Metodo e partito scienza

Arrigo Cervetto (1991-1996)

 


Edizioni Lotta Comunista
Trascritto per internet da Antonio Maggio, agosto 2001


 

8] La base logica materialista del comunismo
teoria dello stato ateo e borghese
materialismo illuministico e comunismo
la base logica materialista del comunismo
tattica politica illuministica
teoria dello stato progressista
teoria dello stato educatore
diritto naturale e proprietà
teoria dello stato empirico
teoria empirica e scienza politica
teoria empirica della stabilita
morale e diritto utilitaristico

TEORIA DELLO STATO ATEO E BORGHESE[55]

Per Marx ed Engels "la distinzione fra il materialismo francese e quello inglese è la distinzione fra le due nazionalità". I francesi dotano il materialismo inglese "di esprit, di carne e sangue", gli conferiscono il temperamento e la grazia: "lo inciviliscono".

Condillac è l'interprete francese di Locke, ne usa il sensismo contro la metafisica del Seicento. Elabora i concetti di Locke dimostrando che i sensi e le idee sono fatti dell'esperienza e dell'abitudine. Per questo, afferma nel "Saggio sull'origine della conoscenza umana" (1746), tutto lo sviluppo dell'uomo dipende "dall'educazione e dalle circostanze esterne".

La forza polemica della versione utilitaria dei diritti naturali è sviluppata in Francia dal barone Paul Heinrich d'Holbach.

Nel "Sistema naturale" (1770), steso con la collaborazione dell'enciclopedista Diderot, Holbach non si distacca nei principi generali da Helvetius. Al posto del vago teismo di Voltaire afferma un ateismo materialistico, fondato sulla scienza fisica.

La religione, e non solo la Chiesa, viene attaccata apertamente: il testo diventa un libro antireligioso popolarissimo, noto come la "Bibbia degli atei". Holbach oltrepassa Voltaire non solo nella critica antireligiosa, ma anche nell'attacco dichiarato al governo e allo Stato assolutista. Questo viene definito ignorante, incompetente, ingiusto e strumento di sfruttamento invece che di benessere. Non si interessa allo sviluppo del commercio e dell'industria ma alla guerra. Diffonde lo spopolamento e provoca la carestia.

E' una manifestazione chiara dell'affiorare della coscienza di classe della borghesia. A differenza di Helvetius, Holbach si interessa meno di psicologia e più di politica diretta. Escono "La politica naturale" (1773) e il "Sistema sociale" (1773).

Quindici anni dopo Helvetius e a meno di vent'anni dalla Rivoluzione Holbach riavvicina il tiro di classe.

Gli uomini non sono cattivi: sono resi cattivi dallo Stato, che non si regge sulla felicità generale ma sullo sfruttamento. Il rimedio è la "volontà generale", il medesimo termine che verrà usato nel 1775 da Diderot e Rousseau nell'Enciclopedia. La volontà generale implica l'armonia tra interesse egoistico e bene naturale. La libertà è un diritto inalienabile giacché, permettendo agli uomini di cercare il loro bene, si rende possibile la prosperità. Lo Stato deve basarsi sulla "volontà generale". Le nazioni costituiscono la società internazionale, perciò la guerra è depredamento, atto dispotico.

L'unico rimedio contro la corruzione della volontà generale è l'educazione, con la quale si può compiere la riforma, ovvero illuminare la ragione degli uomini, ragione che corrisponde al loro interesse.

Holbach riteneva le masse nullatenenti "prive di illuminazione" e giudicava impossibile l'educazione universale. La sua riforma si basa sui borghesi: "cittadino deve essere considerato chiunque può vivere rispettabilmente del frutto della sua proprietà e ogni capo di famiglia che possieda terra".

Perciò è materialista e ateo, ma, come quasi tutti gli illuministi, non è democratico e rivoluzionario: il vero riformatore è ancora il sovrano.

 

MATERIALISMO ILLUMINISTICO E COMUNISMO[56]

Julien de Lamettrie compie l'unificazione del materialismo inglese con quello cartesiano. Il suo "Uomo macchina" (1748) è per Marx "una trattazione condotta secondo il modello dell'animale-macchina di Descartes". Holbach prende la parte fisica dal materialismo inglese e da quello cartesiano, mentre la parte morale poggia su Helvetius. Anche Denis Diderot va visto nella duplice discendenza del materialismo francese da Cartesio e dal materialismo inglese. Lo stesso vale per i fisiocratici Francois Quesney e Robert Turgot, in cui l'interesse economico egoistico è il principio dell'ordine naturale, il fondamento della società.

In questo processo il materialismo francese definisce alcuni suoi caratteri fondamentali.

La materia è primaria, non creabile, indistruttibile e rappresenta l'unica realtà.

La coscienza è un prodotto della materia, una delle sue proprietà.

La natura è una catena chiusa di sostanze e obbedisce a sue proprie leggi. In essa regna la causalità, che esclude i miracoli e anche la libera volontà umana.

