Introduzione all'Anti-Dühring

Eduard Bernstein (1894)


Dai num. 4-5-6 del vol. XIII (1891-95) della rivista Neue Zeit di Stuttgart

Tradotto in italiano da: Sofia Puritz in Federico Engels: Il socialismo scientifico contro Eugenio Dühring, Remo Sandron, Milano-Palermo, 1901.

Trascritto da: Leonardo Maria Battisti, giugno 2019

.

I. Eugenio Dühring e il partito socialista tedesco

Fino al 1873 Dühring era poco conosciuto nella democrazia sociale. Nei suoi primi lavori di economia si era mostrato ammiratore e seguace dell'economia protezionista americana di Carey, e come tale era entrato in polemica, fra gli altri, con F. A. Lange. Il tono, che egli aveva assento in questa polemica non era troppo adatto per procacciargli simpatie: di più i ricordi delle sue relazioni col capo spirituale del partito della Kreuzzeitung, Ermanno Wagener, il fido di Bismarck, avevangli suscitato contro molte diffidenze. Così le sue pubblicazioni, nelle quali si discostava un poco da Carey ravvicinandosi al concetto del socialismo, passarono inapprezzate nei circoli; tanto più che esse non contenevano alcuna idea nuova.

In secondo luogo occorre qui rilevare, che, — secondo appunto la esposizione fattane da Dühring nella autobiografia “cose, vita, nemici„ — Wagener in quell'epoca si era rivolto per la compilazione di un opuscolo sociale allora soltanto a Dühring, il quale dal Lother Bucher era stato preso per collaboratore nei Ρreussischen Staatsanzeiger, dopo la brusca espulsione di Carlo Marx. Dühring affermava di avere di nuovo desistito dalla collaborazione, e di non aver voluto scrivere nulla di anonimo contro Schultze-Delitzsch. Inoltre egli narra, che dopo aver data la via all'opuscolo, aveva nel 1866 direttamente fatto ricorso a Bismarck, per ottenere con la sua influenza la nomina a professore. Malgrado l'appoggio della sua domanda da parte di Bucher, essa era però rimasta senza replica: perché Bismarck, dopo la guerra del 1866 avendo cambiato politica, non abbisognava altrimenti né di quella memoria, né del suo autore. Vennero allora a fior d'acqua, come è noto, le questioni del libero scambio, nelle quali andò a perdersi il Dühring; e poiché il professore tedesco divenne, dopo il 1866, liberale nazionale, Bismarck non si sentì di mettersi in urto con la facoltà di Berlino per il miope docente. Quali fossero i motivi, pei quali non venne accettata l'ultima nomina motivata di Dühring, è difficile a stabilirsi; che non fossero quelli addotti da Dühring (invidia, malignità etc.), viene a risultare dalla sua stessa esposizione. E se egli stesso scrive (pag. 116) che fu il segretario in carica Lehnert, che lo informò delle turpitudini della facoltà, occorrerebbe sapere che razza d'ipocrita, intrigante, reazionario fosse il sig. Lehnert, per sapere anche qual conto fare delle sue ciarle. Che Dühring gli prestasse fede e che egli già sollecitasse simili relazioni, ci apparisce chiaro dal suo contegno successivo. Per chi che nulla sapesse di quei procedimenti e di quei rapporti, doveva naturalmente apparire Dühring di un carattere assai diverso da quello che in realtà aveva.

Alla fine del 1872 comparve il “corso di economia nazionale e di socialismo„ di Dühring, un libro in cui l'autore si presenta come socialista completamente radicale. Giovane io ancora in quel movimento, rimasi incantato da quel libro. Debbo appunto portare in causa qui la mia persona, perοcché non sarà mai abbastanza ripetuto, che da nessuno si è tanto fatto per la propaganda di questo libro nelle file della democrazia sociale, da nessuno si è tanto contribuito a formare quel culto che Dühring acquistò a metà del 1870 nelle file dei più attivi compagni, quanto lo scrittore di questo articolo. Quasi tutti i più noti compagni, che più o meno si infatuarono per Dühring: Bebel, Fritzsche, Grottkau, Lossau, Mielke, Most ed altri, vennero per mio mezzo a conoscenza dei suoi scritti socialistici, e molti socialisti, studenti e non studenti, tedeschi e stranieri (Russi segnatamente), furono da me eccitati a frequentare le lezioni di Dühring. Tuttavia non posso decisamente rimproverarmi di avere mai accettato e propagato esclusivamente, o anche soltanto prevalentemente, gli speciali principii socialisti o “societarii„ di Dühring. Non che io sia così stolido da riconoscervi un torto, quando lo avessi fatto, o un merito se fatto non lo avessi. Pure ciò che tratteneva me ed altri con me dal farlo, non erano principii teoretici, non una convinzione della loro insufficienza dipendente da un esame critico, ma il fatto che le teoretiche riserve e le speculazioni di Dühring sull'avvenire ci apparivano come “questioni aperte„, sulle quali si potesse bensì discutere fra socialisti, ma che non potevano avere importanza speciale, dato che il Dühring, pur ascrivendosi al partito socialista, attaccava violentemente con le parole e con gli scritti lo stato e la società insieme alle loro istituzioni, teneva nei sacri locali dell'Università discorsi laudativi su Marat e sulla Comune (troppo invero moderati) recitava versi rivoluzionari di Byron e Shelley, faceva, in una parola, una propaganda in favore della democrazia sociale, troppo radicale secondo il nostro modo di vedere.

Noi eravamo nella totalità socialisti eclettici, e chi si richiami alla mente, quali fossero al principio del settanta lo sviluppo sociale della Germania e lo stato della stampa e della propaganda socialistiche, non potrà di ciò sommamente maravigliarsi. Alla maggior parte di noi mancava, fatta astrazione dall'insegnamento teorico, la vera opportunità per un completo studio del captale. Il tempo libero che ci lasciava la nostra attività d'elezione fu richiamato dalla partecipazione all'agitazione pratica del partito, che allora era tanto in voga. Si attingeva all'opera gigantesca di Marx, da ciò che in essa ci risultava a così dire accessibile, i dati dei quali appunto abbisognavamo, ma in tal modo ottenevamo naturalmente dei semplici frammenti e non già quel tutto spirituale che ci sarebbe stato tanto più utile.

Della mancanza di questo ci compensò il manifesto “comunistico„ solamente in quanto vi trovammo sviluppata in forma assai più spiccata e palese la dottrina della lotta di classe, che non nel “programma dei lavoratori„ di Lassalle. Per riguardo ad una ulteriore applicazione fu per noi quasi un semplice documento storico. Da esso, dagli scritti di Lassalle, e dagli scritti e dai discorsi di altri rappresentanti del partito, venne tirato fuori un socialismo all'ingrosso, con radicalismo politico assai determinato; ma, all'infuori dello scopo finale comunistico, con programma economico abbastanza indeterminato. Il partito non aveva da prendere posizione alcuna in altre questioni economiche, se non in quelle che immediatamente e direttamente riguardassero i lavoratori. Ciò che riflettesse la lotta contro le società per azioni, per la giornata normale di lavoro etc., era musica dell'avvenire. La letteratura dei precursori del socialismo moderno, la conoscevamo soltanto di seconda o anche di terza mano. Α dir breve, noi accettavamo le conclusioni generali delle teorie Marx-Engeliane, senza peraltro avervi applicato convenientemente a base quel processo del pensiero che loro serviva di fondamentali, e senza che ci rendessimo conto delle fondamentali differenze esistenti fra quelle teorie e il concetto di Lassalle. Anche qui noi vedevamo quasi soltanto differenze nelle pratiche applicazioni. Noi respingevamo il culto esagerato di Lassalle per lo Stato, alle sue speciali ricette opponevano gli uni lo scetticismo, gli altri una manifesta avversione, adoprando però abbastanza spesso il linguaggio stesso tagliente di Lassalle.

