Metodo e partito scienza

Arrigo Cervetto (1991-1996)

 


Edizioni Lotta Comunista
Trascritto per internet da Antonio Maggio, agosto 2001


 

6] Aritmetica politica
teoria moderna e imposta militare
metodo della aritmetica politica
mercantilismo e aritmetica politica
economia e contrattualismo
lavoro e contrattualismo
proprietà e contrattualismo
consenso e contrattualismo
doppia funzione della teoria statale contrattualista

TEORIA MODERNA E IMPOSTA MILITARE[41]

Uno dei risultati della fine dell'assetto crollato con la guerra dei Trent'anni (1618-1648) porta al mutamento, nel corso del Seicento, dei rapporti tra le potenze a svantaggio della Spagna e a favore della Francia. La supremazia francese sarà destinata, in seguito, a ridimensionarsi nel corso delle guerre contro l'Inghilterra e a causa della perdita di importanti colonie in America e in Asia.

La supremazia italiana era durata fino alla seconda metà del Quattrocento, quando Venezia e Genova conservavano una superiorità nel settore mercantile e promuovevano lo sviluppo industriale delle città lombarde e toscane.

Il crollo italiano contribuirà alla nascita della teoria politica con Machiavelli, proprio in quella Firenze dell'apogeo artistico e del tramonto nel panorama internazionale.

La questione della spesa militare e di chi la paga entra nell'Evo Moderno con la fine penna di Ser Nicolò.

Dal declino del bacino del Mediterraneo e dall'ascesa del bacino atlantico, iniziata con la scoperta dell'America, gli Asburgo, nei due rami spagnolo ed austriaco, si impongono in Europa. Costituiscono una unione di regni, di ducati e di province sparse che primeggia durante un secolo e mezzo.

Con il Trattato dei Pirenei del 1659, che sancisce la sconfitta della Spagna, declina la potenza iberica e decadono i Paesi Bassi.

Centocinquanta anni di scontro per la supremazia in Europa comportano una spesa enorme in eserciti, in armi e in flotte.

La spesa militare è un vecchio problema politico. La storia di Roma e dell'Impero Romano è, in parte, una storia di lotte per l'allestimento di eserciti e di flotte, uno scontro per il mantenimento o l'aumento o la riduzione delle forze armate, un confronto sulle imposte e sui tributi necessari. Basti pensare che un terzo della sessantina di imperatori lo diventa per acclamazione delle legioni.

L'impero spagnolo nasce ricco. Incorpora le risorse scoperte in America. La spesa militare è alimentata dal bottino e scarsamente affascina i geniali artefici di un "Siglo de oro" lasciato in eredità al mondo.

Paul Kennedy ha studiato il declino della Spagna e si è soffermato sulla spesa militare. Seguiamolo:

"Con questo rimanevano da considerare i possedimenti asburgici in Italia e quelli delle Fiandre. Di questi due un ritiro dall'Italia era il meno raccomandabile. Nella prima metà del Sedicesimo secolo i francesi vi avrebbero colmato il grande vuoto di potere, e usufruito delle ricchezze dell'Italia per i loro scopi - e a scapito degli Asburgo. Nella seconda metà l'Italia era, abbastanza letteralmente, il bastione esterno della sicurezza della Spagna stessa di fronte all'espansione ottomana verso Occidente".

Nel Cinquecento le ricchezze dell'Italia sono, quindi, un'entrata della spesa militare spagnola.

Continua lo storico:

"Per esclusione, quindi, i Paesi Bassi erano l'unica area in cui le spese degli Asburgo si potevano tagliare; e, dopotutto, i costi dell'armata delle Fiandre nella guerra degli Ottanta anni contro gli olandesi furono, grazie alla difficoltà del terreno e ai tentativi di fortificazione, abbastanza elevati e superarono di gran lunga quelli di tutti gli altri fronti. Perfino all'apice della guerra dei Trent'anni veniva destinato cinque o sei volte più denaro alla guarnigione nelle Fiandre che alle forze in Germania".

Il rapido crollo della Spagna è preparato dalla spesa.