Il mondo obiettivo della natura è conoscibile ed è l'unico oggetto della conoscenza.

Il medesimo processo fa scorgere anche i limiti del materialismo degli illuministi, nel carattere metafisico, nel meccanicismo e nella concezione idealistica della società. Secondo Engels sono i limiti della mancanza di dialettica, della "incapacità a capire il mondo come processo, come materia che si trova in continuo sviluppo storico".

Afferma Marx che "come il materialismo cartesiano va a finire nella scienza naturale vera e propria, così l'altro orientamento del materialismo francese sfocia direttamente nel socialismo e nel comunismo".

E' una tesi cruciale per l'azione rivoluzionaria cosciente, perché è alla base della teoria della "coscienza portata dall'esterno". Ne risulta che questa teoria non solo non è specificatamente ristretta al leninismo, ma è confermata dalla maturazione teorica dello stesso Marx giovane. Ne è comprovata la tesi di Lenin, secondo cui Marx ed Engels diventano comunisti nel 1844 in quanto materialisti conseguenti. La dottrina del socialismo, rileva Lenin, "è sorta da quelle teorie filosofiche, storiche, economiche che furono elaborate dai rappresentanti colti delle classi possidenti, gli intellettuali".

Ecco il processo di sbocco "diretto" dal materialismo al socialismo e al comunismo, nelle loro prime forme utopistiche, come è illustrato da Marx nella "Sacra famiglia":

"Se si muove dalla dottrina del materialismo sulla bontà originaria degli uomini e sulla loro eguale capacità intellettuale, sulla onnipotenza dell'esperienza, dell'abitudine, dell'educazione, sull'influsso delle circostanze esterne sull'uomo, sulla grande importanza dell'industria, sul diritto al godimento, eccetera, non occorre una grande acutezza per cogliere la connessione necessaria del materialismo con il comunismo e il socialismo. Se l'uomo si forma ogni conoscenza e ogni percezione, eccetera, dal mondo sensibile e dall'esperienza nel mondo sensibile, ciò che importa allora è ordinare il mondo empirico in modo che l'uomo, in esso, faccia esperienza di ciò - e prenda l'abitudine a ciò - che è veramente umano, in modo che l'uomo faccia esperienza di sé come uomo. Se il principio di ogni morale è l'interesse bene inteso, ciò che importa è che l'interesse privato dell'uomo coincida con l'interesse umano".

 

LA BASE LOGICA MATERIALISTA DEL COMUNISMO[57]

Nota Lenin che il capitolo della " Sacra famiglia " sul materialismo illuministico è uno dei più preziosi del libro, un " breve compendio di storia del materialismo francese ".

Così prosegue Marx nell'argomentare la connessione tra il materialismo del diciottesimo secolo e il comunismo utopistico inglese e francese del diciannovesimo secolo:

"Se l'uomo è - nel significato materialistico - non libero, cioè se è libero non per la forza negativa di evitare questo o quello, ma per il potere positivo di fare valere la sua vera individualità, si deve necessariamente non punire il delitto del singolo, ma distruggere gli antisociali luoghi di nascita del delitto e dare a ciascuno lo spazio sociale per l'estrinsecazione essenziale della sua vita. Se l'uomo è plasmato dalle circostanze, è necessario plasmare umanamente le circostanze. Se l'uomo è sociale per natura, egli sviluppa la sua vera natura solo nella società, e il potere della sua natura deve avere di necessità la sua misura non nel potere dell'individuo singolo, ma nel potere della società.

Queste e simili affermazioni" nota Marx "si trovano quasi letteralmente anche nei più vecchi materialisti francesi".

In queste tendenze socialiste implicite e derivanti dal materialismo, oltre ad Helvetius e Holbach, si ritrovano anche Jeremy Bentham (1748-1832) teorico inglese dell'utilitarismo, Charles Fourier (1772-1837) esponente con Saint-Simon del socialismo utopistico francese, Robert Owen (1771-1858) socialista utopista inglese, i babuvisti (Darthé, Buonarroti, Drouet, Sylvain Maréchal), Etienne Cabet (1788-1856) scrittore e sostenitore del comunismo operaio, Theodore Dézamy (1803-1850) comunista materialista, Jules Gay (1807-1876).

Alcuni sono richiamati espressamente da Marx.

Fourier "muove immediatamente dalla dottrina dei materialisti francesi". I babuvisti erano materialisti rozzi e incivili, ma anche il comunismo sviluppato "muove direttamente dal materialismo francese".

Bentham fonda sulla morale di Helvetius la sua teoria dello"interesse bene inteso".

Owen partendo da Bentham "fonda il comunismo inglese".

Cabet, esiliato in Inghilterra, è stimolato dal comunismo inglese. "I comunisti francesi più scientifici, Dézamy, Gay, eccetera, sviluppano, come Owen, la dottrina del materialismo in quanto dottrina dell'umanesimo reale e in quanto base logica del comunismo".