Per chi si trovava ora, da questo punto di vista, sulla diagonale, a così dire, fra Lassalle e Marx, non era affatto fuor di natura rimanersi temporaneamente presso Dühring, il di cui socialismo si trovava pure ugualmente in questa regione. Dühring ha comune con Lassalle il modo di pensare giuridico; le conclusioni cui egli perveniva a mezzo di questo, erano quindi molto seducenti per coloro, i quali decisamente rigettavano le ricette di Lassalle come difettose, ma tuttavia erano fortemente attratti dalla magia della dialettica di Lassalle. Dühring, in opposizione a Lassalle, riconosceva la importanza del movimento delle società per azioni, egli combatteva, — in quel tempo, — la tattica politica, alla quale passò dalla sinistra, ed energicamente rilevò che insieme all'usufruire della coalizione del socialismo, si dovesse prima di tutto, senza equivoci, porre innanzi una potenza politica da contrapporre, come partito estremo radicale, alla polizia di Stato. Ciò era pienamente del caso nella indicata situazione e modo di combattimento del partito, e così dovemmo tanto più salutare il Dühring come nostro, in quanto che tale si mostrava con quanti dei nostri egli ebbe relazioni personali.

Egli mi ha ripetutamente parlato, non della speciale società Dühring nel partito, ma della associazione del partito nel suo insieme come dei “compagni„. Che egli non facesse più apertamente, ci appariva come una misura di cautela voluta dalla sua posizione alla Università; si spinse anzi tant'oltre da provocare nelle sue lezioni, alla lettura del “Volkstaat„ etc. Le sue specialità, come i suoi Comuni economici (Wirthschaftskommune) etc. erano per noi, come già dicemmo, quistiοni aperte; ciò che però in niun modo escludeva, che non tutte le sue affermazioni ci sembrassero addirittura facilmente accettabili, e il tema o i temi si presentassero meritevoli di discussione.

Noi sentivamo che nelle nostre teorie socialistiche esisteva una qualche lacuna. Il marxismo ci si presentava semplicemente come una critica negativa; ma Dühring, con l'evitare i grossolani errori degli utopisti che già ci erano noti, e col riconoscimento della lotta politica delle classi operaie, si presentava come guida positiva, e toccava inoltre le corde che erano rimaste intatte nella letteratura di Lassalle e appena accennate in quella a noi accessibile di Marx.

Le debolezze facilmente riconoscibili di Dühring, come il soverchio porre innanzi la propria sua personalità, il modo troppo personale della sua critica etc. le attribuivamo al naturale amareggiamento del dotto messo da parte. Anche il suo antisemitismo, già sin da allora abbastanza scurrile, ma non ancora così violentemente manifestato come lo fu in seguito, ci appariva quale manifestazione della sua amarezza; bisogna notare che perfino coloro dei nostri compagni, i quali erano di origine ebraica, erano tanto più propensi alla tolleranza per quel che concerne questo punto, in quanto che in quei tempi la razza israelitica prendeva una parte molto meschina nella vita pubblica, ed una reazione contro di loro sembrava più che giustificata.

Che Dühring erroneamente giudicasse in molti punti Marx e Lassalle, non era un mistero per noi, che ci eravamo accostati a lui come socialisti. Tuttavia non riconoscevamo tutti i difetti della sua critica; mancava tuttora in quel tempo una profonda analisi, tanto dal punto di vista di Lassalle, quanto da quello di Marx: e così molti di noi cominciavamo a guardare, rispetto appunto al fondamento delle dottrine loro, tanto Marx quanto Lassalle, con le lenti stesse della critica di Dühring, e a sentenziare in proposito sulla fede della interpretazione di Dühring.

Il contegno riservato della redazione del Volksstaat e quindi del “Vοrwärts„ verso le pubblicazioni di Dühring, ci rafforzava ancora in quel concetto. L'avversione manifestantesi sempre maggiore ad occuparsi in qualche modo di Dühring, la dovemmo interpretare come un modo qualunque di sbarazzarsi di un osservatore incomodo, che non si poteva confutare, cercando di ridurlo al silenzio. Quando poi comparve finalmente nel “Vοrwärts„ la critica di Engels, ci trovammo anche offesi e dalla forma e dal modo con cui fu essa pubblicata, in quel mentre ci trovavamo anche troppo amareggiati, per potere essere convertiti da quegli articoli pubblicati a frammenti.

Non fu Engels che ci aperse gli occhi su Dühring, ma Dühring stesso.

Ciò che dapprima sorprese qualcuno di noi, fu la posizione presa da Dühring di fronte al libello di Abramo Entz che esigeva dalla società dei compagni il concorso nel disprezzo degli articoli di Engels, il divieto di una pubblicazione ulteriore dell'attentato di Engels al sano intelletto umano... Alla notizia che Dühring avrebbe sconfessato questo compromettente libello, Most aveva contrassegnato l'autore un uomo dabbene, ma completamente fanatizzato da Dühring, un uomo che “aveva perduto il cervello.„ La notizia peraltro si appalesò falsa. Dühring si ricusò ad una così decisa opposizione, a sconfessare cioè, per le sue assurde pretese, lo scritto di Entz, lo designò invece per una esposizione degna di molta considerazione.

Da quel momento io sospesi le mie visite a Dühring. Se l'agitazione che tosto ne seguì, promossa dallo stesso Most, immediatamente prima del congresso di Gotha del 1877, contro la ulteriore pubblicazione nel “Vorwärts„ degli articoli di Engels, avvenisse di concerto con Dühring o per di lui istigazione, non si sa. Io non ebbi nulla che fare con questa agitazione, e non nascosi a Most che la consideravo come una prova di mancanza di spirito per il difensore di Dühring. Per Most certamente ricorrevano riguardi diversi che non per Dühring, che qui non è il caso di ricordare. Dal cauto suo Dühring non solo, nei successivi suoi scritti non sconfessò questa agitazione, ma le ha dato per giunta quella interpretazione, che lo stesso Most rifuggiva dal darle apertamente. Per il grosso dei compagni venne messo innanzi il riguardo che al carattere agitatore del “Vorwärts„ non conveniva menare così in lungo l'accettazione degli articoli proibiti. Sino a questo punto parevano, a quanto sembra, giuste anche al Dühring, “le proteste:„ il fatto però che al Congresso non si emanò un'anticipata proibizione dell'ulteriore pubblicazione degli articoli, ma solamente venne concluso di fare uno speciale supplemento scientifico per un eventuale risposta di Dühring o per analoghi articoli, — questo fatto, dico, — è secondo il Dühring “un segno di consenso„, una “noce vuota" con la quale i “faiseurs„ in parte mettevano di mezzi gli elementi protestanti, in parte su di loro pontificavano.

In questo “socialista della libertà„ emerge diversamente, che non nella generalità delle menti umane, la libertà della critica.

