1 - La concentrazione del capitale
2 - La concentrazione del capitale
nell'analisi dl Marx
3 - La concentrazione nello stato capitalista collettivo
4 - Concentrazione e rotazione del
capitale
5 - Concentrazione e centralizzazione
del capitale
6 - Concentrazione e processo
complessivo della produzione capitalistica
7 - La concentrazione:
caratteristica fondamentale del capitalismo
8 - La concentrazione del capitale nell'analisi dl Lenin
LA CONCENTRAZIONE DEL CAPITALE
Lo sviluppo della concentrazione capitalistica pone una serie di problemi che
devono essere affrontati dal punto di vista della classe operaia e della sua
lotta. Vi è uno stretto rapporto tra sviluppo della concentrazione e sviluppo
della lotta di classe, poiché ad un determinato tipo di sviluppo capitalistico
corrisponde un determinato tipo di lotta di classe.
Da questa premessa ne deriva
che l'elaborazione della strategia rivoluzionaria del proletariato richiede
un'analisi sui caratteri salienti di un aspetto così importante delle tendenze
di sviluppo del capitalismo quale è la concentrazione del capitale. Le tendenze
di sviluppo si basano in gran parte sui tassi di crescita o di ristagno, cioè
si basano sui ritmi generali, parziali o differenziati che riguardano il
capitale sociale totale su scala mondiale o su scala nazionale e il capitale
sociale per settore. Lo sviluppo o il ritmo della concentrazione è una
componente non solo quantitativa ma soprattutto qualitativa del tasso di
sviluppo del capitale sociale su scala mondiale, nazionale e di settore. Esso
ci indica il tipo di sviluppo capitalistico che dobbiamo analizzare per poter
tracciare le prospettive della lotta di classe e della rivoluzione socialista.
Questi fenomeni sociali e
politici sono interdipendenti. Ovviamente il grado di concentrazione è solo un
aspetto ma come abbiamo detto pone parecchi problemi all'elaborazione della
strategia rivoluzionaria, anche se vogliamo concretizzare questa strategia in
un obiettivo europeo.
Compito del partito leninista
è quello di tracciare le linee strategiche della lotta proletaria in una
visione internazionale ed è quello di porre degli obiettivi strategici allo
sbocco politico della lotta della classe operaia. L'obiettivo strategico che ci
riguarda direttamente è la via della rivoluzione socialista in Europa, via
nella quale confluisce la lotta per la rivoluzione proletaria in Italia.
Se non si definisce questo
obiettivo strategico non ha senso parlare di rivoluzione o di lotta per il
potere. Quale rivoluzione, quale potere? L'aggettivo «socialista» ed «operaio»
non è scientificamente una risposta, se non si specifica il corso, le
caratteristiche, le tendenze di sviluppo delle forze sociali che sono oggetto e
soggetto della rivoluzione, cioè del processo in cui le forze sociali portano
la loro lotta alla tensione estrema, alle estreme conseguenze, al punto massimo
del potere.
Ora, specificare il corso, le
caratteristiche, le tendenze di sviluppo del proletariato, della sua lotta e
della sua tensione estrema è impossibile senza l'analisi dello sviluppo
capitalistico.
Sapremo trovare i caratteri
specifici della lotta operaia solo quando avremo riconosciuto i caratteri
specifici del capitalismo contro il quale la lotta di classe è diretta.
Per conoscere il grado di
concentrazione della classe operaia dobbiamo conoscere il grado di
concentrazione del capitalismo; per conoscere a quale ritmo avviene ed avverrà
la concentrazione della classe operaia dobbiamo conoscere a quale ritmo procede
e procederà la concentrazione del capitalismo. Non è un problema statistico, è
un problema politico o, per meglio dire, è un problema statistico che si
traduce immediatamente in problema politico. Altrimenti di quale capitalismo
stiamo parlando e di quale proletariato?
Dobbiamo combattere ed
abbattere un ben determinato capitalismo con una ben determinata classe
operaia: la conoscenza specifica delle forze in campo è l'abc della strategia.
Così va detto della conoscenza specifica del campo di battaglia e della posta
in gioco.
Non possiamo distruggere il «
potere » capitalista se non sappiamo come e in che modo è «concentrato». Ecco
perché il problema statistico si traduce immediatamente in problema politico.
Non è il solo.
Sarà la stessa analisi e
dimostrarlo.
LA CONCENTRAZIONE DEL CAPITALE
NELL'ANALISI Dl MARX
La concentrazione «non è che una espressione diversa per
indicare la riproduzione su scala allargata»: così Marx la definisce nel
capitolo 23 del Libro Primo de «Il Capitale».
In altri termini, la
concentrazione è lo sviluppo dei rapporti di produzione capitalistici.
Marx analizza il processo di
produzione del capitale ed espone la teoria della concentrazione nella
descrizione del processo di accumulazione del capitale. Un aspetto della legge
generale dell'accumulazione capitalistica è appunto, la concentrazione del
capitale. Possiamo vederlo chiaramente se seguiamo Marx quando spiega il mutamento
della composizione organica del capitale o come precisa Marx titolando il
paragrafo, «Diminuzione relativa della parte variabile del capitale durante il
processo dell'accumulazione e della concentrazione ad essa concomitante».
Accumulazione e concentrazione
sono, quindi, due espressioni diverse di uno stesso processo.
Marx ne spiega il meccanismo
con la produttività del lavoro sociale: «...lo sviluppo della produttività del
lavoro sociale diventa la leva più potente dell'accumulazione... il grado
sociale di produttività del lavoro si esprime nel volume della grandezza
relativa dei mezzi di produzione che un operaio trasforma in un prodotto
durante un dato tempo, e con la medesima tensione della forza lavoro». (
Il
Capitale, Libro I, sezione 7, capitolo 23, 2).
Lo sviluppo della
produttività del lavoro sociale è, quindi, alla base del processo di
accumulazione-concentrazione. Questo processo determina una diminuzione
relativa della parte variabile del capitale, ossia un mutamento della
composizione organica del capitale. Marx precisa: «Che sia condizione o che sia
conseguenza, la crescente grandezza di volume dei mezzi di produzione
paragonata alla forza-lavoro ad essi incorporata esprime la crescente
produttività del lavoro. L'aumento di quest'ultima si manifesta dunque nella
diminuzione della massa di lavoro paragonata alla massa dei mezzi di produzione
da essa messa in movimento», (
Capitale, I, 7, 23, 2).