Il socialismo francese, sintetizzerà Lenin, assieme alla filosofia tedesca e all'economia politica inglese costituisce una delle "tre fonti e tre parti integranti del marxismo". Ciò fa parte della biografia politica di Marx, il quale trova a Parigi nel 1844 un elemento determinante della propria maturazione al comunismo. Il quadro che gli si offre, rileva Franz Mehring, è di una pienezza di pensieri e di figure quasi sconcertante, l'aria culturale è "satura di germi socialisti". Parigi è il centro della elaborazione delle correnti politiche eredi del socialismo e del comunismo utopistico. Mentre studia la rivoluzione francese e il materialismo illuministico, Marx è immerso nel dibattito tra babuvisti, sansimoniani, fourieristi.

Nel laboratorio politico e sociale francese, il materialismo fonda la "base logica" del comunismo.

 

TATTICA POLITICA ILLUMINISTICA[58]

Afferma Antonio Labriola che la massima prova della maturità del materialismo storico è che "esso può ormai spiegare la sua propria origine coi suoi propri principi".

Se si cercano le premesse del metodo scientifico di Marx ed Engels bisogna risalire a tutta la formazione della società borghese, poiché i suoi precursori effettivi sono "i fatti della storia moderna". La rivoluzione industriale in Inghilterra e la rivoluzione del 1789 in Francia si riprodussero ovunque in varie forme e combinazioni e la produzione intellettuale del diciassettesimo e diciottesimo secolo incarnò il riflesso e la elaborazione mentale delle premesse e degli sviluppi di quel processo.

Con le teorie sul Diritto di Natura, sullo Spirito delle Leggi, sul Contratto Sociale, si tentò di "risolvere in cause, in fattori, in dati logici e psicologici, il multiforme e non sempre chiaro spettacolo di una vita, in cui si preparava la più grande rivoluzione che si conosca".

Quali che fossero le intenzioni soggettive degli autori, quelle dottrine racchiudevano un contenuto rivoluzionario, vi si ritrovavano come motivazione "i bisogni materiali e morali dell'età nuova, che per le condizioni storiche erano quelli della borghesia".

In nome della libertà bisognava combattere la tradizione, lo Stato, la chiesa, il privilegio, gli ordini e le corporazioni. Per questo si puntò all'uomo in astratto, ai singoli individui emancipati per astrazione logica dai vincoli storici e sociali. Il concetto di società "si venne come a ridurre in atomi" e fu concepito come somma di individui: "le categorie astratte della psicologia individuale si trovarono come spinte sul davanti, o messe in cima, della spiegazione di tutti i fatti umani".

Mentre si creano i presupposti dell'individualismo borghese, nasce una letteratura "acuta, agile, sovversiva, penetrante e popolarissima".

Voltaire nelle "Lettere sugli inglesi" (1738) volgarizza la fisica di Newton e la psicologia di Locke, ovvero i presupposti del materialismo francese. Il successo di Newton nell'enunciare le leggi meccaniche della natura, leggi, nota Sabine, valide senza limiti di spazio e di tempo, crea il presupposto che con lo stesso metodo si possano trattare società e politica, ovvero lo Stato.

Locke aveva concepito una storia naturale universale della mente in modo analogo alla fisica di Newton. Ciò implicava la spiegazione psicologica dei processi sociali, ovvero che la ragione crea la società e lo Stato.

Tutta la letteratura dell'illuminismo è percorsa dall'idea di progresso. Voltaire vi contribuisce con le sue opere storiche, dove sostiene che lo sviluppo sociale ha la sua chiave nello sviluppo delle arti e delle scienze. E' l'ispirazione che muove l'Enciclopedia di Diderot e D'Alembert, la quale secondo Franco Venturi fu soprattutto un "capolavoro pratico" per le energie politiche che riuscì ad attrarre e indirizzare.

L'opera di Voltaire ha il medesimo segno.

La censura in campo politico e religioso portava a considerare in Francia la libertà di stampa come una questione vitale. La caratteristica di Voltaire è la divulgazione brillante e la caratteristica della sua teoria politica è di essere sostanzialmente una tattica: libertà di parola, libertà di stampa, libertà della scienza, libertà religiosa.

 

TEORIA DELLO STATO PROGRESSISTA[59]

Il concetto di progresso è l'idea implicita di tutto l'illuminismo.

E' implicito nell'idea di un ordine sociale naturale, nella concezione di una scienza generale della natura umana, nell'idea che la conoscenza derivi dall'accumularsi dell'esperienza. Erano le tesi fondamentali di Locke e il fondamento dell'empirismo.

La nozione di progresso è anche conseguenza nel Seicento dello sviluppo della scienza e della tecnica, che muove i suoi passi dalla scienza fisica.