Ciò dovevamo tosto apprendere, senza equivoci. Nella estate del 1877 successe la remozione di Dühring dalla Università di Berlino, misura altrettanto deplorabile quanto colpevole, presa in favore della grandezza della Università, menomata dalle lezioni di Dühring. In realtà, l'aumento quantitativo e qualitativo della deficienza di concorso alle lezioni del Dühring, nessuno aveva procacciato più di lui stesso. Una volta, la più grande aula della Università non bastava per i frequentatori delle pubbliche lezioni di Dühring, ora a malapena empivano una modesta scuola. Quelle stesse persone che dividevano col Dühring il suo punto di vista, se ne allontanarono, perché si annoiavano alle invettive eternamente ripetute e affatto personali. Frattanto ciò rifletteva gli uditori, non i professori. Siccome questi in fondo respingevano il collega piuttosto come degno di compassione, che come pericoloso, dimostravano soltanto, che per lo meno per una ragione non li aveva egli imputati a torto. Venne fuori un movimento di protesta contro la remozione. Io adopro intenzionalmente il passivo, perché Dühring nei suoi scritti rappresentava la cosa in modo, come se il movimento degli studenti d'allora fosse stato affatto spontaneo, e attribuiva alla democrazia sociale, come grande turpitudine, l'esservisi mescolata. In verità le cose stavano per l'appunto all'opposto. Se non vi si fossero “immischiati„ i democratici socialisti e gli accademici ad essi aderenti, il “movimento di protesta„ sarebbe rimasto ristretto alle minime proporzioni. Dappertutto erano democratici socialisti, e accademici socialisti che gli davano vita, e nessuno in quel tempo spiegò maggiore zelo, e maggiore abilità nello spingere la scolaresca in favore di Dühring e a contribuire a che il movimento di protesta conseguisse una grande estensione, quanto Luigi Vieveck, che Dühring — per essersi mostrato più democratico socialista che Dühringiano — lo chiamò da allora col titolo onorifici di “socialista democratico della società equivoca„ (Halbwelt).

Dühringiano schietto era, fra i componenti il comitato di protesta, soltanto il laureando in matematica Döll, e io mi ricordo appuntino anche oggi come io e Μost, avermi a cadere dalle nuvole allorché dopo una riunione di protesta ci intrattenermi con lui in un caffè di Berlino sul movimento socialista. Egli nulla sapeva della luce che giornalmente si andava spargendo; non aveva letto alcuno scritto di Marx, nessuna memoria di Lassalle, niente, assolutamente niente aveva letto di socialismo, se non quel tanto che aveva trovato nel Dühring, non provando altro interesse, so non quello per il movimento in parola. Dühring, e sempre Dühring, era l'alfa e l'omega dell'uomo, il quale era venuto a Dühring non come noi, poiché egli non era venuto a Dühring quale democratici socialista, ma veniva per mezzo di Dühring alla democrazia socialista, — almeno secondi il nostro concetto. Se il cibo è frutto dell'illibato Dühring, è molto cattivo„ dicevamo noi nel ritornarcene a casa. Questo Döll era il confidente e il relatore di Dühring.

Come risposta alla sua remozione aveva intimata Dühring la fondazione di una libera accademia. Essa doveva sorgere nell'autunno de1 1877: Dühring ne avviava la formazione con un ciclo di tre conferenze; per le quali, come egli si esprimeva, “la società di Berlino vi fosse rappresentata in modo eletto da tutte le opinioni„ (!). Nel fatto la democrazia socialista formava la maggioranza dei frequentatori. A mezzo di Döll, Dühring mandava ciascuna volta una relazione sulla sua conferenza all'organo berlinese del partito, la “Berliner Freie Presse„, Queste relazioni davano però, insieme a ciò che Dühring aveva realmente detto, molto anche di ciò che aveva dimenticato dire, talché la redazione composta di tre amici di Dühring, — Most, Lοssau, Grοttkau, — risolvette di non aspettare per la terza conferenza, la pseudo-relazione, ma ne stampò una scritta dal compagno Fr. Mielke.

Sebbene ciò fosse tenuto molto segreto, Dühring prese in mala parte l'arditezza della redazione, e con una lettera assai risentita chiese conto a Most di questa temerità. Probabilmente si riferisce a questo precedente l'annotazione di Dühring nel citato suo scritto, che “anche lo stesso signor Most si mostrò tale„, in quel tempo, “da tener lontane da quel giornale le notizie favorevoli ai miei scritti, per obbedire a puntino alla parola d'ordine del partito marxistico, che suonava soppressione di tutto quanto potesse mettermi in evidenza favorevole presso la democrazia socialista.„ Chi vi prenda interesse, può dalla “Berliner Freie Presse„ dell'ottobre e dei primi di novembre, persuadersi su ciò, che il Dühring chiama: tener lontane notizie a lui favorevoli.

Ai primi di novembre vennero fuori gli statuti della “libera accademia.„ Prima di renderli noti al pubblico, li lesse Dühring una mattina ad un ristretto circolo di suoi ammiratori, e a questi perciò la illusione si cambiò in completa sorpresa. Era in giuoco la libertà del Papa con Cesare, e il Papa e Cesare formavano un'unica persona che si chiamava naturalmente Dühring. Questi e il suo adlatus Döll erano i tutori sovrani della libera accademia„, la di cui libertà si manifestava, fra le altre, in questo, che tutti coloro che fossero stati in precedenza colpiti dalla scomunica maggiore, non solo dovessero fare spontaneamente il loro primo passo verso Dühring, ma fossero costretti a fare dal canto loro una solenne protesta; chi ancora insegnasse in una università, sarebbe un anticristo più o meno grande: professore o libero docente, sarebbe dichiarati indegno di appartenere alla “libera„ accademia.

Invano facevano gli aderenti obbiezioni sopra obbiezioni contro tali insensate ed assurde disposizioni e contro la natura dispotica degli statuti; tuttoció non valeva a muovere Dühring ad una concessione qualsiasi. Alle dimostrazioni contro le sue manifestazioni ripetute di autoritarismo, rispondeva ad esempio, che egli aveva sempre combattuto soltanto la falsa autorità; il falso autoritarismo. Quando una sera, ad una conferenza cui, invitato, si era affrettato di venire da Tubinga lo studente Bertz, e con la più bella maniera, come modestamente può fare uno scolare verso il maestro, cercò di dimostrare la mancanza di corrispondenza allo scopo degli statuti, cercando, questo inascoltato intervenuto, di esprimere in sostanza la propria opinione, Dühring con tono ringhioso gli contrappose la considerazione seguente: “Questo signore, signore mie e signori, mi ha una volta celebrato nel “Vorwärts.„„ È inutile dire che posta in tal modo la discussione da Dühring, i presenti ne ebbero abbastanza del “libero accademico.„

Bertz che in realtà si era reso colpevole del fallo, di celebrare nel “Vorwärts„ Dühring come campione della libera parola, aveva un modo di fare troppo calmo, per abbandonarsi ad un'ulteriore discussione durante l'adunanza, ma in una comunicazione alla “Berliner Freie Presse„ (stampata nel “Vorwärts„ del 18 ott. 1877) mise in sodo in modo positivo, per quanto pieno di riguardo, il punto di vista per il quale differiva dal Dühring. Egli distingueva, pieno di rispetto, un Dühring combattente per determinate teorie, e un Dühring presunto fondatore di una istituzione per la libera cultura della scienza. “All'onesto scrittore„, scriveva egli, “anche se dobbiamo da lui dissentire sotto qualche rispetto, non ripugnerà del tutto un certo esclusivismo, un fare tirannico, perocché queste qualità vanno sempre unite alla supposta padronanza della verità indivisibile, assoluta e sovrana. Ma potremo dubitare se un tale monarca nella scienza potrà garantire la libera cultura di essa.... L'associazione progettata da Dühring doveva aspirare a combattere per la libertà della scienza; questo era il concetto, a cui Dühring stesso mi invitava per lettera a partecipare; io mi aspettavo da lui quella completa tolleranza, la quale non teme una libera tenzone degli spiriti, perché si affida alla potenza della ragione. Dühring mi diceva allora apertamente: “Se ella mi conosce, conosce anche l'associazione; la mia personalità sarà l'insegna di essa; sostenere i miei principii sia il di lei compito, l'anarchia non la tollero.„ E così io venni nel convincimento che qui ora e sempre sarebbe coltivata la scienza indipendente, ma che si avrebbe anche di più una scuola di Dühringiani fedeli, incaricati di diffondere la fama del maestro.