Marx precisa perché in
questo processo interviene un altro fenomeno a determinare la composizione
organica del capitale: la centralizzazione del capitale, la quale va distinta
dalla concentrazione. Anzi possiamo dire che è la dialettica
centralizzazione concentrazione a
determinare quella tendenza storica del capitalismo che usualmente definiamo
concentrazione. Per cogliere questa dialettica conviene seguire Marx.
«Non si tratta più di una
concentrazione semplice dei mezzi di produzione e del comando sul lavoro
identica con l'accumulazione. Si tratta di concentrazione di capitali già
formati. Il capitale qui in una mano sola si gonfia da diventare una grande
massa perché là in molte mani va perduto. E' questa la centralizzazione vera e
propria a differenza dell'accumulazione e concentrazione (...).
Ma anche se l'estensione
relativa e l'energia del movimento centralizzatore sono determinati in un certo
grado dalla grandezza già raggiunta della ricchezza capitalistica e dalla
superiorità del meccanismo economico, ciò malgrado il progresso della
centralizzazione non dipende affatto dall'aumento positivo della grandezza del
capitale sociale. Ed è questo specificamente che distingue la centralizzazione
dalla concentrazione, la quale non è che una espressione diversa per indicare
la riproduzione su scala allargata.
La centralizzazione può
avvenire in virtù di un semplice cambiamento nella distribuzione di capitali
già esistenti, cioè di un semplice muta.
L'esempio è fornito nello
stesso capitolo: «Ma è chiaro che l'accumulazione... è un procedimento
lentissimo a paragone della centralizzazione...
Il mondo sarebbe tuttora
privo di ferrovie, se avesse dovuto aspettare che l'accumulazione avesse messo
in grado alcuni capitali individuali di poter affrontare la costruzione di una
ferrovia. La centralizzazione, invece, è riuscita a farlo d'un tratto, mediante
la società per azioni».
Dallo sviluppo della
produttività del lavoro sociale alla società per azioni: ecco il corso della
legge della concentrazione nel processo di produzione del capitale. Con lo
sviluppo della centralizzazione del capitale abbiamo già la concentrazione
monopolistica.
Ma prima di arrivare a
questa, dobbiamo vedere come opera la legge della concentrazione nel processo
di circolazione del capitale e nel processo complessivo della produzione
capitalistica.
LA CONCENTRAZIONE NELLO
STATO CAPITALISTA COLLETTIVO
La concentrazione del capitale permette l'esecuzione di
opere dal lungo periodo di lavoro e su grande scala. La tendenza storica
dell'accumulazione capitalistica opera come espropriazione della proprietà
privata del lavoratore sui suoi mezzi di produzione. Questa proprietà privata,
che vede il contadino «libero proprietario del campo» e l'artigiano libero
proprietario «dello strumento», «è il fondamento della piccola azienda». Ma:
«Questo modo di produzione presuppone uno sminuzzamento del suolo e degli altri
mezzi di produzione ed esclude, oltre alla concentrazione dei mezzi di
produzione, anche la cooperazione...».
Senza il superamento di
questo modo di produzione, senza il superamento della proprietà privata dei
mezzi di produzione, non è possibile lo sviluppo del capitale che viene a
configurarsi non più come capitale privato ma come capitale sociale. Perciò,
già all'inizio: «...l'accumulazione originaria del capitale significa soltanto
l'espropriazione dei produttori immediati, cioè la dissoluzione della proprietà
privata fondata sul lavoro personale...» (
Il Capitale, I, 7, Capitolo 24
«
La cosiddetta accumulazione originaria»).
Dissoluzione della
proprietà privata del lavoratore sui mezzi di produzione e concentrazione del
capitale sono due aspetti concomitanti dello stesso processo di produzione del
capitale. Questa legge operante dalla genesi del capitalismo avrà conseguenze
storiche importanti sul piano dei rapporti sociali e lo dimostrerà Engels nell'
Antidhüring ipotizzando lo
Stato come capitalista collettivo ideale, cioè delineando il corso storico
della tendenza alla concentrazione in un'unica organizzazione capitalistica
concentrata, il capitalismo di Stato.
Scrive Engels, ponendo già
le basi storiche dell'elaborazione leninista dell'imperialismo: «In un modo o
nell'altro, con trust o senza trust, una cosa è certa: che il rappresentante
ufficiale della società capitalistica. Lo Stato deve alla fine assumerne la
direzione.
Ma né la trasformazione in
società anonime, né la trasformazione in proprietà statale, sopprime il
carattere di capitale delle forze produttive. Nelle società anonime questo
carattere è evidente. E a sua volta lo Stato moderno è l'organizzazione che la
società capitalistica si dà per mantenere il modo di produzione capitalistico
di fronte agli attacchi sia degli operai che dei singoli capitalisti.
Lo Stato moderno, qualunque
ne sia la forma è una macchina essenzialmente capitalistica, uno Stato dei
capitalisti, il capitalista collettivo ideale.
Quanto più si appropria le
forze produttive, tanto più diventa un capitalista collettivo, tanto maggiore e
il numero dei cittadini che esso sfrutta.
Gli operai rimangono dei
salariati, dei proletari. Il rapporto capitalistico non viene soppresso viene
invece spinto al suo apice.
Ma giunto all'apice si
rovescia. La proprietà statale delle forze produttive non è la soluzione del
conflitto, ma racchiude in sé il mezzo formale, la chiave della soluzione».
Il capitalismo di Stato lo
Stato come capitalista collettivo ideale, la trasformazione in proprietà
statale rappresenta la conclusione del lungo processo della dissoluzione della
proprietà privata che, come abbiamo visto, è contemporaneamente processo di
concentrazione.
Sotto questo aspetto il «capitalista
collettivo ideale» e il punto di approdo della legge della concentrazione. Il
capitalismo di Stato è l'ultimo stadio della concentrazione.
