Il matriarcato. Introduzione

Johann Jakob Bachofen (1861)


Al termine "matriarcato", per cui è famoso, Bachofen preferisce l'espressione "potere delle donne" (ginecocrazia).

La divisione in capitoli (non dell'autore) è mutuata da Julius Evola (Torino, Bocca, 1949).

Versione di Leonardo Maria Battisti, 2020.05.02.


INDICE
    [1. Luogo e significato della ginecocrazia]
    [2. La tradizione mitica]
    [3. Unitarietà della civiltà della Madre]
    [4. Significato religioso del principio materno. Considerazioni sul metodo]
    [5. Il matriarcato e il mistero demetrico]
    [6. Demetrismo ed afroditismo]
    [7. L'èra di Dioniso]
    [8. Apparizione dell'amazzonismo]
    [9. Passaggio al principio paterno]
    [10. Le corrispondenze cosmiche – Apollo]
    [11. La romanità apollineo-solare]
    [12. Sul metodo dell'indagine]

[1. Luogo e significato della ginecocrazia]

Quest'opera tratta un fenomeno storico, osservato da pochi e dalla portata studiata da nessuno. La scienza dell'antichità ha finora ignorato il diritto materno (Mutterrech): l'espressione è nuova e ignoto lo stato familiare che denota. L'argomento presenta tanto fascino quante difficoltà. Perché mancano lavori preparatorii rilevanti e le ricerche finora svolte non hanno contribuito a chiarire il periodo di civiltà proprio del diritto materno. Così ci inoltriamo in un campo che attende la prima bonifica. Dalle più note epoche dell'antichità saremo rinviati a epoche pristine e dall'unico mondo spirituale a noi noto ad un altro assai diverso e più originario. I popoli legati alla fama esclusiva di antica grandezza saranno negletti da altri che non giunsero all'altezza della civiltà classica. Un mondo nuovo si apre al nostro sguardo. E più ci inoltreremo, più ogni cosa ci apparirà singolare. Ovunque incontreremo elementi in contrasto con idee di una civiltà più evoluta, ovunque concezioni più antiche: un'età universale, con un proprio carattere e un suo modo di sentire, giudicabile solo in base alla legge sua propria. Il diritto familiare ginecocratico è estraneo (nonché alla coscienza odierna) alla coscienza antica: già alla coscienza ellenica appare estranea e singolare la più originaria norma di vita, cui appartiene il matriarcato, dalla quale il matriarcato è sorto e solo con la quale si può spiegare. Scopo centrale di questa ricerca è esporre l'idea-frattale dell'età ginecocratica nel suo giusto rapporto sia con fasi inferiori di vita sia con una civiltà superiore. Così la mia ricerca persegue un fine più vasto di quanto traspaia dal titolo. Essa toccherà ogni aspetto del modo ginecocratico di pensare, ne individuerà i singoli tratti per poi venire all'idea-frattale in cui essi tutti confluiscono, per ricostruire l'immagine di una fase di civiltà sepolta o affatto superata dai successivi sviluppi del mondo antico. La mèta è lontana. Ma solo col massimo ampliamento dell'orizzonte si può ottenere una vera comprensione e si può dare al pensiero scientifico chiarezza e completezza (qualità essenziali del conoscere).

Così questa introduzione esporrà in vasta prospettiva lo sviluppo e l'articolazione del mio pensiero, sì da preparare e agevolare lo studio del seguente trattato e renderlo più comprensibile.

Fra tutte le testimonianze sull'esistenza e il modo di essere della ginecocrazia, le più nitide e preziose sono quelle attorno al popolo licio. Per Erodoto i Lici non davano il nome paterno ai figli (come i greci) ma solo quello materno: nelle loro genealogie menzionavano solo gli avi materni e la classe sociale dei figli veniva definita solo in base a quella della madre. Nicola Damasceno completa la testimonianza ricordando che solo le figlie potevano ereditare, cosa che fa risalire al diritto consuetudinario licio (a quella legge non scritta che per Socrate procede dalla stessa divinità). In tutto ciò si palesa un'unica idea fondamentale. Erodoto si limita a vedervi una specie di aberrazione rispetto ai costumi greci. Ma osservarne la logica interna ne consente una miglior veduta. Sistema anziché assenza di regole, necessità anziché arbitrio diventano palesi. Ed essendo da escludersi l'influsso di una legislazione positiva, non si può pensare ad anomalie senza significato. Al principio paterno ellenico-romano si affianca un diritto familiare opposto (nelle fondamenta e negli effetti): e confrontandoli si discernono i tratti distintivi di ambi.

Ciò si prova trovando in altri popoli vedute analoghe a quelle dei Lici. Il diritto all'eredità di cui gode solo la figlia nella tradizione licia corrisponde al dovere di alimentare i genitori vecchi imposto alla figlia dalle usanze egizie (riferiteci da Diodoro). Tale norma pare integrare il sistema giuridico dei Lici, e una notizia di Strabone sui Cantabri (che i fratelli ricevevano una elocazione e una dote dalle sorelle) ci appare un altro corollario della stessa idea-frattale. Tali elementi sfusi fanno fatti convergere verso un'unica conclusione di carattere generale: il diritto materno non riguardi certi popoli, bensì uno stadio di civiltà, stadio, che (per via della omogeneità e regolarità della natura umana) è irriducibile a popoli con affinità etnica. Pertanto serve scoprire la coerenza della concezione sottesa anziché identificare le sue singole manifestazioni. Ciò che Polibio dice circa le cento famiglie patrizie dei Locri Epizefiri (caratterizzate da genealogie matrilineari) aggiunge a quanto accennato due elementi intimamente connessi (le cui esattezza e importanza esibirò in seguito): [1] il diritto materno appartiene a una fase di civiltà che precede il diritto paterno; [2] arrivato al massimo potere si avvia al declino all'affermarsi del diritto paterno. Perciò le forme ginecocratiche di vita ci appaion proprie soprattutto a genti più antiche di quelle elleniche; sono parti essenziali di una civiltà originaria, le cui peculiarità sono così legate alla sovranità del principio materno, quanto le peculiarità della civiltà greca lo sono alla sovranità del principio paterno.

Tali princìpi (dedotti da poche fonti) nel seguito acquisteranno veridicità incontestabile mercé un insieme sempre maggiore di dati storici. I Locri ci portano ai Lelegi, a questi tosto si collegano i Cari, gli Etoli, i Pelasgi, i Cauconi, gli Arcadi, gli Epii, i Minii, i Teleboi. In tutti questi spiccano (avulsi da varie particolarità) il diritto materno e la correlata civiltà. Il dominio muliebre (già stupefacente per gli antichi) rileva in ciascuno di tali popoli uno stesso carattere di arcaico splendore e un'origine estranea alla civiltà greca. È nota l'idea alla base delle genealogie dei Naupacti e degli Eoi nel gynaikôn katalogos, da cui derivano: unioni di madri immortali con padri mortali; la preminenza dei beni e del nome materni; l'intimità fra germani della madre; e infine l'espressione di Mutterland (“terra materna” anziché “patria”), il maggior gradimento dei sacrifici femminili e l'inespiabilità del matricidio.

Questa introduzione (che espone gli aspetti generali, anziché singoli dati che verranno) deve sondar l'importanza della tradizione mitica. Le stirpi più antiche del mondo greco conobbero il diritto materno, così la primordiale forma mitica di tradizione giova a conoscere la ginecocrazia (posso anticipare che il posto che il diritto materno ebbe nel mito corrisponda al posto che esso ebbe al centro di tutta una civiltà).

Qui sorge il problema: quale valore dare nel nostro campo a quella forma originaria di tradizione umana? Quale uso possiamo fare delle sue testimonianze? Un solo esempio (tratto dal ciclo delle leggende licie) ci dà una risposta.

Come le testimonianze storiche di Erodoto, la storia mitica dei re presenta un caso di successione matrilineare. All'eredità di Sarpedone ha diritto sua figlia Laodamia anziché i figli maschi, la quale trasmette il regno al proprio figlio, escludendo gli zii di questo. Eustazio ci narra tale sistema ereditario in una forma mitica ove l'idea-frattale ginecocratica emerge nella sua voluttuosa sessualità. Senza le testimonianze di Erodoto e di Nicola di Damasco, il metodo critico prevalente avrebbe svalutato il racconto mitico di Eustato, obbiettando che la sua autenticità non è confortata da alcuna fonte più antica o coeva, e avrebbe stimato i suoi lati oscuri come invenzione di qualche mitografo, e sarebbe stato il fatto positivo (attorno cui il mito si è sviluppato) a venir derivato dal mito, come dato inutilizzabile (il cui numero ogni giorno crescente denuncia la distruttività del cosiddetto metodo critico applicato alla tradizione).

[2. La tradizione mitica]

Il confronto fra i riferimenti storici e quelli mitici appalesa l'assurdità di tale metodo. Invece, tostoché confortata da prove storiche, la tradizione mitica è un'autentica testimonianza dei tempi primordiali (immune all'influsso di fantasie arbitrarie). Così, nel caso citato, il privilegio di Laodamia rispetto ai propri fratelli è già una prova del diritto materno in uso fra i Lici. Ogni aspetto del sistema ginecocratico è altrettanto provabile, benché non sempre con la storia di uno stesso popolo. Tale presenza di prove viene dall'universalità della civiltà ginecocratica. Del resto il diritto materno è sopravvissuto almeno in parte fino a tempi recenti. Sia nelle prove mitiche, sia in quelle storiche appaiono in modo concorde le peculiarità d'un unico sistema. Elementi di tempi più antichi e più recenti si accordano armonicamente, facendo quasi scordar i lunghi intervalli di tempo fra loro. È ovvia l'importanza di tali analogie per il metodo con cui sondare la tradizione mitica: esse provano l'insostenibilità del metodo contemporaneo e delegittimano quell'incerta distinzione fra tempi storici & tempi preistorici, introdotta proprio nella parte più importante della storia: la conoscenza delle concezioni e delle istituzioni degli antichi.

Ecco la risposta al quesito già esposto: la tradizione mitica è la fedele espressione della legge di vita di un'età, la base dello sviluppo storico del mondo antico, la manifestazione della mentalità originaria; è una diretta rivelazione storica e una fonte storica autentica, attendibile assai.

Il privilegio di Laodamia rispetto ai suoi fratelli fa notar a Eustazio che contraddice le concezioni greche. Rilievo assai interessante per l'età tardiva della fonte. A differenza della critica odierna, il dotto bizantino non tende ad infirmare ed ancor meno ad alterare il dato tradizionale a causa dell'anomalia contenuta nella leggenda. Tale accettazione fiduciosa della tradizione, propria agli antichi (spesso biasimata come trascrizione meccanica) è la migliore garanzia di attendibilità delle fonti tardive. Tutti gli antichi che scrissero sul passato ebbero la stessa cura di trasmettere intatta la tradizione, la stessa ripulsa nel toccare con mano sacrilega i resti del mondo precedente. Ciò ci dà la possibilità di cogliere con sicurezza la forma interna delle epoche più antiche e di seguire la storia del pensiero umano fin dagli inizi donde prese le mosse ogni successivo sviluppo. Minore fu la tendenza alla critica e alle rielaborazioni soggettive, maggiore è l'affidabilità delle fonti e minore è il pericolo di falsi.

Sul diritto materno il mito offre un'altra garanzia di autenticità. Un tale diritto stride così tanto con le idee dei tempi successivi, da rendere impensabile escogitare motivi ginecocratici nel corso di quest'ultimi. L'antico diritto materno apparì come un enigma al sistema paterno, incapace allora di inventare alcun elemento di esso. Il privilegio di Laodamia sarebbe stato inconcepibile dal pensiero greco, che esso va a contraddire; e ciò vale pure per le innumerevoli tracce della stessa civiltà presenti nella storia delle origini di tutti i popoli antichi (incluse Atene e Roma: civiltà ambe orientate in senso paterno). Fin nelle sue creazioni poetiche, ogni età obbedisce inconsciamente alla propria legge di vita: il potere della quale è tale, che sempre prevale un naturale impulso a trasformare le differenze del periodo precedente. Le tradizioni ginecocratiche non sono sfuggite a questo destino: in tanti casi vediamo concezioni più tarde applicate retroattivamente e gli effetti del tentativo di sostituire il non-comprensibile con il comprensibile-dalla-propria-civiltà. Ciò ha causato fenomeni curiosi. Elementi antichi sono repressi dai nuovi, le auguste figure del passato ginecocratico sono rievocate nello spirito dei nuovi tempi (anziché proprio), una luce più tenue mitiga i tratti più duri; dal nuovo punto di vista dominante sono giudicati, oltre al diritto, il modo di sentire, i moventi e le passioni. Non di rado il nuovo e l'antico stanno fianco a fianco. Oppure stessi fatti e stesse persone si raccontano in più versioni corrispondenti all'antico ovvero al nuovo mondo: lì innocenti, là colpevoli; lì belli e buoni, là brutti e cattivi. Talvolta c'è il padre anziché la madre, il fratello anziché la sorella, o si alternano figure maschili e femminili. Denominazioni femminili divengono maschili. Insomma: frutti di concezioni materne cedono alle esigenze di una teoria generata dalla paternità. Lungi dall'emulare lo spirito di una civiltà superata e svanita, l'età successiva ha cercato di imporre le proprie idee su pensieri e fenomeni di una realtà estranea. Ciò garantisce l'autenticità di tutte le tracce mitiche dell'età ginecocratica, aventi sicura forza probatoria. Il mito è ancora più istruttivo laddove non abbia potuto sottrarsi all'influsso contaminante del mondo successivo. Essendo i mutamenti causati da un'inconscia aderenza alle idee del proprio tempo (più che da cosciente ostilità contro l'antico) le variazioni della leggenda esprimono fasi di sviluppo di un popolo (e per un osservatore dotato sono un riflesso fedele per scandire i vari periodi della vita di quel popolo).

