, il desiderio e l'abilità di aderire ad una ideologia onesta. Allo stesso tempo gli esecutori e gli informatori del periodo di Stalin continuavano a prosperare; assicuravano il benessere per loro e per i propri figli con la partecipazione attiva alle falsificazioni, alle espulsioni, alle torture e così via.

Del resto è difficile dare troppa importanza ai mutamenti nella coscienza di massa a seguito delle due diverse versioni dello stalinismo che vennero diffuse: sia durante che dopo il XX Congresso che durante e dopo il XXII. La seconda venne bloccata dalla leadership Breznev-Suslov subito dopo la caduta di Kruscev. Gli ultimi lavori artistici, le ricerche accademiche e le inchieste giornalistiche sul Grande Terrore apparvero in URSS nel 1965-66.

Il breve periodo storico tra il XXII Congresso del PCUS e la rimozione di Kruscev dal potere testimoniò la formazione definitiva della cosiddetta generazione del "popolo degli anni '60". I maggiori portavoce di questa generazione furono non soltanto Solzhenitsyn, ma anche i poeti che recitavano le loro poesie alle famose serate del Museo Politecnico. In questi ultimi anni, la maggior parte del "popolo dei '60" attraversò diversi stadi di degenerazione politica. Si orientarono verso l'anticomunismo e rinunciarono ai loro precedenti lavori che consideravano un "peccato di gioventù". Questo orientamento, che produsse nient'altro che malevoli e volgari calunnie anti-Bolsceviche, non può, comunque, cancellare il significato indelebile dei loro primi lavori. In queste opere, la dominante ideologica era una riaffermazione della loro devozione alla Rivoluzione d'Ottobre e al Bolscevismo. E' precisamente agli inizi dei '60 che A. Voznesensky scrisse il suo poema, "Longjumeau", in cui l'intero testo è permeato da una contrapposizione tra Leninismo e Stalinismo. Inoltre, B.Okudzhava concludeva una delle sue migliori canzoni con la seguente strofa:

Ma se improvvisamente, un giorno
non riuscirò a proteggere me stesso -
non importa quale nuova battaglia
potrà scuotere il globo terrestre
nonostante tutto cadrò in quella guerra,
in quella distante guerra civile,
e i commissari negli elmetti polverosi
si chineranno in silenzio su di me.

Nel 1960 anche Solzhenitsyn aveva scritto romanzi antistalinisti, ma non anticomunisti, come Divisione Cancro e Il primo cerchio (anche se è vero che la versione di quest'ultimo romanzo pubblicata all'estero differiva molto nel suo orientamento ideologico da quella che circolava in Samizdat [cioè clandestinamente N.d.T] e che venne presentata per la pubblicazione al giornale Novyi Mir).

Anche nei migliori anni del disgelo, i pensatori avevano in mente una verità incompleta sui crimini dello stalinismo che si erano potuti svelare al pubblico. Negli anni cinquanta, l'autore di questo libro ha avuto più volte occasione di sentire in conversazioni private, che la verità completa sul Grande Terrore non sarebbe venuta fuori se non dopo 100 anni.

Alla cricca di Breznev che aveva rimpiazzato Kruscev, anche la spiegazione del Grande Terrore che era prevalsa negli anni del disgelo sembrava pericolosa. Perciò discutere di questo argomento o svilupparlo come soggetto artistico o di letteratura storica, venne semplicemente considerato un tabù. Naturalmente, anche negli anni di Breznev (conosciuti come "periodo di stagnazione") i testimoni degli eventi degli anni trenta continuavano a scrivere le loro memorie, e gli scrittori, gli studiosi e i giornalisti a produrre opere su questi temi. La ferita inflitta nel 1937 era ancora aperta, e il dolore per i ricordi del Terrore Stalinista così grande, che molti importanti scrittori e autori di memorie, dedicarono anni alla produzione di tali opere, destinate a restare nel cassetto della scrivania, cioè senza la speranza di poterle vedere pubblicate nell'immediato futuro. Intanto, verso la fine degli anni '60, le memorie e gli scritti letterari iniziarono a circolare ampiamente in Samizdat, anche se era stata posta su queste pubblicazioni la censura ufficiale. Così molti autori Sovietici iniziarono a pubblicare all'estero.

