Scritto
nel novembre 1968
Pubblicato per la prima volta su Lotta Comunista, N°31-32
Trascritto per internet da Antonio Maggio,
febbraio 2002
L'accrescimento delle forze produttive ha posto alla borghesia il problema di trovare una politica adeguata a contenere le lotte di classe che tutta la società italiana esprime.
I gruppi del capitalismo statale e i gruppi del capitalismo monopolistico, cioè quei 5 o 6 gruppi che dirigono i rami fondamentali di un capitalismo altamente concentrato, hanno da tempo scelto una linea riformistica, una linea di tipo socialdemocratico. La gestione convulsa dell'attuazione di questa strategia capitalistica occupa gli anni che partono dal 1960 e, se ne dimostra tutte le difficoltà contingenti non ne invalida la possibilità di conclusione in un certo arco di tempo.
Intanto, un primo e grosso risultato la strategia riformistica del capitalismo lo ha ottenuto: è riuscita a superare una intensa fase di industrializzazione, in cui la classe operaia aumentava considerevolmente mantenendo bassi salari e limitando le lotte operaie, è riuscita a superare una crisi di «recessione» senza scatenare una reazione proletaria adeguata al potenziale di classe accumulato dallo sviluppo economico, è riuscita ad elevare fortemente la produttività del lavoro aumentando la produzione e diminuendo l'occupazione, è riuscita infine a collocare l'Italia nel campo della concorrenza mondiale tra le prime sette potenze imperialistiche. Senza la attuazione di una politica riformistica questo ultimo decennio, che ha rappresentato nella storia del capitalismo italiano e delle classi sociali in Italia un grosso salto, avrebbe provocato più profondi sommovimenti e ben più intensi scontri sociali. Il riformismo è, certamente, una pratica sociale ma è anche una ideologia con la quale la borghesia mantiene il suo dominio sulla classe operaia. E se nella pratica sociale il riformismo ha dimostrato tutti i suoi limiti, nella pratica ideologica con la quale la borghesia mantiene il suo dominio sulla classe operaia, invece, è andato avanti.
E' andato avanti perché ha perfezionato e raffinato i suoi strumenti, cioè i giornali, i gruppi, i sindacati, i partiti cosiddetti di «sinistra». Questi strumenti sono il centro della diffusione dell'ideologia riformista ed opportunistica nella classe operaia. E' la loro funzione organica perché senza questa funzione non potrebbero esistere. Nella strategia riformistica la funzione dei partiti di «sinistra» assolve un importantissimo ruolo perché senza l'adeguamento della lotta operaia dentro certi limiti verrebbero a saltare certi cardini nella prospettiva della sua realizzazione. Oggi, in Italia, i margini della pratica sociale riformista nei confronti della classe operaia sono piuttosto ristretti e lo dimostra la prima esperienza fallimentare basata sulla «socialdemocrazia ufficiale», cioè il PSI.
Ma intanto esiste una forte «socialdemocrazia di riserva» basata sull'apparato del PCI e sulla sua influenza elettorale, oltre che sul PSIUP e su una serie di frangie «massimalistiche» e di vario «dissenso» che si attestano sul fianco sinistro per coprirne il ruolo di «opposizione parlamentare» dentro il sistema. Lo scopo di una prassi riformistica, e la condizione della sua efficacia ai fini della stabilità del capitalismo, è sempre stato ed è quello della creazione, del mantenimento e dell'allargamento di uno strato di aristocrazia operaia, cioè di uno «strato superiore» di classe operaia che per le sue condizioni possa costituire la base più fedele delle organizzazioni opportunistiche. L'esperienza storica dimostra al capitalismo che questo strato di aristocrazia operaia riesce sempre a predominare (perché è più organizzato, perché ha una sua precisa ideologia, perché sa quello che vuole, perché deve conservare una posizione privilegiata) sui movimenti spontanei del più vasto proletariato.
Il maggio francese è l'ultima conferma di una lunga serie.
