L'involucro politico

Capitolo decimo

LA CRITICA OGGETTIVISTICA DI STRUVE

I fatti determinati del potere pubblico
I fatti determinati degli intellettuali
I fatti determinati dagli individui alle classi
Gli individui della lotta di classe
Oggettivismo senza antagonismo sociale
La critica politica all'oggettivismo
La conoscenza della vita sociale
Il criterio della pratica nella conoscenza
L'analisi politica dei rapporti sociali
Indifferenza o neutralità politica

 

I fatti determinati del potere pubblico

Il sottotitolo dell'opera di Lenin contro P. Struve è dedicato ai Riflessi del marxismo nella letteratura borghese. P. Struve riconosce che al materialismo rimarrà sempre il merito di aver dato un'interpretazione profondamente scientifica, veramente filosofica di tutta una serie di fatti storici di immensa importanza.

Struve ammette che il materialismo è l'unico metodo scientifíco della sociologia, ma non accetta le generalizzazioni troppo affrettate di Marx. Cosa intende l'autore per generlitzzazioni troppo affrettate? Lenin va subito al cuore della critica struviana a Marx: si tratta dello Stato. Secondo Struve, negando lo Stato Marx e i suoi seguaci hanno esagerato andando troppo oltre nella critica dello Stato moderno.

Lenin cita il seguente passo di Struve: Lo Stato è prima di tutto organizzazione dell'ordine; esso è dunque organizzazione del dominio [di classe] in una società in cui la subordinazione di alcuni gruppi agli altri dipende dalla sua struttura economica.

Qualcuno ha scritto che solo con la guerra imperialista e in Stato e rivoluzione Lenin restaura la originaria teoria marxista dello Stato. La risposta, del 1895, a Struve dimostra il contrario: Prima di tutto egli sbaglia completamente quando vede il tratto caratteristico dello Stato nel potere coercitivo: il potere coercitivo esiste in qualsiasi convivenza umana, nel sistema gentilizio come nella famiglia, ma là lo Stato non c'era.

Lenin cita la classica formulazione di Engels: Uno dei caratteri distintivi essenziali dello Stato consiste in un potere pubblico distinto dalla massa del popolo.

La caratteristica dello Stato non è, quindi, il potere, poiché questa è una caratteristica comune a molte istituzioni sociali e non è neppure il potere coercitivo, per le stesse ragioni. La caratteristica dello Stato è il potere pubblico, è, come scrive Lenin: l'esistenza di una particolare classe di persone nelle cui mani si concentra il potere.

Difatti: Nessuno, naturalmente, potrebbe chiamare Stato una comunità in cui l'organizzazione dell'ordine sia diretta a turno da tutti i suoi membri.

La storia dei fatti determinati è anche la storia della sovrastruttura, la storia delle istituzioni, la storia delle organizzazioni dell'ordine, del potere coercitivo e del potere pubblico.

A tale proposito Lenin cita un illuminante passo del 18 Brumaio di Marx: L'interesse materiale della borghesia francese è precisamente legato nel modo più stretto al mantenimento di quella grande e ramificata macchina statale. Qui essa mette a posto la sua popolazione superflua; qui essa completa, sotto forma di stipendi statali, ciò che non può incassare sotto forma di profitti, interessi, rendite e onorari.

Qui è la storia del passato ed il fatto del presente.

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I fatti determinati degli intellettuali

Nella sua critica a P. Struve, teorico del liberalismo russo, Lenin precisa che, per il marxismo, la caratteristica dello Stato è il potere pubblico. In altra occasione, commentando quella critica specifica, la avevamo collocata nella fase storica nella quale il marxismo si era confrontato con il pensiero liberale e democratico non ancora espresso dall'imputridimento imperialistico.

In quella stessa occasione, tendevamo a mettere in rilievo le contraddizioni della concezione soggettivistica della politica. In questa sede, invece, sottolineiamo le contraddizioni dell'oggettivismo così come Lenin lo definisce.