Nella stampa Sovietica ufficiale, si tornò a trattare della repressione stalinista solo nel 1986. Tuttavia, molto similmente a quanto avvenne negli anni '50 e '60, l'approvazione ufficiale del ritorno a questi temi fu dettata solo in minima parte dal desiderio di restaurare la verità storica e superare il danno arrecato dallo stalinismo. Se entrambe le correnti dell'esposizione di "Kruscev" erano state evocate per la loro considerazione nelle battaglie contro i cosiddetti gruppi anti-partito di Molotov, Kaganovich e Malenkov, allora anche l'ondata della perestroika, era stata spinta da altre considerazioni congiunturali: da un desiderio di distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dall'ovvio fallimento della tanto acclamata perestroika e dirigerla sui tragici eventi del passato, di cui la nuova generazione di dirigenti di partito non aveva alcuna responsabilità.

 

La marea di versioni che vennero diffuse sotto l'insegna della Glasnost (trasparenza), fu talmente impetuosa che, nel 1987-89, l'opinione pubblica veniva quasi completamente assorbita dalle discussioni sulla storia degli anni di Stalin. Questo interesse spiega in buona parte l'aumento di abbonamenti e, di conseguenza, la circolazione di massa di quotidiani, giornali politici e letterari che senza tregua pubblicavano ogni nuova opera sui crimini di Stalin. Ad ogni modo, presto divenne chiaro che il tema del Grande Terrore e dello Stalinismo veniva usato da molti autori e dagli organi di stampa per compromettere e discreditare l'idea di socialismo. Questo approccio anticomunista e antibolscevico era stato preparato con cura dall'attività dei sovietologi occidentali e dei dissidenti sovietici che, dal 1960 al 1980, avevano messo in circolazione un'infinità di miti storici.

La costruzione di miti storici è stata sempre una delle maggiori armi ideologiche delle forze reazionarie. Ma nell'epoca moderna i miti storici non possono fare a meno di camuffarsi da scienza, e avanzano argomentazioni pseudoscientifiche per cercare sostenitori. Alla fine degli anni '80, i miti costruiti durante il primo decennio del potere sovietico, avevano trovato una seconda vita nelle pagine della stampa sovietica. Uno di questi miti consisteva nella riproposizione della versione stalinista del 1936, secondo cui il conflitto tra Trotsky e i trotskisti e gli stalinisti era stato determinato soltanto da una cruda guerra di potere. Secondo questo mito, la dottrina politica del trotskismo non differiva sostanzialmente dalle linee generali dello stalinismo, e se l'opposizione avesse trionfato nelle lotte interne al partito, sostanzialmente non avrebbe perseguito una politica diversa da quella di Stalin. Un altro mito, originato dai lavori degli ideologi della prima ondata migratoria e dei rinnegati del comunismo degli anni '20 e '30, mirava a denigrare il periodo storico della Rivoluzione Russa. Per dare una giustificazione ideologica della restaurazione del capitalismo in URSS, ciò che era richiesto era la distruzione di una parte significativa della coscienza delle masse; nell'interpretazione della Rivoluzione d'Ottobre e della Guerra Civile, eventi che nell'immaginario di milioni di sovietici erano circondati da un'aura di grandezza ed eroismo, si dovevano cambiare i più in meno. Non è un caso che dal 1990 in poi, il focus della critica storica venne spostato dalla storia del periodo di Stalin a quella degli anni post-rivoluzionari.