Oggi in Italia i margini della prassi riformistica sono ristretti anche perché ristretta è l'aristocrazia operaia. Ma questa esiste ed è destinata ad allargarsi con l'espansione dell'imperialismo italiano. La strategia riformista del capitalismo italiano si basa, appunto, su questa prospettiva, cosi come vi si basano i partiti opportunistiche sanno che, in questa direzione il tempo lavora in loro favore. Allargandosi i sovrapprofitti si potranno allargare gli strati operai coinvolti e corrotti in questa grossa operazione imperialistica e quindi, Si potranno allargare le basi organizzative della socialdemocrazia italiana che ha al suo centro il forte apparato burocratico, amministrativo e piccolo borghese del PCI.
Quali forme definitive assumerà la socialdemocrazia italiana è una questione secondaria: probabilmente si configurerà sulla base di un sindacato unico, che è quello che conta di più nella prassi riformistica, e in un raggruppamento politico, una specie di «partitone» federativo che permetta una specie di affiliazione o di collegamento a gruppi, riviste, circoli vari di «dissenso», di «antiburocrazia», di «spontaneità».
Secondaria è anche la questione di una partecipazione governativa della socialdemocrazia italiana cosi strutturata poiché di fatto sarebbe già governo all'opposizione e poiché sui problemi di fondo (crisi, guerre ecc.) assumerebbe la compartecipazione diretta.
Se questo è l'obbiettivo finale della strategia riformistica dell'imperialismo italiano, compito fondamentale del partito leninista è di combattere a fondo contro ogni possibilità che si realizzi. Il riformismo attraversa una fase in cui non ha ancora a disposizione tutti i mezzi per allargare la sua aristocrazia operaia. Perciò fronteggia le lotte di classe con una tattica di temporeggiamento, colpendole con estrema violenza nelle punte più avanzate.
Le future componenti del raggruppamento unificato socialdemocratico si suddividono i compiti in questa tattica dilazionatrice. L'ideologia riformista si apre come un ventaglio a tutti i toni massimalistici e spontaneistici e, in questo modo, punta all'assorbimento di una reale ondata spontanea operaia che sorge dai luoghi di produzione dove la produttività aumenta più dei salari e dove la compressione della condizione proletaria è un presupposto per il capitalismo stesso per entrare in forma concorrenziale sul mercato mondiale e portare avanti la sua strategia imperialistica. In questa fase di sviluppo dell'imperialismo italiano, in questa fase contradditoria che vede da un lato la possibilità futura di una prassi riformistica in Italia e dall'altro l'impossibilità immediata di una sua larga applicazione, occorre sviluppare il partito leninista. Il partito leninista deve essere sviluppato in questa fase transitoria dell'imperialismo italiano perché, una volta conclusa, il movimento opportunista, comunque organizzato, ne uscirà rafforzato e con forti radici socialimperialiste.
Occorre perciò che il partito leninista si sviluppi organizzativamente utilizzando tutti quei settori della lotta di classe che il nemico non riesce a contenere col suo riformismo ma che riesce a controllare perché rimangono ancora ad uno stadio di spontaneità. L'opportunismo ha dimostrato e dimostra di sapere controllare la spontaneità operaia e non solo di controllarla ma addirittura di utilizzarla ai suoi fini. Ancora una volta la concezione leninista del partito, il «Che fare», trova la sua conferma e la sua piena attualità. Più lo sviluppo imperialistico della società capitalistica pone i più complessi e i più ardui problemi alla lotta della classe operaia, più l'elaborazione teorica e politica del marxismo e del leninismo diventa uno strumento indispensabile.
Il «Che fare» non è la concezione del partito rivoluzionario di una situazione di arretratezza capitalistica ma è la scientifica anticipazione del ruolo del partito marxista nella fase dell'imperialismo maturo. I bolscevichi iniziarono ad applicare una serie di principi politico-organizzativi che solo nella più completa generalizzazione mondiale della lotta di classe trovano la più completa possibilità oggettiva di attuazione.