L'interpretazione materialista dei fatti determinati risulta chiara, nell'opera di Lenin, proprio dal confronto con quella soggettivista e con quella oggettivista. La dialettica emerge con particolare chiarezza quando i fatti determinati sono quelli della sovrastruttura, in generale, e dello Stato, in particolare.

Scrive Lenin nel secondo capitolo: Il signor Struve completa l'esposizione del materialismo valutando, secondo la concezione materialistica, due fattori che assolvono una funzione molto importante in tutte le costruzioni populiste. vale a dire gli intellettuali e lo Stato.

Il populista soggettivista collega intellettuali e Stato nella loro concezione, l'oggettivista Struve accetta il collegamento per criticarlo, il materialista Lenin interviene nel merito per fornire di questo collegamento una teoria sugli intellettuali che è anche un aspetto della teoria sullo Stato. Indica la contraddizione dell'oggettivista Struve: La critica dell'autore si limita a confrontare l'assurda idea populista dell'onnipotenza degli intellettuali con la sua idea del tutto giusta della impotenza degli intellettuali nel processo economico.

E ancora: Ma questo confronto non basta. Occorre, invece, confrontare le idee e i programmi degli intellettuali con la situazione e gli interessi delle classi oggi esistenti nella società russa.

I populisti vantavano il fatto che gli intellettuali russi non appartenessero ad una casta. P. Struve li prendeva in parola e diceva che, senza schierarsi con una classe, essi non rappresentavano nulla. Il liberale vorrebbe che gli intellettuali si schierassero con la borghesia per lo sviluppo del capitalismo e rimane prigioniero della sua impostazione oggettivista nell'affrontare la questione degli intellettuali e dello Stato.

L'oggettivista, dice Lenin, vede le tendenze storiche inarrestabili, mentre il materialista individua la classe che gestisce un determinato ordinamento economico. Non si limita a indicare la necessità delle tendenze storiche ma vede quale classe determina questa necessità. In questo modo approfondisce e completa l'analisi della realtà oggettiva. Il materialismo, infine, comporta la partiticità, ossia l'aperta accettazione del punto di vista di una classe. L'oggettivismo, in fondo, respinge tale presa di posizione e, con ciò, si preclude la possibilità di approdare alla scienza.

Il fatto che gli intellettuali russi non appartengano ad una casta non esclude l'origine di classe delle loro idee; a questa conclusione giunge Lenin ed aggiunge: sempre e dappertutto la borghesia è insorta contro il feudalesimo in nome dell'abolizione delle caste....

Con lo sviluppo economico e la formazione di classi antagonistiche anche gli intellettuali si trasformano: diventano una forza reale in quanto essi prendono la difesa degli interessi generali della borghesia.

Il fatto che questa forza non abbia potuto creare istituzioni adeguate o convenienti per gli interessi che difende è dovuto principalmente alla duplicità delle classi dalle quali gli intellettuali sono usciti e dalle quali hanno attinto le loro energie. Il processo storico di formazione del potere pubblico in alcune aree include la duplicità delle classi.

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I fatti determinati dagli individui alle classi

Solo il materialista riesce a decifrare la duplicità delle classi perché ha risolto scientificamente il problema del rapporto fra l'individuo e il gruppo.

Scrive Lenin: Il signor Struve ha perfettamente ragione quando afferma che la teoria della lotta di classe corona, per così dire, la tendenza generale della sociologia a ricondurre gli elementi dell'individualità alle fonti sociali. Anzi: la teoria della lotta di classe attua per la prima volta questa tendenza con tale pienezza e coerenza da elevare la sociologia al rango della scienza.

È nella dinamica, nella lotta di classe, che viene risolto il problema del nesso fra il particolare e il generale.

Precisa Lenin, nel secondo capitolo della sua opera su P. Struve: Questo è stato ottenuto mediante la definizione materialista del concetto di 'gruppo'. Di per sé questo concetto è ancora troppo indeterminato e arbitrario: il criterio di distinzione dei 'gruppi' può essere visto e nei fenomeni religiosi e in quelli etnografici, politici, giuridici, ecc. Non esiste un criterio sicuro sulla base del quale in ciascuno di questi campi si possano distinguere determinati 'gruppi'.