Sia nelle opere dei democratici che in quelle dei nazional-patrioti, il termine più sprezzante divenne "Bolscevico", che poteva riferirsi correttamente ai membri del partito della generazione di Lenin e a quegli elementi che negli anni successivi non subirono una degenerazione. Nella formazione di questo mito, un grande contributo venne apportato da Solzhenitsyn, che nel suo libro Arcipelago Gulag sosteneva che il periodo di Yezhov fu soltanto una delle forme in cui si sviluppò il "Terrore Bolscevico", e che la guerra civile, la collettivizzazione e il dopoguerra non erano state espressioni meno orribili della stessa forma di terrore. Ma è chiaro che la lotta popolare contro un'intera classe nemica e dei cospiratori ben armati - che sono inevitabili durante una guerra civile,nettamente la linea del fronte dalla popolazione civile - è qualcosa del tutto diversa dalla lotta tra la burocrazia dirigente e la classe contadina, che comprende la maggioranza della popolazione nelle campagne (e precisamente questo tipo di battaglia venne provocata dalla "rapida collettivizzazione" e dalla liquidazione della classe dei kulaki"). A sua volta, le battaglie contro i contadini che spesso rispondevano alla collettivizzazione forzata con la sollevazione armata (sollevazioni che non cessarono mai nel periodo tra il '28/33), è qualcosa del tutto diversa dallo sterminio di un popolo inerme, di cui la maggior parte devoto all'idea e alla causa del socialismo. E quando, negli ultimi anni della guerra, si arrivò alle repressioni, queste vennero dirette non soltanto verso la gente innocente, ma anche contro migliaia di collaborazionisti e membri di gruppi mercenari (a quel tempo, in tutti i paesi europei liberati dall'occupazione fascista ai complici di Hitler erano comminate pene severe).

Se la Rivoluzione d'Ottobre e la Guerra Civile del 1918-20 avevano raggiunto i loro obiettivi, le loro vittime, agli occhi di ogni individuo imparziale, sembravano giustificate - così come, molto similmente, oggi gli americani ritengono giustificate le vittime delle guerre rivoluzionarie del diciottesimo e del diciannovesimo secolo. Tuttavia, nell'URSS, solo dopo pochi anni la fine della guerra civile che aveva portato alla vittoria del Soviet, iniziava una nuova guerra contro la classe contadina, causata non tanto da delle oggettive contraddizioni di classe, quanto dagli errori della politica stalinista. Intanto la burocrazia al potere, aveva scatenato numerose guerre civili contro l'opposizione comunista, che culminarono nel Grande Terrore del 1936-38. In questo modo, nella storia della società sovietica, si possono contare non una, ma tre guerre civili, che differiscono sostanzialmente in base alla natura e alle conseguenze che comportarono. La guerra del 1918-20 sollevò il paese da uno stato di collasso, anarchia e caos che era divenuto sempre più acuto dopo la Rivoluzione di Febbraio (e ciò è stato riconosciuto anche da opponenti del Bolscevismo del calibro di Berdayev e Denikin). La guerra civile del 1928-33 fu una guerra che indebolì l'URSS in maniera significante, sebbene portò ad una "pace" con i contadini. Il terrore di Yezhov fu una guerra civile preventiva contro i Leninisti Bolscevichi che avevano lottato per preservare e rafforzare le conquiste della Rivoluzione d'Ottobre. Quest'ultima guerra civile in URSS (fino alla "guerra civile a bassa intensità" lanciata dalla "perestroika" che continua sinora) produsse più vittime della Guerra Civile nel 1918-20 o di tutti gli atti di repressione stalinista precedenti e successivi.

Analogie storiche, di solito, aiutano a comprendere l'essenza di grandi eventi storici. La guerra civile degli anni 1918-20 si può paragonare alle guerre civili avvenute negli altri paesi, in particolare alla guerra civile degli Stati Uniti avvenuta nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Trotsky trovò così tanti punti in comune tra queste guerre che pensò di scrivere un libro per metterle a confronto. Inoltre, le battaglie contro i contadini ribelli degli anni della collettivizzazione forzata, richiamano le lotte dei rivoluzionari francesi contro i "Vendée".