 

METODO DELLA ARITMETICA POLITICA[42]

La conclusione sulla spesa militare spagnola necessaria a combattere sul continente europeo è così riassunta dallo storico Paul Kennedy:

"Per mantenere il suo "bastione" nel Mediterraneo la Spagna dovette inviare milioni di ducati in Italia, da aggiungere a quelli raccolti qui. Durante la guerra dei Trent'anni lo schema fu ancora invertito e le tasse italiane aiutarono a pagare le guerre in Germania e nei Paesi Bassi; ma, considerando l'intero periodo 1519-1659, è difficile credere che i possedimenti degli Asburgo in Italia abbiano contribuito sostanzialmente alle casse comuni (se vi hanno effettivamente contribuito) più di quanto non sia stato sborsato per la loro stessa difesa".

I conti non tornano più, neppure storicamente.

A metà del Seicento è, ormai, avviata l'ascesa della Francia, della Gran Bretagna, della Russia, dell'Austria e della Prussia, mentre declinano Spagna, Paesi Bassi, Svezia, Turchia e Polonia.

Le tasse non possono far girare indietro l'implacabile ruota della storia.

E' la rivoluzione di Londra ad averne bisogno.

William Petty (1623-1687) è contemporaneo di John Locke (1632-1704). Entrambi sono medici: il primo inizia come professore di anatomia all'Università di Oxford e prosegue nel 1652 quale medico generale delle truppe inglesi in Irlanda e il secondo diventa, nel 1668, medico personale del conte di Shaftesbury.

Ma non è in questo campo che lasciano la loro impronta.

Da Marx, Petty è promosso "padre dell'economia politica borghese". Non è poco, ma lo merita.

Con William Petty accanto alla teoria politica si sviluppa la scienza economica. Adotta, nelle ricerche sull'economia, il metodo di induzione elaborato dai materialisti Bacone e Hobbes, ossia non si limita, come fanno i mercantilisti, all'osservazione empirica della realtà ma tende ad andare oltre il rilevamento del fenomeno ed a cogliere le leggi interne che lo regolano.

Ad esempio, contesta la teoria mercantilista secondo la quale la ricchezza nazionale è definita dalla quantità del denaro in circolazione. Per Petty non vi è una dipendenza diretta tra quantità di carta moneta circolante e massa di merce.

Pone le basi della teoria del valore-lavoro: "il salario è il padre della ricchezza e la terra la madre". Il salario è concepito come il minimum dei mezzi necessari alla sussistenza, e la rendita, sia fondiaria che monetaria, è la forma generale del pluslavoro.

Il teorico si avvicina all'idea della divisione della giornata lavorativa in tempo necessario e in pluslavoro. In sostanza, il valore della forza-lavoro è concepito grazie alla polemica antimercantilista, mentre manca ancora il concetto del profitto come categoria indipendente.

Petty, invece, non si distingue dai mercantilisti i quali ritengono necessario l'intervento dello Stato nella vita economica. Si differenzia, piuttosto, nell'auspicare la libertà di commercio a livello internazionale.

Consigliere di Oliver Cromwell e, in seguito, di Carlo II, compie una grande inchiesta sulla distribuzione delle terre confiscate in Irlanda e riorganizza queste su di una base catastale nuova.

Definisce "aritmetica politica" l'opera di statistica economica, resa sempre più necessaria nello sviluppo sociale e produttivo britannico.

Nell'opera "Un trattato di tasse e contributi" del 1662 analizza le imposte, e nei "Saggi di aritmetica politica" applica il metodo statistico.

Nel saggio sulla "Anatomia politica dell'Irlanda" del 1691 calcola la ricchezza nazionale (terra, case, navi, bestiame ecc.) in 250 milioni di sterline e lo stock monetario circolante in 6 milioni. Sostiene che lo stock (reddito) è una minima parte della ricchezza nazionale (patrimonio nazionale).

Il catasto diventa teoria immortale nella penna di William Petty.

 

MERCANTILISMO E ARITMETICA POLITICA[43]

Nel quarto volume del "Capitale" Marx confronta Petty con Locke e sostiene che gli scritti di questi hanno una "dipendenza" con le opere del primo.

