[ Archivio di Cervetto ]

L'involucro politico

Capitolo primo

LA TEORIA DELLA POLITICA DI MARX

Il fondamento scientifico della lotta di classe
L’essenza del potere politico
La politica della volontà condizionata
La politica dell'ideologia imperialista [in LC del giugno 1977: L'imputridimento dell'ideologia imperialista]
Le basi della politica comunista
Il potere dei rapporti materiali
Le idee politiche del dominio economico
La democrazia e il principio comunista
La politica comunista [in LC n° 87, novembre 1977: La politica comunista di Lenin]

 

Il fondamento scientifico della lotta di classe

Non esiste per il proletariato una scelta tra la politica riformistica e la politica rivoluzionaria. La politica proletaria non può che essere una, quella che riflette gli interessi immediati e storici della classe antagonista al capitale.

"Il marxismo esige da noi una analisi esatta, controllabile oggettivamente, dei rapporti reciproci fra le classi e delle particolarità concrete di ogni momento storico. Noi bolscevichi ci siamo sempre sforzati di conformarci a questa esigenza la quale è assolutamente obbligatoria dal punto di vista di ogni fondamento scientifico della politica", afferma Lenin in una lettera sulla tattica dell'aprile 1917.

In questo senso, ricorda Lenin, "la nostra dottrina non è un dogma, ma una guida per l'azione", poiché dogmatica è l'azione politica che non è fondata scientificamente e che non assume come unico e supremo criterio della dottrina marxista la sua corrispondenza al processo reale dell'evoluzione sociale ed economica.

Contro il marxismo vengono periodicamente lanciate campagne che si pretendono antidogmatiche, addirittura da chi ha una concezione religiosa della natura. Una di queste campagne è in corso contro il leninismo in nome del pragmatismo politico e pluralistico. Ma una politica che non si basa su di una analisi esatta e controllabile quale fondamento ha se non uno o più pregiudizi? Cosa sono la democrazia o l'autoritarismo, la libertà o la dittatura, il pluralismo o il totalitarismo, assunti come criteri di analisi e di azione politica, se non pregiudizi? Essi esistono solo come concetti ideologici e non come realtà analizzabile e controllabile oggettivamente con criteri scientifici soggetti a verifica.

La politica che non ha fondamento scientifico è, quindi, dogmatismo. Il leninismo, in quanto coerenza nell'impostazione scientifica dell’azione politica, è inseparabile dalla teoria che rende possibile l'analisi della realtà. Proprio perché teoria ed azione sono corrispondenti al processo reale esse hanno la possibilità e la forza di essere principi, i principi del comunismo, appunto. Le teorie e le politiche borghesi, e quelle opportunistiche che ne sono la filiazione peggiorata, più che su principi oggettivi, come sono quelli del comunismo, si basano su credenze soggettive che possono anche essere largamente diffuse e profondamente radicate ma che colgono solo la superficie dei processi reali.

Nel "Capitale", Marx dice che "l'elemento ideale non è altro che l'elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini". è questa la base oggettiva dell'azione politica. Noi marxisti non la neghiamo, anzi siamo marxisti proprio perché la riconosciamo. Se, poi, ci sforziamo sempre di fondare la nostra azione politica su una analisi esatta e ci riusciamo, siamo marxisti coerenti non perché qualcuno lo debba riconoscere ma perché il processo reale lo dimostrerà nella sua evoluzione. Potremo anche sbagliare, e non essere buoni marxisti, ma non per questo il processo reale cambierà. Dovrà comunque essere analizzato scientificamente. è ciò che non riuscirà mai a fare chi, per credenza soggettiva, rifiuta la determinazione materiale della politica, rifiuta cioè il fatto, e non l'idea, che la sua idea è la traduzione dell'elemento materiale. Scienza è consapevolezza di questo fatto, dogma è esattamente il contrario.

La nostra politica leninista si basa, quindi, su una analisi scientifica della lotta nel mondo e nella metropoli italiana. Appunto perché si sforza di essere scientifica la nostra analisi usa la dialettica materialistica, usa il metodo che permette di individuare le tendenze di fondo e di andare oltre i fenomeni apparenti. Spesso ciò che appare non corrisponde a ciò che veramente si muove, a ciò che inevitabilmente uscirà alla superficie. Tradotto in termini politici, ciò significa che il rapporto di forze reale non è quello che appare in superficie. Ciò vale per le classi, per le frazioni di classe, per i movimenti politici.

Lo sviluppo del partito leninista in Italia non è solo e non è tanto un processo soggettivo. Esso è un prodotto storico di un processo oggettivo della lotta di classe che la volontà e la capacità soggettiva può accelerare o ritardare, come purtroppo è stato il caso, ma non può di certo creare. Senza questo processo oggettivo, lo sviluppo del partito leninista sarebbe non una realtà ma un desiderio utopistico e settario.

Utopistico perché basato su un'idea che ci si fa della realtà ma che non corrisponde a come la realtà si muove. Il comunismo, dice Marx, non è l'idea di pretendere di modificare la realtà ma è il movimento reale, il divenire della realtà. E un divenire storico che abbraccia il tempo. E l'operare di una tendenza di fondo storica. Ciò può non apparire, e a volte per interi decenni non appare.

Perciò i comunisti sono sempre stati definiti, oltre che dogmatici, utopisti. In realtà utopisti sono i borghesi, e gli opportunisti, perché credono, e non lo possono dimostrare scientificamente, che il loro regno durerà in eterno. Settario è, inoltre, il desiderio di uno sviluppo del partito leninista non determinato dal movimento reale, perché pretenderebbe di sostituire la volontà di un gruppo di uomini alla dinamica reale delle classi.

Il marxismo, proprio perché ha dato un fondamento scientifico alla lotta politica, ha definito per la prima volta e una volta per tutte la vera natura del settarismo. Il settarismo non è, quindi, la direzione organizzata dei movimenti reali. Tutti i gruppi politici che effettivamente dirigono i movimenti reali delle classi lo fanno secondo interessi, scopi e obiettivi corrispondenti alle tendenze immediate e storiche in essi operanti.

"Noi abbiamo due punti di partenza: il capitalista e l'operaio. Tutte le altre persone ricevono del denaro da queste due classi in cambio di servizi resi, o sono proprietarie di plusvalore sotto forma di rendita, interesse, ecc." precisa Marx nel "Capitale".

Come punto di partenza, perciò, vi sono due sole forze politiche, quella capitalistica e quella operaia. Ma siccome vi sono frazioni di classe corrispondenti allo scambio denaro-servizio e alle forme di proprietà di plusvalore, si determina il frazionamento delle forze politiche fondamentali. Abbiamo la pluralità delle correnti politiche. In questo senso, ogni partito porta acqua al suo mulino. Chi non lo fa, la porta a quello degli altri.

è proprio l'analisi scientifica dei fenomeni sociali che ha permesso al marxismo di individuare la collocazione della politica opportunistica nel movimento operaio come espressione delle frazioni borghesi. Partendo da questa grande scoperta scientifica, il nostro partito leninista sviluppa la sua politica di classe corrispondente agli attuali rapporti di forza e al movimento reale che oggi esiste e che, soprattutto, si forma per il domani.

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L’essenza del potere politico

"La novità che io ho introdotto è stata di dimostrare: 1) che l'esistenza delle classi è legata solo a determinate fasi storiche dello sviluppo della produzione; 2) che la lotta di classe porta necessariamente alla dittatura del proletariato, 3) che la stessa dittatura del proletariato costituisce solamente una fase transitoria all'abolizione di tutte le classi e alla società senza classi", scrive Marx in una lettera a Weydemeyer il 5 marzo 1852.