Per Blaise Pascal a differenza della teologia e delle materie in cui si cerca di sapere solo ciò che gli autori hanno scritto, "gli argomenti che cadono sotto i sensi o sotto il ragionamento", come la geometria, l'aritmetica, la musica, la fisica, la medicina, l'architettura e tutte le scienze che dipendono dall'esperienza, "per perfezionarsi devono venire accresciute. Gli Antichi le hanno trovate appena sbozzate da coloro che li avevano preceduti, e noi le lasceremo a quelli che ci seguiranno in uno stato di maggiore perfezione di come le abbiamo ricevute".

Tra la fine del Seicento e l'inizio del Settecento la "querelle des anciens et modernes", la polemica letteraria sul rapporto tra antichi e moderni, introduce i temi che saranno ripresi e divulgati dagli illuministi. La tesi della superiorità dei moderni fa leva appunto sulla accumulazione della esperienza.

Il concetto di progresso viene sviluppato da Robert-Jacques Turgot (1727-1781), economista della scuola dei fisiocratici e ministro delle Finanze con Luigi XVI, nel "Discorso sui progressi successivi dello spirito umano" (1750).

Turgot per Marx è un grande della sua epoca, "uno degli immediati progenitori della Rivoluzione francese", che da radicale ministro borghese cerca di anticipare i provvedimenti adottati dalla Rivoluzione. Assieme a Condorcet, Turgot affianca la nozione di progresso alla storia ed elabora una filosofia della storia in cui enumera gli stadi di sviluppo della società.

Per Turgot vi sono tre stadi: animistico, speculativo e scientifico. Nel primo stadio si crede che gli effetti fisici siano prodotti da esseri invisibili, intelligenti e simili a noi; poi si vedono cause astratte, come le essenze e le facoltà; infine cause meccaniche. Vi si può scorgere una teoria dello Stato scientifico, dove ad ogni stadio determinato dal progresso della conoscenza corrisponde una forma di Stato.

La concezione degli stadi di sviluppo, l'idea che la storia si basa su differenti stadi ognuno con caratteristiche specifiche e differenziate sarà ripresa da Marx. In Turgot sono ancora elementi ideologici a caratterizzare gli stadi, Marx ne cercherà i fondamenti nello sviluppo delle forze produttive, per cui parlerà di società schiavistica, di società feudale, di società capitalistica.

Per quanto fondi la sua concezione sul progresso della conoscenza, per Turgot vi è però differenza tra la storia e le scienze, quale ad esempio la fisica.

La fisica scopre le leggi di fenomeni ricorrenti e quindi invarianti, mentre la storia segna l'aumento progressivo di esperienza che costituisce la civiltà.

Il fattore dinamico che consente ad alcuni popoli e non ad altri di progredire è l'instaurarsi di una differenza.

Il punto di partenza è ovunque il medesimo "ma la natura, ineguale nei suoi benefici, ha dato a certi spiriti una abbondanza di talenti che ha rifiutato ad altri; le circostanze sviluppano questi talenti o li lasciano avvolti nell'oscurità; e dalla varietà infinita di queste circostanze nasce l'ineguaglianza nei progressi delle nazioni".

La ideologia del progresso del borghese Turgot è anche una teoria dello sviluppo ineguale.

 

TEORIA DELLO STATO EDUCATORE[60]

Anche il marchese di Condorcet (1743-1794) nello "Schizzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano" (1794) sviluppa l'idea di progresso come successione di stadi della conoscenza e divide in dieci epoche lo sviluppo storico.

Le prime tre sono congetture sull'era preistorica e sono presunte nel passaggio dell'attività umana per gli stadi della caccia, della pastorizia e dell'agricoltura. Le successive sei epoche caratterizzano lo sviluppo storico vero e proprio, a partire dall'invenzione della scrittura alfabetica: il quarto e quinto stadio si riferiscono al mondo greco-romano, il sesto ed il settimo al Medio Evo. L'ottava epoca per Condorcet va dalla scoperta della stampa alla rivoluzione del pensiero filosofico compiuta da Cartesio.

La nona abbraccia l'illuminismo sino alla Rivoluzione del 1789: per Condorcet, che ne fu travolto tragicamente, essa era l'alba di un'era nuova.

Nella nuova epoca lo Stato con l'educazione universale e con la diffusione della conoscenza avrebbe superato gli ostacoli fisici e mentali che si oppongono alla felicità e al progresso.

Il progresso avrebbe portato all'eguaglianza delle nazioni, avrebbe eliminato le differenze di classe, avrebbe eliminato gli svantaggi individuali dovuti alle differenze nell'educazione. L'educazione universale avrebbe reso possibile a tutti di essere eguali. Lo sfruttamento delle razze arretrate sarebbe stato abolito.

Se Condorcet avesse visto solo e non soprattutto il ruolo dell'educazione universale sarebbe stato un utopista. Ma è un borghese, infatti sostiene anche che l'eguaglianza degli uomini liberi sarebbe stata formata dalla libertà di commercio, dall'assicurazione per l'invalidità e la vecchiaia, dall'abolizione della guerra, dall'eliminazione della povertà e del lusso, dall'eguaglianza dei diritti delle donne.