Spero che ora sia chiaro e legittimo il posto della tradizione mitica in questo trattato. Con quali risultati si vedrà nell'esame di singoli elementi. La ricerca storica moderna (nel suo esclusivo interesse per i fatti, nel suo contrapporre i tempi mitici e tempi storici per restringere ai secondi l'ambito delle scienze dell'antichità) batte una via che mai porterà a una conoscenza approfondita e coerente della sua materia. Nella storia ogni stadio presuppone anteriori modi d'essere: mai c'è un inizio, solo un seguito; mai una causa che non sia al contempo un effetto. La vera conoscenza scientifica non può rispondere solo alla domanda “cosa?”. Essa è completa solo se risponde pure a “donde?” e sa connetterlo a “verso dove?”. La conoscenza diviene comprensione solo se sa abbracciar l'inizio, lo sviluppo e la fine. Ma l'inizio risiede nel mito. Ogni indagine profonda dell'antichità deve rifarsi al mito. Il mito reca in sé le origini, solo esso può svelarle. Del resto le origini determinano sviluppi successivi, ne indicano sempre la direzione. Senza conoscere le origini, la conoscenza storica non può arrivar a conclusioni. Il divario fra mito & storia (valido solo circa la diversità dei mezzi usati dalla tradizione per esprimer gli eventi) è insensato e infondato ante la continuità dello sviluppo umano, da escludersi per il successo della mia ricerca. Le forme di diritto familiare dei più noti tempi antichi non sono primitive, bensì effetti di fasi di vita più antiche. Prese solo in sé (senza causalità), esse sono solo dati isolati: oggetto di conoscenza, non di comprensione. Il rigore del sistema del diritto paterno romano prova l'esistenza di un sistema precedente, che avversò e abolì. Pure la solenne paternità rivestita dalla purezza della natura apollinea nella città di Atena (figlia senza madre di Zeus) appare l'apice di uno sviluppo, le cui prime fasi avvennero in un mondo retto da idee e istituzioni affatto diverse. Come si può comprendere la fine se l'inizio resta un enigma? E dove si può cogliere l'inizio? La risposta è nel mito, immagine fedele dei tempi più antichi – qui è in nessun altro luogo.

Il bisogno di un sapere sistematico ha spesso indotto a cercar di soddisfare la brama di conoscere l'inizio mercé le speculazioni filosofiche, colmando le grandi lacune del corso storico con le ombre di astratti ragionamenti. Singolare contraddizione: rifiutare il mito per il carattere poetico e al contempo abbandonarsi volentieri alle proprie fisime! Questa ricerca eviterà con cura tali tentazioni. Costeggerà con prudenza la terra ferma, in tutte le rientranze e le sporgenze della riva, evitando i pericoli in alto mare. Dovunque non si disponga di precedenti, servirà esaminare i singoli elementi. Solo una pletora di particolari si presta a raffronti adatti per divisare l'essenziale dall'accidentale, la legge universale dalle accezioni locali; insomma: ottenere punti di vista più universali. Si è accusato il mito di somigliare sabbia mobile, in cui il piede non può trovar sostegno. Tale rimprovero non colpisce l'oggetto, bensì il modo di usarlo. Benché vario e mutevole nelle sue forme esteriori, il mito segue leggi precise e promette risultati saldi e sicuri quanto ogni altra fonte di conoscenza storica. Prodotto di un periodo in cui i popoli vivevano ancora in armonia con la natura, il mito partecipa a quella inconscia conformità a leggi, sempre assente dalle opere della libera riflessione. Il mito è ovunque sistema e coesione; ogni suo dettaglio riflette una grande legge-globale, che nella pletora di sue manifestazioni ha sempre una verità interna e una naturale necessità.  

[3. Unitarietà della civiltà della Madre]

La ginecocrazia appalesa come le civiltà siano dominate da un'idea totalitaria. Tutte le sue espressioni recano i segni di una compiuta fase di sviluppo dello spirito umano. La sovranità in famiglia del principio materno non è un fenomeno isolato. La concezione generale greca nel suo periodo classico è irriducibile ad essa. La stessa opposizione fra il principio paterno e quello materno deve essersi verificata in ambi i sistemi.

Il primo elemento che palesa la totalitarietà dell'idea ginecocratica è il primato della sinistra rispetto alla destra. La sinistra si predica della potenza femminile e passiva della natura, la destra di quella maschile ed attiva. La parte avuta dalla mano sinistra di Iside nel paese del Nilo (fedele al diritto materno) basta già ad esplicitare tale punto. Altri fatti ne provano l'importanza, universalità, originalità, fuori dalla speculazione filosofica. Negli usi e nei costumi della vita civile e religiosa, nelle peculiarità del vestiario e delle capigliature, come pure nel senso di certe espressioni ricorre questa idea di precedenza del lato sinistro (maior honos laevarum partium) correlata al diritto materno.

Altrettanto significativa è una seconda espressione della stessa legge fondamentale: la sovranità della notte sul giorno (come simbolo di grembo materno). L'opposta relazione gerarchica sarebbe stata in contraddizione con l'idea ginecocratica. Già gli antichi correlarono il primato della notte e della sinistra al principio materno. Pure qui usi e costumi arcaici, il calcolo del tempo per notti, la scelta delle ore notturne per lottare, tener consiglio, amministrare la giustizia, la preferenza del buio per i riti – tutto prova che non si tratta di astrazioni filosofiche di tarda formulazione, bensì con la realtà di un modo originario di vita.

Altre marche di un'essenza ginecocratica, di una civiltà dominata dal principio materno, sono la preferenza religiosa per la Luna anziché il Sole, per la Terra generatrice anziché il Mare fecondatore, per il lato oscuro della morte anziché il lato chiaro della crescita (nell'ambito della vita naturale), per il morto anziché il vivo, per il lutto anziché la gioia: son tanti tratti, che lungo questa ricerca acquisteranno un significato profondo.

Ci sta dinanzi un mondo spirituale in cui il diritto materno non è più un fenomeno estraneo ed incomprensibile, bensì omogeneo. La concezione complessiva è ancora inattingibile. Ma con saldi princìpi è facile connettere i suoi elementi e trovar la via dal noto a nostra disposizione all'ignoto. Bastano vaghi indizi nel passato per aprire orizzonti nuovi. I privilegi sororali o dell'ultimogenito sono altri esempi istruttivi. Ambi sono aspetti del principio materno nel diritto familiare, nuove omotetie dell'idea-frattale. L'importanza del vincolo sororale ricorre in un'osservazione di Tacito sui Germani, e un riferimento analogo di Plutarco su certi costumi romani prova che non è un'accidentale nozione locale, bensì l'effetto d'un'idea generale. L'importanza dell'ultimogenito è pure nell'Eroico di Filostrato (opera tarda eppure importante per comprender l'antica idea). A tali due punti si collegano tanti esempi fornitici sia dalla tradizione mitica sia da situazioni storiche di popoli antichi o ancora esistenti (a riprova dell'universalità e originarietà di essi). È facile capire a quale tratto dell'idea ginecocratica si connetta l'una e l'altra veduta. Il privilegio sororale rispetto al fratello è una nuova espressione del già visto privilegio della figlia rispetto al figlio; poi il privilegio dell'ultimogenito implica l'idea che la vita prosegua da quel ramo del ceppo materno che (essendo nato per ultimo) per ultimo sarà raggiunto dalla morte.

C'è bisogno di dire quali nuovi orizzonti aprono tali osservazioni? O di provar che la concezione naturalistica dell'essere umano (la quale fa preferir il rigoglio più giovane) concorda col simbolo dei Lici delle foglie dell'albero (che non si generano l'una dall'altra ma sorgono dal tronco comune); che il diritto materno riflette la legge della vita materiale e corporea anziché la superiore legge dello spirito; infine che la mentalità ginecocratica sia emanazione di un atteggiamento materno-tellurico (non paterno-uranico) verso l'umana esistenza? È necessario rilevare quanti detti degli antichi e quante tracce di società ginecocratiche siano spiegati dal pensiero germanico riferito da Tacito sul continuarsi del ceppo familiare tramite la sorella?

[4. Significato religioso del principio materno. Considerazioni sul metodo]

Il privilegio sororale ci porta all'aspetto più nobile dell'esistenza basata sulla sovranità materna. Già ho rilevato il lato giuridico della ginecocrazia. Ora accenno il suo significato morale. Il lato giuridico sorprende chi stimi naturale l'opposto diritto familiare e dispera della sua inattingibilità, mentre il lato morale trova accoglienza in un sentimento naturale di ogni tempo che ne facilita la comprensione.

Nelle fasi più basse ed oscure dell'esistenza umana l'amore madre-figlio nato dal suo corpo è la luce della vita, il solo chiarore nella tenebra morale, la sola gioia nella profonda miseria. Le osservazioni su popoli ancora viventi di altri continenti riportano tale fatto alla coscienza e fanno affiorare il significato di quelle tradizioni mitiche in cui per la prima volta appaiono gli amanti del padre (philopatores), agenti del progresso della civilizzazione. L'intimo rapporto figlio-padre, il sacrificio del figlio per il genitore esigono un progresso morale oltre l'amore materno (forza misteriosa presente ugualmente in tutte le creature terrestri). L'amore paterno appare e prende forza solo più tardi. Invece l'esperienza determinante la nascita della civiltà umana, di ogni virtù e di ogni più nobile aspetto dell'esistenza è il fascino della maternità, che in una vita piena di violenze dovette apparire come divino principio d'amore, di unità e di pace. Nella cura per il frutto del proprio corpo la donna impara prima dell'uomo a trascendere l'amore di sé, ad amare un altro essere e a dedicare tutta l'inventiva del suo spirito alla conservazione e all'elevazione di un'altra vita. Da tale disposizione d'animo deriva ogni modo più alto di vivere, ogni evergetismo, ogni abnegazione, solidarietà per i vivi e pietà per i morti.

È una idea variamente espressa nel mito e nella storia. Es. Il cretese racchiuse il sommo grado del suo amore per la terra natia nella parola “terra materna” (anziché patria); la comunanza del grembo materno fu celebrata come il più intimo vincolo, unica base di parentela; l'assistere la madre, il difenderla, il vendicarla, appare come il dovere più sacro; mentre l'attentare alla sua vita fu considerato come una colpa inespiabile, pure se al servizio del padre oltraggiato. Servono altri particolari? Quanto detto basta ad individuare il lato etico della civiltà alla quale appartenne il matriarcato. Ora ricevono significato tutti quegli episodi di fedeltà alla madre e alle sorelle; di grandi pene affrontate per evitare la perdita delle sorelle o di esporle a pericoli; di coppie di sorelle che assumono un valore universale.

L'amore emanato dal principio materno non è solo intimo bensì di portata generale. Tacito accenna ciò limitatamente ai rapporti fra sorelle appo i Germani, senza capirne il significato e il mondo storico in cui vigeva. Connaturato al principio paterno è il particolarismo, invece a quello materno l'universalità. Il principio paterno restringe l'appartenenza ad un solo gruppo; il principio materno non conosce esclusivismo più di quanto faccia l'ecosistema. Dal principio della maternità generatrice deriva la fratellanza universale di tutti gli umani, che all'avvento della paternità esce dalla coscienza e dal diritto. La famiglia patriarcale è conchiusa come un organismo individuale; la famiglia matriarcale conserva il tipico carattere universale dei primordi della civiltà che contraddistingue la vita materiale dalla superiore vita spirituale. Il grembo di ogni donna (immagine mortale della Madre Terra, Demetra) dona le sue nascite ai nati da ogni altra donna; e la terra natia conoscerà solo fratelli e sorelle finché, col sistema patriarcale, l'unità della massa sarà infranta e la realtà promiscua sarà superata dal principio della discriminazione.

Nelle società matriarcali tale aspetto della ginecocrazia trova varie espressioni, fino al riconoscimento giuridico. Materno è quel principio di universale eguaglianza e libertà, che ricorre nella vita dei popoli ginecocratici, insieme alla simpatia per gli stranieri (philoxenia) e ad un'aperta ostilità contro ogni discriminazione; materno è pure il significato complessivo di certe nozioni (come il parricidium romano) che solo più tardi contraffecero il loro significato naturale universale con un significato individuale discriminatorio. Infine materna è l'esaltazione del sentimento di una generale parentela e di una simpatia (sympatheia) senza frontiere verso tutti i membri di un popolo. I popoli ginecocratici furono famosi per l'assenza di lotte intestine, per il ripudio di ogni disturbo della pace. Le grandi panegirie, in cui ogni ceto sentiva il sentimento della fratellanza e della connazionalità, apparvero la prima volta e si svilupparono al massimo le ginecocrazie. Altrettanto caratteristica in tali popoli è la severità delle pene a chi recasse danno fisico al prossimo nonché ad animali. Le implicazioni morali del principio materno si materializzano in tanti costumi: le donne romane pregavano la Grande Madre di trovar uno sposo alle figlie sororali, anziché alle proprie; i Persiani pregavano la divinità per l'intero popolo; i Cari ad ogni virtù anteponevano la conformità di sentire (sympatheia) verso i parenti. Una temperata umanità, che affiora nei volti di certe sculture egizie, compenetra la civiltà del mondo ginecocratico e le dà un'impronta in cui sondare tutte le cose buone del sentimento materno. L'antica stirpe, che nella totale sottomissione alla legge materna fornì all'età successiva i tratti del mito dell'età dell'argento, si presenta di una saturnina mitezza. Ecco come ora è comprensibile nella descrizione esiodea la preminenza della madre, che cura un figlio dipendente, il quale (crescendo più nel corpo che nello spirito) godeva presso la madre della quiete e dell'abbondanza della vita agricola fino ad età avanzata! E come essa corrisponda alle immagini di una felicità perduta, caratterizzata dal dominio della madre, e a quelle tradizioni circa antiche stirpi di donne (archeia phyla gynaikon), la cui scomparsa fece sparire la pace dalla terra! Il valore storico del mito è qui provato. Tutte le licenze della fantasia e i massimi abbellimenti poetici di cui la memoria si cinge non hanno reso irriconoscibile il nucleo storico della tradizione né oscurato i tratti principali e il significato dell'esistenza precedente.

Interrompo un istante l'esposizione di queste idee con alcune considerazioni generali. Chi penetri fino all'idea-frattale della ginecocrazia comprende tanti fenomeni e testimonianze specifici che, misteriose in sé, palesano un'intima logica tostoché raffrontate. Ma tale risultato esige una condizione: il ricercatore deve perdere la concezione generale coeva ed emulare la concezione generale di un mondo diverso. Senza uscir di sé l'indagine dell'antichità è vana. Una posteriore concezione generale del mondo renderà incomprensibile quella più antica. Lo iato crescerebbe, le contradizioni si moltiplicherebbero; pure usando tutti i mezzi di spiegazione si affacceranno sospetti e dubbi, finché il totale rifiuto parrà il miglior modo per tagliare il nodo gordiano. Ecco perché l'odierna ricerca critica non ottiene alcun risultato importante e durevole. La vera critica dovrebbe aver per oggetto la cosa in sé, dovrebbe aver per unico criterio la legge oggettiva e per unico fine la comprensione di ciò che appare diverso da quanto conosciamo, e per unica prova il numero degli elementi spiegati dal suo fondamentale principio. Finché distorcerà, dubiterà e cavillerà, in errore sarà sempre il ricercatore anziché le fonti e le tradizioni sulle quali l'incomprensione, la superficialità e la presunzione volentieri scaricano ogni colpa.

