Chaplin: sguardo retrospettivo

Walter Benjamin (1929)


«Rückblick auf Chaplin è stato redatto nel 1929 e pubblicato in «Die literarischeWelt» l’8 febbraio 1929 (anno V, n. 6, p. 2 sgg.)». [L'opera d'arte nell'epoca della riproducibilità tecnica e altri saggi sui media, a cura di Giulio Schiavoni, RCS Libri, Milano 2013].

Versione di: Leonardo Maria Battisti.


Il circo è la prima opera matura dell'arte cinematografica. Dopo il suo ultimo film Charlie è invecchiato. E tale si interpreta nel film. E la cosa più commovente del nuovo film è come Chaplin domini qui tutta la sfera delle sue possibilità di azione, deciso a adempiere la sua causa solo con esse. Le sue trovate migliori ricompaiono ovunque nelle più splendide varianti. L'inseguimento si tiene in un labirinto, l'inattesa comparsa sbalordirebbe un mago, la maschera del disinteresse fa di lui una marionetta in un baraccone...

L'invito che passa da tale opera ha indotto Philippe Soupault a un primo tentativo di evocare l'immagine di Chaplin come fenomeno storico. L'ottima rivista parigina «Europe» (edizioni Rieder), di cui parleremo in futuro per esteso, nel fascicolo di novembre ha pubblicato un saggio in cui Soupault elabora una serie di idee che un giorno serviranno a definire un'immagine del grande artista1.

Per prima cosa vi si rileva che Chaplin non si rapporti da attore al cinema in fondo (e giammai da star). Per Soupault si potrebbe addirittura dire: nella sua totalità, Chaplin è tanto poco attore quanto William Shakespeare. Soupault lo dice e dice a ragione:

«L'incontestabile superiorità dei film di Chaplin... nasce dalla presenza di una poesia in cui ciascuno si imbatte nella vita, benché non sempre lo sappia».

Beninteso: ciò non significa che Chaplin sia il «poeta» delle sceneggiature dei suoi film: è il poeta dei suoi film, né è regista. Soupault ha visto che Chaplin è stato il primo (seguito dai russi) a impostare il film sul tema, sulla variazione, insomma sulla composizione, e che tutto ciò è diametralmente opposto al concetto tradizionale della tensione della vicenda. Per lo stesso motivo Soupault rileva l'acme della produzione di Chaplin in La donna di Parigi con una decisione finora inedita. È il film (in cui come Chaplin manco compare) uscito in Germania col folle titolo: Die Nächte einer schönen Frau [Le notti di una bella donna]. (Il cinema Kamera dovrebbe proiettarlo ogni sei mesi; è un atto di fondazione dell'arte cinematografica).

Al conoscere che per quest'opera di 3000 metri sono stati girati 125.000 metri di pellicola, ci si può far un'idea del lavoro enorme e minuzioso dietro i capolavori di Chaplin. E ci si può far un'idea dei capitali di cui Chaplin abbisogni (come un Nansen o un Amundsen) per organizzar i suoi viaggi di scoperta verso i poli dell'arte cinematografica. Vanno condivisi i timori di Soupault che le rischiose esigenze finanziarie della seconda moglie di Chaplin, unite alla lotta concorrenziale che i trust americani fanno contro di lui, tarpino la produzione dell'artista. Si dice che Chaplin stia progettando un film su Napoleone e uno su Cristo. C'è da temere che tali progetti siano enormi paraventi dietro cui il grande artista celi la sua stanchezza?

È utile e opportuno (allorché l'età si disegna per la prima volta nei tratti di Chaplin) che Soupault ricordi la giovinezza e l'origine geografica della sua arte: la grande città, Londra.

«Nei suoi infiniti andirivieni per le strade di Londra, con le loro casette rosse e nere, Chaplin ha imparato a osservare. Chaplin narra che l'idea di partorire l'uomo con la bombetta, i baffetti e la canna di bambù, che cammina a brevi passi poggiando sui tacchi gli venne per la prima volta quando osservò il piccolo impiegato dello Strand. In questo atteggiamento e abbigliamento Chaplin vide la mentalità dell'uomo che si dà una certa rinomanza. Ma pure gli altri tipi presenti nei film derivano da Londra: la giovane ragazza timida e attraente; il tarchiato zoticone sempre sul punto di picchiare e di darsela a gambe se vede che non lo si teme, il gentleman presuntuoso che si riconosce dal cilindro».

Da tale testimonianza autobiografica Soupault prende l'avvio per un parallelo fra Chaplin e Dickens, che si può rilegger e sviluppare.

Con la sua arte Chaplin prova la vecchia idea che solo un mondo espressivo dai contorni sociali, nazionali e territoriali ben definiti trovi una grande risonanza (continua eppure variegata) da un popolo all'altro. In Russia la gente piangeva vedendo il pèlerin, in Germania interessa l'aspetto teorico delle sue commedie, in Inghilterra si ama il suo umorismo. Non sorprende che tale varietà sorprenda e affascini lo stesso Chaplin. Nulla permette di appalesare l'enorme ruolo che il cinema è destinato ad avere come il fatto che nimo ha avuto o potrebbe avere l'idea di un'istanza superiore a quella del pubblico. Nei suoi film Chaplin si è rivolto al sentimento più internazionale e più rivoluzionario delle masse: il riso. Dice Soupault:

«Chaplin fa sì solo ridere. Ma, nonché la cosa più ardua che ci sia, è quella più importante in senso sociale».



Ultima modifica 2019.12.20