Si può dire che è proprio dalla definizione del gruppo che si giunge alla definizione dell'individuo. Scrive Lenin: La teoria della lotta di classe invece costituisce un'immensa conquista della scienza sociale precisamente perché fissa con la massima esattezza e precisione i procedimenti per ricondurre l'individuo al sociale. L'individuo è ricondotto al sociale proprio considerando la lotta fra le classi.

Giustamente scrive Lenin che: In primo luogo questa teoria ha elaborato il concetto di formazione economico-sociale. Indica la base della società in un sistema di rapporti di produzione.

Ognuno di questi sistemi è un particolare organismo sociale che ha particolari leggi di nascita, di funzionamento e di trasformazione in un altro organismo sociale.

Occorre aggiungere che: In secondo luogo, le azioni degli individui vivi entro i limiti di ognuna di queste formazioni economico-sociali, azioni infinitamente disparate, apparentemente non suscettibili di sistematizzazione, sono state generalizzate e ricondotte alle azioni di gruppi di individui distinti fra loro per la funzione che assolvono nel sistema dei rapporti di produzione e, quindi, per le loro condizioni d'esistenza, per gli interessi che sono determinati da queste condizioni, in una parola ricondotte alle azioni delle classi, la cui lotta ha determinato lo sviluppo della società.

Il materialista, tramite il concetto di formazione economico-sociale, è in condizione di analizzare le azioni degli individui.

La concezione che considera il processo sociale come un processo storico-naturale supera la concezione soggettivistica, puerilmente ingenua, puramente meccanica secondo la quale la storia è fatta da individui vivi. Il materialista usa il metodo dialettico e supera il meccanicismo.

Conclude Lenin su questo punto: Il fatto è che per il mondo fisico da molto tempo si è stabilito definitivamente che l'individualità è subordinata a determinate leggi generali, mentre per il campo sociale questo è stato saldamente stabilito solo dalla teoria di Marx.

Il passaggio dall'individuo alla classe è, in definitiva, il cammino dall'ideologia alla scienza nel campo sociale.

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Gli individui della lotta di classe

La teoria della lotta di classe permette di ricondurre l'individuo al sociale e rende possibile il passaggio alla scienza che studia i rapporti reciproci fra gli individui. Nel secondo capitolo dell'Anti-Struve, Lenin pone il problema dell'individuo nel contesto della teoria della lotta di classe.

Il capitalismo crea le condizioni per lo sviluppo dell'individuo: Il significato progressivo del capitalismo consiste precisamente nel fatto che esso ha distrutto le precedenti ristrette condizioni di vita dell'uomo, che erano la causa dell'ottusità intellettuale e non davano ai produttori stessi la possibilità di prendere nelle loro mani la propria sorte.

La lotta di classe ha distrutto i vincoli che impedivano l'affermazione dell'individuo. Ecco in che modo: L'immenso sviluppo dei rapporti commerciali e dello scambio mondiale, gli spostamenti continui di enormi masse della popolazione hanno spezzato i vincoli secolari della gens, della famiglia, della comunità territoriale e hanno creato quella varietà di sviluppo, quella varietà di talenti, quella ricchezza di rapporti sociali (K. Marx, Il 18 brumaio), che assolve una funzione così importante nella storia contemporanea dell'Occidente. Il richiamo a Marx è significativo perché stabilisce il nesso fra individuo e mercato mondiale.

L'individuo sociale assume caratteri determinati dal mercato mondiale stesso: E d'altra parte, precisamente il capitalismo, che ha sottratto l'individuo a tutti i vincoli feudali, l'ha posto in condizioni d'indipendenza, di fronte al mercato, rendendolo possessore di merci (e come tale eguale a qualsiasi possessore di merci), ha sviluppato il senso della personalità.