Condorcet riteneva che il progresso fosse cumulativo, una nuova società e un nuovo Stato avrebbero migliorato il genere umano. La continuità del progresso, l'accumulazione indefinita del sapere, era l'elemento di fondo della sua concezione, mutuata come per Turgot dall'empirismo di Locke nella interpretazione di Helvetius e comune in definitiva a tutto l'illuminismo.

La borghesia del 18º secolo è una classe in ascesa, rivoluzionaria. Per questo i suoi intellettuali pensano che esista un ordine naturale che deve essere solo reso evidente alla ragione e che l'oppressione e la sofferenza abbiano origine dall'ignoranza delle leggi della natura. Nella loro concezione mentre i ceti dominanti, i principi, l'aristocrazia, il clero, cercano di perpetuare l'ignoranza su cui si regge il proprio potere, il compito del sovrano illuminato è di consentire all'umanità di agire secondo ragione, alla luce della quale l'ordine naturale, non più distorto o nascosto, sarebbe apparso a tutti evidente.

Per il girondino Condorcet, l'orizzonte dell'ordine naturale poteva essere solo quello della borghesia. Scrive a proposito dell'eguaglianza:

"L'eguaglianza che il diritto naturale esige tra gli uomini esclude ogni ineguaglianza che non sia una conseguenza necessaria della natura dell'uomo e delle cose e che, pertanto, sia l'opera arbitraria delle istituzioni sociali. Talché per esempio, l'ineguaglianza di ricchezze non è contraria al diritto naturale; è una conseguenza necessaria del diritto di proprietà, poiché questo diritto implicando l'uso libero della proprietà implica altresì la libertà di accumulazione indefinita".

Lo Stato educatore universale di Condorcet doveva rendere gli uomini eguali nel diritto naturale alla proprietà, ma l'ineguaglianza nella ricchezza ne era conseguenza necessaria.

Nel progresso come educazione e come accumulazione indefinita del sapere si specchiava la libertà di accumulazione indefinita della proprietà.

 

DIRITTO NATURELE E PROPRIETA[61]

Rousseau attacca il giusnaturalismo, un pilastro del razionalismo francese, per il quale la società è soltanto un mezzo per il bene individuale e la natura umana soltanto calcolo dei vantaggi.

Le dottrine giusnaturaliste postulano l'esistenza di un "diritto naturale", ovvero di un insieme di norme dedotte dalla natura e conoscibili dall'uomo, contrapposte e considerate superiori al "diritto positivo", ovvero alle norme emanate dallo Stato.

Le correnti dell'illuminismo impugnano i temi del giusnaturalismo per i loro obiettivi politici pratici: rivendicare di fronte all'assolutismo quei diritti che si afferma appartengano all'uomo nel suo stato di natura. In questo senso i diritti naturali del razionalismo francese sono le istanze della borghesia rivoluzionaria, così come in Inghilterra il perno della teoria dello Stato di Locke era stato il diritto naturale di proprietà.

Alla concezione giusnaturalista Rousseau contrappone un'unica affermazione: l'individuo consiste di pochi e solidi sentimenti, che hanno poca razionalità ma lo stringono alla comunità. Perciò il bene della società è il bene dell'individuo.

Un altro pilastro del giusnaturalismo viene attaccato da David Hume.

In Inghilterra non vi era più la necessità rivoluzionaria, come in Francia, di difendere la ideologia razionalista del giusnaturalismo.

Vi era la necessità di sviluppare il capitalismo. Perciò dopo Locke la filosofia inglese per cinquanta anni assume altri caratteri, in cui trova forma teorica l'assetto inglese.

In primo luogo essa si svolge su linee empiriche, insistendo sulla storia naturale delle idee e sulla loro derivazione dai sensi. Ovvero sulla derivazione dall'esperienza, che in Inghilterra significa lo sviluppo dell'industria.

In secondo luogo viene abbandonata l'etica dedotta da leggi naturali, ancora presente in Locke.

In terzo luogo l'utilitarismo inglese, conformemente alle sue necessità sociali, elimina le idee di giustizia e diritto naturali. A differenza della borghesia francese, quella inglese ha il potere, non ha più bisogno di quelle idee. Nota Sabine che il giusnaturalismo continuava ad essere diffuso in Francia solo perché era utile come "solvente rivoluzionario" del sistema politico.

In Inghilterra la situazione era differente. "La difesa della Rivoluzione era finita con Locke, prima che la Rivoluzione francese producesse una riverberazione dei diritti naturali, e il carattere degli scrittori politici inglesi di tutto il diciottesimo secolo, tanto nel campo politico quanto in quello religioso, fu decisamente conservatore. In un paese dove sia il governo che la chiesa, benché fossero comunemente ritenuti soggetti a molti abusi, servivano egregiamente gli interessi delle classi di maggior importanza politica, il sistema giusnaturalista aveva perduto la sua utilità immediata".