L'indipendenza dagli interessi mercantili porta, secondo lo storico inglese Erich Roll, Petty a cogliere la fase di passaggio dal capitalismo mercantile al capitalismo industriale e, quindi, a formulare una critica alla teoria mercantilistica.

E' la sua vicenda personale che lo aiuta, da figlio di un povero tessitore dello Hampshire a ispettore di finanza e ricco proprietario terriero, dopo essere stato cameriere di navi, venditore ambulante, marinaio, fabbricante di stoffe, medico, professore di anatomia, ad elaborare una critica approfondita ed insuperata per molto tempo.

La critica al mercantilismo matura in una fase di preparazione del capitale industriale e in un periodo di forte sconvolgimento politico, durante il quale le vecchie forme politiche subiscono profonde trasformazioni.

La teoria mercantilistica del prezzo riflette la pratica dei mercanti. Dato che ricchezza, in questa attività, equivale a capitale commerciale, costituito dal denaro, il mezzo migliore per aumentare la ricchezza nazionale è quello di vendere con profitto, ossia ad un prezzo più alto del prezzo di acquisto.

Ciò vale anche per il commercio estero. Il profitto sorge all'atto dello scambio.

Con il capitale industriale il problema della ricchezza e del valore viene posto in modo nuovo e non può più essere visto nello scambio; va affrontato nella produzione, dove il capitale è impiegato sia in forma costante che in forma circolante prima di entrare nel processo di scambio.

Il pensiero del creatore della "aritmetica politica" segue la fase di passaggio del mercato inglese.

E. Dühring rimprovera a Marx di aver dato troppo peso a Petty nel "Capitale" e salta da Locke ai Fisiocratici e infine a Hume per esaltarne il ruolo.

Nel capitolo secondo dedicato alla "Economia politica" nell'Anti-Dühring, firmato da Engels, Marx risponde al critico: "col permesso del Sig. Dühring ristabiliamo l'ordine cronologico e quindi collochiamo Hume prima dei Fisiocratici".

Locke e Sir Dudley North "forniscono la prova che le prime ardite brecce aperte da Petty in quasi tutti i campi dell'economia politica sono state singolarmente riprese e ulteriormente rielaborate dai suoi successori inglesi.

Le tracce di questo processo nel periodo che va dal 1691 al 1752 si impongono anche all'osservatore più superficiale...

Questo periodo pieno di testi originali è perciò il più significativo per l'indagine della genesi graduale dell'economia politica".

Il corretto svolgimento storico aiuta a collocare Petty al posto che gli compete.

Dühring esagera il ruolo di Hume per poter dimostrare che la creazione dell'economia politica è opera della "filosofia più illuminata".

Marx ribatte vedendo in Hume un "instancabile partigiano della oligarchia whig", che servì come segretario di ambasciata a Parigi e, più tardi, come sottosegretario di Stato.

Riporta, infine, un pesante giudizio di William Cobbett.

Il tentativo di negare a Petty la paternità dell'economia politica viene smontato con facilità.

E' tutta la critica dell'economia ad essere messa a posto, anche per porre le basi scientifiche della critica della politica.

 

ECONOMIA E CONTRATTUALISMO[44]

Confrontando William Petty con John Locke, Marx analizza l'opera sul saggio d'interesse pubblicata nel 1691, tre anni dopo il ritorno in Inghilterra dai rifugi francese e olandese e la nomina a Commissario Reale del Commercio e delle Colonie da parte di Guglielmo d'Orange.

Locke è il primo ad avere "il concetto esatto di interesse", dato che concepisce il denaro come una forma di capitale e non come mezzo di circolazione, ed a disporre di "un concetto determinato dello stock di capitale".

Il concetto di "capitale" è, quindi, originato da un corretto concetto di "interesse".

Marx prosegue l'esposizione:

"se si confronta la dottrina di Locke sul lavoro in generale con la sua dottrina sull'origine dell'interesse e della rendita - poiché in lui il plusvalore appare solo in queste due forme determinate - il plusvalore non è altro che lavoro altrui, pluslavoro, di cui la proprietà della terra e del capitale - condizioni del lavoro - permette di appropriarsi".