L'individuo sociale diventa possessore di merci. La forza-lavoro è divenuta una merce, un valore di scambio. I rapporti sociali fra gli individui diventano rapporti fra merci e, quindi, rapporti di lotta. Nel terzo capitolo, Lenin critica l'oggettivismo di Struve: D'altro lato, il carattere astratto dei ragionamenti dell'autore rende discordanti le sue tesi e fa sì che egli, pur indicando giustamente l'esistenza di un tale processo, non esamini quali classi si siano formate su questo terreno, quali classi siano state i veicoli del processo, ostacolando gli altri strati della popolazione ad esse subordinati; in una parola, l'oggettivismo dell'autore non arriva qui sino al materialismo nel significato suaccennato di questi termini.

La prefazione di Marx alla sua opera su Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte viene richiamata per la distinzione che stabilisce fra oggettivismo e materialismo. Marx la indica nei seguenti termini: Proudhon, dal canto suo, cerca di rappresentare il colpo di Stato come il risultato di una precedente evoluzione storica; ma la ricostruzione storica del colpo di Stato si trasforma in lui in una apologia storica dell'eroe del colpo di Stato. Egli cade così nell'errore dei nostri cosiddetti storici oggettivi. Io mostro, invece, come in Francia la lotta di classe creò delle circostanze e una situazione che resero possibile a un personaggio mediocre e grottesco di far la parte dell'eroe.

L'oggettivismo inventa l'apologia, il materialismo scopre l'individuo nella lotta delle classi.

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Oggettivismo senza antagonismo sociale

Nel terzo capitolo dell'Anti-Struve, Lenin scrive: Questo ristretto oggettivismo, questo marxismo inconseguente è il difetto principale del libro del signor Struve, e su di esso è necessario soffermarci in modo assai particolareggiato, per mostrare che esso scaturisce precisamente non dal marxismo, ma dalla sua applicazione inadeguata; non dal fatto che l'autore abbia visto altri criteri della sua teoria oltre alla realtà, che egli abbia tratto altre conclusioni pratiche dalla dottrina (esse sono impossibili, ripeto, inconcepibili senza mutilarla di tutti i principii più importanti), ma perché l'autore si è limitato a un solo aspetto, più generale, della teoria e non l'ha applicato con piena coerenza.

L'oggettivismo si caratterizza proprio perché non vede la realtà come antagonismo di classe. Spesso è la concezione democratica ad impedirglielo.

Una citazione del Diciotto Brumaio viene indicata come la geniale definizione della democrazia formulata quarant'anni prima nei seguenti termini da Marx: Il democratico, poiché rappresenta la piccola borghesia, cioè una classe intermedia, in seno alla quale si smussano in pari tempo gli interessi di due classi, si immagina di essere superiore, in generale, ai contrasti di classe.

Lenin prosegue la sua critica all'oggettivismo nel quarto capitolo: I marxisti devono impostare questi problemi in modo completamente diverso. Dovendo cercare le radici dei fenomeni sociali nei rapporti di produzione, dovendo ricondurre questi fenomeni agli interessi di determinate classi, essi devono formulare gli stessi desiderata come aspirazioni di determinati elementi sociali, aspirazioni che incontrano l'opposizione di determinati altri elementi e classi.

L'oggettivismo trascura di considerare le aspirazioni come fenomeni sociali e, quindi, ignora l'opposizione alle aspirazioni. In definitiva, è la teoria dell'antagonismo di classe ad essere ignorata o rifiutata.

Lenin allarga la critica ad un altro aspetto: Una simile impostazione eliminerà di per sé ogni possibilità di servirsi delle loro teorie per argomentazioni professorali che si sollevino al di sopra delle classi, per qualsiasi progetto e relazione che prometta un brillante successo.

Da sempre il marxismo si trova di fronte alla possibilità che l'avversario ne utilizzi alcune parti. Dato che tale possibilità rientra nella lotta delle classi e diventa, quindi, un interesse di parte, non è sufficiente la lotta partitica limitata alla denuncia.