Commentandola, in "Stato e rivoluzione", alla vigilia dell'Ottobre, Lenin dice che "in questo passo Marx è riuscito ad esprimere con straordinaria nitidezza in primo luogo la differenza principale e fondamentale della sua dottrina dai più avanzati e dai più profondi pensatori della borghesia, e in secondo luogo l'essenza della sua dottrina dello Stato".

E così continua: "Poiché la dottrina della lotta di classe non è stata creata da Marx ma dalla borghesia prima di Marx e, in linea generale, può essere accettata dalla borghesia. Non è ancora marxista e può non essere ancora uscito dai limiti del pensiero borghese e della politica borghese chi ammette solamente la lotta di classe. Limitare il marxismo alla dottrina della lotta fra le classi significa mutilare il marxismo, deformarlo, ridurlo a ciò che è accettabile per la borghesia. Solo chi estende il riconoscimento della lotta fra le classi fino a riconoscere la dittatura del proletariato è un marxista. In questo consiste la differenza più profonda fra il marxista e il piccolo-borghese da dozzina (e naturalmente fra il marxista e il grande borghese). Questa è la pietra di paragone sulla quale si mette alla prova 1’effettiva comprensione e il riconoscimento del marxismo".

Su questa pietra di paragone si confronta oggi, come ieri, il movimento proletario rivoluzionario. La questione teorica diviene sempre, in un determinato momento, una questione pratica. La dottrina dello Stato diviene atteggiamento pratico verso lo Stato. Non si tratta di una disputa dottrinale, si tratta di una pratica politica che vede gli opportunisti, i piccolo-borghesi, al servizio dello Stato capitalista e i marxisti contro questo Stato e contro tutti i suoi sostenitori.

Gli ideologi dell'opportunismo sostengono che non esiste una teoria marxista dello Stato. Non è vero. Essa esiste ed è tanto definita da determinare la più profonda differenza dalle teorie borghesi.

Alcuni di questi ideologi tentano inutilmente di separare, sulla questione dello Stato, Lenin da Marx. è una volgare e rozza operazione. L’attacco al leninismo è in realtà un attacco al marxismo. Lenin non è stato altro che il fedele e coerente seguace della dottrina marxista dello Stato. "Stato e rivoluzione" non è il parto dell'arretratezza asiatica ma il frutto più maturo di tutta la evoluzione sociale in Occidente, quella che Marx ha scoperto nella sua legge di movimento e nella sua necessità storica. Nel "Capitale" c'è il fondamento della teoria marxista dello Stato. La lotta di classe, dice Marx, porta "necessariamente" alla dittatura del proletariato.

"Necessariamente": ciò vuol dire che non c'è alternativa. O dittatura della borghesia o dittatura del proletariato. Se, come afferma Marx nella "Miseria della filosofia", "il potere politico è precisamente il riassunto ufficiale dell'antagonismo nella società civile", è, in ultima istanza, nella lotta di classe che necessariamente si determina il rapporto di forze politico, la potenza di una classe. Dittatura è potenza, e più una classe è forte nel rapporto con la classe subordinata più esercita la sua dittatura, cioè la sua potenza. Il potere politico va analizzato nella sua sostanza, in quanto espressione dell'antagonismo sociale, prima che nelle sue forme. Le forme sono varie ma unica e tipica è la sostanza del potere politico e, come tale, misurabile ed analizzabile scientificamente poiché riconducibile all'esame oggettivo del rapporto di forza.

Ovviamente, le forme del potere politico costituiscono un ostacolo nell'analisi del rapporto oggettivo di forza, ma non la rendono impossibile. Esse sono variazioni e perturbazioni del fenomeno del potere politico allo stato puro, così come lo sono i prezzi, nelle loro variazioni ed oscillazioni, nei confronti della legge del valore. Ma così come la somma dei prezzi è la somma dei valori, la somma del potere politico è la somma delle forze sociali. Possiamo riprendere la formula di Lenin nella sua teoria delle relazioni internazionali per la quale la potenza corrisponde, essenzialmente, alla forza economica.

Se ciò è valido in campo internazionale, altrettanto valido è per il campo interno, sempre che si tenga presente che la forza economica, e quindi la potenza, non è un fenomeno statico ma dinamico. Di conseguenza, se mutano continuamente le forze economiche, mutano ancor più le potenze ed i rapporti di forza tra queste. La necessità di analizzare costantemente le forme del potere politico, le quali possono essere viste come espressione della dinamica dei rapporti di forza, non cancella l'obbligo di tenere come perno dell'analisi l'elemento costante e tipico del potere politico costituito dalla dittatura di classe.

L’analisi delle forme è, insomma, l'analisi delle varianti della tipicità dittatoriale del potere politico. Le dottrine borghesi dello Stato si arrestano alle forme del potere politico, la dottrina marxista ne scopre il contenuto, ed è proprio qui il passaggio dall'ideologia alla scienza. Il marxismo è, quindi, la teoria scientifica dello Stato perché è l'unica teoria che ha scoperto la sostanza del potere politico e che ne ha descritto la legge di movimento generata dalla determinazione della sovrastruttura da parte dei processi oggettivi della struttura economica e sociale.

Ma il marxismo è la scienza che sorge a un determinato stadio storico della lotta di classe. è la scienza della rivoluzione proletaria, è la scienza del potere politico delle classi, è la scienza dell'antagonismo tra le due fondamentali potenze sociali, è la scienza dello scontro tra le due dittature che borghesia e proletariato esprimono per il solo fatto che i loro interessi vitali sono inconciliabili.

La dittatura del capitale è esercitata in varie forme nella misura in cui il rapporto di forze favorisce la classe dominante e detentrice dei mezzi di produzione. Più è forte questo dominio, più saldo è il controllo dei mezzi di produzione, più estesa è la socialdemocratizzazione del movimento operaio, più democratica è la forma del potere politico e più alto è il grado di dittatura del capitale. L’incessante lotta di classe porta a questo risultato perché è il capitale a portare avanti la sua lotta contro il salario e perché il salario, frenato dalla socialdemocrazia, non riesce ad esprimere la sua potenza sociale. Quando il rapporto di forze si capovolge realmente la lotta porta necessariamente alla dittatura del proletariato. Questa è l'essenza della dottrina marxista del potere politico che i fatti confermano quotidianamente.

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La politica della volontà condizionata

In una delle più belle pagine dedicate al "Manifesto dei comunisti", Franz Mehring scrive: "Per certi aspetti lo sviluppo storico si è compiuto altrimenti, e soprattutto più lentamente di quanto i suoi autori non supponessero. Quanto più il loro sguardo si spingeva in avanti, tanto più le cose apparivano vicine. Si può dire che non si poteva avere luce senza queste ombre. è un fenomeno psicologico che Lessing ha già notato negli uomini che lanciano "sguardi molto giusti nel futuro". "Quello per cui la natura si prende millenni di tempo, deve maturarsi nel breve attimo della loro esistenza". Ora Marx ed Engels non si sono sbagliati di millenni, ma certo di parecchi decenni".

Mehring scriveva nei primi anni del secolo, ancor prima che la Rivoluzione d'ottobre segnasse una prima scadenza nello sviluppo storico previsto ed avvicinasse la luce restringendo le ombre. Lo sguardo lanciato nel futuro, mentre la storia camminava lentamente, diventa la guerra lampo di Lenin per riprendere nuovamente a spaziare sull'orizzonte della lotta delle classi. Tempo e spazio, fusi nella teoria, si allontanano nella pratica per ritrovare momenti particolari di incandescente saldatura.