Anche la redazione della “Berliner Freie Presse„ si limitò, come Bertz, dapprima, a criticare affatto gli statuti di Dühring, e a stabilire che la nuova accademia si avesse a chiamare “accademia di Dühring„, alla fondazione della quale, naturalmente, nessuno potesse contendere il diritto al Dühring, ma sulla di cui efficacia esprimeva la redazione i suoi dubbii. Ciò basti, a Dühring e al suo Döll per far passare la clientela alla Staatbürger Zeitung „ che faceva la demagogia cesarea.


Dühring dichiarò che egli non aveva mai appartenuto alla democrazia sociale, questa piuttosto aver accaparrati per sé “i capitalisti dello spirito„, che però ora il suo giuoco era stato capito — dopo di che seguiva una serie di infamanti insinuazioni contro una classe di persone (studenti etc.), alle quali la posizione loro sociale vietava di associarsi ufficialmente al partito, e che Dühring, non potendo esse seguire il comando di lui, aveva stigmatizzate col titolo pungente di persone che appartenevano alla parte equivoca della democrazia sociale. Il fortunato Döll aggiunse ancora l'infelice confronto di un pallone, il quale liberato della zavorra della democrazia sociale, si librava nell'aria al pari d'un aquila; ciò che calzava appuntino in riguardo alla libera accademia.

La dichiarazione di Dühring, che racchiudeva anche forti ingiurie ed insinuazioni, non lasciò dubbio, neppure fra meglio prevenuti di noi, che ci eravamo completamente illusi sul conto di lui. Cosa ci rimproverava con quella Dühring? Che noi lo volessimo sfruttare per il partito. In sostanza lo avevamo fatto; come ognuno di noi aveva messe le sue forze a servizio del partito ed era orgoglioso di potere lavorare per esso, eravamo poi stati abbastanza ingenui da presupporre uguali sforzi da parte dell'uomo che si era rivolto a noi come compagno e con noi si era opposto nell'organo del partito a che fosse in altro modo festeggiato se non come combattente. Noi fummo abbastanza ingenui da ritenere che gli premesse più la cosa che la sua persona, o che questa cosa non fosse una qualunque formula inventata, ma fosse la lotta di redenzione della Classe dei lavoratori. Invece di ciò veniva ora a risultare che per Dühring il partito aveva solamente ed unicamente interesse a propagare la sua speciale invenzione, a coltivare le sue predilezioni e a compiacere alle sue idiosincrasie. Egli aveva inveito contro i seguaci di Liebknecht, solo per sostituirvi i seguaci di Dühring


In altre parole, Dühring si è precisamente messo di fronte al partito come un inventore qualsiasi si pone di fronte alla sua invenzione; e non avendo trovato reciprocità altrove, fece il tentativo presso la democrazia socialista, per poi, in caso che le speranze fallissero, abbandonarla a cuor leggiero. Dühring, per quanto la parola possa qui convenire, ha voluto sfruttare il partito, il quale non gli richiedeva nessun sacrifizio né intellettuale né materiale, desiderando solo d'avere da lui un appoggio morale, cosa che per Dühring sembrava già impossibile.


Il defunto Höchberg, notoriamente tanto poco dühringianο che marxista, ma scolare di Fr. A. Lange, era stato invitato da Dühring, come cento altri, a collaborare, dietro compenso, nel “Zukunft„; per Dühring non era questa una prova, che lo “Zukunft„ dovesse mantenere aperta la discussione libera fra i socialisti, ma semplicemente un tentativo di legarlo al carro della democrazia sociale. Höchberg si permise di firmare nel giornale da lui redatto l'articolo di introduzione con le lettere finali del proprio nome, senza pensare che su l'intiero globo potesse essere un altro uomo, il cui nome finisse in g e che questo si chiamasse Eugenio Dühring. E Dühring lo sottolineava talmente in modo furbo nei suoi scritti, da far credere al pubblico, che fosse lui l'autore dell'articolo summentovato. Dietro domanda di Vieveck se Dühring fosse disposto a tenere delle conferenze, nell'istituto allora fondato per i lavoratori; Dühring si senti di nuovo stimolato a trarre profitto dall'istituto dedicato agli interessi dei lavoratori, in vantaggio del proprio nome, e nella sua megalomania andò tant'oltre, da affermare nella terza edizione della sua storia del socialismo, che il detto istituto andasse in rovina perché Dühring, — il missionario d'intelligenza!! — non si è lasciato conquistare. Il fatto sta che l'istituto, per quanto ci insegnassero solo dei mortali, ebbe un esito talmente felice, che dopo alcune settimane occorse aggiungere nuove lezioni e fu solo dall'autorità soppresso violentemente dopo l'attentato di Nobiling. Cosa della quale Dühring tace completamente.

Tuttavia è notevole il contegno di Dühring all'epoca della legge contro i socialisti. Mentre gli avversarii borghesi stessi avevano cessati i loro attacchi durante le persecuzioni che come gragnola cadevano sul partito, Dühring non conosceva che un punto, la propria sete di vendetta. Nella terza edizione della “Geschichte der Natiοnalϋkonοmie und des Socialismus„ (Storia dell'economia nazionale e del socialismo) pubblicata nel 1879, egli sprigionò un mucchio intero di bestemmie ringhiose contro il partito, sotto forma di “spensieratezza dell'agitazione democratico-socialista„. Con quale amore del vero e con quale scrupolosa coscienza, Dühring vi avesse proceduto, può esserne prova quanto abbiamo accennato. Del resto tutto l'insieme è così basso, da non meritare di trattenervisi. Dove gli fallisce lo spirito, dove gli manca la possibilità di trovare un nemico qualsiasi (e nemico di Dühring è chi non gli fa di cappello), là egli si attacca all'antisemitismo, e dietro ogni torto che gli vien fatto, vede nascosto un ebreo. Disgraziatamente la democrazia sociale ha dato una gran contingente di ebrei, i quali temporaneamente andarono dietro alle orme di Dühring, ma la confutazione del culto di Dühring nel partito si partì da gente che aveva il sangue puramente “ariano„ quanto il Dühring stesso. E chi potesse avere la forza di andare fino in fondo alle più volte citate 420 pagine della lunga auto-adorazione di Dühring, troverebbe che anche all'infuori della democrazia sociale succedeva lo stesso.

“Irresponsabilità per megalomania„ così riassume Fr. Engels il suo giudizio su Dühring. Dühring appartiene infatti a quegli uomini, i quali inciampano sempre nel loro proprio io, vengono quasi meno dinanzi alla venerazione del loro io, e perdono l'attitudine a qualunque giudizio obbiettivi, in cui non entri in questione, direttamente, il loro io. Tutto, propriamente tutto ciò che ha fatto Dühring nella sua vita, è in conformità della esposizione che ne fa, notevole grande, — io credo non compisse la più subordinata funzione del corpo, senza che egli non ne magnificasse nella sua esposizione una elevata proprietà caratteristica. Si racconta del virtuoso Emilio Derrient, che egli nel prepararsi alle parti che doveva rappresentare nelle produzioni, andasse tant'oltre nella sua vanità, che nelle parole che a lui venivano dirette da Quivaulde nel Narciso, egli voleva cambiata la parola “miserabile„ in “infelice„ perché il grande Emilio Derrient non tollerava che gli si rivolgesse la frase “uomo, tu non solo sei miserabile ma meriti di esserlo„, e voleva invece che gli tesse detto: uomo sei molto infelice ecc. Un tipo simile di uomo è appunto Dühring.

