Replica a Oscar A. H. Schmitz

Walter Benjamin (1927)


«Erwiderung an Oscar A.H. Schmitz, redatto alla fine di gennaio del 1927, venne pubblicato in «Die literarische Welt» l’11 marzo 1927 (anno III, n. 10, pp. 7 sgg.)». [L'opera d'arte nell'epoca della riproducibilità tecnica e altri saggi sui media, a cura di Giulio Schiavoni, RCS Libri, Milano 2013].

Versione di: Leonardo Maria Battisti.


Certe repliche paiono una scortesia verso il pubblico. Un'argomentazione vacillante, dai concetti lacunosi, non si può lasciar tranquilli al giudizio dei lettori? Nel caso in esame manco serviva aver visto la Corazzata Potëmkin. Proprio come non ne ha abbisognato lo stesso Schmitz. Infatti ne sa quanto appreso dalla prima glossa giornalistica. Ma proprio ciò tiene distinto il filisteo della cultura: gli altri leggono l'annuncio e si ritengono avvisati; invece lui deve farsi la «sua opinione», va sul posto e crede così di poter mutar il suo cringe in conoscenza obiettiva. Che errore! Con obiettività si può parlare della Corazzata Potëmkin sia dal lato politico sia dal lato estetico. Schmitz non fa l'una né l'altra cosa. Parla della sua ultima lettura. Non stupisce che così nulla ne venga fuori. Paragonar la rappresentazione rigorosa e deduttiva di un movimento di classe ai romanzi sociali borghesi attesta un'ingenuità disarmante. Lo stesso non si può dir circa le bordate contro l'arte di tendenza. Qui (dove egli si serve dell'artiglieria pesante, per così dire, dell'arsenale dell'estetica borghese) serve parlar chiaro. Dunque: a cosa mira questo lamento sullo sverginamento politico dell'arte proprio mentre si va in cerca, nella produzione artistica degli ultimi duemila anni, di ogni sorta di sublimazioni, di residui e complessi libidici? Fino a quando l'arte dovrà restare la signorina di buona famiglia che sa cavarsela pure nei vicoli più malfamati, ma che in nessun modo deve pensare alla politica? Tutto ciò non serve a nulla, essa ci penserebbe comunque. Che a ogni opera d'arte, a ogni epoca artistica siano insite delle tendenze politiche, è una verità lapalissiana (essendo esse configurazioni storiche della coscienza).

Ma, come gli strati di roccia più profondi affiorano solo nei punti di frattura, così pure la «tendenza» in quanto formazione profonda si appalesa solo nelle fratture della storia dell'arte (e delle opere). E le rivoluzioni tecniche sono le fratture dello sviluppo artistico, nelle quali volta a volta, si palesano le tendenze allo stato libero, per così dire. In ogni nuova rivoluzione tecnica, la tendenza (da elemento recondito dell'arte) diviene di per sé elemento palese. E con ciò eccoci arrivare al cinema, la più netta frattura delle formazioni artistiche.

Affé, col cinema sorge una nuova regione della coscienza. In breve: il cinema è l'unico prisma in cui (in guisa intelligibile, significativa e appassionante) si palesano all'uomo odierno l'ambiente immediato, gli spazi in cui vive, attende alle sue faccende, si diverte. Di per sé, tali uffici, tali camere ammobiliate, tali bettole, le vie delle nostre metropoli, tali stazioni e fabbriche sono odiosi, insensati, disperatamente tristi. O meglio così erano e sembravano finché arrivò cinema. Il cinema ha fatto saltare, con la dinamite dei decimi di secondo, tutto questo mondo simile a un carcere, e fra le sue sparse rovine noi ora facciamo viaggi lontani, avventurosi. Lo spazio di una casa, di una stanza, può racchiuder in sé dozzine di stazioni fra le più inaspettate, di nomi di stazione fra i più stranianti. A dominar tal ambito altrimenti inaccessibile, non è tanto il mutamento costante delle immagini, bensì l'avvicendarsi repentino dei luoghi, estraendo pure da un'abitazione piccolo-borghese la stessa bellezza che si ammira in una Alfa Romeo. E fin qui tutto bene. Le difficoltà affiorano solo allorché entra in gioco l'«azione». Il problema di un'azione cinematografica efficace è stato risolto altrettanto di rado quanto si sia venuti a capo dei problemi formali astratti emersi dalla nuova tecnica. E soprattutto si dimostra una cosa: i progressi importanti, elementari, dell'arte non consistono in un nuovo contenuto, né in una nuova forma: la rivoluzione della tecnica antecede entrambi questi momenti. Non è un caso che la tecnica non abbia trovato nel film una forma né un contenuto che in sostanza le corrispondano. Infatti è evidente che, coi giochi formali e di trama privi di tendenza, questo problema si può risolvere sempre solo di caso in caso.