"Con lo sfruttamento del mercato mondiale la borghesia ha dato un'impronta cosmopolitica alla produzione e al consumo di tutti i paesi. Ha tolto di sotto i piedi all'industria il suo terreno nazionale, con grande rammarico dei reazionari. All'antica autosufficienza e all'antico isolamento locali e nazionali subentra uno scambio universale, una interdipendenza universale fra le nazioni". Così Marx ed Engels, nel 1848, definiscono la legge del movimento della moderna società borghese. Misurarono in anni un ritmo che poteva essere misurato solo in decenni? Assunsero ad unità di misura frazioni di tempo che solo lo spazio può definitivamente stabilire? Scientificamente il problema è di secondaria importanza. Riguarda più il tempo politico della rivoluzione che il tempo storico della scienza del proletariato. La conferma non può mancare.

"L'economia mondiale deve essere vista come un tutto: ciò implica non solo una cooperazione tra governi, ma anche un rafforzamento delle organizzazioni internazionali competenti. Noi siamo stati confermati nella nostra convinzione che tutte le questioni che ci si pongono sono strettamente legate e che noi siamo interdipendenti". Con questo comunicato è terminato ai primi di maggio 1977 il vertice di Londra delle sette maggiori potenze imperialistiche. Mancava solo quella sovietica, la quale, del resto, tale convinzione ha da tempo espresso verbalmente e praticamente. La scoperta marxista della "interdipendenza universale fra le nazioni" del capitalismo è diventata pratica politica dell'imperialismo unitario. è tempo politico delle frazioni della borghesia mondiale, ma non lo è ancora per le sezioni locali del proletariato internazionale, incapace momentaneamente a raggiungere la sua indipendenza teorica, politica e organizzativa e, quindi, soggetto ad essere influenzato e usato dagli agenti del capitalismo privato e statale.

Le stesse potenze imperialistiche sono costrette a riconoscere di essere condizionate nella loro azione politica. Nel 1976 la loro produzione si è ripresa ad un tasso di circa il 5%, nel complesso, ossia ad un ritmo che è in media con l'ultimo ventennio; ma il commercio internazionale si è sviluppato a un ritmo superiore, più del doppio in termini reali, cioè al 12% e per una somma di 1.000 miliardi di dollari.

C'è molta discussione, tra i maggiori economisti borghesi specialisti di economia internazionale, su quanto possa essere valutato il cosiddetto "effetto di creazione" derivato dal commercio internazionale: in altre parole, quanto l'intercambio estero accresca la produzione di ogni singolo paese. Senza scendere in dettagli specialistici e conclusivi si può calcolare, in media, che un quinto dell'incremento sia derivato dall'interscambio e si può, quindi, affermare che gran parte della ripresa del ciclo sia dovuta proprio alla forte accelerazione del commercio internazionale.

Le potenze sono quindi convinte di essere "interdipendenti". Misure protezionistiche generalizzate e il tentativo di battere la concorrenza aumentando barriere di vario genere condurrebbero inevitabilmente ad uno scontro di economie protette, autarchiche, proiettate ad incrementare il consumo interno, in particolare quello militare. Lo sbocco bellico diventerebbe obbligato.

Ciò spiega perché il fantasma degli Anni '30 sia agitato dal Giappone, il quale si vede oggi maggiormente sottoposto a reazioni protezionistiche. E' stato detto che il vertice di Londra del 1977 ha evitato il fallimento della conferenza economica del 1933, quando il già forte protezionismo diventò impetuoso. Ciò non è dovuto a una diversa volontà politica ma a una diversa condizione oggettiva. Negli anni '70, a differenza degli anni'30, la diffusione del capitalismo in nuove aree ha allargato il mercato mondiale ed aperto nuovi sbocchi all'interscambio sia per le materie prime che per i prodotti manufatti. Le zone a giovane capitalismo si sviluppano a una velocità, mediamente, doppia di quella delle vecchie metropoli e costituiscono uno di quei fattori di interdipendenza che rianima il vecchio capitalismo e da cui questo non può prescindere. Anche volendo il protezionismo generalizzato non sarebbe possibile, tanto è vero che sono gli imperialismi più forti, come quello tedesco, a sostenere il liberismo, mentre tocca a quelli più deboli, come quello inglese, spingere al contrario.

Quindi negli anni '70 non vi può essere il protezionismo generalizzato ma solo l'inasprimento della concorrenza interimperialistica sul mercato mondiale in espansione, una concorrenza che accentua così il divario tra le vecchie metropoli rendendo più forti quelle già forti e più deboli le altre. L’esasperazione della concorrenza in un mercato mondiale in ascesa e con diminuite barriere protezionistiche viene combattuta a colpi di produttività. Da ciò deriva la constatazione fatta al vertice per la quale, mentre aumenta la produzione, non diminuisce quella disoccupazione che ha raggiunto nei paesi OCSE ben 15 milioni di unità, di cui la metà costituita da giovani. La disoccupazione è organica al sistema, come sappiamo noi marxisti, mentre borghesi ed opportunisti hanno sempre detto che è il mancato sviluppo a formarla. Adesso hanno la prova delle loro menzogne o illusioni.

Ossola, ministro del commercio estero, ammette che "l’evoluzione del commercio mondiale è un dato del quadro economico che non possiamo modificare". Ossola è un tecnico e sa che non ce la fanno nemmeno Carter, Giscard, Callaghan, Schmidt e Fukuda messi assieme, immaginiamo se ce la fa lui con Andreotti, anche con l'aiuto di Berlinguer! Ma perché quello che dice Ossola in sintonia con i massimi rappresentanti dell'imperialismo non lo dicono i parlamentari della borghesia e dell'opportunismo? Perché continuano a cianciare sul "primato della politica"?

Questi politici sono intellettuali e in quanto tali sono, come dice Marx, i "rappresentanti ideologici" della borghesia "i quali dell'elaborazione dell'illusione di questa classe su se stessa fanno il loro mestiere principale". Appunto, ad ognuno il suo mestiere: ai borghesi tessere affari, ai politici intellettuali tessere illusioni, ai rivoluzionari tessere l'organizzazione di classe.

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La politica dell'ideologia imperialista

Con l'espansione del mercato mondiale capitalistico, conseguente alla diffusione del modo di produzione che genera la riproduzione allargata del capitale, si accentua l'intervento dello Stato in un processo oggettivo. E siccome l'espansione del mercato mondiale da un lato aumenta la centralizzazione e la concentrazione del capitale mentre dall'altro accresce il contrasto e la concorrenza tra le imprese che compongono l'economia mondiale, l'azione della sovrastruttura ne viene in definitiva ad essere condizionata. Gli Stati devono adeguarsi al movimento delle tendenze profonde dell'economia mondiale e sono costretti ad intervenire non per cambiare queste tendenze ma per utilizzarle.

Sorgono, a questo punto dell'evoluzione imperialistica del capitalismo, una serie di ideologie che giustificano l'azione dello Stato e che costituiscono una concezione comune, con una infinità di varianti, per il personale politico addetto a tale scopo. Bucharin parla del passaggio dalla ideologia liberale alla ideologia imperialistica, corrispondente al passaggio dallo Stato liberale allo Stato imperialista il quale è poi a sua volta l'espressione del passaggio dalla economia del "lassaiz-faire" all'economia dei monopoli. C'è anche questo ma non solo questo.

Intanto, come nota Lenin, Bucharin assolutizza il fenomeno poiché se il capitalismo si concentra in trust nello stesso tempo si diffonde nella piccola produzione. In secondo luogo anche la sovrastruttura, di conseguenza, non assume la forma di trust capitalistico-statale prevista da Bucharin. Lo Stato imperialista è, quindi, meno omogeneo ed organico di quanto potrebbe esserlo se fosse valida una concentrazione assoluta.