Lenin conclude la sua critica a Struve proprio affrontando questo problema. Dice che: Se si pongono le stesse questioni applicando la teoria dell'antagonismo di classe si definiranno gli interessi essenziali di determinate classi. Le risposte che forniscono la definizione degli interessi essenziali ...saranno destinate ad essere utilizzate praticamente appunto da queste sole classi interessate....

La risposta di Lenin è magistrale. La teoria serve a definire gli interessi essenziali delle classi. Assolvendo il suo ruolo viene utilizzata praticamente dalle soli classi interessate.

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La critica politica all'oggettivismo

In un articolo del 1901, citato da Vittorio Strada nella sua rivalutazione del marxismo legale, P. Struve indirettamente attacca come superstizione ortodossa che porta alla intolleranza la critica di Lenin all'oggettivismo.

Per Struve è una superstizione ritenere che agli interessi di una determinata classe sociale corrisponda una sola costruzione teorica pienamente determinata. Contrapporre il pluralismo teorico e politico al monismo non risponde, però, alla esigenza scientifica e materialista di superare il soggettivismo e l'oggettivismo.

Nella prima parte del Che cosa sono gli amici del popolo Lenin respinge l'attribuzione della dialettica hegeliana al marxismo: se poi, qualche volta, avviene che lo sviluppo di un qualche fenomeno sociale sembra coincidere con lo schema hegeliano: tesi - negazione - negazione della negazione, non c'è nulla di stupefacente, giacché nella natura questo non è affatto una cosa rara.

Già Engels nel 1878 lo aveva precisato. Lenin lo ricorda: A Dühring, che aveva attaccato la dialettica di Marx, Engels replica che Marx non ha mai pensato di dimostrare qualche cosa con le tesi di Hegel, che Marx aveva soltanto studiato e investigato il processo reale, che egli riconosceva come unico criterio di una teoria la sua fedeltà alla realtà.

È importante, a questo punto, tenere presente quell'aspetto della critica all'oggettivismo dove si considera la teoria in rapporto all'antagonismo di classe. L'analisi del processo reale è, sostanzialmente, la scoperta degli interessi essenziali di determinate classi. Lenin lo ribadisce quando sfida a dimostrare il contrario: ma per vedere in questi ragionamenti di Engels qualche cosa di più dell'origine della teoria bisognerebbe, evidentemente, dimostrare che almeno un problema storico è stato risolto dai materialisti non sulla base di fatti appropriati, ma per mezzo delle triadi.

Non può essere diversamente, dato che: ...i materialisti (marxisti) sono stati i primi socialisti che sollevarono la questione della necessità di analizzare non soltanto la vita economica, ma tutti gli aspetti della vita sociale.

La necessità l'aveva indicata lo stesso Marx: Ciò è stato espresso con la massima chiarezza nel Capitale e nella tattica dei socialdemocratici in confronto a quella dei socialisti precedenti. Marx formulò chiaramente l'esigenza di non limitarsi all'aspetto economico della questione.

Lenin cita la lettera del 1843 a Arnold Ruge dove Marx rivendica la dignità teorica della critica politica: non è dunque affatto al di sotto della hauteur des principes far oggetto della critica la questione politica più particolare, ad esempio la differenza tra sistema degli Stati e sistema rappresentativo.

Continua Marx nella sua lettera: Infatti questa questione esprime soltanto in modo politico la differenza tra il dominio dell'uomo e il dominio della proprietà privata. Il critico dunque non soltanto può, egli deve entrare in questioni politiche (che, secondo l'opinione dei socialisti volgari, sono al di sotto di ogni dignità).

La critica politica è una parte dell'analisi della vita sociale. Indagare soltanto sulla vita economica non permette di affrontare quella differenza fra sistema degli Stati e sistema rappresentativo che si è sviluppata con la democrazia imperialista.