L'ipotesi di Engels deve,
però, essere vista come una tendenza storica, una tendenza su cui agiscono molti
altri fattori in funzione contrarrestante, come del resto avviene per la
tendenza alla caduta del saggio del profitto.
Crisi parziali e generali
della produzione capitalistica, lotte di classi, conflitti imperialistici
intervengono sia ad accelerare che ad arrestare la tendenza dell'ultimo stadio
della concentrazione la tendenza al capitalismo di Stato. Inoltre, esiste e
sussiste un ineguale sviluppo della concentrazione nei vari settori. Anche in
quei paesi dove più esteso è il capitalismo di Stato esistono ancora larghi
settori che non sono concentrati nello Stato e che non hanno una proprietà
statale dei mezzi di produzione. Tipico esempio è l'URSS. Per cui si può dire
che lo Stato come «capitalista collettivo ideale» lo possiamo trovare, oggi, in
singoli settori ma non ancora su scala nazionale. D'altra parte, la classe
operaia non può e non deve attendere, nelle tempeste delle crisi e delle guerre
imperialistiche, che si compia il destino della concentrazione nel capitalismo
di Stato.
Essa può e deve abbattere il
modo di produzione capitalistico prima che questi abbia dispiegato tutte le sue
potenzialità tendenziali, poiché la concentrazione ed il capitalismo di Stato
della nostra epoca non rappresentano alcunché di progressista ma solo il
parassitismo, l'imputridimento, la violenza imperialista. Il fatto che il
processo di concentrazione nel capitalismo di Stato non abbia raggiunto la
massima compiutezza non significa che concentrazione e capitalismo di Stato
possono essere trattati separatamente. Per la teoria marxista concentrazione e
capitalismo di Stato sono aspetti interdipendenti di uno stesso processo, di
una stessa tendenza. Non si può parlare di concentrazione senza parlare di
capitalismo di Stato.
Solo gli apologeti del
capitalismo cercano di farlo. Inutilmente perché il processo di concentrazione
che essi cercano di descrivere risulta essere un fenomeno incomprensibile,
composto da un insieme disparato di aspetti senza successione, senza
interdipendenze, senza un collegamento dialettico.
Invece di un'analisi
scientifica abbiamo una sociologia soggettiva.
Tipici esempi di questo
metodo idealistico risultano essere le trattazioni sulla concentrazione di
Mandel e di Baran-Sweezy, cioè di classici esponenti delle varianti
«trotzkista» e «maoista» del capitalismo di Stato.
Ma come avevamo detto
all'inizio, lo sviluppo della concentrazione pone una serie di problemi
politici alla strategia rivoluzionaria del proletariato. La concentrazione nel
capitalismo di Stato è uno di questi ed è il più importante. Una corretta
analisi marxista della concentrazione diventa una corretta posizione politica
di classe contro il capitalismo di Stato. E la giusta posizione strategica crea
immediatamente una netta demarcazione da quelle posizioni le quali, rifiutando
di fatto l'analisi marxista sulla proprietà privata rifiutano la teoria
marxista del capitalismo di Stato e si ergono in difesa dei sistemi
capitalistico statali che presentano come sistemi socialisti più o meno
degenerati.
Non è quindi un caso che
Baran-Sweezy introducano il «surplus» nel processo genetico del capitalismo,
alla fonte dell'accumulazione originaria del capitale. La concentrazione viene,
nella loro teoria, ad essere un risultato del surplus. La loro teoria della
concentrazione è la teoria della concentrazione dal punto di vista del
capitalismo di Stato. In questa loro ideologia del capitalismo di Stato il
processo storico della dissoluzione della proprietà privata dei mezzi di
produzione che accompagna tutti gli stadi di sviluppo del capitalismo, dallo
stadio genetico alla centralizzazione dei capitali privati, dalle società per
azioni ai monopoli e al capitalismo di Stato, viene messo completamente in
secondo ordine, quando non viene travisato o taciuto.
Vedremo in seguito questa
teoria capitalistico statale della concentrazione. Cerchiamo, adesso, di vedere
il ruolo della concentrazione nella rotazione del capitale.
CONCENTRAZIONE E ROTAZIONE DEL
CAPITALE
«L'esecuzione di opere dal periodo di lavoro
considerevolmente lungo e su grande scala, spetta completamente alla produzione
capitalista solo se la concentrazione del capitale è già molto notevole, e se,
d'altra parte, lo sviluppo del sistema creditizio offre al capitalista il
comodo espediente di anticipare e perciò anche di rischiare capitale estraneo
anziché il proprio.
Tuttavia è di per sé evidente
che il fatto che il capitale anticipato alla produzione appartenga o no a colui
che lo impiega non ha alcuna influenza sulla velocità di rotazione e sul tempo
di rotazione». (
Il Capitale, II, Seconda Sezione «
La rotazione del
capitale» capitolo 12 «
Il periodo di lavoro»).
In questo caso Marx si
riferisce particolarmente allo imprenditore edile, figura tipica di
imprenditore capitalista senza capitale. Ma il discorso vale per ogni tipo di
imprenditore capitalista. Spiega infatti Marx che il sistema creditizio
anticipa il capitale alla produzione e questo è possibile, su grande scala,
solo ad un certo grado di concentrazione del capitale ed ad un certo grado di
centralizzazione del capitale, centralizzazione che è molto più rapida della
concentrazione dei mezzi di produzione. La centralizzazione del capitale si
manifesta nello sviluppo del sistema creditizio. Il credito quindi anticipa il
capitale alla produzione e nella misura in cui il saggio del profitto sul
capitale impiegato nella produzione cala in conseguenza dell'aumento del
capitale costante rispetto al capitale variabile, il credito svolge il ruolo di
acceleratore della rotazione del capitale e di acceleratore della
concentrazione stessa.
In sostanza, la
centralizzazione del capitale tramite il sistema creditizio anticipa il
processo di produzione del capitale anticipa la riproduzione allargata del
capitale e quindi, la concentrazione del capitale e, in particolare, della
parte fissa del capitale, dei mezzi di produzione.
