Teatro e radio. Sul reciproco controllo della loro azione educativa

Walter Benjamin (1932)


«Theater und Rundfunk. Zur gegenseitigen Kontrolle ihrer Erziehungsarbeit fu redatto nel 1932 e pubblicato in «Blätter des hessischen Landestheaters» (Darmstadt) nel maggio 1932, pp. 184-90». [L'opera d'arte nell'epoca della riproducibilità tecnica e altri saggi sui media, a cura di Giulio Schiavoni, RCS Libri, Milano 2013].

Versione di: Leonardo Maria Battisti.


«Teatro e radio»: due realtà che d'emblée non trasmettono un senso di armonia. È vero che il rapporto di concorrenza fra loro non è così forte come quello fra radio e auditorio. Eppure sono ben noti, da un lato, il campo d'azione sempre più vasto della radio e, dall'altro, la crisi sempre maggiore del teatro perché si possa figurarsi, a priori, un'attività in comune fra i due. Comunque questo lavoro comune esiste, e già da tanto. Anticipiamo che ha potuto essere solo un lavoro di tipo pedagogico. È stato messo su, con particolare rilievo, proprio dal Südwestdeutscher Rundfunk. Ernst Schoen (il suo direttore artistico) è stato fra i primi a dare attenzione ai lavori proposti alla discussione negli ultimi anni da Bert Brecht e dai suoi collaboratori sul piano sia letterario sia musicale. Non a caso tali lavori (Der Lindberghflug [Il volo di Lindbergh]; Das Badener Lehrstück [Il dramma didattico di Baden-Baden]; Der Jasager [Il consenziente]; Der Neinsager [Il dissenziente] e altri ancora) da un lato sono impostati invero in senso pedagogico e, dall'altro, rappresentano in guisa così originale l'anello di congiunzione fra teatro e radio. Ben presto tale fondamento ha rivelato tutte le sue potenzialità. È stato possibile diffondere nella radio per le scuole una serie di trasmissioni di lavori affini (tipo il Ford di Elisabeth Hauptmann) e al contempo si sono potute affrontare questioni della vita quotidiana (tipo i problemi scolastici e pedagogici, la tecnica del successo, le difficoltà coniugali) offrendo tutta una casistica di esempi e controesempi. Pure per questi Hörmodelle (modelli di ascolto), redatti da Walter Benjamin e Wolf Zucker, l'impulso venne dalla radio di Francoforte (in collaborazione con quella di Berlino). Un'attività sì estesa può autorizzare a definir un po' più da vicino i presupposti di tale lavoro costante, nonché a esigere di ripararlo da possibili fraintendimenti.

Chi si accosti a tali cose con più precisione non può ignorar l'elemento più vicino ad essi: la tecnica.

È consigliabile sopire ogni suscettibilità e ammettere senza esitazioni che rispetto al teatro la radio è la tecnica più esposta (nonché la tecnica più recente). A differenza del teatro, non vanta ancora un'epoca classica; le masse da essa raggiunte sono molto più grandi; e infine (soprattutto) gli elementi materiali su cui si basa la sua apparecchiatura e quelli spirituali su cui si basano le sue presentazioni sono intimamente legate, nell'interesse degli ascoltatori. Rispetto a ciò, cosa può offrire il teatro? Solo l'uso dei mezzi viventi. La situazione del teatro, nella crisi, si sviluppa in guisa più decisa forse solo al chiedersi: cosa può dir, in esso, l'uso della persona fisica? Infatti a tal riguardo si delineano 2 possibili modi di pensare: regressivo e progressivo.

Il modo regressivo di pensare non è disposto a confrontarsi con la crisi. Per esso l'armonia del tutto resta intatta, e l'uomo ne è il rappresentante. Esso lo vede all'altezza del suo potere, come signore del creato, come una personalità (fosse pure l'ultimo dei lavoratori dipendenti). Il suo regno è l'odierno ambiente culturale, ed egli lo domina nel nome di ciò che è «umano». Benché tale teatro orgoglioso, sicuro di sé, incapace di rilevare sia la propria crisi che quella del mondo, un teatro grande-borghese (il cui magnate più osannato, naturalmente, s'è ritirato di recente), si basa ora su pièces trattanti la povera gente (tipologia ora di moda) o libretti à la Offenbach, e si realizza sempre come «simbolo», come «totalità», come «opera d'arte totale».