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La conoscenza della vita sociale

Il marxismo analizza tutti gli aspetti della vita sociale e pone, di conseguenza, le premesse per evitare gli scogli dell'oggettivismo e del soggettivismo. Studiando il processo reale, la teoria viene messa alla prova dato che deve affrontare tutti gli aspetti della vita sociale per scoprire le contraddizioni oggettive.

Le contraddizioni possono, infatti, essere individuate solo quando tutti gli aspetti della vita sociale sono messi in relazione gli uni con gli altri. Solo così la teoria è fedele alla realtà. Altrimenti, l'analisi che riguarda soltanto la vita economica è un'analisi limitata e non va oltre l'oggettivismo, come dimostra l'esperienza di Struve. Allo stesso modo l'analisi che riguarda soltanto la vita politica non riesce ad essere una critica politica scientifica e tende a scadere nel soggettivismo.

È usuale definire economicismo e politicismo questi limiti riscontrabili nel lavoro teorico e nel lavoro pratico. È una semplificazione che, a volte, può tornare utile; ma è pur sempre una semplificazione. Il marxismo va più a fondo nella questione. Lo vediamo nella esposizione, contenuta nell'opera di Lenin, della dialettica e della teoria della conoscenza.

Affinare gli strumenti dell'analisi significa dotarsi di una specifica teoria della conoscenza. In vari scritti Lenin provvede a questo compito, e lo fa ribadendo l'elaborazione di Marx ed Engels. Nel 1908, con il libro Materialismo ed empiriocriticismo, imposta una trattazione sistematica.

Dopo una dettagliata ricognizione sul terreno dei classici scrive: Abbiamo visto che Marx nel 1845 e Engels nel 1888 e nel 1892, hanno messo a base della teoria materialistica della conoscenza il criterio della pratica.

Lenin cita la seconda tesi su Feuerbach di Marx: La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica. A questo passo aggiunge un altro passo di Engels, proprio ad indicare la continuità dell'utilizzo del criterio della pratica da parte dei maestri: Il successo delle nostre azioni dimostra l'accordo [la corrispondenza, Uebereinstimmung] delle nostre percezioni con la natura oggettiva delle cose percepite.

Ricordiamo ancora che per Engels, nella sua critica a Dühring, l'unico criterio per la validità di una teoria è la sua fedeltà alla realtà.

Nel capitolo dedicato alla teoria della conoscenza, e in particolare nel sesto paragrafo, scrive Lenin: La conoscenza può essere biologicamente utile, utile alla pratica umana, alla conservazione della vita, alla conservazione della specie, solo quando riflette una verità obiettiva, indipendente dell'uomo. Per il materialista, il successo della pratica umana dimostra la corrispondenza delle nostre idee con la natura obiettiva delle cose che noi percepiamo.

In un altro passo avevamo visto come Lenin, nella metà del 1894 in polemica con i populisti, si richiamasse alla storia dello sviluppo della biologia. La distinzione fra i vari organismi sociali deve essere affrontata dal punto di vista della scienza biologica.

Più di dieci anni dopo, Lenin ritorna a tale punto di vista per illustrare la conoscenza scientifica della natura e della società.

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Il criterio della pratica nella conoscenza

Nell'opera dedicata a Materialismo ed empiriocriticismo Lenin sviluppa la teoria materialista della conoscenza in grado di evitare lo sterile oggettivismo e l'illusorio soggettivismo, ossia le tipiche deformazioni di una corretta critica politica basata su criteri scientifici.

A conclusione del sesto paragrafo Il criterio della pratica nella teoria della conoscenza, viene approfondita la tesi: Il punto di vista della vita, della pratica, deve essere il punto di vista primo e fondamentale della teoria della conoscenza. Ed essa conduce infallibilmente al materialismo rigettando dalla sua strada le interminabili elucubrazioni della scolastica professorale. Certo, non si deve dimenticare che il criterio della pratica, in sostanza, non può mai confermare o confutare completamente una rappresentazione umana, qualunque essa sia.