Risulta di immediata considerazione il concetto di proprietà della terra; ma proseguiamo:

"e la proprietà dei mezzi di produzione oltre il limite dell'utilizzazione consentita dalla propria capacità di lavoro è, secondo Locke, una invenzione politica in contraddizione col diritto naturale che è alla base della proprietà o del diritto alla proprietà privata".

Marx ha individuato l'apporto del filosofo all'economia politica. Esso va collocato storicamente.

L'opera di Locke è importante perché, ad un certo momento delle lotte inglesi, si erge come una critica totale alla proprietà feudale. La proprietà dei mezzi di produzione oltre il limite dell'imprenditore capitalista è, secondo Locke, una "invenzione politica", ossia statale, del proprietario fondiario.

L'autore traduce la sua filosofia in una pagina dell'economia politica borghese. Non a caso Marx, che aveva studiato Locke come filosofo negli anni 1840, lo riscopre nel 1861 come economista.

E' necessario seguirlo nello svolgimento del concetto di proprietà:

"il primo limite alla proprietà è dunque il limite del lavoro personale; il secondo è che nessuno può accumulare oltre i propri bisogni".

Ma, dato che vi sono prodotti deperibili:

"così nacque l'uso del denaro, di una cosa durevole che gli uomini potevano serbare senza che si sciupasse, e che, di reciproco accordo, accettavano in cambio di mezzi di sussistenza, veramente utili ma deperibili".

Marx vede il limite della proprietà e prosegue:

"così sorse l'ineguaglianza della proprietà personale, ma la misura del lavoro personale resta".

E così viene esposta la misura del lavoro:

"Il lavoro dà alle cose quasi tutto il loro valore (valore è qui eguale a valore d'uso, e lavoro è preso come lavoro concreto, non come quantum di lavoro; ma la misura del valore di scambio per mezzo del lavoro è basata in realtà sul fatto che il lavoro crea il valore d'uso).

La parte di valore d'uso che non si risolve in lavoro è dono di natura, e quindi proprietà comune in sé e per sé. Quindi ciò che Locke cerca di dimostrare non è che la proprietà può acquistarsi anche con mezzi diversi dal lavoro ma come, malgrado la proprietà comune, la natura, attraverso il lavoro individuale, abbia potuto creare proprietà individuale".

La proprietà capitalistica è creata dal lavoro. E' la sua misura sociale.

 

LAVORO E CONTRATTUALISMO[45]

Marx cita una serie di passi e commenta:

"In questo passo Locke ha anzitutto un interesse polemico di dimostrare, contro la proprietà fondiaria, che la rendita non differisce assolutamente dall'usura.

Ma entrambe, per l'ineguale distribuzione dei mezzi di produzione, "trasferiscono il guadagno, che era la ricompensa del lavoro di un individuo, nelle tasche di un altro"".

Una distinzione è introdotta: "Questa distinzione è tanto più importante in quanto Locke è il classico rappresentante delle concezioni giuridiche della società borghese in contrapposizione alla società feudale, e in quanto la sua filosofia servì di fondamento alle teorie di tutti i successivi economisti inglesi".

Abbiamo una utile indicazione: la filosofia come fondamento delle teorie economiche.

Doppia qualità della natura: realtà oggettiva e lavoro.

Locke combatte su due fronti: contro la nobiltà sostiene che la natura senza lavoro è proprietà comune e a favore della borghesia pensa che la natura sia anche attività, lavoro, e che la proprietà, essendo prodotto del lavoro, rappresenti un aspetto della natura.

Emerge la posizione materialistica ed empirica, allo stesso tempo, del filosofo.

Applicando il suo metodo alla realtà economica non cade, però, nel materialismo meccanicistico come vi cadono, ad esempio, i filosofi francesi costretti da una realtà economica più arretrata a generalizzazioni ideali.

Per elaborare la teoria costituzionale dello Stato John Locke è costretto a polemizzare con Thomas Hobbes e a contrapporre il senso comune alla logica del più forte teorico del Seicento.