Tutto intendere vuol dire perdonar tutto. I casi della vita di Dühring dimostrano chiaramente come in lui un forte sentimento di sé potesse passo passo andar crescendo fino alla mancanza completa di critica del delirio di grandezza. Leggendo la sua vita da esso stesso narrata, se ne svolge quasi il processo dinanzi agli occhi del lettore. Contrariamente alla sua volontà, Dühring vi si mostra qual è, invece di come crede di essere o desidera di apparire. E per quanto edificante sia la di lui personalità, altrettanto odioso è il suo procedere. Ciò si capisce e si lascia camminare per la propria via.

Ma tutto comprendere non vuol dire tutto tacere. Dühring è senza dubbio fermamente convinto, che la democrazia sociale lo abbia trattato ignominiosamente, e le storie della persecuzione che egli racconta in proposito, potrebbero essersi soltanto rispecchiate dalla sua fantasia. Ma le calunnie rimangono calunnie, se arbitrariamente sono cavate o dipendono da allucinazioni, comportandosi in ciò Dühring non molto diversamente da despota autoritario e da papa somministratore di scomuniche, perocché si immaginava egli di aprire una strada alla libertà e si compiaceva di menar colpi di vento contro la “schiavitù di Stato dei marxisti„ da lui inventata.

ΙΙ. Lo scritto di Engels come libro didascalico del socialismo.

Ogni controversia scientifica, come in generale ogni polemica, che nella definizione non si arresta ai semplici errori esteriori, è illustrazione allo stesso tempo negativa e positiva. Ciò può certamente dirsi anche della pura correzione. Fintanto che viene fornita la dimostrazione di sbagliato o intenzionalmente falsato modo di leggere proposizioni, fintanto che asserzioni possono essere dimostrate come non giuste, si può nello stesso tempo stabilire il giusto modo della lettura per il modo come si comporta la cosa di fatto — ogni negazione è determinazione e così al tempo stesso di natura positiva. Ma questo lavoro, sia quanto si voglia sterile, può essere così utile in date circostanze, in antitesi a particolare critica scientifica, che quando non reca in luce una qualche nuova verità, offre nuove prove di verità già ammesse, e queste si pongono su base più solida che non fosse in antecedenza, oppure avvicina di più alla intelligenza comune una verità finora non intesa o intesa a metà.

La dimostrazione della incertezza e falsità o della disonestà di Dühring come scrittore di storia e come critico, — qui in primo luogo del socialismo, — non era difficile ad addursi. Quando amici mi hanno talvolta espressa la meraviglia, sul come allora potessimo lasciarci abbindolare in Berlino da Dühring, non potevo dal canto mio fare a meno di meraνigliarmi come e perché nessuno degli oppositori di Dühring d'allora, prima della comparsa dello scritto di Engels, non avesse fatto che il lieve lavoro di presentarcelo come dottrinario, o tutt'al più come critico. Che la sua critica non sempre avesse radice nei fatti, ma fosse fortemente influenzata da simpatie ed antipatie personali, lo sapevamo anche noi; ma quello che ci sfuggì fu quanto essa percotesse in faccia la verità, fosse superficiale da un lato e tendenziosamente intricata dall'altro, e il potere stabilire questo ne avrebbe più che mai guidato a guardare con occhio critico quel che concerneva Dühring quale teoretico.

Ma essa si fece aspettare fino a che non prese la penna lo stesso Engels, e ciò si può considerare propriamente come una fortuna. Poiché ora la confutazione di Dühring divenne lavoro tanto positivo, che per essa il socialismo era venuto ad avere per la prima volta un libro didascalico, un'opera che per la prima volta, in una esposizione connessa intelligibile in tutte le sue parti, chiariva i principii teorici del moderno socialismo scientifico con esempli tolti da tutti i rami della scienza passati in rassegna, e il di cui valore non è menomato se cade in esso fino a zero assoluto l'interesse che i socialisti possono avere per Dühring. Quanto è accennato spesso come semplice asserzione, in linee generali, nel “manifesto comunistico„, è qui più estesamente esposto e in parte autenticato da riprove già fatte e da comparazioni accennate da Marx nel “Capitale„, sviluppato minutamente quando in una esposizione dialettica, quando in una esposizione deduttiva; non poco di ciò che allora nel primo volume uscito del “Capitale„, fu indicato come dottrinario viene spiegato in modo positivo, e sino inoltre discusse questioni, le quali non appartengono né al soggetto del “manifesto„, né al “Capitale„, ma la cui intelligenza è di grande importanza per il giusto apprezzamenti dei principii teorici fondamentali del moderno socialismo. Appartengono a queste, ad esempio, tutte le questioni trattate in una prima parte intitolata “Filosofia„. Quale grande lacuna venisse in questo modo a riempiersi nella letteratura socialistica dallo scritto di Engels, non lo si può valutare che approssimativamente oggi, che già abbiamo una gran quantità di scritti che su quello si fendano o da quello emanano, oggi che tutta la nostra stampa n'è influenzata, perοcché da nessuno è contestato che abbia riempita una grande lacuna, sodisfatto ad un bisogno esistente indipendentemente dall'avere ripudiato Dühring. D'altra parte la temporanea influenza di Dühring nel partito, aveva appunto radice, come fu già dimostrato, nella esistenza di questa lacuna.

Quanto Dühring facesse per sé tesoro del difetto di una esposizione riassuntiva delle teorie di Marx e di Engels, e della rarità dei primi scritti di essi, si rileva ad esempio, fra gli altri, dal fatto, che egli si vantava, — e come riusciva bene nel vantarsi, — d'essere stato egli il primo socialista che riconoscesse la importanza delle società cooperative.

“In cima (degli sforzi dei lavoratori) stanno le coalizioni ignote agli antichi economisti ed anche ai socialisti come Marx e Lassalle, per il commutamento della mercede, sulle quali han finito con pronunziarsi favorevoli anche gli Internazionali e i Lassalliani, ma con non altro pensiero che quello del semplice risveglio della coscienza di classe„.1

In un libro quindi, che presume di essere la speciale descrizione della storia, si afferma di riferire ciò come verità storica. Quando si legge ciò si rimane stupefatti. Senza tener conto dalla “Condizione delle classi lavoratrici„ di Fr. Engels comparsa nel 1845, Marx come è noto, nella “Μisére de la philosophie„, pubblicata nel 1846, aveva già rilevato, contro Proudhon e i socialisti dell'epoca, la importanza delle società cooperative, e dimostrava che il valore di esse per le classi operaie, non stava tutto “nel tenere sveglia la coscienza di classe„.2 Ε già nel primo congresso degli Internazionali (Ginevra 1866) il Consiglio generale presentava una istruzione, proveniente da Marx, sulle società cooperative, nella quale, insieme alla importanza di esse per la lotta di classe dei lavoratori in generarle, è anche rilevato il valore delle medesime per qualsiasi conseguimento di vantaggi economici e per la difesa da danni parimenti economici. È dunque un bel tiro, parlare qui dell'“essersi dovuti pronunziare favorevolmente„ tanto Marx che Lassalle, e celebrare ugualmente come di casa i Lassalliani in un punto che segna precisamente la principale differenza della dottrina di Lassalle da quella di Marx. E quando si sa che Dühring perseguitò per anni il “Volksstaat„ e conobbe anche lo scritto di Gichoff sull'Internazionale, è impossibile presupporre qui semplicemente l'ignoranza, che sarebbe del resto abbastanza riprovevole, in un lavoro storico.