L'avverbio completamente viene sottolineato dall'autore. La difficoltà riguarda la definizione del criterio della pratica. Dice Lenin: Anche questo criterio è talmente indeterminato da non permettere alle conoscenze dell'uomo di trasformarsi in un assoluto, ma nello stesso tempo è abbastanza determinato per permettere una lotta implacabile contro tutte le varietà dell'idealismo e dell'agnosticismo. Se ciò che la nostra pratica conferma è la verità obiettiva, unica, finale, ne deriva l'ammissione che l'unica via che conduce a questa verità è la via della scienza che si mette dal punto di vista del materialismo.

Il criterio della pratica - si potrebbe dire - è talmente indeterminato da impedire una assolutizzazione di tipo oggettivistico, e abbastanza determinato da permettere una lotta contro le varietà del soggettivismo.

La realtà è un divenire e la pratica riflette un processo dinamico che la scienza deve analizzare. Il criterio della pratica è, di conseguenza, il metodo e non la soluzione. Lenin lo ribadisce: Ma poiché il criterio della pratica - cioè lo sviluppo di tutti i paesi capitalistici in questi ultimi decenni - dimostra la verità obiettiva di tutta la teoria economica e sociale di Marx in generale, e non dell'una o dell'altra sua parte, dell'una o dell'altra sua formula, ecc., è chiaro che parlare qui di dogmatismo dei marxisti significa fare un'imperdonabile concessione all'economia borghese.

E, per fugare ogni equivoco, precisa: Dall'opinione, accettata dai marxisti, che la teoria di Marx è una verità obiettiva, si può trarre una sola deduzione, ed è la seguente: per la via tracciata dalla teoria di Marx ci avvicineremo sempre più alla verità obiettiva (senza mai esaurirla); per qualsiasi altra via giungeremo invece soltanto alla confusione e alla menzogna.

Appunto: la verità obiettiva feconda inesauribilmente la lotta per la scienza.

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L'analisi politica dei rapporti sociali

La concezione materialista della politica è il risultato del superamento dell'oggettivismo e del soggettivismo nella lotta delle classi.

In Lotte di classe e Partito rivoluzionario abbiamo tentato di dimostrare che l'analisi politica dei rapporti sociali costituisce la scienza di una strategia di intervento rivoluzionario nei rapporti di produzione stessi. L'analisi politica dei rapporti sociali tenta l'analisi dei rapporti reciproci fra tutte le classi e delle forme di coscienza che assumono.

Scrive Antonio Labriola, nel terzo paragrafo del saggio Del materialismo storico del 1896, che la storia: non è la sola anatomia economica, ma tutto quello insieme che codesta anatomia riveste e ricopre, fino ai riflessi multicolori della fantasia.

Marx, nell'opera Per la critica dell'economia politica, stabilisce che non sono le forme della coscienza a determinare l'essere dell'uomo e che la coscienza è determinata dal modo di essere. Ma queste forme della coscienza, commenta A. Labriola, sono anch'esse la storia, dato che sono determinate dalle condizioni di vita.

Ogni fatto della storia ha origine dalle condizioni della sottostante struttura economica. Il teorico non si ferma alla soglia dell'oggettivismo e prosegue: ma non c'è fatto della storia che non sia preceduto, accompagnato e seguito da determinate forme di coscienza, sia questa superstiziosa o sperimentata, ingenua o riflessa, matura o incongrua, impulsiva o ammaestrata, fantastica o ragionante.

Avverte Labriola che nel campo del determinismo storico-sociale la mediazione delle cause agli effetti non è mai evidente. Occorre il sussidio di quel complesso di nozioni e conoscenze, che può dirsi, in mancanza di altro termine, psicologia sociale. L'autore avverte che si tratta di descrittiva: Codesta psicologia sociale, che nessuno può ridurre in astratti canoni, perché nella più parte dei casi è di sola descrittiva, è ciò che gli storici narratori e gli oratori e gli artisti e i romanzieri e gli ideologhi di ogni maniera fino ad ora videro e conobbero come esclusivo oggetto del loro studio e delle loro invenzioni.