Esso è invece il prodotto dell'ineguale sviluppo economico e politico e dello scontro delle varie frazioni borghesi nella ripartizione del plusvalore. Anche l'ideologia risente di questa situazione oggettiva.

Mentre l'ideologia liberale rapportava l'azione politica del singolo e dello Stato alle leggi dell'economia, quella imperialista deve sostenere la priorità dell'intervento politico senza poter contare sulla concentrazione assoluta. Di qui non tanto la sua contraddizione, poiché parlare di contraddizione dell'ideologia non ha senso, quanto il suo imputridimento.

L’ideologia liberale sosteneva apertamente che la volontà politica doveva seguire l'economia, l'ideologia imperialista invece deve affermare che la volontà politica precede e prefigura l'economia. Afferma il "primato della politica" proprio nel momento storico della massima determinazione dell'economia, ossia quando l'estensione della dimensione del mercato mondiale costringe gli Stati ad intervenire. Alla massima determinazione dell'economia corrisponde il massimo dell'azione politica. Ciò che in superficie appare come il massimo di volontarismo politico è in realtà il massimo di determiniamo economico.

Lo stadio imperialistico del capitalismo, mentre costringe la volontà politica ad operare al massimo di tensione, la condiziona, nello stesso tempo, a tutti i livelli. L’imputridimento dell'ideologia imperialista risiede proprio nel fatto che fa di necessità virtù. Da tre quarti di secolo non fa che ripetere i postulati del suo imputridimento, incapace persino di cogliere il senso dei grandi avvenimenti politici che vive. Tutta la storia degli scontri tra gli imperialisti, con ben due guerre mondiali, è un esempio magnifico e terrificante della crescente determinazione economica della volontà politica ed è uno sterminato cimitero di intelligenze politiche, di progetti audaci, di capacità strategiche.

E un prosaico trionfo della forza economica. Eppure di fronte a questo Monte Bianco di fatti concreti l'ideologia imperialistica è stata incapace di trarre la minima lezione. L’imputridimento perciò non è tanto dei singoli protagonisti quanto della funzione collettiva cui sono destinati. Con tanti fallimenti teorici una sola, ma importante, vittoria politica: l'integrazione del riformismo operaio nel socialimperialismo. L’opportunismo, divenuto agente della borghesia in seno al movimento operaio, diventa così propagandista dell'ideologia imperialista. Anche se alcuni suoi esponenti sono stati precursori di questa ideologia, l'opportunismo nel suo complesso non ha fatto altro che riprendere una concezione che lo sviluppo capitalistico aveva già preparato. Non sorprende perciò che gli opportunisti siano fra i più zelanti sostenitori del "primato della politica" e della "volontà politica".

Solo il marxismo, proprio perché è scientificamente in grado di analizzare la determinazione economica, può porre concretamente il ruolo della volontà politica nella lotta delle classi.

La strategia leninista è il primo grande esempio, nella fase imperialista di massimo condizionamento della politica, di utilizzo rivoluzionario di una situazione oggettiva di crisi determinata da una serie combinata di fattori in cui la ferrea volontà bolscevica non poteva intervenire, e dichiarava di non poter intervenire, se non sugli aspetti di sua competenza, di infaticabile organizzazione di classe e di implacabile attacco all'opportunismo.

Proprio perché il leninismo basava la sua azione politica sull'analisi della determinazione dell'economia, esso fu in grado di esprimere il massimo di "volontà politica", ancorata all'interesse storico e contingente del proletariato internazionale ed indipendente dagli interessi delle frazioni borghesi. La scienza del leninismo è la scienza del marxismo. La politica di Lenin è la politica di Marx.

Marx inizia la sua carriera di scienziato rivoluzionario come democratico e non come comunista. E quindi naturale che il suo interesse sia rivolto prima alla politica che all'economia. Giovane hegeliano critica, nel 1843, Hegel il quale vede la Politica come incarnazione dell'idea assoluta. Per Marx invece: "La democrazia è l'enigma risolto di tutte le costituzioni".

Per Marx democratico conseguente e non ancora comunista la democrazia chiarisce definitivamente il problema della natura della politica. Cosa è la Costituzione politica, l'istituzione politica, lo Stato? è il rapporto tra l'economia e la politica.

"Così la democrazia è l'essenza di ogni costituzione politica, l'uomo socializzato in una particolare costituzione politica"

Qui Marx crede di individuare la contraddizione: "L'emancipazione politica è la riduzione dell'uomo, da un lato a membro della società politica, all'individuo egoista ed indipendente, dall'altro al cittadino, alla persona morale".

La contraddizione in questi scritti giovanili è vista tra l'economia e la politica. "Lo Stato non può eliminare la contraddizione tra lo scopo determinato e la buona volontà dell'amministrazione da un lato ed i suoi mezzi e le sue possibilità dall'altro, senza eliminare se stesso, poiché esso poggia su tale contraddizione. Esso poggia sulla contraddizione tra la vita privata e pubblica, sulla contraddizione tra gli interessi generali e gli interessi particolari. L'amministrazione deve perciò limitarsi ad una attività formale e negativa, poiché proprio dove ha inizio la vita civile e il suo lavoro, là termina il suo potere".

Marx non è ancora giunto al comunismo e vi giungerà quando, come vedremo in altra occasione, supererà la posizione della "vera democrazia". Intanto ha enunciato una critica democratica dello Stato che da sola basta a smascherare i moderni democratici dell'ideologia imperialista.

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Le basi della politica comunista

Per vedere come i moderni democratici siano i portatori dell'ideologia imperialistica è istruttivo ripercorrere l'itinerario che porta Marx dalla sua critica democratica allo Stato alla teoria del comunismo scientifico dello Stato. è un itinerario politico e non filosofico come i marxologi vogliono far credere. Prima di sboccare alla luce dobbiamo addentrarci nel tunnel delle idee e del linguaggio hegeliano. Ma, a parte le difficoltà inevitabili, ne vale la pena perché la critica allo Stato del giovane rivoluzionario democratico Marx non può che apparire estremistica agli occhi dei decrepiti democratici dell'imperialismo.

Per il Marx del 1843, dato che lo Stato vive sulla contraddizione tra la vita privata dell'individuo "egoista indipendente" e la vita pubblica dell'individuo "cittadino", esso è impotente e formale. "... l'impotenza è la legge di natura dell'amministrazione" afferma Marx nella sua critica alla teoria statuale di Hegel. La teoria democratica dello Stato di Marx è importante per due ragioni: perché affronta una serie di temi così ampia da esaurire tutta la successiva tematica di tipo democratico e perché prepara in profondità le basi del suo superamento nella concezione materialistico-storica dello Stato.

Nella "Questione ebraica" del 1843, Marx crede di aver individuato la contraddizione del liberalismo nel fatto che pretende di "emancipare l'uomo come cittadino politico" mentre non lo libera come membro della società civile, come uomo economico. La conclusione sulla contraddizione tra politica ed economia è questa: "Se lo Stato moderno volesse ovviare all'impotenza della sua amministrazione, dovrebbe eliminare la vita privata di oggidì. Se volesse eliminare la vita privata dovrebbe eliminare se stesso, poiché esso esiste soltanto in contrapposizione a quella vita".

Questa considerazione critica sulla politica diventa acuta in un altro passo significativo: "Quanto è più potente lo Stato, quanto più politico quindi è un paese, tanto meno esso è disposto a ricercare nel principio dello Stato, dunque nell'odierno ordinamento della società, della quale lo Stato è l'espressione attiva, autocosciente ed ufficiale, il fondamento delle infermità sociali e ad intenderne il principio generale.