Seguendo questo schema di
Marx, possiamo concepire che ad una fase di sviluppo capitalistico, quella del
capitalismo finanziario e dell'imperialismo, il processo di concentrazione si
realizzi compiutamente nella centralizzazione del capitale e nel credito prima
ancora che nella concentrazione dei mezzi di produzione. Avremo quindi
l'impresa capitalistica senza capitale e tutto il capitale anticipato dal
credito. In questo caso il grado di concentrazione dei mezzi di produzione di ogni
singola impresa non solo è inferiore al grado di centralizzazione del capitale
finanziario o di credito come è naturale, ma si può avere il massimo di
centralizzazione del capitale finanziario o di credito (un unico centro
finanziario-creditizio, un'unica banca) ed il minimo di concentrazione di
imprese. Una banca e milioni di imprese, ad esempio.
Non è il caso della sola
agricoltura: può essere anche il caso dell'industria. Il capitalismo di Stato e
per alcuni aspetti il capitalismo di Stato in URSS ci fornisce un esempio di un
tale sviluppo della concentrazione. Il capitale da anticipare è concentrato in
un unico centro creditizio statale e l'impresa opera senza suo capitale e con
il capitale anticipato dal credito statale. Siccome tutto il capitale viene
anticipato, anche la parte fissa del capitale, i mezzi di produzione,
anticipata e riprodotta in forma allargata appartiene al credito statale cioè
allo Stato. Tutto il plusvalore appartiene pure al credito statale cioè allo
Stato e costituisce un capitale addizionale da anticipare per un nuovo ciclo di
produzione di capitale.
Questo schema di impresa
senza capitale è perfettamente coerente e ha trovato riscontro, come abbiamo
detto, in certe forme del capitalismo di Stato russo. Per molti aspetti ci aiuta
a comprendere pure certi bassi gradi di concentrazione di certe imprese in
alcuni settori russi.
Ma in generale e sempre in
riferimento all'esempio russo, un problema importante sorge
dall'interpretazione dello schema ed è quello riguardante il tempo di rotazione
del capitale. Dice Marx:
«In quanto il credito media,
accelera e aumenta la concentrazione in una sola mano, esso contribuisce ad
abbreviare il periodo di lavoro e quindi il tempo di rotazione». (
Il
Capitale, II, 2, 12).
Se il credito aumenta la
concentrazione sarà, infine, questa a determinare l'aumento della produttività
del lavoro e, in definitiva, ad aumentare la massa del profitto che affluisce,
come abbiamo visto nello schema di una impresa senza capitale, tutto al
credito. Affinché l'aumento della produttività del lavoro sia tale, da un lato
da compensare la caduta del saggio del profitto e dall'altro da accelerare la
rotazione del capitale anticipato dal credito, occorre che la concentrazione
dei mezzi di produzione della impresa aumenti in modo parallelo. Altrimenti sì
che la composizione organica del capitale rimarrà bassa e tale da frenare la
caduta del saggio del profitto, ma contemporaneamente rimarrà bassa la
produttività del lavoro e la rotazione del capitale.
La massima centralizzazione
del capitale non assicurerà di per se il massimo di rotazione del capitale. Il
credito riverserà il capitale anticipato ad una massa di imprese a bassa
concentrazione. Si verificherà uno scarto notevole tra la centralizzazione del
capitale e la concentrazione nell'impresa, anche se la tendenza sarà sempre
all'aumento della concentrazione dei mezzi di produzione nell'impresa. Lo
scarto che si ripercuoterà nei ritmi della rotazione del capitale, sarà quindi
tra il ritmo della centralizzazione del capitale ed il ritmo di concentrazione
delle imprese.
Abbiamo cosi una particolare
crisi del capitalismo di Stato. L'esperienza russa dimostra come il capitalismo
di Stato si dibatta in contraddizioni che vedono, da un lato proprietà statale
di mezzi di produzione per alcuni settori e centralizzazione finanziaria nella
Banca Statale e dall'altro bassa concentrazione aziendale e bassa produttività
del lavoro. La cosiddetta riforma economica ed il ruolo dell'azienda sono al
centro delle attuali contraddizioni. Ovviamente questi sono solo alcuni aspetti
della concentrazione nel capitalismo di Stato, aspetti che dimostrano che anche
giunto alla massima centralizzazione statale il capitalismo non riesce a
superare le sue contraddizioni, anzi le aggrava.
Naturalmente, il capitalismo
di Stato e caratterizzato da molti altri aspetti ma a noi interessa rilevarne
solo quelli connessi alla concentrazione, sulla falsariga della ipotesi
formulata da Engels.
CONCENTRAZIONE E CENTRALIZZAZIONE DEL
CAPITALE
Del resto, già Marx, trattando il tempo di circolazione
nella rotazione del capitale sottolinea che la concentrazione dei capitali
viene favorita dallo sviluppo dei mezzi di trasporto:
«D'altro lato, all'inverso,
questa particolare facilità di traffico e la rotazione del capitale così
accelerata (in quanto essa viene condizionata dal tempo di circolazione) opera
una accelerata concentrazione del centro di produzione da un lato, del suo
mercato, dell'altro...Con la concentrazione cosi accelerata di masse di uomini
e di capitale in punti dati, progredisce la concentrazione di queste masse di
capitale in poche mani». (
Il Capitale, II, 2, 14).
Quando si analizza il
processo di concentrazione e ci si pone il problema di valutare il grado di
concentrazione non bisogna dimenticare questo aspetto. L'analisi della
centralizzazione del capitale non e sufficiente a comprendere tutto il processo
della concentrazione e, quindi, di tutti i fattori che la accelerano, quali ad
esempio lo sviluppo dei mezzi di trasporto, della concentrazione dei centri di
produzione e del mercato, come ricorda
La centralizzazione del
capitale, già permessa dall'aumento della produttività del lavoro, mette in
moto un processo che poggia su leggi oggettive ma che si sviluppa
dialetticamente in una reciproca influenza di vari fattori. Il grado di
concentrazione sarà poi il risultato mai statico e sempre dinamico, dell'azione
combinata di tutti i fattori. Ciò spiega perché i gradi di concentrazione siano
estremamente variabili in ogni paese e su scala mondiale e come l'ineguale
sviluppo del capitalismo si manifesti anche attraverso la variabilità dei gradi
di concentrazione. La concentrazione è l'aspetto dello sviluppo capitalistico,
un aspetto che noi astraiamo applicando determinati criteri scientifici e solo
sulla base di questi criteri possiamo stabilire una coerente comparazione tra
aziende, tra settori, tra economie di vari paesi. Ma quando dalla comparazione
passiamo all'analisi di tutto il processo dobbiamo tener conto di tutti i
fattori e tener presente che la loro azione dialettica determina in definitiva
una situazione data.