Ogni serio ricercatore deve tener sempre presente che il mondo con cui ha a che fare è diverso da quello in cui si muove il suo spirito; che la sue conoscenze (per quanto estese) sono sempre incomplete, che le sue esperienze (limitate ad un breve arco di tempo) sono immature, mentre il materiale di cui dispone è un cumulo di rovine e di frammenti che (da un certo punto di vista) spesso pare incoerente, finché (poste le giuste relazioni) hanno un significato.

Dal punto di vista del diritto paterno romano l'apparire delle donne Sabine fra i soldati nemici è incomprensibile quanto la stipulazione di tipo ginecocratico dell'accordo fra Romani e Sabini, che Plutarco di certo riprese da Varrone. Ma tali fatti (se riferiti a testimonianze di altri simili in popoli antichi o ancora esistenti in uno stadio di inferiore civiltà, e legati all'idea-frattale del diritto materno) perdono enigmaticità, e dal regno della fantasia poetica (in cui chi segua la critica moderna li avrebbe banditi) invadono la realtà storica, ove paiono conseguenza necessaria del valore, dell'inviolabilità e della dignità religiosa della maternità. Se le matrone galliche furono chiamate a dirimere le controversie nella lega di Annibale coi Galli; se, in tante tradizioni antiche, le donne (singole o in collegi, promiscui o no) amministrano la giustizia, votano nelle assemblee popolari, impongono a schiere di combattenti di arrestarsi, mediano la pace e ne fissano le condizioni, sacrificano i loro figli o la loro vita per la salvezza del Paese – chi oserà sostenere l'inverosimiglianza, l'incompatibilità con quanto ci è noto e con le leggi della umana natura oggi predicate, o pretenderà inattendibile la poeticità delle memorie di quei tempi primordiali? Ciò significherebbe sacrificare al presente la realtà preistorica. O, come disse Simonide, cambiare il mondo secondo la lucerna e il lucignolo: significherebbe lottare contro millenni e ridurre la storia a trastullo delle opinioni (frutti acerbi di pretesa saggezza), a fantoccio delle mode. Si obietta l'inverosimiglianza: ma le probabilità mutano coi tempi; ciò che è inconciliabile con lo spirito di una fase di civiltà concorda con lo spirito di un'altra: ciò che è lì inverosimile, là acquista verisimiglianza. Si dice che è «in contraddizione con tutto ciò che si sa»: ma in storia l'esperienza soggettiva e le leggi soggettive del pensiero sono poco lecite quanto ridurre ogni cosa alle strette proporzioni di una limitata visione particolare. C'è poi bisogno di rispondere a chi fa appello all'aura poetica delle epoche primitive? A negarla si sarebbe tacciati dall'antica e moderna poesia, che trae da quei tempi lontani i suoi temi più belli e commoventi. Certo, benché poesia e scultura abbiano gareggiato nell'invenzione, tutto ciò che è antico (specie l'età primigenia) ha in alto grado la forza di sollevare l'animo dell'osservatore e di innalzarne il pensiero al di sopra della realtà quotidiana. Ma tale qualità dipende dalla natura della cosa, è una componente della sua essenza ed è perciò da indagare anziché da stimare strumento di discredito dell'età cui appartiene. Infatti l'età ginecocratica è la poesia della storia: per via dell'elevatezza, dell'eroica grandezza, della bellezza conferite alla donna; per il suo promuovere fra gli uomini il coraggio e la cavalleria, avvalorando l'amore femminile, imprimendo disciplina e castità agli adolescenti: per tale serie di qualità, l'età della madre apparve agli antichi nella stessa luce in cui oggi ci appare la nobiltà cavalleresca del mondo germanico. Come noi, gli antichi si chiesero: dove sono quelle donne, le cui bellezza impeccabile, castità ed elevato sentire poterono far innamorare perfino gli immortali? Dove sono le eroine di cui cantò Esiodo, il poeta della ginecocrazia? Dove sono le assemblee muliebri, con le quali Dike amava conversare familiarmente? E dove sono quegli eroi senza macchia e senza paura dall'irreprensibile vita cavalleresca (come il Bellerofonte licio), che unirono il loro valore a uno spontaneo riconoscimento del potere femminile? Aristotile rilevò che tutti i popoli bellicosi obbedivano alla donna e in epoche successive si ritrova la stessa cosa: sfidar il pericolo, cercar l'avventura e sottomettersi alla bellezza sono virtù che indicano la gioventù di un popolo. Tutto ciò è sì poesia date le condizioni attuali. Ma la poesia più alta e più suggestiva di ogni fantasia è la realtà storica. Il genere umano ha vissuto destini più alti di quanto la nostra immaginazione possa figurarsi. L'età ginecocratica con le sue figure, le sue gesta, le sue emozioni è irraggiungibile per epoche colte ma fiacche. Non dimentichiamolo: col venir meno dello slancio dello spirito declina pure la forza d'azione e l'incipiente corruzione permea subito tutte le sfere della vita. 

Spero che queste ultime considerazioni spieghino i princìpi da me seguiti e i mezzi (un regno finora ritenuto di ombre poetiche) con cui cercherò di attingere alle fasi primigenie dell'esistenza umana. Ora riprendo l'esposizione interrotta del mondo ginecocratico, senza perdermi nei pur sorprendenti particolari, bensì concentrandomi sugli aspetti più importanti, da cui procedano e su cui si fondino gli altri.

Le basi religiose della ginecocrazia fanno apparire il diritto materno nella sua forma più degna, lo collegano ai lati più elevati dell'esistenza, esibendo una grandezza dei tempi primordiali (che l'ellenismo superò solo nello splendore delle apparenze, ma non nella profondità e nella dignità dell'idea). Qui più che altrove avverto il divario fra la mia concezione dell'antichità & le idee moderne e le conseguenti ricerche storiche. Rilevare nella religione un enorme influsso esercitato sulla vita dei popoli, darle il primo posto fra le forze creatrici e formatrici dell'intera esistenza, cercare nelle sue idee la spiegazione dei lati più oscuri del pensiero antico pare un sospetto appoggio alla teocrazia, un sintomo di mente incapace, limitata, piena di pregiudizi nonché un deplorevole ritorno al medioevo. Conosco tali accuse, la mia reazione è sempre la stessa: mi sforzo sempre di essere antico-circa-l'antichità anziché moderno, attento alla verità nella ricerca anziché soggetto alle opinioni passeggere e ansioso di piatire gli applausi. La religione è l'unica potente leva di ogni civiltà. Ogni sviluppo e declino dell'esistenza umana è un moto originato da tale sfera suprema. Senza di essa, nessun aspetto della vita antica è comprensibile e i tempi più remoti diventano un enigma impenetrabile. L'umanità coeva, affatto permeata dalla fede, riferì ogni forma dell'esistenza e ogni tradizione storica a idee religiose fondamentali, vide ogni evento in luce religiosa e si riconobbe in assoluto nel mondo dei suoi dèi. La civiltà ginecocratica dovette serbare tale impronta ieratica perché componente della natura femminile è il presentimento del divino che, mescolandosi al sentimento di amore, conferì alla madre un carattere religioso operativo al massimo nei tempi più selvaggi. La superiorità della donna sull'uomo ci stupisce perché contraddice l'inversa forza fisica nei due sessi. Se lo scettro del potere tocca alla più debole, allora la legge del più forte riguarda una forza più profonda all'opera di quella fisica. Non serve rifarsi ad antiche testimonianze per sapere cosa fece andare le cose così. Da sempre la donna ha esercitato enorme influsso sul sesso maschile, sulle concezioni e leggi dei popoli grazie all'inclinazione del suo spirito verso il soprannaturale, il divino, il miracoloso che si sottrae alle leggi della natura. Pitagora iniziò il suo discorso alle donne di Crotone dalla particolare attitudine delle donne alla religiosità (eusebeia) e al timor di Dio; e Strabone (seguendo Platone) rileva che il sesso femminile ha sempre diffuso fra gli uomini il timor del divino (deisidaimonia), coltivando, nutrendo e conservando la fede insieme ad ogni superstizione. Tale osservazione è provata da fatti storici di ogni tempo e di ogni popolo. Come la prima rivelazione fu affidata a donne, così ebbero parte attiva nella diffusione di molte religioni, talvolta lottando, talaltra ricorrendo al loro fascino fisico. Il profetismo femminile è più antico di quello maschile. L'anima femminile è più fedele alla tradizione e “inflessibile nella fede” dell'anima maschile: benché più debole, la donna si slancia sempre più lontano dell'uomo, ed è più conservatrice in ambito cultuale e rituale. Ovunque è visibile la tendenza muliebre ad estender propria influenza religiosa e a fare proseliti (stimolata dal senso di debolezza e dall'orgoglio di inficiare il primato della forza bruta).

Munito di tali forze, il sesso debole poté intraprendere e vincere la lotta contro il sesso forte. Alla superiore forza fisica dell'uomo la donna oppose la sua superiore sensibilità religiosa, al principio della violenza quello della pace, allo spirito di competizione lo spirito di conciliazione, all'odio l'amore. Così la donna seppe guidare l'esistenza selvaggia, fuori legge, dei primi tempi verso quella forma di civiltà più mite e calma, nella quale essa troneggerà come foriera di un principio supremo e come incarnazione della legge divina. In ciò sta il potere magico delle figure femminili, che disarma le passioni più selvagge, arresta schiere di combattenti, assicura inviolabilità alle sentenze muliebri, dà a ogni cosa la dignità di una legge suprema. Ad Arete, regina dei Feaci, fu tributato un culto pressoché divino ed ai suoi responsi una tale sacralità che Eustato stimò pura licenza poetica; eppure non è un caso isolato, bensì espressione perfetta di una ginecocrazia affatto basata su princìpi religiosi, con tutto il bene e con tutta la bellezza che può far alla vita di un popolo.

[5. Il matriarcato e il mistero demetrico]

Vari singoli dati confortano l'esistenza del nesso fra la ginecocrazia & il carattere religioso della donna. Uno dei maggiori è la legge dei Locresi per cui le Falloforie dovevano esser svolte da una fanciulla (mai da un fanciullo). Polibio cita tale usanza fra le prove del diritto materno epizefiro, riconoscendo il nesso con l'idea-frattale della ginecocrazia. Il tributo delle fanciulle dei Locresi ad espiar il delitto di Aiace prova tale nesso e indica quale complesso di idee è all'origine della concezione religiosa generale, per cui sacrificare donne è più gradito alla divinità. E per tale via si giunge all'aspetto della ginecocrazia da cui il diritto materno trae fondamento e significato. Ricondotta al modello di Demetra, la madre terrestre diviene la rappresentante mortale della progenitrice tellurica, e sua sacerdotessa, e ierofante che ne amministra i misteri. Tutti questi aspetti sono generati da un unico stadio di civiltà. Il culto supremo tributato alla maternità generatrice conduce al corrispondente culto della donna mortale; il legame esclusivo fra Demetra e Kore al non meno esclusivo diritto successorio da madre a figlia. Infine, l'intimo nesso fra Misteri e culti ctonio-femminili riporta alla funzione sacerdotale della madre, che qui giunge alla massima consacrazione religiosa. Da tale punto di vista si rivela di nuovo la vera natura dello stadio di civiltà a guida materna, riconoscendo l'intima grandezza della civiltà preellenica, che nel suo culto demetrico, nella sua ginecocrazia sia religiosa sia civile, nei suoi Misteri ebbe un nobile germe, represso e intristito dagli sviluppi storici successivi. Opinioni tradizionali, da tempo rivestite di prestigio ufficiale, come quelle sulla barbarie del mondo pelasgico, sull'incompatibilità della sovranità femminile con un'esistenza nobile e forte, e, in particolare, sul tardo sviluppo dell'elemento misterico della religione, vengono scalzate dall'olimpico trono senza speranza di ritorno. Già da molto tempo gli studiosi dell'antichità si dilettano a spiegare con i motivi più bassi i più nobili fenomeni storici. Come possono avere riguardo per l'ambito della religione? Come possono riconoscere che i più elevati aspetti di essa, l'inclinazione verso il soprannaturale, il trascendente, la mistica, corrispondono ai bisogni più profondi dell'anima umana? Ai loro occhi, solo contraffazioni e frodi di falsi profeti egoisti possono aver oscurato con quelle tetre nubi il cielo terso del mondo spirituale ellenico; solo a un'età di decadenza possono aver condotto tali distorsioni. Ma l'elemento misterico costituisce la vera essenza di ogni religione, e la donna lo avrà coltivato con cura ovunque ea abbia dominato il culto e la vita. Ciò è attestato dalla natura muliebre, incline a unire inscindibilmente il sensibile al sovrasensibile, e affine alla vita della natura e alla materia, il cui perenne morire desta il bisogno di pensieri consolanti e attraverso il dolore suscita la speranza. È attestato pure dalla legge della maternità demetrica, che si manifesta alla donna nelle metamorfosi del grano seminato e che, nell'alternarsi di morte e vita, presenta la discesa sotterra come condizione di una più alta rinascita, come acquisizione di un alto grado di iniziazione (epikteis tes teletes). Ciò che appare dalla natura della maternità è affatto provato dalla storia. Ovunque s'incontri, la ginecocrazia si lega ai Misteri della religione ctonia, sia che questa evochi Demetra sia che incarni la maternità in altre divinità equivalenti. L'interdipendenza dei due fenomeni spicca nella vita del popolo licio e di quello locrese: due ceppi, la cui lunghissima fedeltà al diritto materno si spiega proprio per l'ampio sviluppo che in essi ebbero i Misteri, in forme assai notevoli, ma finora travisate. Tali dati storici portano a una conclusione sicura. Se è inconfutabile la primordialità del matriarcato e il suo nesso con uno stadio arcaico di civiltà, lo stesso vale per i Misteri, perché i due fenomeni sono due aspetti diversi di una stessa civiltà, sempre congenerati. Tale conclusione è certa perché delle due accennate espressioni della ginecocrazia (civile e religiosa), l'ultima fonda la prima. Le vedute religiose sono l'elemento originario, di cui le forme di vita civile sono conseguenza e espressione. Dal legame fra Kore e Demetra deriva per via di astrazione la preeminenza della madre sul padre, della figlia sul figlio (non viceversa). O, per corrispondere le parole alle vedute antiche: dei due significati propri di Kteis (vulva e pettine), quello cultuale-misterico è originario e prevalente, mentre quello sociale-giuridico è solo una conseguenza. In una concezione affatto fisico-naturalistica, l'utero (spurium) si presenta qual espressione del mistero demetrico (sia nel suo significato inferiore, fisico, sia in quello superiore, spirituale): solo dopo diviene espressione del matriarcato nella sua forma sociale, quale ricorre nel mito licio di Sarpedonte. Ciò confuta l'opinione dei moderni che il Mistero compaia in tempi di decadenza e in una tarda degenerazione dell'ellenismo. La storia prova il contrario: il Mistero materno è l'elemento arcaico, invece l'ellenismo è una fase successiva dello sviluppo religioso. È l'ellenismo a costituire una degenerazione e un appiattimento religioso, che sacrifica il trascendente all'immanente, la misteriosa tenebra della speranza suprema alla chiarezza della forma.