Essendosi adoprato Engels a mantenere la sua critica del Dühring in caritatevoli limiti, così questo punto, come innumerevoli altri strafalcioni del Dühring contrarii alla verità, non fu da ligi più ampiamente toccato. Egli ha però rilevato, come Dühring, in modo disinvolto e secondo che le persone gli inspiravano simpatia o antipatia, falsava i fatti, e lo ha dimostrato con riportarne esempi manifesti.


Quando il veterano della democrazia sociale svizzera, Carlo Bürkli, disse che il libro di Engels era una “vera condanna„ di Dühring, questo non si riferisce neppure lontanamente a Dühring, come scrittore di storia.

Ma questa condanna era allo stesso tempo apologia. Apologia di una intiera serie di pensatori da Dühring male giudicati, nel campo della filosofia e in quello dell'economia e del socialismo. Riguardo a quest'ultimo segnatamente furono male giudicati i grandi utopisti, i veri precursori del moderno socialismo. In generale questi, come tutti i socialisti d'un tempo, dagli scrittori stessi di socialismo, furono sempre con poca equità messi in disparte, poiché a loro, come era d'uso nel campo dei socialisti, con poche frasi comuni, venivano riconosciute le buone intenzioni, per dopo, in tutto il resto, biasimarli con una specie di pseudocritica, basandosi su belli spiriti o su economisti borghesi.


Dühring, lungi dal far meglio, aveva solamente rafforzato questo cattivo costume, e quando egli accennò suo malgrado a quella parte che aveva dato il colpo mortale a tutto l'utopismo delle teorie socialistiche, rilevando in particolare le opere facenti epoca di Saint Simon, di Owen, di Fourier, ma mostrando ai socialisti della più giovane generazione, quanto essi dovessero ai sunnominati, non vi fu bisogno che da parte di un Marx e di un Engels venisse principalmente pagato allo stesso un tributo di riconoscenza.

I tre capitoli del lavoro di Engels, che trattano dello sviluppo del socialismo dall'utopia alla scienza, in connessione con lo sviluppo economico del secolo del capitalismo, per desiderio, come è noto, di amici, sono stati da Engels editi in un opuscolo separato, e lo scritto così originatosi ha avuto una diffusione, quale tutt'al più può averla avuta, fra gli scritti di propaganda socialistica il “Manifesto comunistico„. Non v'ha forse lingua europea, nella quale non sia stato tradotto, ed ultimamente ne è perfino comparsa una edizione in Armeno. Ma è inutile spendere parole sul valore propagandistico di questo scritto. Occorre invece notare che i democratici socialisti russi nel ristamparlo, l'hanno amplificato con il capitolo IΙ fino al IV dell'opera principale, nei quali Engels conduce ad absurdum la “teoria del potere„ di Dühring. Questa teoria che, come la maggior parte di quelle invenzioni dichiarate d Dühring il prodotto del suo spirito, non è che la formulazione di un antichissimo pensiero divenuto pregiudizio, l'idea cioè, che il potere o le relazioni politiche, siano “il fondamento spirituale„, e le dipendenze economiche, invece, siano solamente “effetto„, “un caso speciale„, fatti d'ordine secondario, regnò per un certo tempo in Russia nella testa di gente, che poco o nulla sapevano dello stesso Dühring, e servì anche là, come in altri paesi a generare molta confusione e malanni nei movimenti rivoluzionari. D'altra parte il materialismo storico di Marx venne costantemente male inteso, attribuendogli, anche qui in corrispondenza con Dühring, un senso di fatalismo troppo lontano dal vero. Per coloro che anche soltanto avevano letto il “Manifesto comunistico„ attentamente, ciò doveva propriamente essere impossibile. Ma il pregiudizio è così profondamente annidato e così premurosamente alimentato dalle parti interessate, che a malgrado di tutto trova sempre i suoi credenti.

La quistione della quale qui si tratta, non è una “quistione accademica„. Secondo i casi, il concetto del rapporto del potere o della politica cοll'ecοnοmia o collo sviluppo oggettivo della società conduce al giuoco della congiura, o conduce alla conquista dei pubblici poteri. Quindi i capitoli di Engels sulla teoria del potere hanno un valore affatto eccezionale per tutti coloro, i quali dal manifesto comunistico e dalle esposizioni più teoriche dei capitoli, con le quali lo scritto costituisce lo sviluppo del socialismo„ non hanno ancora acquistata la convinzione, che il potere sotto date condizioni, e comunque in determinate circostanze, può influire sullo sviluppo economico, in nessun modo però n'è il “fondamento storico„. La prova di ciò è nei fatti storici resa in modo affatto perentorio; anche i più coraggiosi oppositori della democrazia sociale non hanno potuto, ad esempio, ristarsi dall'ammirare con pieno compiacimento, la spiegazione data da Engels sulla dipendenza della tecnica della guerra, questo fattore notevole del potere politico, dallo sviluppo economico.

I capitoli appartengono alla parte brillante del libro, e sarebbe quasi a desiderarsi che anche nella edizione tedesca dell'opuscolo vi rimangano inclusi.

Anche altri capitoli potrebbero aspirare alla popolarità, ma contentiamoci che per la Germania rimangano quelli che ci sono.

Chi voglia studiare il socialismo nella sua connessione con i problemi di filosofia, di storia naturale, di economia, se leggerà il libro “Anti-Dühring„ non si troverà ingannato. In questo scritto di polemica egli, non solo troverà maggiore istruzione positiva che nei corpulenti trattati, ma studiandolo, si sentirà invulnerabile dal Dühring che, come socialista, si è da sé stesso annientato, e non potrà mai provare il desiderio di connettere i proprii sistemi della democrazia sociale con le invenzioni di quell'uomo.

In secondo luogo il capitolo appunto della “teoria del potere„ ha ricevuto in questi giorni una ragguardevole illustrazione. Engels dimostra, nel discorrere di questo argomento e di altri, la connessione che esiste tra lo sviluppo della tecnica della guerra per terra e per mare, e lo sviluppo economico, la dipendenza cioè del primo da quest'ultimo.