Enuncia, in definitiva, la pratica sociale borghese dell'assetto del 1688 per cui Monarchia e Parlamento sono responsabili nei confronti del popolo e il loro potere è limitato dalla legge morale e dalle convenzioni istituzionali.

Nei "Due Trattati" del 1690 la comunità è considerata una finzione: esiste solo per la cooperazione stabilita dagli individui ed è dovuta ai vantaggi individuali dei suoi membri. Con lo Stato tanto gli individui quanto la comunità svolgono una funzione socialmente utile.

Ma lo Stato rende inevitabile la soggezione dell'individuo.

Secondo George Sabine, Locke accetta da Hobbes il concetto di interesse individuale ma interpreta la legge naturale come diritto innato, irrevocabile, inerente ad ogni individuo.

La proprietà privata ne costituisce il tipico esempio. Quindi anche per Locke lo Stato deve difendere il diritto individuale.

Possiamo osservare che è la definizione di questo diritto che si allarga in Locke e che lo porta a rifiutare la teoria assolutistica dello Stato.

Lo stato di natura è visto come stato di pace e di mutua assistenza e non di guerra contro tutti, come lo vede Hobbes. La natura, in questa visione, dimostra i diritti e i doveri ma non ha organizzazione che stabilisca norme (Stato, leggi civili, magistratura ecc.)

Qualsiasi cosa, giusta o ingiusta, rimane tale in eterno. Perciò, dice Locke, ciascuno deve proteggere la sua proprietà nel miglior modo possibile. Ne deriva che la morale (diritti e doveri) è intrinseca alla natura.

Quindi è la morale (natura) che fa la legge (Stato) e non è la legge che fa la morale.

Tipico della legge naturale (diritti naturali) è, per il filosofo, il diritto di proprietà. Nello stato di natura, la proprietà era ritenuta un bene comune e nel medioevo, come già nel diritto romano, la proprietà comune era ritenuta lo stato naturale perfetto.

L'individuo ha, però, diritto alla natura che ha lavorato, e su questa tesi si sofferma Marx quando studia il Locke economista.

 

PROPRIETA’ E CONTRATTUALISMO[46]

Sul finire del Seicento la teoria inglese dello Stato porta avanti l'esperienza politica.

Locke dice che il lavoro fa parte dell'uomo, di conseguenza la proprietà esiste indipendentemente e prima dell'accordo fra i componenti della comunità. E' un diritto che ogni individuo porta alla società nella propria persona.

Società e Stato non creano il diritto ma sono designati a proteggere il preesistente diritto alla proprietà.

Lavoro e proprietà sono i punti di riferimento della teoria contrattualista.

A noi pare che Locke conservi, più di quanto non lo faccia Hobbes, la medievale teoria della legge naturale, depurandola dall'impronta originaria che dettava il bene per la società, ed elaborandola come diritto individuale che limita la competenza della società nella libertà - proprietà privata.

Ciò riflette, anche se indirettamente, l'evoluzione politica ed economica della borghesia inglese.

Mentre per Hobbes l'egoismo è prevalentemente biologica autoconservazione, per Locke è diritto naturale alla proprietà privata del prodotto del lavoro. L'egoismo è divenuto socialmente, oggettivamente e ideologicamente borghese. Non a caso è passato mezzo secolo di guerra civile.

Per compiere il salto dal biologico al sociale occorre un salto di metodo. Il materialismo di Hobbes non basta più.

Anche in questa tesi l'autore dei "Due Trattati" è spinto dalla pratica sociale borghese, soprattutto da quella dei coloni nella terra nuova d'America.

Il lavoro estende la personalità dell'uomo nell'oggetto che produce, perché vi spende la sua energia. L'utilità dell'oggetto prodotto dipende dal lavoro impiegatovi.

Siccome una maggiore produzione è utile alla comunità, ossia a tutti, essa corrisponde ad una pace e non ad una "guerra contro tutti", come pretende Hobbes.

Locke combatte la teoria dell'egoismo di Hobbes ed elabora una propria teoria dove sostiene l'utilità sociale e il beneficio della proprietà privata anche a chi non ha proprietà.