Testé ho detto che l'età ginecocratica è la poesia della storia, ora ne faccio un'altra lode affine: l'età ginecocratica è il periodo della profondità e del presentimento del divino, della pietà (eusebeia), del timore degli dèi (deisidaimonia), della temperanza (sophrosyne), del rispetto delle leggi (eunomia): qualità che sgorgano dalla stessa fonte e che gli antichi predicano di tutte i popoli ginecocratici con significativa concordanza. Chi può negare l'interna correlazione di tutti questi fenomeni? Chi può dimenticare che l'età del predominio muliebre partecipò di tutto ciò che distingue la tendenza naturale della donna da quella dell'uomo: di quell'armonia che gli antichi preferivano chiamare femminilità (gynaikeia); di quella religione in cui il più profondo bisogno dell'animo femminile, l'amore, diviene cosciente del suo accordo con la legge fondamentale del tutto; di quella spontanea saggezza naturale che, palesata da nomi eloquenti come Autonoe, Filonoe, Dinonoe, conosce e giudica con la rapidità e la sicurezza della coscienza; infine, di quella qualità che conserva l'esistenza con cui la natura ha formato la donna? Tutte queste qualità dell'essenza femminile si trovano nella società ginecocratica: a ogni qualità corrispondono fatti, fenomeni, che ora colgo in un preciso rapporto storico e psicologico.

Ostile a questo mondo è l'Ellenismo. Quando la ginecocrazia cade, spariscono i suoi effetti. Lo sviluppo del potere paterno porta in primo piano un lato affatto diverso della natura umana, connesso ad altri modi di vivere e di pensare. Erodoto vede nella civiltà egizia l'esatta antitesi di quella greca, in specie attica. Da greco, l'Egitto gli pare un mondo capovolto. Se il padre della storia avesse confrontato in ugual modo i due grandi periodi dello sviluppo greco, la loro antitesi gli avrebbe riservato lo stesso stupore. Perché l'Egitto è il Paese della ginecocrazia stereotipata: tutta la sua civiltà è fondata sul culto materno, sulla superiorità di Iside su Osiride, onde coincide sorprendentemente con tanti fenomeni del diritto materno che troviamo fra le stirpi preelleniche.

Ma la storia offre un secondo esempio del contrasto fra queste due civiltà. Nel centro del mondo ellenico Pitagora ripristina la religione e la vita su antiche radici. Facendo rivivere i Misteri dei culti ctonio-materni, cercò di dare nuova sacralità all'esistenza, di appagare i bisogni religiosi ridestatisi nell'uomo. Nella lotta contro l'Ellenismo, non nel suo sviluppo, sta l'essenza del pitagorismo, attraverso cui (dice significativamente una delle nostre fonti) spira un alito di tempi più antichi. La sua origine è ricondotta non alla saggezza dei Greci, ma a quella più antica dell'Oriente, del mondo immobile asiatico e africano. Pitagora cercò infatti seguaci appo popoli la cui lealtà a ciò che è antico e tradizionale sembrava avere più comunanze con la sua dottrina, specie appo le tribù e le città dell'Esperia (che ancora oggi, in sede religiosa, conserva forme di vita altrove scomparse). Tale preferenza così decisa e marcata per una più antica concezione di vita si lega al riconoscimento della sovranità materna di Demetra, alla forte tendenza alla cura e allo sviluppo degli aspetti misterici, trascendenti, spirituali della religione, ma soprattutto all'eccezionale risalto dato a maestose figure sacerdotali femminili. Indi, chi può negare l'interna unità di questi fenomeni e il loro legame con la civiltà preellenica? Un mondo primordiale sorge dalla tomba: la vita cerca di tornare ai suoi inizi. Le età frapposte spariscono, e (come se non si fossero state rivoluzioni di società e di pensiero) le tarde generazioni si congiungono alle primordiali. Le donne pitagoriche sono inseparabili dal Mistero ctonio-materno della religione pelasgica; le loro azioni e il loro atteggiamento spirituale non possono spiegabili con idee del mondo ellenico. Senza tale fondamento cultuale, la sacralità di Teano, «la figlia della saggezza pitagorica» resta un fenomeno sconnesso: invano sfuggirgli parlando di carattere mitico delle origini pitagoriche. Gli antichi confermano tale legame, raggruppando Teano, Diotima e Saffo. Nessuno si è chiesto: perché raggruppare queste tre figure appartenenti a età e a popoli diversi? Dove trovare una spiegazione, se non nel mistero della religione materno-ctonia? La vocazione religiosa della donna pelasgica si dispiega in quelle tre splendide figure femminili dell'antichità, nel modo più ricco e più nobile. Saffo appartiene a uno dei grandi centri della religione misterica orfica, Diotima alla città arcadica di Mantinea, nota per la sua cultura arcaica e per il culto samotracio di Demetra; l'una eolia, l'altra pelasgica, due popoli rimasti fedeli nella religione e nella vita ai princìpi della civiltà preellenica. In una donna dal nome sconosciuto che visse in un popolo estraneo allo sviluppo dell'ellenismo, ancora conducente un modo arcaico di vivere, Socrate trovò quel grado di illuminazione religiosa, che non poté offrirgli la brillante cultura dell'Attica. Il concetto che fin dall'inizio mi sforzo di porre in evidenza (il nesso fra sovranità muliebre & la civiltà e la religione preelleniche) è provato proprio da quei fatti che, se presi sfusi, paiono negarlo. Ovunque perduri o rinasca la più antica religione misterica, la donna riemerge con l'antica dignità e solennità dall'oscurità cui la schiavitù della vita ionica l'ha condannata, e proclama dove cercare il fondamento della ginecocrazia primordiale e la fonte degli effetti benefici che essa elargì sull'esistenza intera dei popoli dediti al matriarcato. Socrate ai piedi di Diotima, che a stento segue lo slancio ispirato della sua mistica rivelazione, confessando senza timore che l'insegnamento della donna gli è indispensabile: dove la ginecocrazia potrebbe trovare un'espressione più sublime? Dove un caso più bello dell'intima parentela fra il Mistero pelasgico-materno & la natura femminile? Dove un complemento lirico-muliebre del principio etico della civiltà matriarcale, cioè l'amore (santificazione della maternità)? L'ammirazione in ogni età suscitata da tale immagine cresce ancora al riconoscere in essa (nonché una bella creazione di uno spirito possente) la presenza di idee e pratiche della religione matriarcale, l'immagine stessa della ierofantia muliebre. Si riconferma ciò che già sottolineai: la storia supera l'immaginazione poetica.

Non indagherò oltre il fondamento religioso della ginecocrazia: l'inclinazione religiosa della donna basta a mostrarlo. Chi chiederà ancora perché la fede, la giustizia e tutte le specifiche qualità umane abbiano nomi femminili, perché Telete (l'iniziazione) è personificata da una donna? Non è una scelta casuale, bensì la verità della storia che trova espressione linguistica. I popoli matriarcali sono caratterizzati da giustizia, pietà, cultura (eunomia, eusebeia, paideia).   Vediamo le donne come severe custodi del Mistero, della giustizia e della pace: potremmo allora negare il legame di tali fatti storici col fenomeno linguistico? Dalla donna dipende il primo sviluppo del genere umano, il primo progresso verso la civiltà e una esistenza regolata, e in specie la prima educazione religiosa: dalla donna dipende il godimento di ogni bene superiore. In lei, prima che nell'uomo, si destò l'anelito ad affinare l'esistenza, e la donna più dell'uomo possiede la capacità naturale di riuscirci. È opera sua l'intera civiltà che seguì alla prima barbarie; suo dono, oltre alla vita, è ogni gioia della vita; sua la prima conoscenza delle forze della natura, il presentimento e la promessa della speranza che sconfigge il dolore della morte. In tale luce, la ginecocrazia appare come testimonianza del progresso della civiltà, fonte e garanzia dei suoi benefici, necessario periodo di educazione dell'umanità, quindi pure come attuazione di una legge naturale che governa i popoli non meno che i singoli individui.

Ivi l'ordine delle mie idee ritorna al suo inizio. Iniziai esibendo l'indipendenza del diritto materno da ogni ordinamento positivo (e con ciò il suo carattere di universalità). Ma ora posso assegnargli la qualità di verità naturale nella sfera del diritto familiare, e completare la sua caratterizzazione.

La ginecocrazia, nel proceder dalla maternità generante (che ne è l'immagine fisica), restò soggetta alla materia e ai fenomeni della vita naturale da cui trasse la legge della sua esistenza interna ed esterna. Più delle generazioni successive, la ginecocrazia sentì l'unità di tutto il mondo vivente e l'armonia dell'universo dal quale non ci si era ancora alienati; sentì con più intensità il dolore della mortalità e della caducità dell'esistenza tellurica, che la donna (specie la madre) lamentano; anelò con più fervore a un superiore conforto, che trovò contemplando i fenomeni della vita naturale e lo collegò al grembo generatore, all'amor materno che tutto accoglie, preserva e nutre. Obbediente in tutto alle leggi dell'esistenza fisica, la ginecocrazia rivolse lo sguardo alla terra, pose le potenze ctonie più in alto della luce urania, identificò in genere la forza virile nelle acque telluriche subordinando il liquido fecondatore al grembo materno (gremium matris), e l'oceano alla terra. In guisa materiale dedicò le sue cure e la sua forza all'adornamento della esistenza fisica, alla virtù pratica (praktike arete): agricoltura (promossa dapprima dalla donna), costruzione di mura (che gli Antichi collegarono ai culti ctoni), campi in cui la ginecocrazia conseguì una perfezione ammirata dalle generazioni successive. Nessun'età, quanto quella della supremazia materna, ha attribuito più valore alla forma esteriore del corpo e alla sua intangibilità, e meno risalto all'elemento spirituale interiore. Sul piano del diritto, nessun'età ha sviluppato in guisa altrettanto coerente il dualismo materno e l'idea di proprietà fattuale. Al contempo, nessun'età ha promosso in egual misura l'entusiasmo lirico, stato d'animo tipico della donna radicato nel sentimento della natura. In una parola: la vita ginecocratica è un naturalismo ordinato, il suo pensiero è materialista, ammette solo evoluzione fisica. Lo stadio di civiltà così necessariamente legato al matriarcato appare invece estraneo e incomprensibile nell'età del patriarcato.

Queste considerazioni dovrebbero aver chiarito il problema della nostra ricerca e il modo di risolverlo. Ora c'è un secondo problema, non meno importante e difficile, anzi più complesso per via della molteplicità e della peculiarità dei fenomeni da studiare. Finora si è andati in cerca della struttura interna del sistema ginecocratico e della civiltà che vi si connette. Ora serve andare in una direzione diversa. Dopo aver precisata l'essenza della civiltà matriarcale, serve studiarne la storia. Trovato il principio della ginecocrazia, serve definirne le relazioni con altre fasi di civiltà: rappresentare le condizioni inferiori delle fasi precedenti e le concezioni superiori delle fasi successive, ambe in lotta contro il matriarcato demetricamente ordinato.

[6. Demetrismo ed afroditismo]

Un nuovo aspetto dello sviluppo umano si offre ora alla ricerca. Grandiose trasformazioni, violente scosse entrano ora la trattazione, ponendo in nuova luce le ascese e i declini delle sorti umane. Ogni svolta nello sviluppo dei rapporti fra i due sessi è segnata da avvenimenti cruenti, i violenti trapassi sono più frequenti di un'evoluzione graduale e pacifica. Portato all'estremo, ogni principio va a trionfare su quello opposto; gli abusi divengono leva di progresso; e il massimo trionfo innesca la disfatta. Mai furono così evidenti l'inclinazione dell'anima umana a trasgredire la misura, insieme alla sua incapacità di sostenere una misura innaturale. Mai è stata messa a così dura prova la facoltà di penetrare la grandezza selvaggia di rudi ma vitali popoli primitivi e di familiarizzare con concezioni e forme di vita affatto straniere.

Per molteplici che siano le manifestazioni della lotta della ginecocrazia contro altre forme di vita, il principio generale di sviluppo è visibile: il dominio del principio materno cede al dominio del principio paterno, e la transizione è un'età di sregolato eterismo.

La ginecocrazia ordinata demetricamente è infatti un punto intermedio, una fase di transizione dell'umanità dagli stadi inferiori agli stadi superiori dell'esistenza. Di inferiore la ginecocrazia di mezzo ha il pensiero materno-materiale, di superiore la monogamia. Di diverso dal dominio materno ha la regolazione demetrica del principio materno, con cui essa supera la legge dell'eterismo; di diverso dal dominio paterno ha il primato attribuito al grembo generatore, primato che fa di essa una forma inferiore ad un sistema paterno maturo. La mia esposizione seguirà tale sequenza di stadi: prima l'esame del rapporto fra ginecocrazia e eterismo; poi il progresso avuto passando dal matriarcato al patriarcato.