“La moderna nave da guerra„, egli scrive a proposito della battaglia navale, “non è semplicemente un prodotto, ma al tempo stesso un saggio della grande industria moderna, una fabbrica natante. Il paese, dove l'industria è maggiormente sviluppata, ha quasi il monopolio della costruzione di queste navi. Qui apparisce nel modo più evidente, come l'immediato potere politico, che secondo il signor Dühring, è la causa decisiva della condizione economica, è invece interamente soggiogato dalla condizione economica; come non solo l'avviamento, ma anche il trattamento dello strumento del potere per mare, della nave da guerra, è altresì divenuti un ramo della grande industria moderna. E che questo sia divenuto tale, non vi ha nessuno che lo senta come appunto il potere, lo Stato, il quale, alla pari del signor Dühring, prova molto disgusto, che oggi l'ingegnere abbia a bordo maggiore importanza dell'uomo dal “potere immediato„ del capitano. Il perfezionamento dell'ultimo prodotto della grande industria per le guerre navali, della torpediniera moventesi di per sé stessa, sembra debba realizzare ciò; la più piccola scialuppa torpedine starebbe al di sopra della più potente nave corazzata. Il potere politico in mare, che dipende dalle moderne navi da guerra, non apparisce come affatto “immediato„, ma dipende invece dall'intervento del potere economico, dall'alto perfezionamento della metallurgia, dal comando superiore dell'abile tecnico, e dall'abbondanza di cave carbonifere.„

“Frattanto, che risulta da tutto ciò? Nella prossima guerra di mare si affidi il comando supremo al sig. Dühring, ed egli senza torpedini e senza altre meraviglie di questo genere, ma semplicemente mediante il suo “potere immediato„, annienterà le corazzate asservite dalla posizione economica.„

Questo fu scritto nel 1877. Oggi noi assistiamo a questa guerra di mare fra le due potenze asiatiche, China e Giappone. La China vi rappresenta per vastità di territorio, il potere maggiore. Essa ha più denaro, più uomini e anche navi da guerra più notevoli del Giappone. Ma il Giappone l'avanza nell'industria. — Ε tosto che la battaglia navale s'ingaggia, da quale parte scende la bilancia della decisione? Da quella dell'industria più sviluppata. Ε questo non solo perché i Giapponesi hanno mostrato sicurezza e destrezza molto maggiori per mare, dei loro avversarii, e poterono colare a tondo una quantità di navi corazzate chinesi senza subire da parte loro alcuna perdita rilevante; ma inoltre anche per il fatto, venuto subito a conoscenza dei Chinesi, che i Giapponesi, a causa del loro progredito sviluppo industriale, dispongono di più grandi cantieri di marina, e sono più dei Chinesi in grado di riparare molto sollecitamente navi avariate. Anziché schiacciare il piccolo Giappone, l'assai più potente China è costretta a mantenersi sulla difensiva e per terra e per mare. Sembra che i poveri Chinesi, abbiano male digerito la dottrina di Dühring, che considera il potere come il “fondamento storico„.

Per ciò che concerne Dühring, egli stesso, negli scritti pubblicati dopo quelli di Engels, viene a rendergli piena ragione. Nella terza edizione della “Storia etc.„, non risponde allo scritto di Engels che con una farragine di insipide e insensate insolenze.

ΙΙI. Conclusione

Ed ora, per conclusione, riporto il contenuto principale della interessantissima prefazione di Engels alla seconda edizione dell'Anti-Dühring. Questa seconda edizione comparve pure sotto la legge socialistica, che non arrestava lo spaccio dell'opera, ma fu tuttavia cagione che la sua nuova ristampa non venisse altrimenti menzionata negli organi del partito.

Engels constatava prima di tutto la parte che l'allora defunto Marx ebbe nello scritto che ci sta dinanzi.

“Poiché gli apprezzamenti che vengono qui sviluppati„, egli scrisse, “sono stati per la massima parte stabiliti e svolti da Marx, e soltanto in piccola parte da me, così rimase inteso fra noi, che questa mia confutazione non sarebbe comparsa senza che egli ne avesse cognizione. Prima che venisse stampato, io gli lessi al alta voce l'intiero manoscritto, e il decimo capitolo della Sezione sulla economia ("Della storia critica„), fu scritto da Marx, e solamente, in causa di estranee considerazioni, dovette essere pur troppo da me un poco abbreviato. Fu sempre nostro---- costume di aiutarci a vicenda quando si imprendevano lavori speciali„.

Nella presente terza edizione, Engels, come egli avverte in una breve prefazione, ha incorporato una gran parte di quei punti del manoscritto di Marx antecedentemente tralasciati, precisamente cioè “quelle parti nelle quali la critica dei principii posti da Engels più si diffonde a combattere lo sviluppo dato alla storia della economia, e quelle che “costituiscono appunto la porzione del manoscritto, che è anche oggi della massima importanza„. Con questa la terza edizione conseguì naturalmente per gli studiosi di economia-politica un particolare valore.

Oltre di ciò nella terza, come nella seconda edizione, il secondo capitolo della terza Sezione, intitolato: “Teoria„, che trapiantato nello scritto “Lo sviluppo del socialismo„, è formato nel modo stesso, cioè popolarmente imbastito reintegrato, come in quella edizione.


Scrive Engels di essersi sentito autorizzato a questo cambiamento, perché il capitolo tratta solamente il pernio intorno a cui si aggirano le vedute da lui sostenute, non riferendosi affatto a Dühring. Nel resto però, fatta astrazione dalla mancanza di tempo, ha contro sua volontà resistito ad introdurvi dei cambiamenti.

“Lo scritto è una polemica, ed io penso che si debba al mio oppositore, se dal canto mio non ho corretto ciò che non può correggersi. Io non potevo pretendere se non di oppormi di nuovo alla replica del signor Dühring. Quanto però ha scritto il signor Dühring sull'attacco da me recatagli, non lo ho letto e non lo leggerò senza speciale motivo; per quanto riflette la parte teorica mi pare di averla con lui definita. Del resto di fronte a lui più che mai debbo rispettare le regole di galateo della lotta letteraria, poiché fino da allora l'Università di Berlino lo aveva ignominiosamente reso passivo di una ingiustizia. Certo l'Università ne ebbe a soffrire; una Università che toglie ad un Dühring il diritto della libertà d'insegnamento, non deve meravigliarsi se, in condizioni parimente note, è costretta ad accettare un signor Schwenninger (il medico di Bismarck).„

Da quanto è sopra esposto potrà lo stesso lettore giudicare, quanto Engels possa avere scapitato dall'ignorare la risposta di Dühring.

Scrive più oltre Engels che rispetto a due punti, avrebbe volentieri introdotto dei cambiamenti in senso opposto, Primieramente rispetto alla storia primitiva dell'uomo, cui offerse per primo la chiave Mοrgan nel 1877. Però, siccome questo soggetto fu trattato a parte nella “Origine della famiglia„, così basta accennare a questo lavoro posteriore. In secondo luogo Engels avrebbe volentieri corretto la parte che tratta della scienza teorica della natura.

“Oggi, egli dice, non poche cose possono esprimersi più chiaramente e con più precisione„.

Ε sebbene egli si fosse ripromesso di correggersi, si tenne nondimeno obbligato di criticare sé stesso nella prefazione. Questa critica di sé stesso che forma la conclusione della prefazione, è quella appunto che ci ha determinati a riprodurla in questo luogo. Essa segue quindi senza tagli. È superflua ogni parola per rilevare lo stimolo e l'istruzione che da essa derivano. Essa dice:

“Marx ed io siamo stati veramente i soli che dalla filosofia idealistica tedesca abbiano trasportato la consaputa dialettica nella comprensione materialistica della natura e della storia. Ma ad una comprensione dialettica ed al tempo stesso materialistica della natura appartiene la conoscenza della matematica e della scienza naturale. Marx fu un matematico profondo, ma le scienze naturali non poterono essere seguite da noi che parzialmente, saltuariamente, sporadicamente. Quando però con l'essermi ritirato dal commercio e col dimorare presso Londra ebbi il tempo di occuparmene, feci quanto era possibile per formarmi una completa “racimolazione„, come dice Liebig, di matematica e di scienza naturale, e vi destinai la parte migliore di otto anni. Io ero appunto nel bel mezzo di questo processo di assimilazione quando mi avvenne d'imbattermi con la così detta filosofia naturale di Dühring. Se talvolta dunque non trovo la giusta espressione tecnica e in generale mi muovo con qualche difficoltà nel campo della scienza naturale teorica, ciò è ben naturale. D'altra parte la coscienza della mia invincibile incertezza mi ha reso cauto; in realtà non mi si poterono dimostrare errori di fronte ai fatti allora noti, né una sbagliata esposizione delle teorie allora conosciute. Sotto questo rapporto soltanto un matematico non riconosciuto per una celebrità, poté per lettera lagnarsi di me con Marx che io ne abbia offeso l'onore.„