E' un'impostazione che riflette l'ascesa della classe borghese.

Introducendo questo nuovo elemento ideologico, porta avanti la scienza perché trasferisce l'egoismo dalla psicologia all'attività produttiva dell'uomo, cioè ad un rapporto dell'individuo con gli altri, ad un rapporto sociale.

Il problema fondamentale che deve risolvere Locke è quello di provare empiricamente che la legge naturale, ossia la proprietà, è legge morale e legge giuridica.

Ciò lo porta a criticare le idee innate, tutte le forme di pregiudizio nella morale, nella religione, nella scienza stessa. Sostiene che non esiste l'idea innata e che le idee derivano dai sensi; nessuna idea è innata nella mente. Però non ci si può affidare all'evidenza immediata, dato che un'idea falsa può apparire ovvia.

Locke supera l'evidenza immediata e pone la base metodologica dell'empirismo, che sarà poi sviluppata da David Hume.

Rimane, comunque, una concezione materialista perché, scientificamente, si riferisce alla matematica.

In sostanza:

1) dimostra empiricamente l'origine delle idee, ma nega la certezza di tutta la conoscenza empirica;
2) costruisce una morale dimostrativa analoga alla geometria.

Possiamo pensare che Locke non può essere empirista, dato che deve dimostrare empiricamente l'equivalenza legge naturale - legge morale.

 

CONSENSO E CONTRATTUALISMO[47]

Cercando di provare empiricamente l'equivalenza tra natura e morale, John Locke vuole dimostrare l'equivalenza tra proprietà e diritto, inventando una realtà che si adatti a tale esigenza.

Perciò adopera il metodo matematico-geometrico, una logica scientifica basata su di un assioma non dimostrato empiricamente. L'assioma è, in questo caso, il diritto naturale di proprietà.

L'assioma non dimostrato è quello natura-proprietà-morale, proprio dove nella realtà naturale del lavoro, a cui materialisticamente si riferisce Locke, è introdotta la giustificazione sociale della proprietà e la corrispettiva ideologia della morale.

Il suo metodo presenta il duplice aspetto di essere sostanzialmente empirista nella teoria delle idee e razionalista nella teoria dello Stato.

Ciò spiega perché sia stato utilizzato in due direzioni, in quella della teoria inglese dell'empirismo e in quella della teoria francese del razionalismo.

Il concetto sul quale ruota la sua teoria dello Stato è il diritto naturale di proprietà. Lo sviluppo logico conduce ad una società espressa dal consenso degli individui.

Lo Stato sarà, di conseguenza, lo strumento della società che ha il diritto di fare leggi includenti penalità e di impiegare la forza della associazione degli individui per regolamentare e difendere la proprietà.

Questo potere può derivare solo dal consenso degli individui, dato che lo Stato non può avere altro diritto che non sia quello proveniente dagli individui.

In questa visione il potere statuale è in definitiva il potere naturale di ciascun individuo affidato, consensualmente, ad un organismo in grado di proteggere il diritto individuale più di quanto possa fare il singolo individuo. Ed è proprio la delega consensuale ad obbligare il singolo a sottoporsi alla maggioranza.

La forma del governo dipende, quindi, dalla maggioranza e se la sua massima autorità si manifesta nell'attività legislativa è pur sempre il popolo a detenere il supremo potere di mutare la legislazione.

Locke riassume l'esperienza della Rivoluzione inglese, con definitiva affermazione del Parlamento, nel tracciare la definizione del Potere Legislativo ed afferma che, siccome il Potere Esecutivo dipende dal Legislativo, le due funzioni devono essere separate.

La tesi sulla separazione dei poteri manca di un terzo potere, quello giudiziario, che Montesquieu contemplerà nella sua teoria.

Jean Jacques Rousseau, sviluppando la sua teoria statuale del contratto sociale nella forma della teoria della sovranità popolare, criticherà Locke per aver fermato l'esercizio della volontà popolare ad un unico atto, quello della Costituzione.

Possiamo, invece, ipotizzare che quello del filosofo inglese rappresenti il compromesso della borghesia del 1688, dove lo Stato è visto come un equilibrio tra Corona, Chiesa, Nobiltà e Popolo.