I più associano la monogamia alla superiorità della natura umana da stimarla stadio primitivo, respingendo l'ipotesi di uno stadio di rapporti sessuali promiscui come un errore di vane speculazioni sulle origini dell'umanità. Chi non vorrebbe condividere tale opinione risparmiando alla nostra specie il ricordo doloroso di un'infanzia così indegna? Ma la testimonianza della storia ci vieta di prestar ascolto ad orgoglio ed amor proprio; e di negare il lentissimo progresso dell'umanità verso la monogamia. Una mole probante di dati storici rende impossibile ogni resistenza riguardo. Alle testimonianze degli antichi si aggiungono quelle di generazioni successive, nonché i contatti diretti con popoli a livelli inferiori di civiltà (conferma empirica della tradizione). Tracce nette di forme eteriche di vita si trovano in tutti i popoli in questa ricerca e in molti altri. E si possono seguire le vicende della lotta delle forme eteriche contro la superiore legge demetrica in certi fenomeni significativi che incisero a fondo nella vita. È incontestabile: ovunque la ginecocrazia si è affermata e consolidata attraverso una resistenza cosciente e continua della donna contro l'eterismo che la degradava. Abbandonata senza aiuto agli abusi dell'uomo e (come indica una tradizione araba conservataci da Strabone) prostrata fino alla morte per il di lui piacere, essa fu la prima (e con più forza) a sentir il desiderio di un ordine regolato e di una più pura norma di vita, a cui l'uomo (conscio della sua superiorità fisica di cui abusar) malvolentieri dovette adattarsi. Se si prescinde da tali scontri non si può intendere la ginecocrazia nel suo significato storico (la severa disciplina che la contraddistingue), né mettere la suprema legge di ogni Mistero (la castità matrimoniale) al giusto posto nello sviluppo storico dell'umana civiltà. Capire il matriarcato demetrico presuppone una forma precedente e peggiore di vita con una legge fondamentale contraria, lottando contro la quale si è formata. Così la storicità del matriarcato è la prova della storicità dell'eterismo.

Tale visione è provata dall'intima connessione dei singoli fenomeni in cui si manifesta la norma di vita antidemetrica. Un loro esame attento rivela il sistema sotteso, ci rinvia ad una idea-frattale radicata in una veduta religiosa, immune da ogni sospetto di sporadicità e di arbitrio o di validità locale. Ai sostenitori dell'originarietà della monogamia non si può risparmiare una cocente delusine. Il pensiero degli antichi è opposto al loro più che diverso. La norma demetrica fece la sua comparsa come lesione di una norma opposta più originaria. Il matrimonio stesso infranse un precetto religioso. Tale situazione è inconcepibile per la nostra coscienza; eppure è testimoniata dalla storia ed è la sola spiegazione di una serie di dati singoli, mai finora considerati nel loro insieme. Solo su tale base si spiega perché il matrimonio esiga un'espiazione ante quella divinità la cui legge oltraggia con la monogamia. La donna non ha ricevuto il suo fascino per sfiorire fra le braccia di un solo uomo: la legge della materia avversa ogni restrizione, odia ogni legame e stima l'esclusivismo sessuale un'offesa alla sua natura divina. Così si spiegano tutte le usanze in cui il matrimonio si lega a pratiche eteriche: diversi nella forma, sono omogenei nell'idea.

La violazione della legge naturale della materia costituita dal matrimonio si espia con un periodo di eterismo destinato a riconquistare la benevolenza della divinità. Monogamia e eterismo, due cose che paiono escludersi, sono legate: la prostituzione vale come una garanzia della castità coniugale, il cui carattere sacro è riconosciuto solo dopo che la donna assolva la sua funzione naturale. È chiaro che, violando le concezioni religiose, il progresso verso una superiore moralità poté essere solo lento e avversato ogni volta. La varietà delle fasi intermedie (che scopriremo) prova infatti l'esito incerto della lotta combattuta per millenni. Solo gradualmente il principio demetrico prevalse. Col tempo il sacrificio espiatorio della donna si riduce (a gradi, ognuno dei quali degno di esame). L'offerta eterica della donna passò da annuale ad un'unica volta; dalle spose a fanciulle nel periodo prematrimoniale; da indiscriminata a solo determinate persone. A tali riduzioni si associa l'istituzione religiosa delle ierodule (far espiar la colpa dell'intero sesso a una particolare classe) liberando le spose dall'obbligo di prostituirsi (un passo importante di progresso morale). Come forma più mite di espiazione compare l'offerta della capigliatura anziché del corpo, correlata nell'antichità alla sregolatezza della generazione eterica (anzi: alla vegetazione palustre, suo naturale prototipo). Ci sono tante tracce di tali fasi, nonché nel mito, nella storia dei popoli più vari, trapelando a livello linguistico nelle denominazioni di località, di divinità e di stirpi. L'esame di tali tracce, la lotta fra i princìpi demetrico e eterico, in quanto autentico fatto storico e religioso; decifra tanti miti famosi finora inspiegati; rivela l'apporto della ginecocrazia all'umana cultura, nel suo difender la norma demetrica e nel suo opporsi ad ogni ricaduta nella legge naturale.

Per far un esempio importante, esamino la relazione fra le concezioni più progredite e quelle degli Antichi sul significato della dote di una fanciulla. Da quanto tempo si attribuisce ai Romani l'idea che una fanciulla indotata non valga più di una concubina, idea così in contrasto con la nostra sensibilità che ancora non si capisce? Il suo posto storico sta in un importante aspetto dell'eterismo: i guadagni che procura. Infatti al trionfo del principio demetrico fu di ostacolo che il rispetto di una norma di vita naturale permettesse alla donna di procurarsi da sola una dote: per sradicare l'eterismo la famiglia doveva procurare la dote. Donde il disprezzo per l'indotata e le sanzioni per ogni matrimonio senza dote. Nella lotta fra la norma demetrica e la norma eterica di vita la dote fu così importante che non deve stupire che fu saldata alle più alte idee religiose della ginecocrazia, alla felicità (eudaimonia) dopo la morte promessa dai Misteri, e che in un curioso mito lesbio-egizio l'obbligo dotale fu reso legge da una famosa principessa.

Pure da un altro punto di vista si fa intelligibile: qual è il nesso fra il diritto ereditario limitato alle figlie e l'idea demetrica? Quale principio morale esso realizza? Quale influsso ebbe sullo sviluppo etico del popolo e su quella temperanza (sophrosyne) per cui i Lici furono famosi. Dicono gli testi antichi: il figlio riceve dal padre la lancia e la spada per crearsi la sua esistenza; invece la figlia (se nulla eredita) ha solo il fiore del proprio corpo per ottenere la dote necessaria a trovare un marito. La stessa concezione si trova oggi in isole greche che furono sedi della ginecocrazia. Pure gli scrittori attici (popolo dalla norma paterna ben sviluppata) stimarono naturale che tutti i beni materni fossero dati in dote alla figlia per difenderla dalla corruzione. Ogni pratica esprime l'interna verità e dignità dell'idea ginecocratica: tale idea è stata un insuperato sostegno della posizione sociale e dell'intima dignità della donna.

A prender insieme i fenomeni accennati, si scoprono derivar da una concezione di fondo. Contro il risalto demetrico della maternità si scaglia una primitiva concezione inferiore della maternità, il pieno naturalismo, illimitato, di un tellurismo spadroneggiante. È la stessa antitesi esistente fra l'agricoltura e quella produzione spontanea (iniussa ultronea creatio) che possiamo vedere nella vegetazione selvaggia della madre Terra, specie quella palustre, rigogliosa. La vegetazione palustre è modello dell'eterismo muliebre, mentre l'agricoltura è modello della monogamia a uno stadio demetrico di ginecocrazia avanzata. Ambi tali stadi di vita poggiano sullo stesso principio essenziale: il dominio del grembo materno. La loro differenza è il diverso grado di fedeltà alla natura con cui è concepita la maternità. Il grado più basso della materialità corrisponde alla regione inferiore della vita tellurica; il grado superiore all'agricoltura. L'uno vede riflettere il proprio principio nella flora e nella fauna del suolo umido (che rende oggetti preferiti di culto divino); invece l'altro lo vede nelle spighe e nei semi (che rende i più sacri simboli del suo Mistero materno). In tantissimi miti e riti spicca tale divario fra i due gradi di maternità, la cui lotta ovunque appare realtà storica e religiosa; il progresso dall'uno all'altro è un'elevazione dell'intera esistenza, un impulso verso una superiore civiltà. Scheneo (l'uomo palustre), il frutto aureo di Atalanta, la vittoria di Carpo su Calamo impersonano la stessa antitesi e lo stesso progresso che, a livello della vita umana, è espresso dal superamento del culto palustre degli Iossidi (tramandato solo per via materna) da parte del superiore culto eleusino. La natura ha ovunque guidato lo sviluppo umano, scandendone le fasi storiche come le fasi dei fenomeni naturali. L'importanza che il mito dà alla prima istituzione monogamica, l'aureola con cui circonda il nome di Cecrope (promotore della monogamia), il risalto che l'idea di filiazione legittima ha in vari miti (la prova dell'anello di Teseo e il test a cui fu sottoposto Horos dal padre), la connessione del termine autentico (eteos) a nomi di persone, di stirpi, di divinità e di popoli – tutto ciò, e pure il romano patrem ciere posse (poter dire chi è il padre), non è l'effetto di un cliché mitologico o di una vena creativa, bensì è il ricordo, sopravvissuto in forme diverse, di un'ineluttabile svolta della vita dei popoli.

Tutto l'esclusivismo della maternità — che non concepisce padre indicando i figli come o senza padre (apatores) o equivalenti figli di molti padri (polipatores), o bastardi (spurii), seminati (spartoi), o generati da una sola parte (unilaterales); mentre il genitore è indicato come nessuno (oudeís) o come seminatore (Sertor o Semo) — è una realtà storica quanto il successivo dominio demetrico del principio materno su quello paterno, anzi: questa fase successiva dei rapporti familiari da un lato presuppone la prima, dall'altro è l'imprescindibile presupposto del pieno sviluppo della paternità.

Nel suo insieme, l'evoluzione del genere umano non conosce salti né progressi improvvisi: si attua sempre con graduali transizioni, attraverso fasi, ognuna delle quali contiene in sé sia la precedente, sia la succesiva. Tutte le Grandi Madri della natura (in cui trovò personificazione la forza generatrice della materia) riunivano in sé ambi i gradi della maternità: l'inferiore (affatto naturale) e il superiore (regolato dalla monogamia). Solo negli sviluppi successivi (al mutare delle condizioni sia dei popoli) l'uno o l'altro prese il sopravvento. Queste ultime prove riconfermano la realtà storica di uno stadio di vita premonogamico. Il successivo purificarsi dell'idea della divinità attesta un superiore livello di vita (è possibile solo in relazione con esso); del pari, ogni ricaduta in stadi di vita inferiori (più sensuali) si accompagna sempre ad un'espressione religiosa. Il contenuto di qualsiasi concezione religiosa ha a suo tempo dominato e informato di sé un dato periodo della civiltà umana. Nessuna eccezione possibile. La religione che nasca da una contemplazione della natura è necessariamente una realtà vivente, e il suo contenuto racconta una fase evolutiva umana. Nel corso del trattato nessun altro mio principio sarà provato così tanto e spesso, nessun altro spiegherà altrettanto bene la lotta fra l'eterismo e la ginecocrazia monogamica. È lo scontro di due stadi di vita: ognuno sorretto da idea religiosa e nutrito da fenomeni di culto. Più di quella di ogni altro popolo, la storia interna dei Locresi Epizefiri è atta a provare la realtà storica del sistema di idee finora esposto. In nessun altro popolo il graduale prevalere della ginecocrazia demetrica sull'originario ius naturale afroditico si presenta in forme così linde; in nessun altro sono così esplicite la dipendenza del fiorire della vita politica dal superamento dell'eterismo e la forza delle precedenti idee religiose e il loro risveglio in fasi successive.

Alla mentalità contemporanea parrà strano, che cose successe nella quieta e nascosta vita domestica abbiano influito sull'intera vita politica, nel suo fiorire e nel suo decadere. Chi ha studiato lo sviluppo interno dell'umanità antica non ha dato attenzione a tale aspetto che ci interessa. Eppure questa nostra ricerca è posta di fronte ai massimi problemi della storia proprio dallo scontro di concezioni del rapporto fra i sessi in quanto connesso alla vita interiore e al destino dei popoli. Il primo grande scontro fra mondo asiatico e mondo greco ci è rappresentato come una lotta fra l'eterismo di Afrodite e la monogamia di Era: la guerra di Troia è attribuita all'offesa ad un talamo! Al medesimo principio è attribuita la sconfitta definitiva di Afrodite (quale madre degli Eneadi) da parte di Giunone nel periodo della seconda guerra punica (quando la grandezza interiore del popolo romano era all'apice). Il nesso fra tali elementi è ora evidente e comprensibile. L'Occidente ha avuto il compito storico di far trionfare durevolmente la superiore legge demetrica di vita con la natura più pura e più casta dei suoi popoli: cioè di liberare l'umanità dai vincoli del basso tellurismo, in cui la teneva la magia dell'Oriente. Roma poté compire questo sviluppo dell'umanità antica grazie all'idea politica dell'impero, con cui apparve nella storia universale. Come i Locresi Epizefiri, pure Roma fu all'inizio connessa al principio eterico dell'Afrodite asiatica, e tenne rapporti con la religione lontana più dell'Ellade che tagliò completamente il legame. Roma fu legata dai re Tarquini alla civiltà etrusca materna e nell'ora più buia poté credere all'oracolo che le servisse la Madre che solo l'Asia può dare. Senza l'idea politica di impero, questa città (destinata a congiungere un mondo antico con un nuovo mondo) mai avrebbe potuto trionfare sulle concezioni naturalistiche asiatiche della maternità materiale; mai avrebbe potuto liberarsi del tutto dallo ius naturale (di cui conservò solo la cornice vuota); mai avrebbe potuto tenere quel trionfo sulle seduzioni dell'Egitto, che trova espressione figurata (diciamo) nella morte dell'ultima Candace afroditica ed etèrica d'Oriente (Cleopatra) con Augusto che ne contempla il cadavere esanime. 

[7. L'èra di Dioniso]

Nella lotta fra i princìpi etèrico e demetrico il diffondersi del culto dionisiaco fu una nuova svolta e una regressione deleteria dell'incivilimento dell'umanità. Per la storia della ginecocrazia questo è un avvenimento importantissimo. Dioniso pare a capo dei nemici del diritto materno e dell'esagerazione amazzonica di esso. Irriducibile avversario di tale esagerazione innaturale dell'esistenza femminile in cui l'amazzone è caduta, Dioniso rivendicò la realizzazione della legge monogamica, il ritorno della donna alla funzione materna, il riconoscimento della superiorità e della sovranità della sua natura fallico-virile. Detto così, il culto dionisiaco parrebbe un sostegno del principio matrimoniale demetrico, eppure contribuì a far vincer la teoria del primato paterno. Tale duplicità del dionisismo è indiscutibile. Eppure il culto bacchico ha favorito perfino un orientamento eterico della vita, come prova la storia della sua influenza sull'intero modo di vita antico. Questa religione, che mise al centro la monogamia, più di ogni altra ricondusse la vita femminile al puro naturalismo afroditico; questa religione, che sviluppò il principio virile a spese del principio materno, più di ogni altra contribuì alla degradazione dell'uomo fino a farlo soggiacere alla donna.