“In questa mia ricapitolazione della matematica e della storia naturale si tratta, è inutile dirlo, di persuadermi nelle parti singole di quanto in generale non poteva rimaner dubbio per me, e cioè che nella natura si fanno strada le medesime leggi di moto dialettico, le quali dominano nella storia dando ai fatti un'apparenza di accidentalità, e che nell'insieme degli innumerevoli cambiamenti sono in vigore le medesime leggi che nella storia e nello sviluppo del pensiero umano.„

“Queste leggi furono dapprima, ampiamente ma in forma mistica, sviluppate da Hegel, e fu nostra aspirazione di spogliare queste leggi della forma mistica, di presentarle nella integra loro semplicità e farle accessibili all'universale per la chiarezza dell'essenza loro. Si intende facilmente che l'antica filosofia della natura, — per quanto realmente contenga di buono e per quanto contenga germi fecondi, — non poteva bastarci. Come più particolarmente è dimostrato in questo scritto, faceva in quella filosofia difetto, segnatamente nella forma di Hegel, la cognizione dello sviluppo nel tempo, mancava la “successione dall'una cosa all'altra„, (evoluzione) si aveva soltanto la “contemporaneità„. Era da un lato nel sistema stesso di Hegel stabilito che soltanto allo “spirito„ spettava uno sviluppo storico progressivo; d'altro canto ciò dipendeva anche dallo stato in cui si trovava la scienza naturale d'allora. Così Hegel ritornava a questo proposito più indietro di Kant, la di cui teoria nebulosa aveva già proclamata l'origine e la scoperta dell'arresto della rotazione della Terra da parte delle onde del mare, e proclamata pure la scomparsa del sistema solare. Ε finalmente non si poteva per me trattare di introdurre le leggi della dialettica nella natura, ma di riconoscervele e di svilupparle„.

“Fare ciò nel tutto insieme e su ciascun singolo campo però lavoro gigantesco. Non solo è smisurato il campo da percorrere, ma la storia naturale stessa va soggetta a tale potente processo di rivoluzione, che anche chi disponesse di tutto il suo tempo per dedicarvisi, potrebbe a mala pena seguirlo. Dalla morte di Carlo Marx però il tempo per me disponibile venne occupato da stringenti doveri, e dovetti quindi interrompere il mio lavoro. Debbo quindi per il momento contentarmi dei cenni dati in questo scritto, ed aspettare, se si offrirà un momento opportuno, di raccogliere e pubblicare i risultati ottenuti, insieme ai manoscritti importantissimi lasciatici da Marx„.

“Forse il progredire della scienza teorica della natura rende il mio lavoro in gran parte totalmente inutile. Poiché la rivoluzione che si impone alla scienza teorica della natura, per la semplice necessità di ordinare le sole scoperte empiriche le quali vanno mano mano accumulandosi, è tale da persuadere i più ostinati empirici del carattere dialettico dei processi della natura. Le rigide antitesi antiche, le aspre, insuperabili linee di confine vanno di mano in mano a scomparire. Dacché avvenne la liquefazione anche dell'ultimo gas “genuino„, dacché si dimostrò che un corpo può essere trasformato in uno stato, nel quale non siano distinguibili forme di gocce e di gas, gli stati di aggregazione hanno perduto l'ultimo resto del loro primitivo carattere assoluto. Con la tesi della cinetica teoria dei gas, che nei gas perfetti, i quadrati della velocità, con la quale si muovono le singole molecole di gas, si mantengono per converso alla stessa temperatura, come il peso molecolare, anche il calore passa direttamente nella serie delle forme di movimento immediatamente misurabili come tali. Sebbene anche dieci anni fa fosse stata scoperta la legge fondamentale del movimento, e fosse concepita come semplice legge di mantenimento della energia, come pura espressione della indistruttibilità e perpetuità del moto, quindi dal lato puramente quantitativo, questa augusta negativa espressione viene sempre di più in più surrogata dalla positiva trasformazione della energia, nella quale soltanto il contenuto qualitativo del processo viene a conseguire il suo diritto, e nel quale viene estinto così l'ultimo ricordo di un creatore fuori del mondo. Che la quantità di moto (la così detta energia) non si cambia quando dalla energia cinetica (la così detta forza meccanica) si trasforma in elettricità, calore, energia potenziale di posizione e viceversa, non v'ha più d'uopo di annunziarlo come cosa nuova. Essa serve come principio fondamentale conquistato alla ricerca piena di contenuto del processo stesso di trasformazione, del gran processo fondamentale, nel di cui riconoscimento si comprende tutta quanto la conoscenza della natura.„

“E da quando la biologia viene trattata col lume della teoria delle evoluzioni, sul campo della natura organica si è risoluta una rigida linea di delimitazione della classificazione; e quasi inclassificabili anelli di congiunzione si moltiplicano tutti i giorni; la ricerca più minuta getta gli organismi da una classe in un'altra e gli indizii di distruzione diventati quasi articoli di fede, perdono il loro sicuro valore; poiché abbiamo ora mammiferi ovipari e se la notizia si confermerà, uccelli che camminano su quattro zampe. Già da parecchi anni si era trovato costretto Virchow, in seguito alla scoperta della cellula, a risolvere la unità dell'individuo animale più per la continuità, che con la scienza naturale e con la dialettica; così l'idea dell'unità animale (quindi anche del1'uomo), si è anche più sviluppata per la scoperta delle cellule sanguigne bianche serpeggianti nel corpo degli animali superiori con movimento ameboide. Sono però appunto le antitesi polari messe innanzi come inconciliabili e insolubili, le linee di confine e le differenze di classi forzatamente stabilite, che han dato carattere limitatamente metafisico alla moderna scienza naturale teorica. La conoscenza, che realmente si incontrano nella natura questi contrasti e queste differenze, ma solamente con un valore relativo, che invece quella loro rigidità ed importanza assoluta sono importate nella natura dalla nostra riflessione, — questa conoscenza forma il pernio della comprensione dialettica della natura. Si può ad essa pervenire, in quanto vi si è portati dai fatti accumulati della scienza naturale; più facilmente vi si giunge quando al carattere dialettico di questi fatti, si contrappone la coscienza della legge del pensiero dialettico.„

“Del resto la scienza della natura è ora così vasta, che più non si sottrae alla comprensione dialettica. Essa condurrà più facilmente a questo processo, quando non dimentichi che i risultati ai quali conducono le sue esperienze, sono idee; che però l'arte di operare con le idee non è innata e neppure offerta dalla coscienza giornaliera comune, ma realmente esige il pensiero, quel pensiero che ha in ogni caso una lunga storia sperimentale, né più né meno dell'esame sperimentale della natura. Appunto perché essa può appropriarsi i risultati della Evoluzione filosofica di due mila cinquecento anni, essa da una parte si emancipa da ogni singola filosofia, che sta sopra e al di fuori di essa, e dall'altra parte può superare il proprio limitato metodo speculativo, derivato dall'Empirismo inglese„.

E. Bernstein


Note

1. Storia critica dell'economia nazionale e del socialismo (2 edizione pag. 593).

2. Per questi pezzi di Marx e Εngels vedine la traduzione Italiana, a cura di E. Ciccotti, pubblicata a Roma dall'editore Mongini (presso l'Avanti).

.

Ultima modifica 2019.06.10