L'intelletto politico è politico in quanto pensa entro i limiti della politica. Quanto più esso è acuto, quanto più è vivo, tanto meno è capace di intendere le infermità sociali. Il periodo classico dell'intelletto politico è la rivoluzione francese. Ben lungi dallo scorgere nel principio dello Stato la fonte delle deficienze sociali, gli eroi della rivoluzione francese scorsero piuttosto nelle deficienze sociali la fonte delle cattive condizioni politiche. Così Robespierre vede nella grande miseria e nella grande ricchezza un ostacolo alla pura democrazia. Egli desidera perciò stabilire una generale frugalità spartana. Il principio della politica è la volontà.

Quanto più unilaterale, cioè quanto più compiuto è l'intelletto politico, tanto più esso crede all'onnipotenza della volontà e tanto più cieco dinanzi ai limiti naturali e spirituali della volontà, tanto più dunque è incapace di scoprire la fonte delle infermità sociali".

La democrazia per Marx pone in chiaro i limiti oggettivi della volontà politica proprio perché è la forma di governo che corrisponde alla società civile; ossia è la politica che corrisponde all'economia. Nel rapporto tra vita politica, o volontà politica pubblica, e vita economica, o volontà privata, Marx vede una contraddizione, emergente proprio dalla chiarezza del rapporto, e crede di risolverla con la "vera democrazia" dove lo Stato sia "una autodeterminazione del popolo, un contenuto determinato del popolo" cioè della società civile.

Perciò Marx attacca, ancora da un punto di vista democratico, "l'intelletto politico" che è "entro i limiti della politica", che è volontà puramente politica, volontà giuridico-statale la quale si ritiene non condizionata e che, di conseguenza, non è espressione della volontà della società civile la quale invece deve dare "un contenuto determinato" allo Stato.

Qui Marx attacca il "primato della politica" della concezione machiavellica e giacobina in nome della "vera democrazia". In seguito supererà questa posizione, approdando al comunismo, con una nuova teoria dello Stato e, quindi, della politica. è utile seguire l'evoluzione di Marx nel salto che opera sul concetto di volontà perché in questa rottura si riassume il passaggio dalla democrazia al comunismo.

La volontà politica del "fare" la democrazia è superata dalla scoperta materialistica della volontà condizionata.

Democraticisti di ogni genere affermano che non esiste una teoria di Marx sullo Stato e sulla politica. Ne esistono, invece, addirittura due: quella materialistica e scientifica, che noi comunisti portiamo avanti, e quella democratica prescientifica che aveva già affrontato tutte quelle presunte novità sulle quali questi pigmei del socialimperialismo fanno finta di impegnarsi. Con la teoria della volontà condizionata Marx supera il primato della politica e quindi anche la democrazia.

Nella teoria della determinazione della politica, quindi della volontà politica, dell'azione politica, della stessa volontà ed azione, Marx pone la base scientifica dell'azione politica reale, pone la base della scienza politica. Se la volontà politica è condizionata, la politica reale è quella che ha la consapevolezza scientifica del condizionamento.

Conoscendo i fattori del condizionamento si ha la possibilità oggettiva di azione e di volontà politica nel quadro delle tendenze reali operanti in una società divisa in classi. I marxisti rivoluzionari solo per questa consapevolezza scientifica acquisiscono superiorità storica e strategica. Coloro che non l'hanno si illudono di agire liberamente, di "fare politica", mentre altro non sono che espressione di una volontà condizionata, espressione perciò di un primato dell'economia anche se mascherato dall'ideologia.

Ed è proprio smantellando l'ideologia tedesca, nel 1845-1846, che Marx ed Engels elaborano la concezione materialistica della politica come "volontà determinata" e cancellano l'illusione della politica come volontà libera: "poiché lo Stato è la forma in cui gli individui di una classe dominante fanno valere i loro interessi comuni e in cui si riassume l'intera società civile di un'epoca, ne segue che tutte le istituzioni comuni passano attraverso l'intermediario dello Stato e ricevono una forma politica. Di qui l'illusione che la legge riposi sulla volontà strappata dalla sua base reale, sulla volontà libera".

Marx, nel 1843, vedeva ancora l'impotenza dello Stato come risultato della contraddizione tra vita, o volontà, politica e vita privata, o economica. Nell’ "Ideologia tedesca", del 1845-1846, vede invece la vita politica come forma, e non più contraddizione, degli interessi "comuni" della vita privata della classe dominante.

Prima rifiutava lo Stato come interesse comune dei cittadini. Ora lo vede come interesse comune dei cittadini dominanti nella vita privata, i borghesi. Le fondamenta della teoria e della pratica comunista sono in questa scoperta scientifica gettate per sempre.

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Il potere dei rapporti materiali

La concezione materialistica della politica parte dalla scoperta della base reale del potere politico. Che il potere politico non sia il risultato dell'idea, Marx lo aveva già dimostrato, da democratico rivoluzionario, contro Hegel. Che non sia il risultato di un'altra manifestazione della volontà, la violenza, lo dimostrerà, da comunista, assieme ad Engels. La violenza, in una società capitalistica è nei rapporti materiali, è nei rapporti economici, è una violenza oggettiva, e la violenza politica che si organizza nel potere politico è risultato e non causa. Così la volontà politica che si esercita nella violenza è una "volontà condizionata" e non una "volontà libera".

Nel 1877 Engels esporrà magistralmente, nell’ "Anti-Dühring", la "Teoria della violenza" dal punto di vista della concezione materialistica e del rapporto tra economia e politica. Ma già nell' "Ideologia tedesca" del 1845-1846, questa concezione è chiaramente delineata nella risposta alla teoria dello Stato di Hobbes: "Se si prende il potere come base del diritto, come fanno Hobbes ecc., il diritto, la legge ecc. non sono altro che sintomo, espressione di altri rapporti, su cui riposa il potere dello Stato. La vita materiale degli individui, che non dipende affatto dalla pura "volontà", il loro modo di produzione e la forma di relazioni che si condizionano a vicenda, sono la base reale dello Stato e continuano ad esserlo in tutti gli stadi nei quali sono ancora necessarie la divisione del lavoro e la proprietà privata, del tutto indipendentemente dalla volontà degli individui. Questi rapporti reali non sono affatto creati dal potere dello Stato; essi sono piuttosto il potere che crea quello".

La definizione è chiara: il potere effettivo è costituito dai rapporti reali ed è esso a creare il potere dello Stato. Il potere reale è l'economia, il potere apparente è la politica. Ciò non vuol dire che la politica non sia forza; vuol dire che la forza della politica, il potere dello Stato dipende dalla forza dell'economia e non viceversa. I rapporti materiali, i rapporti reali non dipendono dalla volontà degli individui, ma sono rapporti dati, acquisiti. Ciò significa che la volontà degli individui non può crearli né modificarli, come hanno sempre preteso gli ideologi, da Hobbes ai democratici imperialistici dei giorni nostri, dimostrando solo la loro impotenza.

Si deve concludere che non esiste la volontà politica? No, essa esiste ed ha un ruolo, il marxismo ha scoperto scientificamente questo ruolo quando ha analizzato perché e in che modo la volontà politica non determina i rapporti reali ma ne è necessariamente determinata. Quindi la politica è indispensabile alla economia.