Locke non può affermare la sovranità popolare, ossia lo Stato puramente borghese. Con il consenso basato sul diritto naturale afferma il ruolo della borghesia di stabilire il "quadro generale" (la Costituzione) dell'equilibrio di potere tra le classi nello Stato.

Non a caso la sua teoria statuale sarà, a lungo, la linea generale del liberalismo whig.

 

DOPPIA FUNZIONE DELLA TEORIA STATALE CONTRATTUALISTA[48]

La convalida di pratica sociale spiega perché la teoria di Locke vada oltre il periodo in cui viene elaborata e si proietti nel secolo che sta per arrivare.

Il suo materialismo ha affrontato lo sviluppo futuro e si collega al corso di un nuovo secolo.

Finché una nuova pratica di lotta di classe non fosse diventata una realtà imperiosa, l'elemento ideologico presente nel materialismo di Locke non avrebbe ancora rappresentato una contraddizione concreta nella teoria politica e sarebbe rimasto una contraddizione logica all'interno della teoria stessa.

Che il diritto naturale fosse la proprietà era solo una affermazione ideologica non corrispondente alla realtà, ma che la proprietà capitalistica fosse un'evoluzione storico-naturale era lo sviluppo stesso della realtà a dimostrarlo.

Ecco perché, data l'analisi materialistica della realtà, la teoria dello Stato di Locke può anticipare il futuro fino a quando lo sviluppo della realtà economica e sociale non avrà creato nuovi equilibri nello Stato. Sarà quando l'avvento della borghesia industriale acquisisce, con i liberali, il consenso popolare, la sovranità popolare, il suffragio universale anche per avere e utilizzare il nascente proletariato contro gli agrari.

Il consenso, come lo concepisce Locke, si realizza nell'ascesa borghese. La sovranità popolare, come la concepisce Jean Jacques Rousseau, non si realizza perché è utopismo piccolo-borghese ed è sterile esercizio democraticistico contrapporre la sovranità popolare al consenso contrattuale.

Per difendere la validità della rivoluzione del 1688 Locke rivendica, contro Hobbes, il diritto di opposizione alla tirannia e introduce la distinzione tra "guerra ingiusta" e "guerra giusta", distinzione che tanto seguito avrà nei tempi a venire.

Un'altra distinzione appare tra "validità morale" e "forza", tesi antihobbesiana sviluppata in seguito da Rousseau e da Kant.

Il concetto è semplice: la morale è permanente perché è natura e chi usurpa questa usa la forza e provoca un'altra forza, la rivoluzione.

Anche in questa tesi il filosofo riflette la pratica della borghesia inglese tendente al libero corso pacifico del suo sviluppo e all'esercizio della ribellione in caso di impedimento.

La ribellione che non servirà più alla borghesia inglese tornerà a vantaggio di quella francese.

Assumendo il principio dell'insurrezione, la teoria dello Stato di Locke riesce ad assolvere ad una doppia funzione. In Inghilterra diventa una teorizzazione empiristica della pratica che conclude la rivoluzione borghese e in Francia costituisce un materiale teorico preparatorio della rivoluzione dopo cento anni.

La teoria contrattualista dello Stato, dal punto di vista della conoscenza, può riguardare il rapporto

soggetto - intelletto - realtà.

L'intelletto-sensazione sarà, poi, la teoria della pratica empirica della rivoluzione industriale; è una teoria che aiuta egregiamente lo sviluppo della tecnica.

Spetterà ad Hegel degradare all'intelletto e subordinarlo la ragione-idea.

Ma all'intelletto inglese corrisponde la rivoluzione industriale, alla ragione francese l'89, alla ragione-idea il filisteismo della borghesia tedesca.

NOTE

41 lotta comunista Dicembre 1993
42 lotta comunista Gennaio 1994
43 lotta comunista Febbraio 1994
44 lotta comunista Marzo 1994
45 lotta comunista Aprile 1994
46 lotta comunista Maggio 1994
47 lotta comunista Giugno 1994
48 lotta comunista Luglio 1994

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Ultima modifica 11.09.2001