Una delle cause precipue della diffusione rapida e vittoriosa del dio fu la forma esasperata dell'antica ginecocrazia presso le Amazzoni che degrada l'intera esistenza. Più oltremisura era la legge materna, meno la donna era capace di sostener l'innaturale misura di una vita da amazzone, da accogliere con gioia il dio, il cui culto dovette irresistibile per il sesso femminile (unendo un elemento sensuale e uno sovrasensibile). Di colpo la ginecocrazia più amazzonica passò così dalla risoluta resistenza contro il nuovo dio ad una devozione altrettanto risoluta: le donne guerriere già scese in campo contro Dioniso ne divennero irresistibile schiera di eroi: un passaggio da un estremo a un altro che prova quanto difficile sia per la natura femminile trovare equilibrio e misura.

Hanno certo fondamento storico le tradizioni relative alle vicende cruente del primo diffondersi del culto bacchico e al notevole sconvolgimento che produsse. Vicende presenti in tradizioni irrelate fra loro, in popoli diversi, eppure con gli stessi tratti. E sono in tale contrasto col successivo spirito dionisiaco (orientato ad una calma gioia e abbellimento dell'esistenza) che è impossibile crederle invenzione di tempi più tardi.

Il signore fallico della esuberante vita naturale trascinò su una nuova via il mondo femminile con una tale presa esibita da fenomeni per noi irripetibili, nonché inimmaginabili, ma che può stimare fiction solo chi ignori le oscure profondità dell'anima umana, la forza di un culto che appaghi bisogni sia corporei sia spirituali, lo zelo a cui giunga il sentire muliebre allorché siano associati elementi naturali e sovrannaturali, per non dire la malia della lussureggiante natura del Sud. In tutte le sue fasi il culto dionisiaco conservò quel carattere con cui irruppe nella storia. Affine alla natura muliebre per il suo sensualismo e l'importanza data all'amor sessuale, il dionisismo fu in rapporti migliori col sesso femminile, alla cui vita diede una direzione nuova, in cambio delle maggiori adesioni e dedizioni; suscitando un entusiasmo che fu la sua forza. Dioniso è il dio delle donne (nel senso più pieno della parola: la fonte di tutte le loro speranze mondane e trascendenti, il centro di tutta la loro esistenza). Donde la sua sovranità fu riconosciuta da loro per prime; a loro si rivelò, attraverso loro poté diffondersi è trionfare. Una religione che fonda le sue speranze sulla legge sessuale, che correla la beatitudine della vita spirituale al piacere dei sensi, con l'inclinazione erotica che dava alla esistenza muliebre, doveva ridurre il matriarcato demetrico all'eterismo afroditico che per suo modello ha la sfrenata spontaneità della vita naturale. Le testimonianze storiche provano queste deduzioni. Il legame fra Dioniso & Demetra cede presto a quello fra Dioniso & Afrodite (e con altre madri della natura dello stesso tipo); i simboli della demetrica maternità “cereale” (la spiga e il pane) cedono al grappolo bacchico (il frutto rigoglioso del dio generatore); il latte, il miele e l'acqua (caste libagioni del tempo antico) cedono al vino (che causa ebrezza e fregola); e il culto del tellurismo inferiore (quello della generazione palustre con la sua fauna e la sua flora) prevale sull'agricoltura e ai suoi doni.

Fino a che punto l'idea della vita abbia preso tali tratti si registra nelle tombe antiche, che paradossalmente sono la fonte principale delle nostre conoscenze sulla vita erotica della femminilità dionisiaca. Di nuovo, si vede quale profondo influsso la religione avesse sullo sviluppo globale dell'esistenza. Il culto dionisiaco consentì all'antichità di realizzare una piena forma di civiltà afroditica, di uno splendore tale da oscurare le raffinatezze e le arti contemporanee. Esso sciolse ogni vincolo, rimosse tutte le differenze. Orientando lo spirito dei popoli verso la materia e l'abbellimento dell'esistenza corporea riportò la vita sotto le leggi della materialità. Tale sensualizzazione dell'esistenza coincise ovunque col dissolversi dell'organizzazione politica e col declino della vita statale. Anziché la distinzione in classi si afferma la legge della democrazia, della massa indifferenziata, si ha quella libertà e quella eguaglianza proprie della vita naturale distinta dalla vita civile e che si riferiscono all'aspetto corporeo-materiale dell'umana natura. Gli Antichi compresero al meglio siffatta interdipendenza, definendola in termini precisi e provando (importanti dati storici) come emancipazione della carne ed emancipazione politica sono sempre connesse. La religione dionisiaca è l'apoteosi del piacere afroditico e della fratellanza universale: perciò fu amata dai ceti servili e promossa da tiranni dal potere fondato su basi democratiche: i Pisistrati; i Tolomei; Cesare. Tutti questi fenomeni hanno una sola origine: sono manifestazioni dell'età dionisiaca, così chiamata già dagli antichi. Esprimendo una norma di vita femminile, essi restituiscono alla donna lo scettro già impugnato da Basileia negli Uccelli di Aristofane; favoriscono le aspirazioni femminili all'emancipazione, espresse dalla Lisistrata e dalle Ecclesiazuse riguardo alle effettive condizioni del mondo attico-ionico. Così determinano una nuova ginecocrazia, dionisiaca, la quale non figura tanto nelle forme giuridiche quanto nella forza silenziosa di un afroditismo sovrano dell'intera esistenza.

Serve confrontare questa nuova sovranità della donna con quella primitiva per capire le caratteristiche di entrambe.

La ginecocrazia primitiva ha i tratti casti e demetrici d'una vita basata su una rigorosa disciplina e severi costumi; invece la ginecocrazia nuova si basa essenzialmente sulla legge afroditica dell'emancipazione della carne. La ginecocrazia vecchia suscita virtù superiori e un'esistenza sicura e ben ordinata (benché dagli orizzonti spirituali angusti); invece la ginecocrazia nuova (sotto lo splendore di una vita ricca dal punto di vista materiale e intellettuale) cela il vigore fiacco e il lassismo dei costumi (causa maggiore del tramonto del mondo antico). La ginecocrazia primitiva pretendeva il coraggio dell'uomo, invece la ginecocrazia dionisiaca indebolì e degradò l'uomo al punto che la donna si fece forte per disgusto. Segno di forza interna dei popoli licio ed eleo è che preservarono più a lungo degli altri la purità demetrica del principio materno dall'influsso dissolutore della religione dionisiaca. Finché l'orfismo misterico fu vicino ai vecchi Misteri muliebri (malgrado il vasto sviluppo che esso diede al principio fallico-virile) non fu in pericolo di soccombere. Appo i Locri Epizefiri e gli Eoli dell'isola di Lesbo si notano distintamente il trapasso e le sue conseguenze. Ma fu soprattutto in Africa e Asia che alla ginecocrazia originaria subentrò un totale dionisismo.

La storia offre frequenti casi in cui le condizioni originarie della vita dei popoli riaffiorano alla fine del loro ciclo. La senescenza ripercorre a ritroso lo sviluppo: a me toccherà nel prosieguo lo sgradito compito di dimostrare con nuove prove questa terribile verità.

I fatti che provano questa legge sono trasversali ma più evidenti nei Paesi orientali. Più avanzata è l'intima decadenza di un dato mondo, più forte è la ricomparsa del principio materiale materno, più di successo è la rivincita della concezione afroditico-eterica su quella demetrica. In tali congiunture torna in auge quello ius naturale legato all'inferiore esistenza tellurica. Contro chi non crede allo ius naturale (manco per le prime fasi dell'umanità), noi lo vediamo nelle fasi avanzate, presso una consapevole deificazione del lato animale della nostra natura, fino a divenir il nucleo di dottrine occulte e a venir celebrato come un ideale di umana perfezione. In parallelo, ciò che all'inizio di tale ricerca scoprimmo in forma mitologica, in queste fasi catastrofiche ottiene una perfetta storicità, provando che lo sviluppo umano segue leggi determinate, malgrado ogni libertà dell'agire.

[8. Apparizione dell'amazzonismo]

Per esibir le varie fasi del principio materno e la loro lotta reciproca, ho già parlato spesso di una forma esasperata di ginecocrazia: le amazzoni: un fenomeno importante nella storia dei rapporti fra i sessi. L'amazzonismo è legato connesso all'eterismo. Queste due manifestazioni della vita muliebre si influenzano e si spiegano a vicenda. Provo a indagare la loro interdipendenza con le tradizioni pervenuteci.

Parlando dell'amazzone Onfale, Clearco ritiene che ogni presa muliebre del potere rovesci un precedente avvilimento della donna, cioè sia un necessario trapasso da un eccesso ad un altro. Molti miti famosi confortano tale tesi (le donne di Lemno; le Danaidi; lo stesso delitto di Clitemnestra). Ovunque è stata la lesione del diritto della donna a suscitare la sua resistenza e ad armare la sua mano (prima per sua difesa, poi per una vendetta cruenta). Una legge radicata nell'animo umano (anzi, muliebre) conduce necessariamente dall'eterismo all'amazzonismo. A suon di abusi da parte dell'uomo, la donna desidera un'esistenza più sicura e più pura. Il sentimento dell'oltraggio e la forza della disperazione la incitano alla resistenza armata facendone una figura guerriera che pare eccedere la misura della femminilità, e invece è alimentata solo dalla necessità di tutelare la femminilità.

Ciò ha due conseguenze, provate dalla storia.

Anzitutto che l'amazzonismo sia un fenomeno universale. Dipende da qualità connaturate dell'essere umano (non fisiche o storiche di un dato popolo). La stessa universalità è condivisa dall'eterismo. Stesse cause hanno ovunque gli stessi effetti. L'amazzonismo si ritrova alle origini di tutti i popoli: dall'Asia centrale all'Occidente, dal settentrione scitico all'africa occidentale; di là dall'oceano non è meno frequente né meno certo (da essere stato di recente osservato con tutto il suo seguito di vendette cruente contro il sesso maschile). La legge della natura umana fa sì che proprio le prime fasi dello sviluppo rivelino tipiche caratteristiche universali.

Seconda conseguenza. L'amazzonismo (malgrado il suo carattere di eccesso selvaggio) determina un progresso nel modo umano di pensare. Mentre nel suo tornare in fasi di civiltà avanzata segna un regresso (una perversione), al suo primo apparire segna la partenza della vita verso forme più pure (un momento di passaggio, ma con effetti buoni). In esso l'immediata percezione della superiorità del diritto materno è contrastata da un desiderio di forza fisica, è il primo germe di quella ginecocrazia che attraverso il potere della donna stimolò la fondazione di Stati. Di ciò la storia offre prove istruttive.

Seppur una ginecocrazia ordinata possa degenerare nell'asprezza del costume amazzonico, di solito accade il contrario: la forma di vita amazzonica è una preparazione della ginecocrazia monogamica. È quanto esibito dal mito licio di Bellerofonte (sia vincitore delle Amazzoni sia fondatore del diritto materno) che lo presenta come il punto di partenza dell'intera civiltà del suo Paese.

L'eterismo non deve far svalutare l'amazzonismo come elevazione dell'esistenza muliebre e dell'intera esistenza umana. Nel culto ricorre la stessa sequenza di fasi. Sia l'amazzonismo sia la ginecocrazia monogamica hanno un legame con la Luna (la cui preferenza sul Sole è prototipo del dominio muliebre); tuttavia l'amazzonismo dà all'astro notturno tratti più cupi e severi che non la ginecocrazia demetrica. Per la ginecocrazia demetrica la Luna è simbolo cosmico della monogamia per il rapporto esclusivo che esiste fra Luna e Sole. Invece per l'amazzone la Luna nel suo apparire notturno e solitario è la severa vergine; in una fuga dal Sole e nemica di ogni unione durevole. Il suo viso sogghignante e sempre mutevole evoca lo sguardo mortale della Gorgone (il cui nome è associato alle amazzoni). L'anteriorità di questa concezione (inferiore rispetto a quella demetrica) conferma il ruolo storico da noi assegnato all'amazzonismo. In tutte le tradizioni si vede il parallelo fra forme di culto & forme di vita, a riprova dell'universale corrispondenza fra religione & vita. Il nocciolo storico delle campagne equestri amazzoniche appare in una luce immune alle aggiunte spurie. Sono atti di propagazione bellicosa di un sistema religioso: col loro ricondurre l'entusiasmo muliebre alla duplice forza di idea religiosa e speranza che il dominio della dea consolidi quello della donna, ci indicano l'importanza dell'amazzonismo per lo sviluppo della civiltà. Le sorti degli Stati creati dalle Amazzoni vittoriose confermano la mia veduta e danno coerenza alla storia del mondo ginecocratico. Tradizioni mitiche e storiche si integrano e si confermano a vicenda rendendo intelligibile una sequenza di fasi interconnessi. Compiute le imprese, le schiere amazzoniche passano alla vita sedentaria; fondano città e coltivano il suolo. Nomi e gesta di amazzoni ricorrono nelle storie di fondazioni di città destinate a divenir famose: dalle rive del Nilo ai lidi del Ponto, dall'Asia centrale all'Italia. Il passaggio dalla vita nomade a sedentaria è una legge dello sviluppo umano; ma accade più in fretta laddove la donna sia al potere perché è nella natura muliebre facilitarlo. Le osservazioni di popoli ancora viventi provano che è un influsso femminile a volger le società umane all'agricoltura, da cui l'uomo di per sé rifugge. È un fatto storico riconoscibile in tante tradizioni (grazie all'idea che le informa): donne che bruciano le navi per metter fine ad una vita nomade o battezzano le città o (come a Roma o nell'Elide) fanno la più antica suddivisione del suolo. Dando sedi fisse di vita, la donna svolge la sua funzione naturale. L'elevazione della vita e della civiltà dipende perlopiù dalla creazione e dall'abbellimento del focolare domestico. Effetto diretto di questo processo è la tendenza verso un'esistenza più pacifica e l'educazione non è più solo marziale. Benché mai le donne rinunciarono all'uso delle armi nelle città ginecocratiche (anzi indispensabile per restare al potere di popoli guerrieri), benché una speciale loro predilezione per la cura e l'addobbamento del cavallo sia ravvisabile ancora in età tarda (specie nell'iconografia religiosa), la guerra diviene presto un mestiere maschile, o almeno condiviso (con fanterie virili che seguono una cavalleria muliebre, o in ordine inverso come nel caso della Iera di Misia, moglie di Telefo).  