Ribadisce la sua tesi: A cotesta psicologia, che è la specificata coscienza degli uomini in date condizioni sociali, si riferiscono e si appellano gli agitatori, gli oratori, i diffonditori di idee. Essa è l'effetto di determinate condizioni sociali: è formazione specificata di specificate condizioni e non espressione del processo astratto e generico del così detto spirito umano.

In definitiva, dice Labriola, non si tratta di ritradurre in categorie economiche tutte le complicate manifestazioni della storia, ma si tratta di spiegare ogni fatto storico per via della sottostante struttura economica (Marx): la qual cosa importa analisi e riduzione, e poi mediazione e composizione.

Può essere una forma di analisi politica dei rapporti sociali.

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Indifferenza o neutralità politica

Nell'articolo Il Partito socialista e rivoluzionarismo senza partiti del 26 novembre 1905, Lenin prende nettamente posizione su un aspetto della lotta politica: Il rigoroso spirito di partito è il compagno di viaggio e il frutto di una lotta di classe molto evoluta. E, d'altro canto, nell'interesse di una lotta di classe aperta e ampia, è indispensabile sviluppare un rigoroso spirito di partito. La tesi è una precisa espressione della concezione materialista della politica.

Il rigoroso spirito di partito è il risultato di una lotta di classe evoluta, aperta, ampia. È un segno di chiarezza e di maturazione, mentre l'indifferenza è segno di ambiguità, oscurità, ristrettezza, immaturità.

Solo un imperialismo a base di massa piccolo borghese e con influenza sugli strati salariati può, infatti, avere una ideologia dove la posizione chiara è considerata primitiva e dove la posizione opaca è reputata raffinata.

Indiscutibile è la premessa stabilita da Lenin: In un società, fondata sulla divisione in classi, la lotta tra le classi ostili si tramuta ineluttabilmente, in una certa fase di sviluppo, in lotta politica. Da tale premessa si sviluppa la concezione materialista della politica in una società dove opera lo scambio e dove la vita sociale dell'individuo è regolata dalla legge del valore di scambio.

L'indifferenza è proprio il contrario della neutralità. Lenin lo afferma senza esitazione: L'indipendenza dai partiti è indifferenza per la lotta tra i partiti. Ma quest'indifferenza non equivale alla neutralità, all'astensione dalla lotta. perché nella lotta di classe non si può essere neutrali, perché nella società capitalistica non ci si può astenere dal prendere parte allo scambio dei prodotti o della forza-lavoro. E lo scambio genera inevitabilmente la lotta economica e, dopo di essa, anche la lotta politica. La logica dell'autore si svolge senza incrinature. Lo scambio dei valori economici equivalenti non ha soggetti neutrali. Ne deriva che: L'indifferenza per la lotta non è quindi affatto estraniazione dalla lotta, astensione da essa o neutralità. L'indifferenza è tacito appoggio a chi è forte, a chi comanda. La neutralità non esiste nello scambio dei prodotti e della forza-lavoro, dove la lotta politica diviene l'inevitabile conseguenza.

L'apatia politica è sazietà politica. Solo chi è sazio è apatico e indifferente, mentre chi non è sazio è uomo di parte: L'indipendenza dai partiti nella società borghese è soltanto l'espressione ipocrita, travestita, passiva dell'appartenenza al partito dei sazi, al partito di chi comanda, al partito degli sfruttatori. Il concetto di sazietà politica merita di essere collegato ai fenomeni sociali delle classi e delle frazioni delle classi. Lo spirito di partito combatte la sazietà: L'indipendenza dai partiti è un'idea borghese. Lo spirito di partito è un'idea socialista. Questa tesi vale nel suo complesso per tutta la società borghese. Ovviamente, bisogna saper applicare questa formula generale alle singole questioni e ai casi concreti.

Il consiglio di Lenin è tanto più valido quanto più le forme della sovrastruttura politica emergono spesso quali questioni specifiche.

 

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Ultima modifica 18.2.2001