1 singoli capitalisti hanno indubbiamente una volontà individuale, così come l'hanno i singoli proletari. Ma questa volontà non è ancora volontà politica. Quando lo diviene è qualcosa di diverso, è un risultato sociale, una espressione di classe: "Gli individui che dominano in questi rapporti - a parte il fatto che il loro potere deve costituirsi come Stato - devono dare alla loro volontà condizionata da questi rapporti determinati un'espressione universale sotto forma di volontà dello Stato, di legge. espressione il cui contenuto è sempre dato dai rapporti di questa classe, come dimostrano chiarissimamente il diritto privato e il diritto criminale".

Anche in questo passo la definizione è senza equivoci: i capitalisti singoli che dominano nei rapporti reali di produzione devono necessariamente dare alla loro individuale "volontà condizionata" la forma universale di volontà dello Stato. Da questo processo politico delle "volontà condizionate" dei dominatori dei rapporti sociali prende forma il potere politico, il potere statale.

Marx, in una lettera ad Annenkov del 1846, ci spiega ulteriormente la sua concezione materialistica: "Che cosa è la società, qualsiasi sia la sua forma? Il prodotto dell'azione reciproca degli uomini. Gli uomini hanno la libertà di scegliersi questa o quell'altra forma di società? Affatto. Scegliete uno stadio particolare di sviluppo delle forze produttive dell'uomo ed avrete una particolare forma di commercio e di consumo. Scegliete stadi particolari di sviluppo della produzione e avrete una organizzazione corrispondente della famiglia, degli ordini e classi, in una parola, una società civile particolare e avrete condizioni politiche particolari, che sono soltanto l'espressione ufficiale della società civile".

Gli uomini non sono liberi di scegliersi la forma di società, e quindi le condizioni politiche particolari, perché acquisiscono le forze produttive come prodotto storico: "è superfluo aggiungere che gli uomini non sono liberi di scegliere le proprie forze produttive - che sono la base di tutta la loro storia - perché ogni forza produttiva è una forza acquisita, il prodotto dell'attività anteriore... Per il semplice fatto che ogni successiva generazione si trova in possesso delle forze produttive conquistate dalla generazione precedente, che servono come materia prima per una nuova produzione, nella storia umana si forma una concatenazione".

Marx spiega la "concatenazione" nei seguenti termini: "Di qui consegue necessariamente: la storia sociale degli uomini non è altro che la storia del loro sviluppo sociale, ne siano coscienti o no. I loro rapporti materiali sono la base di tutti i loro rapporti. Questi rapporti materiali sono soltanto le forme necessarie in cui si realizza la loro attività materiale ed individuale".

La teoria marxista della politica permette di comprendere qual è la concatenazione che ha portato lo Stato liberale ad operare come Stato imperialista e la ideologia liberale a divenire la ideologia imperialista dell'interventismo statale sul terreno nazionale e su quello internazionale. è stata la concatenazione determinata dallo sviluppo sociale e non dalla coscienza e dalla volontà politica. è stato lo sviluppo dei rapporti materiali a costituire la concatenazione di sviluppo dei rapporti politici. E proprio questa concatenazione di sviluppo spiega perché la concezione ideologica della politica nella fase imperialistica debba necessariamente capovolgere, nella sua rappresentazione, il rapporto tra economia e politica.

La forza produttiva dell'imperialismo è una forza acquisita in proporzione ed in grandezza superiore a quella acquisita ai tempi di Marx. La volontà politica ne è altrettanto proporzionatamente condizionata. L’ideologia deve nella sua falsa rappresentazione capovolgere questo dato acquisito. La politica comunista, invece, parte da quello per capovolgere il mondo.

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Le idee politiche del dominio economico

La concezione materialistica della politica si sviluppa, nel pensiero di Marx, con la scoperta delle leggi di movimento del sistema capitalistico. La teoria politica che non tiene conto di queste leggi è destinata ad essere una ideologia apologetica di tale sistema, anche quando apparentemente lo critica poiché, in definitiva, ne critica solo alcuni aspetti. La democrazia, anche nel suo avanzato momento rivoluzionario, è una teoria politica la quale, proprio perché non assume come determinanti dell'azione politica le leggi di movimento del capitalismo, diventa la più atta a fungere come sovrastruttura all'economia regolata da quelle leggi.

Ancor più lo è quando, nella maturità imperialistica del capitalismo, fornisce l'ideologia dell'intervento dello Stato. Una delle più sciocche critiche fatte al marxismo da parte dei teorici democratici della fase imperialistica, e dai loro imitatori opportunisti, è quella che sostiene che Marx non ha voluto, o non ha potuto, prendere in considerazione l'intervento dello Stato nell'economia. Per alcuni di questi critici il marxismo non poteva analizzare e criticare che una economia capitalistica liberale dove l'intervento dello Stato era limitato. Per altri ancora il marxismo è figlio dell'età liberale, quando è addirittura liberale esso stesso avendo in comune con gli economisti classici la concezione del primato dell'economia.

Il fatto che queste tesi siano predominanti nell'attacco attuale al marxismo dimostra di per sé a quale grado di degenerazione sia giunta l'ideologia democratica nel suo imputridimento imperialistico. 1 democratici con i quali si scontrarono Marx, Engels e Lenin avevano ben altra levatura di tesi. Basti pensare ai populisti russi.

I loro epigoni non sanno che la concezione comunista della politica si distacca dalla concezione democratica proprio perché scopre scientificamente il reale rapporto tra l'economia e la politica e, quindi, tra la società e lo Stato. Non si tratta di un rapporto generico, sul quale ovviamente tutti sono d'accordo, ma della definizione scientifica del meccanismo reale di questo rapporto. Da qui la critica del materialismo storico al rapporto immaginario tra economia e politica, tra società e Stato, tra movimento dell'economia e intervento dello Stato. Il pensiero politico democratico è l'espressione massima del rapporto immaginario tra economia e politica.

Il fatto che Marx ed Engels avessero in comune con gli economisti classici liberali la concezione del primato dell'economia è, in questo senso, secondario ai fini della differenziazione antagonistica fra la teoria democratica e la teoria comunista dello Stato. Più importante è, invece, il fatto che la concezione materialistica della politica Marx ed Engels la elaborano confrontandosi non solo con la concezione di Smith, Ricardo, Hobbes, Rousseau ed Hegel ma anche con quella di Friedrich List, padre spirituale dello Zollverein tedesco. Nel 1845, anno di elaborazione de "L’ideologia tedesca", Engels in un discorso a Eberfeld e Marx in un manoscritto inedito attaccano le due principali idee di List: l'idea di nazionalità opposta al cosmopolitismo di Smith e Ricardo e l'idea delle forze produttive opposta al valore di scambio degli economisti inglesi.

List, accusando la scuola inglese di assumere l'armonia universale delle nazioni sul mercato mondiale e di non vedere che queste hanno interessi divergenti, vuole che lo Stato tuteli la capacità concorrenziale tedesca tramite il protezionismo. Lo Stato, per List, deve inoltre intervenire per programmare lo sviluppo delle forze produttive, materiali, intellettuali e morali, le quali sono la base della Nazione.

Come giudica Marx queste teorie, che, guarda caso, precorrono i temi ed i miti dell'attuale ideologia imperialista, coltivata da tutti quei programmatori democratici riformisti ed opportunisti i quali sostengono che il vecchio Marx non poteva conoscere la nuova ricetta statalista? Marx le giudica per quello che rappresentano: l'arretratezza economica tedesca nella prima metà dell'Ottocento.

Anche alla luce dell'anti-List si leggono politicamente meglio le affermazioni pratico-strategiche de "L’ideologia tedesca": "Le idee dominanti non sono altro che l'espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee. sono dunque l'espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio".