Anche nell'economia politica, che per tutto l'Ottocento conserverà il concetto di legge naturale "giusta", Adam Smith nel '700 sarà il meno legato a queste idee giusnaturaliste. Esse saranno riprese invece da Ricardo, quando la Rivoluzione Industriale romperà il compromesso statale, l'equilibrio tra le frazioni delle classi dominanti, e preparerà l'offensiva della borghesia industriale inglese, culminata nelle conquiste politiche del 1832.

Hume conclude questo cinquantennio della filosofia inglese demolendo un secondo pilastro del giusnaturalismo: la validità scientifica della "legge naturale".

 

TEORIA DELLO STATO EMPIRICO[62]

Nel "Trattato sulla natura umana" (1739-1740) Hume critica il concetto di legge naturale. A suo avviso il giusnaturalismo nel concetto di ragione ha confuso tre fattori di significato diverso, facendo apparire come verità necessarie o leggi morali proposizioni che non sono invece certe.

La ragione in senso stretto per Hume è deduzione. Vi sono "relazioni di idee" che definiscono verità necessarie, ma solo in parti limitate della matematica. Data una premessa ne consegue una certa conclusione, se è vera una proposizione anche l'altra deve esserlo. Si tratta solo di un rapporto di idee, in cui non contano i fatti reali.

Altra cosa è la scoperta della relazione empirica, o causale. Qui nessun "confronto di idee" può provare una realtà di fatto. I rapporti tra realtà di fatto non sono mai necessari, nel senso strettamente razionale del concetto di ragione propriamente intesa come deduzione di tipo logico-matematico, quindi non c'è un rapporto di causa ed effetto.

E' sempre possibile ammettere il contrario di qualunque realtà di fatto: quando due fatti si trovano in relazione tra loro di causa ed effetto, tutto ciò che si può affermare di essi è che si trovano insieme con un certo grado di regolarità. Senza l'esperienza, la constatazione empirica di trovare i due fatti insieme, sarebbe impossibile dedurre l'uno dall'altro, collegare l'effetto alla causa.

La relazione necessaria tra cause ed effetti, affermata dal meccanicismo illuminista, per Hume è una costruzione fittizia, se si attribuisce alla "necessità" il senso logico dell'uso matematico di tale termine. Tra causa ed effetto c'è solo un rapporto empirico e per questo le scienze empiriche, le quali si occupano dei fatti che realmente avvengono, sono differenti dalla matematica.

Infine i giusnaturalisti usano il termine "ragione" in relazione alla condotta umana, per dimostrare attraverso la legge di natura l'esistenza di principi di diritto, giustizia, libertà che la ragione può appunto dimostrare come necessari. Per Hume invece la definizione di ciò che è giusto o che è buono non dipende dalla ragione ma dai desideri e dalle propensioni umane.

La ragione non detta le norme di condotta. Attraverso la conoscenza empirica di cause ed effetti essa può dimostrare il risultato di una certa azione o può indicare i mezzi per raggiungerlo, ma il giudizio sul risultato, il fatto che esso piaccia o non piaccia, dipende dall'inclinazione umana e dalle passioni: non è né ragionevole né irragionevole.

In questo modo Hume ha distinto le tre accezioni con cui il giusnaturalismo adoperava il concetto di ragione: la ragione in senso stretto come deduzione logica, la relazione empirica tra i fatti, il giudizio di valore in campo etico e politico.

La razionalità della legge naturale, asserita dagli illuministi, viene a cadere, poiché solo la deduzione matematica è strettamente razionale, mentre etica e politica contengono elementi non dimostrabili. Sono "convenzioni" che l'esperienza empirica mostra essere utili, ma che non si possono dimostrare come necessarie.

La borghesia inglese, ormai matura, cerca di sbarazzarsi della ideologia rivoluzionaria del razionalismo, che essa stessa aveva creato. E' vero solo ciò che serve e ora la legge naturale serve solo nell'industria e nella scienza tecnologica.

Non serve più nella società, contro l'aristocrazia. Invece che teoria della Stato razionale, quella del borghese Hume diviene teoria dello Stato empirico.

 

TEORIA EMPIRICA E SCIENZA POLITICA[63]

Attaccando l'ideologia del razionalismo, Hume liquida la base scientifica della politica e la riduce ad empirismo.

Partendo dalla sua filosofia generale empirista, Hume attacca il giusnaturalismo a proposito della religione naturale o razionale, dell'etica razionale e della teoria politica del contratto o del consenso.

La concezione di una religione razionale è fittizia perché, essendo impossibile ogni prova deduttiva, l'esistenza di Dio è indimostrabile.