Polemizzando nel 1895 con
Struve, Lenin traccia una chiara distinzione tra oggettivismo e materialismo:
«L'oggettivismo parla della
necessita di un determinato processo storico: il materialismo costata con
precisione che esistono una determinata formazione economico sociale e i
rapporti antagonistici che essa genera.
L'oggettivista, volendo
dimostrare la necessita di una determinata successione di fatti, rischia sempre
di cadere sul terreno dell'apologeta di questi fatti - il materialista mette in
luce gli antagonismi di classe e in questo modo definisce la sua concezione.
L'oggettivista parla di
"irresistibili tendenze storiche"; il materialista parla della classe
che "gestisce" un determinato ordinamento economico, creando certe
forme di resistenza da parte di altre classi In questo modo il materialista, da
un lato e più coerente dell'oggettivista e applica il suo oggettivismo in modo
più approfondito e completo.
Egli non si limita a indicare
la necessità del processo, ma chiarisce con precisione quale formazione
economico-sociale dà il contenuto a
questo processo, quale classe
precisamente determina questa necessità.
In questo caso, per esempio,
il materialista non si sarebbe accontentato di costatare le "irresistibili
tendenze storiche", ma avrebbe indicato l'esistenza di date classi, che
determinano il contenuto degli ordinamenti esistenti ed escludono la
possibilità di una via d'uscita al di fuori dell'azione dei produttori stessi.
D'altro lato, il materialismo
racchiude in se, per così dire, la partiticità, imponendo, nella valutazione di
ogni avvenimento, l'accettazione diretta e aperta del punto di vista di un
determinato gruppo sociale».
(Lenin -
Il contenuto
economico del populismo e la sua critica nel libro del signor Struve -
Opere Complete, I).
L'oggettivista odierno e
colui che dimostra la necessità della concentrazione del capitale, il
materialista e il leninista rivoluzionario che chiarisce con precisione quale
classe de termina questa necessita e la valuta dal punto di vista del
proletariato.
CONCENTRAZIONE E PROCESSO COMPLESSIVO
DELLA PRODUZIONE
CAPITALISTICA
Per riuscire a comprendere tutto il processo di
concentrazione nelle leggi che lo regolano dobbiamo vedere due altri aspetti trattati
da Marx. Il primo riguarda l'accumulazione e la riproduzione allargata vista
questa volta, a differenza della prima, non nel processo di produzione ma nel
processo di circolazione del capitale. Nella Terza Sezione del Libro Secondo,
Marx tratta la riproduzione e In circolazione del ca. pitale complessivo
sociale: quindi si pone il problema di analizzare la accumulazione
capitalistica nella Sezione I, cioè nella sezione che produce i mezzi di
produzione. Come avviene la concentrazione del capitale in questa sezione? Lo
abbiamo già visto nel Libro Primo quando Marx dice che la concentrazione non e
altro che un'espressione diversa della riproduzione allargata. Ma come il
capitale prodotto dalla riproduzione allargata possa concentrarsi lo possiamo
vedere solo seguendo il processo di circolazione del capitale complessivo
sociale. Sara, quindi, compito del sistema creditizio quello di concentrare
tutto il «capitale passivo», farlo circolare ed immetterlo nel
processo di produzione.
«Si comprende quale sia il
piacere se all'interno del sistema creditizio tutti questi capitali potenziali
in conseguenza della loro concentrazione nelle mani di banche ecc. diventano
capitale disponibile, lo enable capital (capitale che si può prestare),
capitale monetario, e precisamente non più capitale passivo...» (Il Capitale,
II, 3, 21).
L'altro aspetto trattato da
Marx riguarda il processo complessivo della produzione capitalistica. Nel Libro
Terzo, la concentrazione viene vista non più nella produzione e nella
circolazione del capitale ma nel processo complessivo e nel ruolo che svolge
nella trasformazione del plusvalore in profitto e nella trasformazione del
saggio del plusvalore in saggio del profitto.
Marx vede come la
concentrazione dei mezzi di produzione e la concentrazione degli operai
intervenga nella economia fatta nell'impiego del capitale costante:
«In una grande fabbrica con
uno o due motori centrali le spese relative a questi ultimi non crescono nella
stessa proporzione della rispettiva sfera d'azione... La concentrazione dei
mezzi di produzione apporta inoltre un risparmio di costruzione d'ogni genere,
non soltanto quanto ai veri e propri stabilimenti, ma anche per i locali di
deposito eccetera.
Tutta questa economia, che
deriva dalla concentrazione dei mezzi di produzione e dalla loro utilizzazione
in massa, presuppone pero come condizione essenziale l'agglomeramento e
l'azione degli operai, vale a dire la combinazione sociale del lavoro. Essa
trae origine quindi dal carattere sociale del lavoro allo stesso modo che il
plusvalore proviene dal pluslavoro di ogni singolo operaio considerato
isolatamente». (Il Capitale, III, 1, 5).
Sostiene inoltre Marx che vi è economia
nell'impiego del capitale costante oltre che per le
suindicate condizioni nella singola azienda anche per lo sviluppo della
produttività del lavoro in un settore della produzione che «si presenta come la
condizione determinante della diminuzione del valore, e quindi del costo, dei
mezzi di produzione in altri rami di attività».
L'economia nell'impiego del
capitale costante e derivata, quindi, dal fatto «che il rialzo del saggio del
profitto in un ramo d'industria e il risultato dello sviluppo della
produttività del lavoro in un altro ramo».
Marx fa l'esempio dello
sviluppo della produttività del lavoro nella produzione del ferro che ha
diminuito il costo dei mezzi di produzione per l'industria tessile, permettendo
perciò a questa di rialzare il saggio del profitto.