Perciò mentre l'orientamento primitivo della vita si riduce, il dominio politico e domestico della donna resta intatta a lungo. Ma pure tale dominio doveva ridursi via via. Perdendo una posizione alla volta, la ginecocrazia si ridusse sempre più a nicchie. Ciò capitò in forme diverse. Talvolta cade per prima la sovranità politica, talaltra quella domestica. Sulla Licia siamo informati solo del potere familiare muliebre, non del potere politico, benché questo si ereditasse per via matrilineare. Invece altrove il matriarcato transì nell'ambito domestico, mentre la regalità muliebre si mantenne o esclusiva o a fianco di quella maschile. Contro un mutato spirito del tempo resistettero più a lungo le parti dell'antico sistema connesse alla religione (protette dalla licenza accordata a ciò che è sacro). Ma ci sono altre cause. Per i Lici e gli Epizefiri contò l'isolamento geografico come per l'Egitto e l'Africa la natura del territorio – altrove la regalità muliebre fu difesa dalla sua stessa debolezza mercé l'aiuto di mezzi artificiali (alle sovrane asiatiche, recluse nel palazzo, si attribuisce l'uso delle prime lettere). A questi residui sfusi di un sistema totalitario, si aggiungono le narrazioni di scrittori cinesi su uno Stato di donne nell'Asia centrale che riuscì a protrarre intatta fino all'VIII secolo la ginecocrazia sia politica sia domestica. Esse concordano in tutti tratti caratteristici con le notizie degli antichi sulla struttura sociale degli Stati amazzonici, e coi risultati della mia ricerca per la loro lode del buon ordine civile (eunomia) e dell'indole pacifica di quel popolo. Non la violenza distrusse per prima gli insediamenti amazzonici (incluso quella italico dei Cleiti), bensì l'azione silenziosa del tempo e dei contatti coi potenti regni vicini privarono il mondo moderno della visione di uno stadio sociale, che per gli Europei è uno dei ricordi più oscuri e remoti del suo passato e ancor oggi va stimato un aspetto dimenticato della storia universale.

Il mio ambito di ricerca pare un sito di rovine tale che usar notizie riferite a popoli e a tempi diversi è il solo modo di procedere. Solo l'attenzione ad ogni indizio può formar un corpo da questo materiale frammentario. Le varie forme e le varie espressioni della sovranità muliebre nei popoli dell'antichità ci appaiono così come altrettante fasi di un grande processo storico che si può seguire dai tempi primordiali fino a tempi recenti, e vedere ancora in corso nei popoli africani. Partendo dal diritto materno demetricamente ordinato, sono giunto a comprendere l'eterismo antico e la società delle amazzoni. Capire queste forme di esistenza inferiori serve a comprendere le forme superiori secondo il loro vero significato e individuare il posto effettivo che occupa nell'evoluzione dell'umanità la vittoria del diritto paterno sulla ginecocrazia.

[9. Passaggio al principio paterno]

Il passaggio dalla concezione materna alla concezione paterna dell'esistenza è la svolta più importante nella storia dei rapporti fra i due sessi. Le fasi demetrica e afroditico-eterica concordano sulla sovranità della maternità (dissentono solo sul grado di purezza con cui concepirla), il passaggio al sistema del diritto paterno implica un mutamento dell'idea-strutturante ed un completo superamento del punto di vista precedente. Appare una visione del mondo affatto nuova. Il legame fra madre & figlio si basa su una connessione materiale, è accessibile ai sensi e resta una verità naturale; invece il concetto della paternità generatrice è diverso in ogni sua qualità. Non c'è un rapporto visibile fra padre & nascituro: manco nell'ordine monogamico il concetto di paternità generatrice perde la natura fittizia. Il parto materno è un nesso immediato, il concepimento paterno è un potere remoto. Seppur sia causa prima suscitatrice di vita, il concepimento ha un'immaterialità rispetto a cui la madre che cura e nutre il figlio diviene mera materia (hyle): luogo e dimora della generazione, nutrice. Su tale base, il trionfo della paternità corrisponde ad un emanciparsi dello spirito dal mondo naturalistico dei fenomeni; la sua affermazione vittoriosa implica un elevarsi dell'esistenza umana al di sopra delle leggi della vita materiale. Se il principio materno è comune a tutte le sfere della creazione tellurica, allora l'essere umano (dando la supremazia al potere fecondatore) esce dallo stato di natura e si rende consapevole della sua superiore funzione. L'esistenza spirituale si erge sull'esistenza corporea, alla quale si riducono i rapporti con le sfere più basse della creazione.

La maternità fa parte del lato corporeo dell'esistenza umana che garantisce la comunanza dell'uomo con gli altri esseri. Invece la paternità fa parte del lato spirituale dell'esistenza umana, che è proprio solo dell'umanità.

Con lo spirito l'uomo spezza i lacci del tellurismo ed alza lo sguardo a più alte regioni del cosmo. Ecco perché il principio paterno vittorioso è connesso alla luce celeste come il principio materno partoriente è connesso alla terra genitrice di ogni cosa. L'imposizione del diritto paterno è universalmente presentata qual opera di eroi solari uranici, così come la difesa e rispetto del diritto materno è il primo dovere attribuito a divinità ctonie materne.

Il matricidio di Oreste e di Alcmeone è un mito sulla lotta fra il nuovo e l'antico principio, e collega tale svolta della vita a una svolta della religione. In tali tradizioni bisogna veder il ricordo di esperienze reali del genere umano. Se la storicità del matriarcato è irrefutabile, allora le vicende legate al suo crollo sono più che finzioni poetiche. Nei destini di Oreste sono riflessi gli sconvolgimenti e delle lotte da cui scaturì la vittoria del principio paterno su quello materno-ctonio. Di qualsiasi aggiunta esornatrice si accusi la poesia, l'antitesi e la lotta fra i due princìpi (come esposte in Eschilo e Euripide) hanno realtà storica. Le Erinni sostengono l'antico diritto materno (Oreste è colpevole, il sangue materno inespiabile); invece Apollo ed Atena fanno valere una legge nuova: la superiorità della paternità connessa alla luce celeste. Ciò che gli dèi sono chiamati a decidere è una lotta storica, non dialettica. Un'età crolla e un'altra sorge dai suoi resti: l'età apollinea. Albeggia una nuova civiltà opposta alla precedente. Alla divinità della madre subentra quella del padre, alla sovranità della notte quella del giorno, alla preeminenza del lato sinistro quella del lato destro; e solo la lotta rende cruentemente intelligibile la differenza fra le due fasi dell'esistenza La civiltà pelasgica trae la sua impronta dal preferire la maternità; invece l'ellenismo è connesso alla paternità. Là c'è saldatura alla materia, qui lo sviluppo spirituale; là l'operare di leggi inconsapevoli, qui individualismo; là la dedizione alla natura, qui il suo trascendimento, la rottura dei vecchi limiti dell'esistenza: lo sforzo e il soffrire della vita prometeica anziché la calma statica, il piacere e la perenne infantilità in un corpo che invecchia. Il libero dono della madre è la più alta speranza del Mistero demetrico (il cui simbolo è il seme che germoglia); invece il greco vuol conquistar tutto da sé, pure ciò che è supremo. Lottando diviene conscio della sua natura paterna, lottando trascende il principio materno a cui soggiacque interamente, lottando vuole realizzare il suo aspetto divino. La fonte dell'immortalità per lui non è più la donna gravida, bensì nel principio creatore virile, a cui lui attribuisce la divinità che il mondo precedente attribuiva solo alla donna. Alla stirpe attica va la gloria di aver completato il carattere di suprema divinità del principio paterno. Benché Atene abbia un'origine pelasgica, nel corso del suo sviluppo seppe subordinare il principio demetrico a quello apollineo. Atene venerò Teseo come un secondo Eracle misogino; la figura della dea Atena sostituì la maternità senza padre con la paternità senza madre! E perfino nella sua legislazione conferì alla paternità (universale) l'inviolabilità che l'antico diritto difeso dalle Erinni dava solo alla maternità. Propizia verso tutto ciò che è virile, aiutante di tutti gli eroi del diritto solare paterno, Atena è la dea vergine, nella quale l'amazzonismo guerriero dei tempi antichi ritorna in forma spirituale. La sua città è ostile a tutte le donne che ormeggiarono sui lidi attici in cerca di aiuto per difender il diritto del loro sesso. Ad Atene il contrasto fra il principio apollineo e il principio demetrico si mostra nella forma più netta. Quella città (sui cui albori abbiamo tante tracce ginecocratiche) diede al principio paterno il più puro sviluppo e, procedendo unilateralmente nella nuova direzione, condannò la donna ad una subordinazione, in sorprendente contrasto con l'iniziazione dei Misteri eleusini.

L'antichità è particolarmente istruttiva perché portò ogni principio a piena attuazione in ogni ambito della vita. Le sue tradizioni, giunteci frammentarie, nel campo di questa ricerca rappresentano un'assoluta unità. Ciò offre un vantaggio (un sapere completo) che nessun'altra età offre. Il confronto fra l'inizio e la fine è il miglior metodo per comprender la natura di entrambi. Solo il contrasto rende intelligibili le peculiarità di ogni fase. Non è allora un'estensione indebita della mia ricerca (bensì un compito di essa) trattare la formazione del principio paterno e le trasformazioni della vita che ne conseguirono.

Il passaggio dalla concezione materna dell'esistenza a quella paterna va particolarmente seguito in due campi: l'allargarsi della famiglia con l'adozione; e la mantica.

Adottare un bambino è impensabile in un eterico mondo di vita: invece sotto l'idea apollinea l'adozione ha un significato diverso che non sotto il principio demetrico. Infatti nel demetrismo all'adozione serviva base naturale (il riferimento alla madre); invece nell'apollinismo (mercé la natura fittizia della paternità) l'adozione si innalza al significato di una generazione puramente spirituale, di una paternità senza madre (senza materialità). Ciò porterà a concepire l'idea di successione in linea diretta (assente nel matriarcato) e la nozione apollinea di immortalità della stirpe.

Nel campo della mantica, uno sviluppo analogo si vede nella formazione dei profeti iamidici. Costoro (materno-tellurici nelle iniziali fasi melampodiche) in fase avanzata assumono un piglio affatto paterno-apollineo. Pure qui si afferma l'idea di lignaggio ininterrotto, fornendo un parallelismo alla forma spiritualizzata di adozione. Inoltre un'indagine in proposito è interessante perché collega l'Arcadia e l'Elide (due importanti centri della ginecocrazia), mettendo in parallelo lo sviluppo del diritto familiare con lo sviluppo della mantica e della religione in generale. Le corrispondenze fra sfere diverse della vita danno un alto grado di certezza oggettiva alla tesi di: un'evoluzione umana retta da un'unica legge dello spirito. Ovunque c'è la stessa ascesa dalla terra al cielo, dalla materialità all'immaterialità, dalla madre al padre – ovunque agisce quel principio orfico, che nel movimento ascendente vede una purificazione graduale dell'esistenza (ciò è in contrasto di fondo con la massima della dottrina cristiana: «Non è fatto l'uomo per la donna, ma la donna per l'uomo» [1 Corinzi 11, 9]).

[10. Le corrispondenze cosmiche – Apollo]

La seconda linea della mia ricerca (di cui affermo il carattere storico) riguarda la lotta del matriarcato contro altri stadi di vita (superiori e inferiori). Essa si fonda sull'esame delle corrispondenze fra il graduale sviluppo spirituale dell'uomo e una serie di fenomeni cosmici sempre più alti. Qui è massima l'antitesi fra le mentalità attuale e antica. Subordinare le leggi spirituali a leggi fisiche, riportar lo sviluppo umano a potenze cosmiche pare oggi così strano da cercar di relegarla nel regno dei filosofi o di presentarla come “delirio e suprema sciocchezza”. Eppure non sono elucubrazioni di filosofie nuove od antiche, e di analogie prive di fondamento (insomma mera teoria), bensì (per così dir) è una verità oggettiva (insieme di empiria e pensiero), una filosoficità dello stesso sviluppo storico del mondo antico. Ogni parte della vita antica ne è pervasa; in ogni fase dello sviluppo religioso la si ritrova come un'idea regolativa; alla base di ogni progresso del diritto familiare. Questa verità sorregge tutto ed è l'unica chiave esplicativa per tanti miti e simboli finora non compresi.

La nostra esposizione finora è già un'interfaccia del punto di vista antico. Se ogni fase del diritto familiare dipende dal susseguirsi di idee religiose, allora la dipendenza della religione dai fenomeni naturali vale per le varie forme della famiglia. L'esame dell'antichità offre prove di tale verità. Tutti le fasi della vita sessuale (dall'eterismo afroditico fino alla purezza apollinea della paternità) corrispondono a fasi della vita della natura (dalla selvaggia vegetazione palustre, prototipo della maternità antimonogamica, fino alla legge armoniosa del mondo uranico e della luce celeste, la quale come fiamma che non brucia (flamma non urens) corrisponde alla spiritualità della paternità che ottiene eterna giovinezza. Il nesso è così costante che: dal prevalere nel culto dell'uno o dell'altro dei grandi corpi celesti si può dedurre il vigere di una corrispondente forma dei rapporti sessuali. Così come il nome maschile o femminile dato alla Luna nelle sedi più importanti del culto lunare va inteso come un'espressione del dominio muliebre o virile.