Ma è impossibile trovare analogie nella storia passata con il fenomeno inteso come "1937", "Terrore di Yezhov", il "Grande Terrore" o le "Grandi Purghe". Eventi del genere si sono verificati solo dopo la seconda guerra mondiale in altri paesi detti "socialisti". Questo vale prima di tutto per le purghe dei dirigenti dei partiti comunisti, volute da Mosca, che non furono evitate da neanche uno dei paesi della "democrazie popolari". Poi per la Rivoluzione Culturale cinese, che avvenne senza neanche la minima pressione da parte dell'Unione Sovietica. La Rivoluzione Culturale, che avvenne, come per il periodo di Yezhov, dopo circa ventanni la rivoluzione socialista, fece nascere l'idea che ogni paese socialista avrebbe dovuto necessariamente attraversare un periodo di terrore di massa.

Il Grande Terrore sovietico e la Rivoluzione Culturale cinese, si differenziano sostanzialmente per il modo in cui il terrore venne gestito. In Cina si presentò come un'esplosione di indignazione spontanea delle masse, specialmente dei giovani, nei confronti di chi "rappresentava il potere e percorreva la strada del capitalismo". Il pubblico dileggio, le percosse e altre forme di violenza usate contro le vittime della Rivoluzione Culturale, inclusi i membri del partito e dello stato, avvenivano apertamente, davanti alle grandi folle, da parte delle Guardie Rosse che avevano il permesso di fare ciò che volevano e che si erano lasciati prendere la mano dal potere che esercitavano su gente disperata. Ad ogni modo, sarebbe più appropriato paragonare le Guardie Rosse alle truppe d'assalto di Hitler che non all'inquisizione di Stalin, che compiva i suoi atti sanguinari nelle camere di tortura delle prigioni.

Avendo intuito che era possibile attuare il Grande Terrore attraverso il crudele sacrificio dei "nemici del popolo", Trotsky evidenziò che Stalin preferiva, a questa variante Asiatica, annientare le sue vittime nascondendo al popolo sia le dimensioni che le forme brutali che la repressione stava acquisendo. "Organizzare la collera del popolo" scrive Trotsky "non avrebbe richiesto un grande sforzo alla burocrazia stalinista. Ma non era questo ciò che serviva; al contrario azioni non autorizzate, anche se organizzate dall'alto, sarebbero state viste come una minaccia all'ordine esistente. I pestaggi nelle prigioni, gli assassinii - i Termidoriani del Cremlino potevano compiere tutto ciò in modo dettagliatamente pianificato, attraverso la GPU e i suoi distaccamenti....Ciò era possibile grazie al carattere totalitario del regime che aveva a sua disposizione tutti i mezzi materiali e le forze della nazione".

Il 1937 determinò lo sviluppo degli eventi storici per molti anni e decenni a venire. Possiamo definire il 1937 un anno "cruciale per la storia" (epiteto giustificabile, sebbene ampiamente volgarizzato da Gorbacev, che durante la perestroika, definiva la sua azione confusa e asistematica storicamente cruciale"), anche più della Rivoluzione d'Ottobre. Se la Rivoluzione d'Ottobre non fosse scoppiata, le rivoluzioni socialiste sarebbero esplose in un qualche altro momento in Russia o in un altro paese più sviluppato, a causa delle contraddizioni estreme a cui era giunto il capitalismo. In questo caso il processo socialista si sarebbe sviluppato con più auspicio di quanto in realtà avvenne, in quanto le forze rivoluzionarie non sarebbero state intralciate, demoralizzate e indebolite dal partito comunista di Stalin.

Il 1937 divenne cruciale in senso profondamente tragico. Provocò al movimento comunista, sovietico e degli altri paesi, perdite da cui non si è ancora ripreso.