E' un fenomeno inverso a
quello preteso da certi teorici «antimonopolistici», da Stalin con la sua
teoria del «massimo profitto monopolistico» a Baran-Sweezy con la loro teoria
del monopolio.
L'esempio portato da Marx può
essere esteso anche nell'attuale situazione di concentrazione monopolistica.
Per l'Italia basta pensare alla lavorazione del ferro (siderurgia) e industria
automobilistica (FIAT): lo sviluppo della produttività del lavoro nella
siderurgia (tale da pareggiare la produttività siderurgica statunitense) ha
diminuito il costo dei mezzi di produzione nell'industria automobilistica.
La concentrazione
monopolistica non si caratterizza certamente per gli aspetti di «monopolio
tecnico», «profitto massimo» e «prezzi di monopolio» sottolineati dagli «anti
monopolisti», sempre alla ricerca di una industria «non monopolistica» da
difendere o di una bandiera da rialzare per salvare una nazione dal «monopolio
straniero». « »
Coerentemente alla teoria
marxista sulla concentrazione monopolistica, Lenin negherà che il monopolio
provochi la stagnazione economica e tecnologica e dirà invece: «La concorrenza
si trasforma in monopolio. Ne risulta un immenso processo di socializzazione
della produzione. In particolare si socializza il processo dei miglioramenti e
delle invenzioni tecniche».
LA CONCENTRAZIONE: CARATTERISTICA
FONDAMENTALE DEL CAPITALISMO
Lo sviluppo della produttività del lavoro in un altro ramo
d'industria e un risultato indiretto. Si ha direttamente una economia di
capitale costante «grazie alla concentrazione degli operai e alla loro cooperazione su
vasta scala...», poiché macchine, installazioni ed edifici costano proporzionalmente meno per i grandi che non per i piccoli
complessi di produzione». Cioè si ottiene maggiore
plusvalore «... nella maniera più economica possibile... con i più bassi costi
possibili». (Il Capitale, III I, 5). L'economia di capitale
costante che si verifica con la concentrazione degli operai agisce come causa
contrarrestante alla caduta tendenziale del saggio del profitto. Ma essa non e
che un aspetto del processo di concentrazione del capitale e, quindi, della
generale tendenza all'aumento relativo della parte costante nella composizione
del capitale e della caduta del saggio del profitto. Nella Terza Sezione del Libro
Terzo Marx analizza la legge della caduta tendenziale del saggio del profitto.
Un capitolo, il 15º è dedicato proprio allo «Sviluppo delle contraddizioni
intrinseche della legge». Vediamo in questo capitolo solo quell'aspetto che ci
interessa e cioè il rapporto tra la concentrazione del capitale e la legge
della caduta del saggio del profitto.Marx precisa subito questo rapporto con l'equazione: «Caduta del saggio del profitto ed acceleramento della accumulazione sono semplicemente diverse
espressioni di uno stesso processo, ambedue esprimendo lo sviluppo della forza
produttiva».
Questa equazione viene a
completare quella fatta nel Libro Primo (concentrazione = riproduzione su scala
allargata) per cui avremo: concentrazione = accumulazione = caduta del saggio
del profitto. Seguiamo ancora il testo: «L'accumulazione accelera la caduta del
saggio del profitto, in quanto determina la concentrazione del lavoro su ampia
scala e di conseguenza una composizione superiore del capitale. D'altro lato la
diminuzione del saggio del profitto accelera, a sua volta, la concentrazione di
capitale e la sua centralizzazione mediante l'espropriazione di piccoli
capitalisti, degli ultimi produttori diretti sopravvissuti... L'accumulazione
in quanto massa viene con ciò accelerata, mentre il saggio di accumulazione
diminuisce unitamente al saggio del profitto.
D'altro lato in quanto il saggio di valorizzazione del capitale complessivo, il
saggio del profitto, e lo stimolo della produzione capitalistica (come la
valorizzazione del capitale ne costituisce l'unico scopo), la sua caduta
rallenta la formazione di nuovi capitali indipendenti ed appare come una
minaccia per lo sviluppo del processo capitalistico di produzione: favorisce
infatti la sovrapproduzione, la speculazione, le crisi, un eccesso di capitale
contemporaneamente ad un eccesso di popolazione». (Il Capitale, III, 3;
15).
Vediamo, adesso, di
caratterizzare le tre principali contraddizioni intrinseche alla legge e in che
modo sono collegate alla concentrazione:
«Il saggio del profitto
diminuisce, non perché il grado di sfruttamento dell'operaio sia minore, ma
perché viene impiegata una quantità di lavoro minore in rapporto al capitale
impiegato.
Se, come è dimostrato, la diminuzione del saggio del profitto coincide con
l'aumento della massa del profitto, ne risulta che il capitalista si appropria
un quantitativo maggiore del prodotto annuo del lavoro sotto forma di capitale
(per sostituire il capitale consumato), e un quantitativo relativamente minore
sotto forma di profitto... A misura che il capitale speso si accresce, il
profitto, anche se diminuisce come saggio aumenta come massa. Questo implica
tuttavia al tempo stesso una concentrazione di capitale, poiché ora le
condizioni di produzione richiedono l'impiego di capitali molto forti: e per
conseguenza la centralizzazione, vale a dire l'assorbimento dei piccoli capitalisti
da parte dei grandi e la loro "decapitalizzazione"». (Il Capitale,
III, 3, 15).
La prima contraddizione,
perciò, risulta chiara: il profitto, anche se diminuisce come saggio, aumenta
come massa e ciò implica una concentrazione del capitale. La seconda
contraddizione risiede nel fatto che:
«Contemporaneamente alla
caduta del saggio del profitto aumenta il minimo di capitale che è necessario
al capitalista individuale per la messa in opera produttiva del lavoro...
E nello stesso tempo s'accentua la concentrazione perché, oltre certi limiti,
un grande capitale con un basso saggio del profitto accumula più rapidamente di
un capitale piccolo con un elevato saggio del profitto. Questa crescente
concentrazione provoca a sua volta, non appena abbia raggiunto un certo
livello, una nuova diminuzione del saggio del profitto». Si determina così, una
"pletora di capitale", ossia una eccedenza, "per il quale la
caduta del saggio del profitto non è compensata dalla sua massa". (Il
Capitale, III, 3, 15).
