Recensione di Gisèle Freund, La fotografia in Francia nel diciannovesimo secolo. Saggio estetico-sociologico

Walter Benjamin (1938)


«Recensione pubblicata da Benjamin sulla «Zeitschrift für Sozialforschung» nel 1938 (anno VII, fascicolo doppio 1-2, p. 296) del volume di Gisèle Freund: La photographie en France au dix-neuvième siècle. Essai de sociologie et d’esthétique, Paris 1936 [ed. it. condotta sulla base dell’edizione del 1974, presso Einaudi con il titolo: Fotografia e società]». [L'opera d'arte nell'epoca della riproducibilità tecnica e altri saggi sui media, a cura di Giulio Schiavoni, RCS Libri, Milano 2013].

Traduzione indiretta dall'inglese di: Leonardo Maria Battisti.

Fonte: Walter Benjamin: On Photography, Edited and translated by Esther Leslie, Reaktion Books Ltd, London, 2015.


Gli studi sulla storia della fotografia iniziarono otto o dieci anni. Sono lavori perlopiù illustrati sui suoi inizi e sui maestri. Ma La photographie en France au dix-neuvième siècle tratta l'argomento correlandolo con la storia della pittura. Questo studio di Gisèle Freund correla l'ascesa della fotografia all'ascesa della borghesia palesando tale dipendenza tracciando la storia del ritratto. Partendo dalla tecnica ritrattistica più diffusa sotto l'ancien régime (la costosa miniatura in avorio) l'autrice indica i diversi procedimenti che verso il 1780 (vale a dir 60 anni prima dell'invenzione della fotografia) permisero una produzione più rapida e meno cara, aumentandone la domanda. La sua descrizione del fisiognotraccia come anello di congiunzione fra la miniatura e la riproduzione fotografica illustra magistralmente come le condizioni tecniche possano esser rese evidenti sul piano sociale. Poi l'autrice espone come nella fotografia lo sviluppo tecnico raggiunga uno stadio di adeguatezza sociale, rendendo il ritratto accessibile a vasti strati borghesi. Illustra poi come i miniaturisti divennero le prime vittime della fotografia fra le file dei pittori. Infine riferisce sul conflitto teorico fra pittura e fotografia intorno alla metà del secolo.

La questione se la fotografia fosse arte fu allora dibattuta con l'appassionata partecipazione di Lamartine, Delacroix e Baudelaire, senza però sollevar il quesito fondamentale: con l'invenzione della fotografia è mutato o no il carattere generale dell'arte? L'autrice ha saputo cogliere l'aspetto sortale della questione. Ea constata quanto sia stato alto il livello artistico di tanti dei primi fotografi che facevano un lavoro senza pretese artistiche, da esibire solo a una stretta cerchia di amici.

«La pretesa che la fotografia sia un'arte fu avanzata proprio da coloro che con essa volevano fare affari» (p. 49).

In altri termini: la pretesa della fotografia di essere un'arte è coeva al suo comparire come merce. Ciò si accorda con l'influenza esercitata dalla fotografia sull'arte stessa in quanto processo di riproduzione. Essa la isolò dal committente, per affidarla al mercato anonimo e alla sua domanda.

Il metodo del libro è improntato alla dialettica materialistica. La sua discussione può favorire il suo sviluppo. Si può definire meglio la portata scientifica di tale ricerca sollevando un'obiezione. Scrive l'autrice:

«Quanto maggiore è il genio dell'artista, tanto meglio la sua opera riflette (proprio grazie all'originalità della sua forma) le tendenze della società ad essa contemporanea» (p. 4).

Ad apparir dubbio in questa frase non è il tentativo di definire la portata di un'opera dalla struttura sociale dell'epoca in cui è sorto; dubbia è solo l'idea che tale struttura si presenti sempre sotto lo stesso aspetto. Affé le sue sembianze mutano con le diverse epoche che volgono il loro sguardo all'opera. Perciò: definir il significato di un'opera d'arte dalla struttura sociale dell'epoca in cui è nata equivale piuttosto a definire la capacità dell'opera di consentire alle epoche che le sono più lontane ed estranee un accesso alla struttura sociale dell'epoca in cui è nata (cioè: equivale alla storia dei suoi effetti). Tale capacità è mostrata da Dante per il secolo XIII, dall'opera di Shakespeare per l'epoca elisabettiana.

La chiarificazione di questo problema metodologico è tanto più importante, in quanto la formula della Freund rischia di riportar a una tesi asserita nel modo più drastico e più problematico da Plechanov (contro Lanson):

«Quanto più uno scrittore è grande, tanto con più forza ed evidenza il carattere della sua opera dipende dal carattere della sua epoca, o, in altre parole: tanto meno c'è nelle sue opere ciò che si potrebbe definir l'elemento “personale”»1.


Note

1. Georges [Georgij] Plechanov: Les jugements de Lanson sur Balzac et Corneille, in «Commune», dicembre 1934, II, serie 16, p. 306.



Ultima modifica 2019.12.01