Non esiste, per il marxismo, una concezione filosofica che non sia una concezione politica. Per la concezione materialistica della politica, quindi, le idee politiche della classe che domina l'economia sono le idee dominanti. In altri termini: sono le idee politiche del suo dominio.

Il dominio è nei rapporti materiali. Da tale dominio deriva il ruolo dello Stato. Non è l'intervento dello Stato a determinare il dominio sui rapporti materiali. Il meccanismo che presiede al rapporto economia-politica è proprio l'inverso di ciò che le teorie politiche non materialistiche concepiscono. Le idee politiche sono l'espressione del dominio economico, l'espressione del "dispotismo del capitale", come dice Marx, che diventano l'espressione del "dispotismo del capitale e del suo Stato", per riprendere ancora la sua formula. Le idee politiche dominanti divengono, infatti, le volontà politiche dominanti, ossia le volontà politiche d'intervento dello Stato. Quando le idee diventano volontà politiche lo diventano come volontà generali organizzate, Importante per la vita del sistema è che esse funzionino ancor prima e ancor più di quanto abbiano consapevolezza del meccanismo del loro funzionamento.

La conoscenza di questo meccanismo è, invece, fondamentale per il marxismo: "Gli individui che compongono la classe dominante posseggono fra l'altro anche la coscienza, e quindi pensano; in quanto dominano come classe e determinano l'intero ambito di un'epoca storica, è evidente che essi lo fanno in tutta la loro estensione, e quindi dominano anche come pensanti, come produttori di idee che regolano la produzione e la distribuzione delle idee del loro tempo; è dunque evidente che le loro idee sono le idee dominanti dell'epoca".

In questa descrizione che Marx ed Engels ci fanno del meccanismo di produzione delle idee dominanti c'è qualcosa di più della demistificazione delle ideologie. Solo gli intellettuali possono, al contrario di Marx ed Engels, credere di essere i produttori delle idee e di potere, di conseguenza, combattere immaginarie battaglie come i Don Chisciotte dell'egemonia. La scienza marxista della politica, invece, trova nella teoria di Marx e di Engels la fonte insuperata per le battaglie strategiche sui rapporti materiali delle classi.

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La democrazia e il principio comunista

La teoria politica di Marx e di Engels è comunista perché è la critica scientifica delle forme politiche dei modi di produzione. La critica comunista alla democrazia non è, quindi, la contrapposizione di un ideale ad un altro ideale, ma l'esercizio rigoroso dell'analisi oggettiva sul ruolo effettivo della forma politica democratica nella economia capitalistica. La democrazia afferma la libertà dell'individuo. Il marxismo non nega che la democrazia rappresenti questa libertà, anzi precisa che nella società borghese la libertà del singolo usa pienamente la casualità, cioè diviene necessaria all'economia. La libertà diviene ancor più socialmente condizionata, cosi come accade per la libertà del singolo e per la volontà associata e organizzata, la volontà politica.

Dicono Marx ed Engels ne 'L’ideologia tedesca': "è proprio l'unione degli individui (naturalmente nell'ambito del presupposto delle forze produttive attualmente sviluppate) che mette le condizioni del libero sviluppo e del libero movimento degli individui sotto il loro controllo; condizioni che finora erano lasciate al caso e che si erano rese autonome di contro ai singoli individui proprio attraverso il fatto che essi erano separati come individui, attraverso la loro necessaria unione, che era data con la divisione dei lavoro ma che per la loro separazione era diventata un vincolo ad essi estraneo".

Lo sviluppo delle forze produttive pone le condizioni oggettive che permettono la libertà necessaria alle forze produttive stesse, ossia allo sviluppo capitalistico.

Marx ed Engels attaccano, a questo punto, Rousseau, il quale non vede che il carattere sociale della libertà è dato dal tipo di unione degli individui corrispondente allo sviluppo delle forze produttive e della divisione del lavoro: "La unione che si è avuta finora non era affatto arbitraria, come viene rappresentata per esempio nel "Contrat Social", ma necessaria (si confronti ad esempio la formazione dello Stato nordamericano e le repubbliche sudamericane) sulla base delle condizioni entro le quali gli individui potevano godere della casualità. Questo diritto, di poter godere indisturbati della casualità all'interno di certe condizioni, veniva finora chiamato libertà personale. Queste condizioni di esistenza sono naturalmente soltanto le forze di produzione e le forme di relazioni di ciascun periodo".

Il marxismo traccia qui una precisa descrizione della libertà del singolo nella società borghese. Questa libertà è, essenzialmente, il diritto di godere della casualità entro le condizioni oggettive determinate dallo sviluppo dell'economia. La forma politica è quella espressa da questo diritto al caso, all'occasione. L’ideologia democratica pone al primo posto, come fattore determinante, la libertà e la volontà dell'individuo concepito come cittadino. Per il marxismo, invece, il libero sviluppo dell'individuo e il libero movimento degli individui sono la casualità determinata da un tipo di società, o unione di individui, resa storicamente necessaria dalla evoluzione delle forze produttive e dei rapporti sociali.

è questa necessità sociale a sottrarre la libertà individuale o libertà socialmente casuale all'arbitrio e al vincolo estraneo alla necessità della società borghese. Quindi, la democrazia è la forma pura della libertà individuale nel processo di produzione e di circolazione capitalistico. In una diversa unione degli individui, in una società comunista dove non vi è una divisione classista del lavoro, la libertà del singolo o godimento individuale della casualità sarà necessariamente diversa poiché diverse saranno le condizioni di esistenza.

Quello che non può essere è, invece, la estensione massima della libertà individuale o estensione massima della democrazia poiché queste sono, appunto, le forme pure del capitalismo puro; mentre il comunismo è la negazione antagonistica del capitalismo. Per meglio dire: il comunismo è la negazione pura del capitalismo puro. Più il capitalismo diventa puro, più crea le condizioni della sua negazione assoluta, il comunismo.

Quello che con la teoria politica marxista è espressione teorica del movimento reale è destinato storicamente ad essere la manifestazione pratica della lotta di classe. La rottura teorica tra comunismo e democrazia non ha fatto altro che anticipare il corso storico della lotta di classe, come la Rivoluzione d'Ottobre ha dimostrato, anche se è rimasta incompiuta, e come il futuro dimostrerà nel momento in cui ne continuerà l'opera. La democrazia è anticomunista sempre e comunque perché la democrazia è la forma capitalistica per eccellenza dello Stato ed il comunismo è una società senza classi e senza Stato.

Dimenticare questa verità elementare, questo punto fermo della lotta di classe, significa smarrire il principio del comunismo. Senza questo principio non è possibile né una strategia né una tattica rivoluzionaria. Il Partito proletario si è trovato nella sua storia a dover affrontare in sede strategica e tattica il problema delle forme politiche della lotta di classe e, quindi, il problema della democrazia. Esso ha saputo risolverlo solo quando è rimasto fermamente ancorato ai suoi principi comunisti fondamentali. "Stato e rivoluzione" di Lenin ne è l'esempio maestro.

Dice chiaramente Lenin: "No! La democrazia non si identifica con la sottomissione della minoranza, democrazia è uno Stato che riconosce la sottomissione della minoranza alla maggioranza, cioè l'organizzazione della violenza sistematicamente esercitata da una classe contro un'altra, da una parte della popolazione contro l'altra. Noi ci assegniamo come scopo finale la soppressione dello Stato, cioè di ogni violenza organizzata e sistematica, di ogni violenza esercitata contro gli uomini in generale".

Come si vede, Lenin si contrappone alla democrazia pura, e non ad una delle sue variazioni o gradazioni, per affermare il principio comunista. Qualsiasi revisionista segue il procedi mento opposto: scambia la deviazione per il principio democratico e contrabbanda democrazia pura per comunismo.