Questa affermazione di agnosticismo non è altro che il metodo empirista applicato alla teologia, all'ideologia religiosa imperante nelle masse. L'agnosticismo è la traduzione empirista dell'abbandono del materialismo, in questo particolare settore della lotta ideologica. Mentre in Francia la borghesia ha bisogno in questo campo di punte ateistiche, in Inghilterra esse non sono più necessarie. Per Hume la religione è un sentimento, una passione.

Essa può avere quindi una storia naturale, ovvero una spiegazione psicologica e antropologica delle sue credenze e delle sue pratiche, ma non è né vera né non vera. Non interessa, in questo senso, la scienza.

Lo stesso vale per l'etica e la politica: in quanto valori dipendenti dalle propensioni degli individui all'azione, hanno solo una qualità e un campo d'azione psichico.

Non esistono un'etica utilitaristica o una politica e uno Stato utilitaristico, come teorizzerà il materialismo francese con Helvetius, deducibili dal fatto che tutti i moventi dell'azione umana sono riconducibili in modo meccanicistico alla ricerca del piacere e all'allontanamento del dolore. Secondo Hume empiricamente si può constatare che la natura umana non è talmente semplice da avere un'unica propensione, ma ne ha invece molte.

Non esiste un consenso basato sul fatto che l'obbligo politico è vincolante in quanto volontariamente accettato. Se l'obbligo di obbedienza civile derivasse dall'obbligo di mantenere un patto, osserva Hume, bisognerebbe comunque domandarsi perché tale patto debba essere vincolante. La constatazione empirica mostra che Stato e consenso sono cose diverse. Nessuno Stato realmente chiede ai suoi sudditi il consenso, mentre i sentimenti di lealtà e di fedeltà mantengono la sudditanza e sono altrettanto diffusi tra le propensioni umane del sentimento che un patto vada mantenuto.

Il dovere di obbedienza civica e il mantenimento di un patto sono questioni diverse perché diverso è il loro fine. L'obbedienza politica ha lo scopo di mantenere l'ordine e la sicurezza, mentre il principio del rispetto dei patti e dei contratti crea fiducia reciproca tra persone private.

L'obbedienza civica non può derivare dall'obbligo di rispettare un patto, né sul piano empirico si può affermare che in modo immediatamente evidente l'uno o l'altro dei due doveri sia più vincolante.

Il fondamento comune dei due tipi di dovere è che entrambi sono indispensabili a una società e a uno Stato stabili. Lo Stato deve garantire la conservazione dell'ordine e la tutela delle proprietà, il patto privato lo scambio dei beni: "osservo che è nel mio interesse lasciare a un altro il possesso dei suoi beni, purché egli agisca nello stesso modo nei miei confronti".

Lo Stato si basa sull'egoismo individuale e sull'abitudine alla fedeltà, rafforzata dall'educazione. L'interesse comune, lo Stato, è perciò una convenzione e non una verità razionale, una convenzione la cui utilità è dimostrata solo dall'esperienza.

 

TEORIA EMPIRICA DELLA STABILITA[64]

Per Hume il senso della giustizia "non è fondato sulla ragione o sulla scoperta di certe connessioni e relazioni di idee eterne, immutabili e universalmente obbligatorie". E' la preoccupazione "per il nostro interesse e per quello pubblico" che spinge a formularne le leggi.

Se queste non sono più empiricamente utili possono essere cambiate, anche con la violenza, ma qualsiasi norma è meglio di nessuna norma. Non si tratta di verità eterne, insite nella legge di natura, ma di modi di condotta generati dall'esperienza e sedimentati dall'abitudine.

Due tipi di convenzioni regolano la proprietà e la legittimità dell'autorità.

Attraverso le norme di proprietà è garantito che il possesso dei beni sia stabile. Le norme di legittimità distinguono lo Stato legittimo dal puro esercizio della forza e dall'usurpazione. "La proprietà deve essere stabile,

e bisogna fissarla con delle regole generali", se in certi casi ciò può andare a scapito dell'interesse pubblico, ciò è ampiamente compensato dai vantaggi derivanti dalla osservanza delle regole e "dalla pace e dall'ordine che esse stabiliscono nella società".

In Hume la legittimità dello Stato deriva dall'esercizio della borghesia prima che da leggi. Tale teoria empirica dello Stato mostra chiaramente l'ascesa della borghesia inglese, la sua condizione nel diciottesimo secolo e la sua stessa prassi giuridica, che è quella della "common law".

Il marxismo vi trova conferma del fatto che il carattere di una società risiede nei rapporti di produzione prima che nei rapporti giuridici.

Hume giunge a una teoria del dominio borghese chiarissima, ridotta alla sua essenza e sfrondata dell'ideologia ormai inutile. Lo Stato di Hume, tolta la legge naturale dei diritti e delle libertà illuministiche, si basa sull'utilità e sulla stabilità sociale.