La storia dell'imperialismo, la storia di due guerre mondiali imperialiste, la storia dello sviluppo del capitalismo statale in Russia, la storia delle infinite edizioni dell'opportunismo che in mille modi è riuscito a mantenere il dominio sul movimento operaio, hanno dimostrato in maniera inconfutabile che senza la direzione leninista la stessa lotta operaia è utilizzata dalle altre classi, dalla piccola-borghesia, dal capitalismo, dalle varie potenze imperialistiche. L'unica garanzia dell'autonomia della classe operaia è la sua direzione leninista che non è né può essere, come sostengono i borghesi e i piccolo-borghesi che vogliono continuare a strumentalizzare il proletariato ai loro fini, un elemento estraneo alla classe ma la forma storicamente più avanzata della sua coscienza. Il partito leninista è la teoria rivoluzionaria più l'avanguardia degli operai coscienti degli interessi internazionali ed internazionalisti della loro classe. Partito rivoluzionario dall'alto o dal basso?
Questo è un falso quesito posto da intellettuali estranei al proletariato non tanto per l'estrazione sociale piccolo-borghese quanto per le teorie che sostengono. Cosa significa «alto»? Forse l'analisi fatta dal partito leninista, cioè da un organo collettivo che nella militanza e nella continuità storica ha assimilato gli strumenti d'indagine, sulla situazione mondiale della classe operaia, sui movimenti internazionali delle lotte di tutte le classi, sulla natura sociale di una serie di Stati, sulle tendenze dei vari gruppi imperialisti?
Nessuno riuscirà mai a dimostrare che questa analisi, questa esperienza internazionale, non deve essere portata dall'esterno alla classe operaia. Il proletariato, appunto perché è forza-lavoro impiegata in un determinato processo di produzione, è collocato in una determinata dimensione aziendale che la sua esperienza diretta non può superare. E' da questo processo di produzione, o dimensione aziendale, che sorge il contrasto insanabile di interessi tra proletariato e capitalismo; ma dallo stesso processo sorge pure il contrasto risolubile di interessi tra le varie frazioni capitalistiche e tra le varie aziende, sia a livello nazionale che a livello mondiale.
E più complesso diventa questo secondo tipo di contrasti più indispensabile diventa l'opera di diffusione della «coscienza», cioè della consapevolezza di una realtà mondiale, portata dall'esterno alla classe operaia. Ecco perché il «Che fare» è oggi più attuale che mai. Oggi le necessità indicate da Lenin di portare la «coscienza» dall'esterno sono moltiplicate per dieci, per cento, per mille, perché sono moltiplicate le pressioni dei vari interessi imperialistici per riuscire a utilizzare gli operai nelle loro lotte concorrenziali.
Solo quando la classe operaia riesce a raggiungere la coscienza internazionalista di essere classe internazionale è in grado di non farsi strumentalizzare dai vari capitalisti ed imperialisti, e dai loro vari «Stati guida» in concorrenza, ma di approfittare dei contrasti tra i predoni per abbatterli tutti assieme. Il compito di elevare la coscienza internazionalista del proletariato è il compito primario del partito leninista.
Collegandosi alle lotte economiche che sorgono dalla condizione proletaria nei luoghi della produzione, il partito leninista si sviluppa assolvendo il suo compito internazionalista. Il partito leninista è già nel suo programma leninista, è già nella organizzazione rivoluzionaria che lo porta avanti con coerenza e fermezza contro tutte quelle correnti che dicono di accettarlo ma che poi nella pratica lo rinnegano. Il partito leninista è nella sua strategia rivoluzionaria e in questa strategia deve svilupparsi organizzativamente. Applicare la teoria leninista del «Che fare» contro la strategia riformista dell'imperialismo italiano significa, in sostanza, sviluppare l'organizzazione degli operai rivoluzionari che portano avanti, in Italia, la strategia internazionale del proletariato.
Ultima modifica 26.2.2002