La superiorità del film rivoluzionario russo (come quella del film comico americano) sta in ciò che, ciascuno a suo modo, ambi hanno assunto come base una tendenza alla quale rifarsi sempre con coerenza. Infatti pure il film comico è tendenzioso (in guisa meno scoperta). La sua tenebra è rivolta contro la tecnica. Invero il film Corazzata Potëmkin è comico solo perché il riso che suscita è sospeso sull'abisso dell'orrore. Rovescio di tale tecnica che si scatena nel riso è la precisione letale delle manovre delle squadre navali, impeccabilmente rappresentate dalla Corazzata Potëmkin. Ora, il film internazionale borghese non è stato capace di trovare un coerente schema ideologico. Questa è una delle cause della sua crisi. Infatti il nesso fra la tecnica cinematografica e quell'ambiente che costituisce il suo oggetto più peculiare mal s'accorda con la glorificazione del borghese. È il proletariato l'eroe di quegli spazi, alle cui avventure il borghese si abbandona al cinema col cuore palpitante, poiché deve fruire il «bello» anche e proprio laddove gli parla dell'annientamento della sua classe. Ma il proletariato è un che di collettivo e quegli spazi sono spazi di una collettività. E solo qui, nella collettività umana, il cinema può compiere quel lavoro prismatico che ha iniziato nell'ambiente sociale circostante. La Corazzata Potëmkin ha fatto epoca proprio poiché mai tali aspetti sono stati messi così in risalto prima. Ivi, per la prima volta, il movimento delle masse possiede quel carattere assolutamente architettonico, per nulla monumentale (tipo produzione UFA), che prova il loro diritto a esser riprese dal cinema. Nessun altro mezzo potrebbe esprimere il movimento di tale collettività; o meglio, nessun altro potrebbe comunicare la bellezza che lo caratterizza pure nei moti di terrore e di panico. Dopo la Corazzata Potëmkin, scene simili entrano nell'inventario dell'arte cinematografica russa. Come qui il bombardamento di Odessa, così nel nuovo film Mat' [La madre] un pogrom contro gli operai di una fabbrica traccia (a passo di corsa) sull'asfalto delle strade i dolori delle masse urbane.

Coerentemente, la Corazzata Potëmkin fu fatta nella prospettiva collettivistica. Nel film, il capo di questa rivolta, il capitano di vascello Schmidt, una delle figure leggendarie della Russia rivoluzionaria, non compare. Volendo, ciò è una «falsificazione storica», ma non tange la valutazione di quest'opera. Inoltre, perché mai le azioni d'una collettività non devono esser libere e invece quelle del singolo sì? Questa astrusa specie di determinismo resta così inesplicabile sia in sé sia nel suo significato in rapporto alla discussione.

Il carattere collettivo della massa in rivolta deve valere pure il suo nemico. Non avrebbe senso contrapporle degli individui differenziati. Il medico di bordo, il capitano, devono essere dei tipi: tipi di borghese – di ciò Schmitz non vuole saper nulla. Definiamoli allora tipi di sadici che sono stati chiamati ai posti di comando da un sistema malvagio, pericoloso. Ma anche così ci si ritrova ante una formulazione politica. Essa è inevitabile, perché è vera. Nulla di più vano, allora, dell'obiezione che parla di «caso individuale». Seppur l'individuo fosse un caso singolo, non lo sarebbe invece l'agire sfrenato della sua malvagità, che sta nella natura dello Stato imperialistico e (in misura celata) dello Stato tout court. Com'è noto, c'è tutta una serie di fatti che acquistano il loro senso, il loro rilievo solo se si eviti di saggiarli isolatamente. Sono i fatti di cui tratta la statistica. Che un tale signor X si suicidi a marzo può essere un fatto irrilevante nella linea del suo destino individuale; invece diviene assai interessante se si apprende che proprio a marzo la curva annua dei suicidi tocca il suo picco. Così i sadismi del medico di bordo possono essere nella sua vita un caso isolato (magari ha dormito male o a colazione ha trovato sul tavolo un uovo guasto). La cosa diviene interessante solo tenendo in cale il nodo fra la condizione di medico e il potere dello stato. In proposito, negli ultimi anni della Grande Guerra, più d'uno ha potuto fare indagini assai precise, per cui il misero sadico della Corazzata Potëmkin gli farà pena confrontandone l'azione e la giusta punizione ai servizi da carnefice inflitti da migliaia di suoi colleghi (impuniti) agli storpi e agli ammalati qualche anno fa, nei Comandi generali dei Corpi d'Armata.

La Corazzata Potëmkin è un grande film, di rara maestria. Solo il coraggio della disperazione spiega perché la polemica sia partita proprio da qui. Peraltro cattiva arte di tendenza ce n'è finché si vuole; fra di essa, inclusa una cattiva arte socialista di tendenza. Opere del genere sono determinate dalla ricerca dell'effetto, contano su riflessi lisi, su cliché abusati. Invece la Corazzata Potëmkin è cementata dall'ideologia, calcolata esattamente in tutti i suoi dettagli come l'arco di un ponte. Più forti sono i colpi che gli sibilano sopra, tanto più risuona. Solo chi lo scuote coi ditini inguantati, non ode e non muove nulla.



Ultima modifica 2019.12.20