Il capitale nella sua
concentrazione giunge, così, ad essere una potenza sociale che domina la
società, una potenza di cui il capitalista non è altro che un agente. Marx lo
chiarisce in modo netto:
«Si e visto che
un'intensificazione dell'accumulazione implica una concentrazione crescente del
capitale. Aumenta in tal modo la potenza del capitale, si accentua la
personificazione nel capitalista delle condizioni sociali di produzione nei
confronti del produttore reale.
Il capitale si manifesta sempre più come una potenza sociale - di cui il
capitalista e l'agente -... come una potenza sociale, estranea, indipendente
che si contrappone alla società come entità materiale e come potenza dei
capitalisti attraverso questa entità materiale». (Il Capitale, III, 3,
15).
Avevamo detto all'inizio che
vi è uno stretto rapporto tra lo sviluppo della concentrazione e lo sviluppo
della lotta di classe e che il problema della concentrazione e un problema
politico perché occorre sapere in che modo il capitalismo e concentrato per
poterlo combattere.
L'analisi di Marx ci
riconduce a quella premessa. L'opportunismo, in tutte le sue varianti da quelle
socialdemocratiche a quelle trotzkiste e maoiste, cerca il capitalista ed ha
bisogno del capitalista per risalire al modo di produzione e alla natura
sociale di un paese. Vi vuol vedere il capitalista personificato nelle
condizioni sociali invece di vedere le condizioni sociali personificate nel
capitalista. Impregnato di idealismo, l'opportunismo cerea sempre l'individuo
fa dell'individuo una potenza sociale e della società un agente.
Marx ci ha insegnato a
capovolgere i termini della questione, a mettere i piedi per terra.
Cercheremo il capitalismo nel
suo modo di produzione e lo scopriremo come potenza sociale e nelle condizioni
sociali di produzione. Individuare poi i suoi agenti in quanto individui, e
problema secondario poiché e il più facile. Se c'è il capitale come potenza
sociale ci sono i suoi agenti, ci sono i capitalisti. Immancabilmente li
troveremo nei meccanismi della riproduzione allargata del capitale sociale, li
troveremo nell'azienda, nel credito, nel commercio, cioè nella produzione e
nella distribuzione. La loro collocazione di classe e la loro appartenenza alla
classe capitalista sarà determinata, come dice Lenin, dal posto che occupano
nel processo complessivo della produzione capitalistica più che dalla loro
posizione giuridica nella proprietà dei mezzi di produzione, proprietà che può
essere totalmente dello Stato.
Anche sotto questo profilo
Marx e inequivocabile quando definisce "le tre caratteristiche
fondamentali della produzione capitalistica" che sono:
1) «La concentrazione in
poche mani dei mezzi di produzione...
2) L'organizzazione sociale del lavoro mediante la cooperazione, la divisione
del lavoro e l'unione del lavoro con le scienze naturali.
In seguito alla concentrazione dei mezzi di produzione e alla organizzazione
sociale del lavoro, il modo capitalistico di produzione sopprime, sia pure in
forme contrastanti e la proprietà individuale e il lavoro privato.
3) La creazione del mercato mondiale». (Il Capitale, 111, 3, 15).
Concentrazione, divisione del
lavoro, soppressione della proprietà individuale, creazione del mercato
mondiale: ecco gli aspetti interdipendenti del dialettico processo di sviluppo
capitalistico, ecco il movimento dell'evoluzione storica che parte dalla
proprietà privata e dal lavoro individuale ed approda al capitale sociale,
negazione dell'una e dell'altro.
Ad un certo stadio, il
capitale sociale avrà un nome specifico: imperialismo.
LA CONCENTRAZIONE DEL CAPITALE
NELL'ANALISI Dl LENIN
Coerentemente Lenin non avrà da portare innovazioni al «Capitale»
di Marx: avrà solo da applicarlo. Da buon scienziato marxista adopererà il
metodo de «Il Capitale», ricaverà le leggi che vi sono enunciate, le
analizzerà nelle loro tendenze di sviluppo, le confronterà con la realtà
concreta. Verificandole le applicherà e le svilupperà. Le leggi di sviluppo del
capitalismo scoperte da Marx sono la concentrazione e la creazione del mercato
mondiale, cioè la internazionalizzazione del capitale. In altri termini: la
concentrazione del capitale a livello mondiale.
L'analisi di Lenin sulla fase
imperialistica del capitalismo non è altro che l'analisi della concentrazione
del capitale a livello mondiale, cioè l'analisi della tendenza di sviluppo alla
concentrazione operante in una fase che il grado raggiunto dalla concentrazione
ha determinato come imperialistica.
Non a caso il primo capitolo
dell'Imperialismo
di Lenin e dedicato a «La Concentrazione della produzione e i monopoli»: gli
altri capitoli non saranno altro che l'analisi sulle conseguenze mondiali
derivate dall'azione della legge della concentrazione.
Nel primo capitolo, Lenin
analizza a quale grado e giunta la concentrazione nell'ultimo decennio dell'800
e nel primo decennio del 900, cioè nel periodo che ha seguito la pubblicazione
de Il Capitale e dell'Antidhüring.
«Uno dei tratti più
caratteristici del capitalismo e costituito dallo immenso incremento
dell'industria e dal rapidissimo processo di concentrazione della produzione in
imprese sempre più ampie».
Qui Lenin riconferma la prima
delle tre caratteristiche fondamentali indicate da Marx, e collocandola come il
primo dei cinque contrassegni principali dell'imperialismo (capitolo VII)
indica il grado di sviluppo a cui e giunta:
«La concentrazione della
produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo
da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica...».
La legge della concentrazione
e cosi posta storicamente:
«Da ciò risulta che la
concentrazione, ad un certo punto della sua evoluzione, porta per cosi dire,
automaticamente alla soglia del monopolio».
Ma ciò non vuol dire che
tutto il processo di concentrazione si e trasformato in monopolio. Permane come
processo in cui l'ineguale sviluppo della concentrazione nei due settori della
produzione, nei vari rami industriali e nelle varie aziende determina il
monopolio in alcune di queste e in alcuni rami industriali.