Circa i tre grandi corpi cosmici (Terra; Luna; Sole), la Terra pare portare principio materno, invece il Sole il principio paterno. Il più basso stadio religioso (puro tellurismo) sostiene la sovranità del grembo materno; pone la sede della virilità nelle acque telluriche e nei venti (i quali, poiché riferiti all'atmosfera terrestre, rientrano nei sistemi ctoni); subordina la forza virile alla forza femminile e l'Oceano è grembo della madre Terra (gremium matris terrae). Con la Terra è identificata la notte: la più antica divinità, concepita come madre e potere ctonio, e connessa alla donna. Invece il Sole fa alzare lo sguardo alla contemplazione dello splendore della forza virile. L'astro diurno fa vincere l'idea della paternità. È un processo che si compie in tre fasi: due delle quali sono correlate a fenomeni naturali, mentre la terza cerca di trascendere essi. Al sorgere del Sole l'antica religione legò l'idea di vittoria sulla oscurità materna (che già nei Misteri fece da base a speranze ultraterrene). Ma in tale fase aurorale il figlio luminoso è ancora dominato dalla madre, si parla di “giorno notturno” (emere nucterine); partorito senza padre della grande Eileithyia (mater matuta), ancora vincolato al matriarcato. La liberazione dal vincolo materno si compie solo quando il Sole giunge a dispiegare il suo intero potere luminoso. Allo zenit (equidistante dalla nascita e dalla morte, dall'uscita e dal rientro del gregge all'ovile) il Sole rappresenta la paternità trionfante, il cui splendore soggioga la madre (dominatrice invece della virilità poseidonica). Questa è l'affermazione dionisiaca del diritto paterno, la fase in cui Dioniso è indicato come la potenza solare al massimo e fondatore dell'idea paterna: due manifestazioni della sua natura corrispondono. La paternità dionisiaca è fallico-fecondatrice come il Sole alla sua massima forza virile: in perenne ricerca di una materia ricettiva in cui destar la vita. Il dio Sol è la paternità dionisiacamente pensata.

Affatto diversa, più pura, è la terza fase di sviluppo del Sole: quella apollinea. Dal Sole pensato fallicamente (in bilico fra alba e tramonto, crescere e sparire) si passa al Sole pensato come immutabile sorgente di luce nel regno dell'esistenza solare, come un ente sfuggito ai sottostanti processi di fecondazione e generazione e da ogni brama di unirsi alla materia femminile. Se Dionisio si limita ad elevare la paternità sopra la maternità, Apollo espelle la donna. La sua paternità è senza madre, spirituale (come nell'adozione) e immortale (immune alla notte-morte, verso la quale Dioniso affonda sempre lo sguardo perché fallico).

È così che appare il nesso fra i due enti luminosi e i due concetti della paternità, fondati su di essi, nello Ione di Euripide (opera che si rifà alla dottrina delfica, il che per la mia ricerca conta più del romanzo amoroso di Eliodoro: Etiopiche).

Fra i due estremi (Terra e Sole) la Luna ha una posizione intermedia che gli antichi denominarono frontiera fra due mondi. La Luna (nel suo essere il più puro degli enti tellurici e il più impuro di quelli uranici) diviene simbolo della maternità purificata dal principio demetrico. È terra celeste che si oppone alla terra ctonia come la donna demetrica si oppone alla donna etera. In corrispondenza a ciò, il diritto materno monogamico appare senza eccezioni connesso al primato cultuale della Luna sul Sole. Pure la più sacra dottrina dei Misteri demetrici (base della ginecocrazia) è vista come un libero dono della Luna. Pure nei Misteri dionisiaci la dea Luna è madre e fonte della dottrina religiosa. In ambi i casi è un prototipo di matriarca.

È inutile seguir oltre le idee antiche in proposito qui nell'introduzione (ritorneranno nel seguito come indispensabili per la comprensione di innumerevoli dettagli). Basta aver afferrato l'idea di base: la dipendenza delle singole fasi dei rapporti fra i sessi dai fenomeni cosmici non è un nesso arbitrario, bensì un fenomeno storico, un'idea pensata dalla storia stessa. Dovrebbe forse sottrarsi alle leggi del cosmo solo l'uomo suprema manifestazione di esso? Riferito alla gerarchia dei grandi corpi celesti (che uno dopo l'altro hanno preso il centro del culto e del pensiero dei popoli antichi), lo sviluppo del diritto familiare presenta un massimo grado di interna necessità e di conformità a legge. I fenomeni transitori della storia mostrano di essere l'espressione di quelle idee creatrici divine, che sono il fondamento della religione.

[11. La romanità apollineo-solare]

La trattazione fino a qui ci permette di giudicare pure la fine della storia delle relazioni fra i sessi. Esaminate le fasi dal tellurismo sregolato alla forma più pura del diritto della luce, e dopo averne studiato gli aspetti storici, religiosi e cosmici, resta ancora un problema: quale è la forma definitiva che l'antichità generò in quest'ambito?

Il patriarcato pare che prese forma e sopravvento da due poteri: l'Apollo delfico e il principio politico romano dell'Imperium virile. Ma la storia ci insegna che l'umanità deve più al secondo che al primo. L'idea politica di Roma (benché meno spirituale dell'idea delfico-apollinea) ebbe (nelle sue formulazioni giuridiche e nel suo intimo legame con l'intera vita sia privata sia pubblica) un sostegno che mancò al potere puramente spirituale del dio apollineo. L'idea romana seppe resistere vittoriosamente ad ogni attacco e sopravvisse alla corruzione della vita e alle costanti riviviscenze di concezioni materialistiche, invece il culto delfico-apollineo non riuscì a trionfare contro il ritorno di concezioni inferiori. Così vediamo il principio paterno tornar giù dal livello di una purità apollinea al livello della materialità dionisiaca, con un nuovo trionfo del principio femminile e la rifioritura di culti materni. L'intima unione a Delfi dei due enti luminosi pareva destinar l'esuberanza fallica di Dioniso a purificazione (grazie alla quiete e allo splendore di Apollo) e a innalzarsi sopra sé stessa. Ma accade l'opposto: il fascino più sensuale del dio fecondatore prevalse sulla beltà più spirituale del suo compagno e ne usurpò il prestigio. Anziché un'età apollinea si fece largo un'età dionisiaca: Zeus cedette lo scettro del suo potere a Dioniso, che seppe assimilar a sé ogni altro culto fino ad apparir centro d'una religione universale dominante l'intero mondo antico.

Nelle Dionisiache di Nonno di Panopoli, Apollo e Dioniso si disputano il premio dinanzi al consesso degli dèi. Certo della vittoria, Apollo leva in alto lo sguardo, ma il suo antagonista offre un vino, al che Apollo arrossisce e volge gli occhi a terra, non avendo un dono equivalente. Questa scena esibisce la natura sublime ma debole apollinea, e il segreto del trionfo di Dioniso. L'incontro fra mondo greco e mondo orientale (forzato da Alessandro Magno) qui acquista particolare importanza. Le due grandi concezioni antitetiche della vita si scontrano per riconciliarsi nel culto dionisiaco. Mai Dioniso ebbe un successo ed un culto così ricco come nella dinastia dei Tolomei, la quale in esso vide un mezzo determinante per assimilare gli indigeni con gli stranieri.

Il trattato farà tanta attenzione a questa lotta fra idee universali, quale si manifesta nelle forme dei rapporti fra i sessi, a partir dalla resistenza del principio indigeno di Iside contro la concezione greca della paternità.

Due tradizioni attirano la mia attenzione: l'una mitica e l'altra storica.

Nel racconto della gara di sapienza di Alessandro Magno contro la indo-meroitide Candace, l'umanità coeva offrì la sua visione del rapporto fra il principio virile-spirituale (incarnato da Alessandro) & il primato materno nel mondo asiatico-egizio. Il racconto riconosce la superiorità divina della paternità, ma rileva che il giovane eroe (il cui passaggio sulla scena dei due mondi stupiti fu breve) non seppe subordinare durevolmente il diritto della donna al diritto dell'uomo e fu costretto a riconoscere il diritto della donna.

La seconda tradizione, di carattere rigorosamente storico, è al tempo di Tolomeo I: i fatti riferiti all'insediarsi di Sarapide di Sinope in Egitto, escludendo il dio di Delfi e il principio paterno assoluto. In questa tradizione è istruttivo che la dinastia greca fu costretta fin dall'inizio a prender tali misure per fondar la propria sovranità. È irrefutabile che qui la testimonianza della storia politica concorda del tutto con quella della storia religiosa.

Il principio spirituale dell'Apollo delfico non seppe dare la sua impronta alla vita del mondo antico e farle superare l'inferiore concezione materiale dei rapporti fra i sessi. L'umanità deve la vittoria del patriarcato all'idea di Stato di Roma, che gli diede rigorosa forma giuridica, realizzandolo in tutti le sfere dell'esistenza, fondando su di esso l'intera vita, immune alla decadenza della religione, alla corruzione dei costumi e alla ricaduta dell'anima popolare in concezioni ginecocratiche. Il diritto romano affermò il principio paterno contro gli attacchi e i pericoli dell'Oriente, contro l'avanzata potente di culti materni (Iside o Cibele) e gli stessi Misteri dionisiaci. Il diritto romano preservò il patriarcato dalle trasformazioni della vita derivate dalla perdita della libertà, dal principio della fecondità femminile reso legge per la prima volta da Augusto, dall'influenza di donne e di madri imperiali che (in scherno all'antico spirito) cercarono, non senza successo, di impadronirsi del potere giuridico (fasces) e del potere militare (signa), dalla tendenza di Giustiniano a una concezione naturalistica dei rapporti sessuali, all'uguaglianza di diritti della donna e a un'esaltazione della maternità partoriente. Nelle stesse provincie orientali il diritto romano combatté con successo la continua resistenza contro il disprezzo romano per il principio femminile. Il confronto fra la forza dell'idea politica romana e la debolezza del principio puramente religioso mostra quanto sia debole l'umana natura lasciata a sé stessa, senza severe istituzioni. Il mondo antico vide in Augusto (figlio adottivo che vendicò la morte del suo padre spirituale) un secondo Oreste e l'inizio di una nuova età apollinea. Eppure l'umanità non deve tale trionfo all'intima forza dell'idea religiosa, bensì alla forma politica di Roma, che mutò più volte ma senza abbandonare le sue idee basi.

La prova più curiosa della mia tesi viene dall'analisi dei rapporti fra la diffusione del principio giuridico romano e quella del culto materno egizio-asiatico. Proprio alla fine della caduta dell'Oriente (morta l'ultima Candace), il principio materno superato in sede politica riprese forza, celebrò ancora un trionfo, conquistando in sede religiosa ciò che l'Occidente aveva sottratto in sede di vita civile. Così la lotta, finita da un lato, riprese da quello più alto (che avrebbe avuto ricadute sul primo). Le nuove vittorie che il principio materno contro la rivelazione di un principio paterno puramente spirituale provano quanto sia difficile all'uomo (in ogni tempo, a prescinder dalla religione ufficiale) superare l'inerzia della natura materiale e attuare la sua più alta vocazione: trascender l'esistenza terrena fino alla purità del divino principio paterno. 

[12. Sul metodo dell'indagine]

Queste ultime considerazioni concludono l'ordine di idee entro cui si muoverà il trattato. I confini dinanzi ai quali la nostra indagine si ferma non sono fissati arbitrariamente bensì sono dati oggettivamente. Altrettanto indipendente da scelte arbitrarie il metodo della ricerca e dell'esposizione, sul quale, per finire, voglio fornire al lettore ancora un chiarimento.

Una ricerca storica deve per la prima volta raccogliere, esaminare e collegare tutti i dati a disposizione: deve iniziare col porre in rilievo i singoli elementi e solo gradatamente risalire a teorie più generali. Tutta la riuscita dipende dall'esame del materiale e dalla valutazione oggettiva di esso. Ciò implica due criteri per il seguente trattato. Il materiale sarà ordinato per popoli, che forniscono il principale elemento di classificazione. Ogni sezione inizierà con l'esame delle testimonianze più significative. Questo modo di procedere impedisce un logico sviluppo del complesso di idee relativo al diritto materno: a seconda del contenuto dei documenti, dovremo considerar un aspetto in un dato popolo e in un altro popolo un aspetto diverso, sicché capiterà di ripetersi. Ciò non è criticabile in un ambito di ricerca che si presenta nuovo e sconosciuto. Ripartizioni e ripetizioni sono inevitabili da una sistematica che offre però decisivi vantaggi. La vita dei popoli è ricca di vari elementi. Influenzate da condizioni locali e di sviluppi specifici, le idee di fondo di un'antica fase di civiltà possono assumere espressioni diverse a seconda dei popoli: ciò tende svalutare le somiglianze in favore delle specificità; e, passando da innumerevoli situazioni, un aspetto della vita può sparire nella prima fase da un dato luogo, o completare lo sviluppo altrove.

È evidente che per difendere la ricerca da unilateralità dogmatiche serva la trattazione separata di ogni popolo, adeguata a questa ricchezza di formazioni storiche. Una ricerca tesa ad ampliare l'ambito della storia e della conoscenza storica deve mirare (anziché ad eriger un vuoto edificio speculativo) a capire la vita nel suo movimento e nelle sue plurali manifestazioni. Benché le concezioni generali abbiano grande valore, esse rivelano il loro pieno significato solo poggiando sulla ricchezza dei dettagli: solo dove il generale si congiunge esattamente col particolare, e l'idea-frattale di un'età della civiltà si riflette in quella di un singolo popolo, è soddisfatto il duplice bisogno (di unità e di molteplicità) dell'anima umana.

Ogni popolo che entrerà nel trattato recherà nuovi tratti al quadro complessivo della ginecocrazia e della sua storia, o getterà luce su tratti già noti da un punto di vista prima trascurato. Così la conoscenza progredisce di pari passo con l'indagine, le lacune saranno colmate, le prime osservazioni saranno o confermate dalle successive o corrette o ampliate, la comprensione si preciserà gradualmente e acquisterà interna coerenza; si otterranno punti di vista più comprensivi che infine si uniranno in un'idea suprema. Più grande della soddisfazione del risultato è la soddisfazione di avvicinarsi gradatamente al risultato: l'esposizione non deve rinunciare a questo fascino legato alla ricerca quindi, anziché esporre direttamente i risultati, essa deve eseguire il processo della loro acquisizione.

Perciò il seguente trattato chiederà in ogni sua parte la collaborazione del lettore. Sarà sempre cura dell'autore di non frapporsi fra il materiale raccolto dalle fonti antiche e il giudizio del lettore, per non distogliere l'attenzione del lettore dal solo oggetto a cui essa spetta. Solo ciò che si consegue da sé ha un valore – nulla urta più l'umana natura di un prodotto confezionato. Il presente libro vuole solo fornire ai ricercatori un materiale nuovo e ampissimo. Se riuscirà a dare un tale incitamento, si accontenterà del ruolo modesto di lavoro preparatorio e subirà di buon grado la sorte comune a tutti i primi tentativi: essere da chi viene dopo considerati poco e solo in base ai loro difetti e alle loro imperfezioni.



Ultima modifica 2020.05.29