Così è caratterizzato il teatro di formazione e di distrazione. Due elementi che (benché in apparenza in conflitto) sono solo fenomeni complementari nel raggio di un ceto sociale saturato, per il quale diviene eccitante tutto ciò che la sua mano tocca. Eppure, benché tale teatro cerchi di far concorrenza (esibendo complicati apparati scenici e radunando un numero colossale di comparse) alle attrazioni dei film dai costi milionari, e benché il suo repertorio segua tutte le epoche e tutti i Paesi (mentre, con un apparato assai più modesto, la radio e il cinema nei loro studi danno spazio sia allo spettacolo dell'antica Cina che ai nuovi esperimenti del surrealismo), la concorrenza con ciò su cui la radio e il cinema hanno il loro dominio tecnico è vana.

Non altrettanto lo è il confronto con essi. Tale confronto ci si attende soprattutto dal teatro progressista. Brecht (suo primo teorico) lo definisce epico. Tale «teatro epico» è affatto sobrio e spassionato, pure verso la tecnica. Non c'è spazio per sviluppare la teoria del teatro epico, né per spiegare che la sua scoperta e definizione dell'elemento gestuale significhi riformulare i metodi del montaggio (basilari nella radio e nel cinema) riconducendoli da evento tecnico a evento umano. È sufficiente che il principio del teatro epico (come quello del montaggio) si basi sull'interruzione. Ed è sufficiente che l'interruzione, in questo caso, non abbia il carattere di stimolo, bensì una funzione pedagogica: arrestare l'azione in corso per costringer l'uditore a prender posizione nei confronti dell'evento, e l'attore nei confronti del proprio ruolo.

Il teatro epico contrappone l'opera d'arte totale al laboratorio drammatico. Riattinge in guisa nuova alle grandi e antiche opportunità offerte dal teatro: all'esposizione di ciò che è presente. Al centro dei suoi esperimenti sta l'essere umano coinvolto nella nostra crisi. È l'uomo eliminato dalla radio e dal cinema, l'uomo (per esprimerci in termini un po' drastici) come ruota di scorta dell'auto della propria tecnica. E quest'uomo ridotto e reso inoffensivo è esaminato e giudicato. Ciò che ne risulta è che l'accadere è modificabile non nei suoi apici e non mediante virtù e decisione, bensì solo nel suo decorso strettamente abitudinario, mediante ragione ed esercizio. Il significato del teatro epico è costruir, da elementi minimi del comportamento, ciò che la drammaturgia aristotelica chiama: agire.

Così il teatro epico affronta la convenzione: anziché la formazione, pone l'addestramento; anziché la distrazione, il raggrupparsi. Circa quest'ultimo, chi segua quanto sta avvenendo alla radio conosce la preoccupazione, in epoca recente, di riunire in associazioni più strette gruppi di ascoltatori vicini per ceto sociale, interessi e ambiente. In guisa affatto analoga, il teatro epico cerca di avvicinar a sé un gruppo di interessati che, restando indipendenti dal giudizio della critica e dalla pubblicità, sono intenzionati a veder richiamati in un complesso colto e ben congegnato i loro peculiari interessi, inclusi quelli politici, in una serie di azioni (intese nel senso succitato). È notevole che tale sviluppo abbia fatto sì che drammi precedenti siano stati sottoposti a energici rimaneggiamenti (Eduard II [Edoardo II] e Die Dreigroschenoper [L'opera da tre soldi]), e altri più recenti a una sorta di trattamento basato sulla controversia (Der Jasager [Il consenziente]; Der Neinsager [Il dissenziente]). Ciò dovrebbe chiarire pure cosa significhi porre la formazione (delle conoscenze) al posto dell'addestramento (del giudizio). La radio (cui in modo speciale spetta riattingere al vecchio patrimonio culturale) lo farà nel modo più salutare pure in adattamenti che (nonché alla tecnica) corrispondono alle esigenze di un pubblico che è contemporaneo della propria tecnica. Solo così la radio terrà sgombro l'apparato tecnico dal nembo di una «gigantesca impresa di istruzione di massa» (secondo l'espressione di Schoen) per ridurlo a una dimensione che sia degna dell'uomo.



Ultima modifica 2019.12.19