Lenin precisa:
«Nello stesso tempo i monopoli sorgendo dalla libera concorrenza non la
eliminano, ma coesistono, originando cosi una serie di aspre e improvvise
contraddizioni di attriti e conflitti».
In altre parole, il processo
di concentrazione che ha ineguali gradi di sviluppo nei settori, nei rami di
industria e nelle aziende crea il monopolio ed esaspera la concorrenza.
Il processo, che per sua
natura è internazionale, proietta a livello mondiale le sue aspre e improvvise
contraddizioni, i monopoli e la concorrenza esasperata.
«La possibilità
dell'esportazione di capitali e assicurata dal fatto che una serie di paesi
arretrati e già attratta nell'orbita del capitalismo mondiale...», dice Lenin
collegando cosi internazionalizzazione del capitale e gradi ineguali di
concentrazione, ossia gradi ineguali di sviluppo capitalistico, per cui
l'eccedenza di capitali delle aziende monopolistiche di alcuni paesi è fenomeno
connesso allo sviluppo del capitalismo in tutti i paesi, da quelli esportatori
di capitali a quelli arretrati. Anzi:
«L'esportazione di capitali
influisce sullo sviluppo del capitalismo nei paesi nei quali affluisce,
accelerando tale sviluppo».
Marx lo aveva già chiarito:
la concentrazione del capitale accelera lo sviluppo del capitalismo ed
accelera, quindi, la maturazione delle sue contraddizioni e delle sue crisi.
Lenin vede l'azione di questa legge a livello mondiale, nella fase
imperialistica. Viene qui messa a nudo la natura ideologica e borghese del le
teorie «sottosviluppiste», tipo Baran-Sweezy, le quali affermano che
l'esportazione dei capitali dei paesi imperialisti frenano o addirittura
bloccano lo sviluppo dei paesi arretrati. La prova che portano a dimostrazione
è l'ineguale sviluppo tra paesi imperialisti e paesi arretrati. Ma questa prova
non può contestare minimamente la tesi di Lenin poiché: 1) l'esportazione
imperialistica di capitali è appunto la dimostrazione dell'ineguale sviluppo
del capitalismo: 2) tale esportazione accelerando lo sviluppo capitalistico del
paese arretrato incrementa l'ineguale sviluppo del capitalismo su scala
mondiale, cioè porta l'ineguale sviluppo in nuovi settori, in nuovi rami, in
nuove aziende; 3) il problema non riguarda, perciò, il solo rapporto tra due
paesi o tra due gruppi di paesi, ma tutti i rapporti tra tutti i settori, tutti
i rami d'industria, tutte le aziende del capitalismo mondiale, sia nelle sue
zone avanzate che in quelle arretrate: 4) qualora un paese precedentemente
arretrato avesse un ritmo di sviluppo più accelerato che quello ottenuto
precedentemente esso influirebbe nel determinare una nuova situazione di
ineguale sviluppo e una nuova graduatoria di paesi avanzati e paesi arretrati.
Tutta la storia dello
sviluppo capitalistico dimostra la sua profonda ineguaglianza proprio nel fatto
che non ci sono paesi stabilmente avanzati e paesi stabilmente arretrati.
La tesi di Lenin
sull'esportazione imperialistica di capitali come fattore accelerante lo
sviluppo dei paesi arretrati si basa su tutto il processo di concentrazione a
livello mondiale. Essa afferma che lo sviluppo capitalistico ha una dimensione
mondiale, e che l'esportazione di capitali accelera questo sviluppo che, per
natura, e ineguale. Quindi non e il problema dell'ineguale sviluppo ad essere
posto in discussione: caso mai l'analisi dovrà concentrarsi sulle forme che
esso assume.
Su questo punto l'analisi di
Lenin capovolge tutte le tesi dei «sottosviluppisti»: l'esportazione dei
capitali può determinare una stasi nei paesi imperialisti. Lenin lo afferma
chiaramente:
«Pertanto se tale
esportazione sino ad un certo punto, può determinare una stasi nello sviluppo
dei paesi esportatori, tuttavia non può che dare origine a una più elevata e
intensa evoluzione del capitalismo in tutto il mondo».
La concentrazione del
capitale nella fase imperialistica accelera lo sviluppo del capitalismo in
tutto il mondo. Seguendo lo sviluppo della legge della concentrazione giungiamo
così ad inquadrarlo in una organica visione della strategia rivoluzionaria
internazionale. Come avevamo detto l'analisi della concentrazione non è solo un
problema statistico ma è un problema eminentemente politico per le conclusioni
a cui conduce.
In nessun modo ci si può
limitare, come fanno i teorici opportunisti di tutte le correnti, ad analizzare
la concentrazione in alcuni paesi imperialistici senza vedere il processo
mondiale di sviluppo capitalistico di cui la concentrazione nei paesi
imperialistici non è altro che un aspetto, seppure macroscopico. Fare questo
significa fare della pura esercitazione statistica.
Occorre invece affrontare lo
sviluppo del capitalismo su scala mondiale, che vede ogni paese avanzato od
arretrato come una componente di un sistema capitalistico internazionale, con
una strategia rivoluzionaria della classe operaia internazionale.
La classe operaia di tutti i
paesi avanzati e arretrati, deve lottare contro il capitalismo internazionale
che è composto dai capitalismi di ogni paese.
La classe operaia deve,
perciò lottare contro il proprio capitalismo avanzato o arretrato che sia. I
rapporti imperialistici che si instaurano sul mercato mondiale, dal punto dl
vista della classe operaia internazionale riguardano la lotta tra le varie
frazioni capitalistiche, sia tra quelle dei paesi imperialistici e quelle dei
paesi capitalistici in sviluppo, sia tra quelle dei paesi imperialistici
stessi, per la ripartizione del plusvalore.
La strategia proletaria
internazionale deve tenere conto di questi rapporti allo scopo di approfittare
delle contraddizioni che determinano
delle crisi che possono essere trasformate in crisi rivoluzionarie,
ossia in rotture degli anelli più deboli del sistema mondiale dalle quali possa
avere inizio la marcia della rivoluzione internazionale della classe operaia.