Già nel 1844, ne "La sacra famiglia", Marx ed Engels avevano individuato le variazioni o gradazioni della democrazia pura e stabilito correttamente i termini della questione della forma specifica di Stato borghese: "Robespierre, Saint-Just e il loro partito sono caduti perché hanno scambiato la comunità antica, realisticamente democratica che poggiava sul fondamento della schiavitù reale, con lo Stato moderno, rappresentativo, spiritualisticamente democratico, che poggia sulla schiavitù emancipata, sulla società civile. Che colossale illusione essere costretti a riconoscere e a sanzionare nei diritti dell'uomo la società civile moderna,- la società dell'industria, della concorrenza generale, degli interessi privati perseguenti liberamente i loro fini, dell'anarchia, dell'individualità naturale e spirituale alienata a se stessa, e volere poi nello stesso tempo annullare nei singoli individui le manifestazioni vitali di questa società, e volere modellare la testa politica di questa società nel modo antico!".

Anche la democrazia nell'imputridimento imperialista ha queste illusioni colossali. Spetta alla critica comunista metterle a nudo.

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La politica comunista

Marx ha sempre negato il merito di aver scoperto la lotta delle classi e lo ha riconosciuto agli storici borghesi suoi predecessori. In una lettera del 1852 a Weydemeyer egli dice che quello di nuovo che ha fatto è stato di dimostrare il fondamento economico delle classi, la necessità dello sbocco della lotta di classe nella dittatura del proletariato e il passaggio tramite essa alla soppressione di tutte le classi e a una società senza classi.

Già nel 1850 Marx ed Engels si proponevano come compito quello di: "fornire una trattazione scientifica completa dei rapporti economici che costituiscono la base del movimento politico complessivo". Senza di questa certamente non sarebbe stato possibile dimostrare come la legge di movimento della formazione economico-sociale si manifesti nella dinamica politica.

Marx enuncia, nella sua scoperta, i tre principi generali della teoria politica comunista. Avremo occasione di occuparcene; per ora ci interessa verificarne la validità. Crisi economiche, crisi politiche, guerre e rivoluzioni accompagnano, per più di mezzo secolo dalla affermazione di Marx, lo sviluppo storico della produzione che determina le classi e la loro lotta. Lo sviluppo della produzione condurrà alla prima grande guerra imperialista su scala mondiale della storia. Il proletariato internazionale sarà necessariamente costretto a portare avanti la sua lotta e giungerà, nel suo reparto più avanzato costituito dal proletariato russo e nella sua coscienza strategica costituita dal partito bolscevico, ad imporre la sua dittatura contro la dittatura della borghesia internazionale.

La Rivoluzione d'Ottobre è la grandiosa dimostrazione della validità della teoria politica comunista. Non era mai accaduto, nella storia del pensiero politico, che i principi enunciati con tanta chiarezza in teoria trovassero una così puntuale applicazione nella pratica da parte di una generazione rivoluzionaria che non era ancora nata quando i suoi maestri ne tracciarono il destino politico. Le teorie borghesi democratiche, più vecchie del marxismo, scompaiono al confronto. Gli epigoni imperialisti della democrazia, i quali addirittura pretendono di criticare il marxismo, dimostrano di essere solo degli ideologi impegnati a non riconoscere la superiorità della scienza marxista. Possono sbraitare finché vogliono sulle sorti della Rivoluzione d'Ottobre. Non riusciranno mai a cancellare il fatto che con l'Ottobre il marxismo ha vinto!

Certo, la rivoluzione proletaria internazionale ha perso perché non è riuscita ad estendersi dalla Russia, ma Marx non ha mai detto di aver scoperto che la lotta di classe conduce necessariamente al successo del primo assalto della rivoluzione proletaria internazionale. Ha detto che la lotta di classe conduce necessariamente alla dittatura del proletariato. Ed è ciò che è accaduto. Se è accaduto può e deve di nuovo accadere.

Il marxismo è scienza perché analizza il movimento reale e lo riflette nella astrazione. I suoi principi politici non sono rappresentazioni ideali soggettive ma generalizzazioni di processi reali che intercorrono tra movimento della economia e movimento della politica. Questi processi danno luogo a fenomeni reiterati, a fenomeni che si ripetono nella loro essenzialità se non nella loro forma.

Ciò è chiaro per l'economia, lo è meno per la politica data la complessità delle forme che questa presenta. Ma la costanza dei fenomeni economici e sociali determina una costanza dei fenomeni politici. Se Marx non avesse posto scientificamente il rapporto tra economia e politica sarebbe rimasto al livello del primo principio enunciato senza poterlo completare con il secondo e con il terzo.

Se non si potesse individuare una reiterabilità, una costanza, dei fenomeni politici nel loro rapporto determinato dai fenomeni economici, come si potrebbe affermare, con Marx, che la lotta di classe conduce necessariamente alla dittatura del proletariato, ossia ad uno specifico rapporto politico tra le classi in lotta? Si potrebbe affermare esclusivamente "che l'esistenza delle classi è soltanto legata a determinate fasi di sviluppo storico della produzione". La reiterabilità dei fenomeni sarebbe, in questo caso, ristretta al rapporto tra produzione e classi sociali e non estesa al rapporto classi e politica.

Il significato profondo dell'Ottobre sta in questa gigantesca verifica del marxismo e nella certezza scientifica inconfutabile che, qualora il rapporto tra le classi e il loro antagonismo si presentino nella combinazione prevista dalla teoria, un Ottobre più vasto sarebbe destinato a ripetersi. Tracciando il primo bilancio della rivoluzione, Lenin lo dice chiaramente: "I tratti fondamentali della nostra rivoluzione non hanno un'importanza esclusivamente russa; ma hanno un'importanza internazionale, nel senso della inevitabilità storica che si ripeta su scala internazionale ciò che è accaduto da noi".

A ragione Lenin può affermare che "il Bolscevismo è diventato la teoria e la tattica mondiale del proletariato". Il bolscevismo è stato il movimento politico che è stato espresso dalla legge universale della rivoluzione, scoperta da Marx, il movimento politico che l'ha praticata e che l'ha verificata. è stato il risultato dei tre principi della politica comunista. Quindi è teoria e pratica mondiale. Restringerlo alla teoria e alla pratica russa significa rifiutare la scienza marxista.

"Marxista è soltanto colui che estende il riconoscimento della lotta di classe al riconoscimento della dittatura del proletariato", aveva detto Lenin in polemica con gli opportunisti. L'importanza internazionale dell'Ottobre risiede, appunto, nel senso dell'inevitabilità storica della dittatura del proletariato su scala allargata. O la lotta del proletariato giunge alle conclusioni politiche in cui è giunta nell'ottobre del 1917 in Russia, oppure essa soggiace alla dittatura borghese.

Una terza via, che smentisca Marx, la storia non l'ha inventata. L’hanno inventata soltanto i cialtroni dell'opportunismo, i quali sono niente più che i granelli della storia, macigni pesanti quando il proletariato stenta a rimettere in moto la macchina della sua emancipazione, polvere triturata inesorabilmente quando la macchina marcia a pieno volume verso la meta finale.

Di fronte ai delegati dell'Internazionale Comunista, Lenin proclamò: "In caso di sconfitta avremo tuttavia giovato alla causa della rivoluzione, e la nostra esperienza andrà a vantaggio di altre rivoluzioni".

Questo è il testamento dell'Ottobre. Questa è l'eredità politica comunista che dobbiamo custodire col cuore e col cervello.

 

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Ultima modifica 29.12.2000