La tragedia del 1937 non può essere spiegata dall'aforisma popolare "ogni rivoluzione divora i propri figli", frase che ha un significato diverso da quello che abitualmente gli si attribuisce. Infatti le rivoluzioni in America, non divorarono affatto i loro figli, e raggiunsero gli obiettivi che si prefissavano. Nemmeno la Rivoluzione d'Ottobre e la seguente guerra civile, divorarono i loro figli. Tutti coloro che vi avevano preso parte, ad eccezione di due capi uccisi dai nemici, sopravvissero alla loro eroica epoca. La distruzione della generazione Bolscevica che aveva condotto il popolo alla rivoluzione, avvenne solo dopo ventanni.

In questo libro non verranno trattati argomenti ampiamente trattati in altre opere: l'uso di torture fisiche durante gli interrogatori, le condizioni generali di vita nei campi stalinisti, etc. L'attenzione verrà maggiormente concentrata su quegli aspetti del grande terrore che continuano a rimanere enigmatici ancora oggi. Com'è possibile annientare in tempo di pace un così grande numero di persone? Perché la classe dirigente permise il suo quasi totale sterminio durante le Grandi Purghe? Ci furono forze all'interno del partito che cercarono di prevenire il terrore?

Sulla base di tesi oggettive, il libro esaminerà il periodo che inizia con il primo processo-farsa (Agosto 1936) e che finisce a giugno con il Plenum del Comitato Centrale nel 1937. E' opportuno iniziare un resoconto storico con una schematica illustrazione della concezione del libro, la cui correttezza spetterà al lettore verificare secondo la sua opinione o la sua valutazione dei fatti storici contenuti nel libro.

La Rivoluzione d'Ottobre, che un momento determinante della rivoluzione socialista nel mondo, costituì un evento storico di tale potenza che la reazione della burocrazia (lo Stalinismo) dovette assumere dimensioni grandiose, ricorrendo a una serie di menzogne e ad una repressione che non ha precedenti storici. Inoltre, la violazione dei principi e degli ideali della Rivoluzione d'Ottobre spingeva le forze politiche che continuavano a credere nella teoria marxista e che erano rimaste fedeli alle tradizioni rivoluzionarie bolsceviche, ad una eroica e potente resistenza, in URSS e oltre il confine. Per superare questa resistenza si ricorse ad un terrore che, per la sua dimensione e brutalità, non ha analogie nella storia.

L'ignoranza di questa tragica dialettica storica porta gli anticomunisti ad interpretare il Grande Terrore come qualcosa di irrazionale, generato dalla natura "satanica" dei bolscevichi, devoti alla violenza senza senso sino all'autodistruzione.

Il materiale degli archivi sovietici che è stato reso pubblico negli ultimi anni (anche se si è ancora lontani da un'apertura degli archivi), come la pubblicazione di alcune memorie, ha aiutato l'autore a raggiungere l'obiettivo che il libro si poneva: spiegare i meccanismi che diedero origine e propagarono inesorabilmente il Grande Terrore, e scoprire le ragioni per cui questa azione terroristica di massa, non solo fu possibile, ma ebbe anche successo.

L'autore è pienamente consapevole che i fini che questa ricerca si pone non saranno totalmente raggiunti. Nonostante l'enorme quantità di pubblicazioni contenenti materiale d'archivio, ci sono significanti buchi nella trattazione di molti eventi del 1937. L'autore non ha avuto accesso ai dossier investigativi, che avrebbero potuto permettere di districare l'amalgama stalinista - un insieme di ciò che realmente avvenne e di ciò che fu inventato da Stalin e dai suoi inquisitori. Alla luce della ristretta accessibilità alle fonti, alcuni degli argomenti proposti dall'autore sono ipotesi storiche che spera un giorno possano trovare delle fondamenta in un suo futuro lavoro. L'autore sarebbe grato ad ogni lettore che lo aiutasse a ridefinire, concretizzare o rifiutare queste ipotesi sulla base di nuove idee o materiale.

 

 

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Ultima modifica 12.05.2008