Se lo Stato si giustifica solo sulla sua utilità, non ha bisogno di una "giustizia eterna" naturale. Esso si basa teoricamente sul positivismo empirico, senza metafisica, religione, etica. Hume distinguendo tra ragione, fatto e valore ciò che il giusnaturalismo francese assommava nei concetti di ragione e di legge naturale traduce teoricamente la distinzione che la prassi borghese sta operando nell'Inghilterra del suo tempo.

In Francia non c'era ancora questa pratica sociale, né tanto meno in Germania. Kant riprenderà per l'uso della prassi borghese tedesca la distinzione teorica di Hume, ma solo per ciò che riguarda il metodo applicato alla realtà. In politica con la sua etica introdurrà un nuovo valore assoluto.

L'abbandono del materialismo attraverso l'agnosticismo non significava per converso l'abbandono della ideologia religiosa nella sua funzione empirica di assoggettamento delle masse. A ciò concorre il portato storico del particolare carattere della rivoluzione inglese.

Ricorda Engels che in Inghilterra "una parte dei grandi proprietari terrieri, per motivi economici o politici, si era in ogni tempo mostrata disposta a collaborare con i capi della borghesia finanziaria e industriale". Nel compromesso del 1689 le spoglie politiche, "uffici, sinecure, grandi stipendi", rimasero alle grandi famiglie della nobiltà terriera, "a condizione che curassero sufficientemente gli interessi della classe media finanziaria, produttrice e commerciale". Il giudizio di Engels è che tali interessi fossero già allora abbastanza potenti: "determinavano, in definitiva, la politica generale della nazione". Di conseguenza l'aristocrazia poteva

scontrarsi su singole questioni con la nuova classe nascente, ma "sapeva fin troppo bene come la sua superiorità economica fosse inseparabilmente connessa con quella della borghesia industriale e commerciale".

 

MORALE E DIRITTO UTILITARISTICO[65]

Nei teorici dell'assetto inglese, abbandonata la legge naturale del razionalismo francese si giunge a una teoria empirica dello Stato e del dominio della borghesia, che si serve dell'utilizzo e della rielaborazione pragmatica delle ideologie e delle sovrastrutture precedenti.

Il valore delle leggi, della morale, delle costruzioni politiche è nella loro utilità ai fini della stabilità e della proprietà. Anche la religione, accompagnata in apparenza alla porta da Hume con la teorizzazione scettica dell'agnosticismo, fa perciò il suo rientro dalla finestra dell'opportunità sociale.

Dopo il compromesso del 1689, scrive Engels, la borghesia divenne parte riconosciuta delle classi dominanti inglesi. Con esse fu cointeressata all'assoggettamento delle classi inferiori. Il negoziante o il fabbricante "aveva di fronte ai suoi commessi, ai suoi lavoranti, alla servitù, la posizione del datore di lavoro" e doveva educarli alla relativa soggezione. Uno dei mezzi impiegati fu "la capacità di influenza della religione".

Se la Rivoluzione Francese fu combattuta per la prima volta "sullo scoperto terreno politico", nella Riforma in Germania nel Cinquecento e nella rivoluzione inglese nel Seicento la lotta della borghesia aveva dovuto assumere un "travestimento religioso".

In Francia la rivoluzione fu una completa cesura col passato, eliminò le ultime tracce del feudalesimo e "creò nel Code Civil un adattamento magistrale alle moderne condizioni capitalistiche dell'antico diritto romano".

Nell'assetto inglese "la ininterrotta continuità delle istituzioni pre-rivoluzionarie e post-rivoluzionarie, e il compromesso tra i grandi proprietari terrieri e i capitalisti, trovarono la loro espressione nella continuità dei precedenti giuridici, come anche nel mantenimento rispettoso delle forme giuridiche feudali".

La dialettica tra lo sviluppo economico e sociale e il suo riflesso nelle sovrastrutture ideologiche, giuridiche e statali non si fa racchiudere in alcuno schematismo.

La pratica sociale della borghesia inglese, ormai al potere nel compromesso con l'aristocrazia in trasformazione, rielabora e utilizza l'eredità politica, giuridica e religiosa medievale. Il diritto inglese della common law, nota Engels, "continua ad esprimere le condizioni economiche della società capitalistica in una barbarica lingua feudale", per quanto così facendo conservi la parte migliore delle libertà antico-tedesche.

La borghesia francese, spinta alla rottura rivoluzionaria con tutta la tradizione precedente, riadatta nel proprio codice civile il diritto romano, ovvero le forme giuridiche dello scambio mercantile nella società antica.

Nel campo ideologico e morale, il borghese britannico si tenne "stretto alla sua religione". Invece il materialismo francese divenne "la bandiera teorica" dell'Ottantanove.

Pochi decenni e lo sviluppo capitalistico riprodusse anche sul Continente le esigenze di assoggettamento ideologico che la borghesia britannica aveva già sperimentato. Uno dopo l'altro, sferza Engels, i borghesi europei presero a parlare con rispetto della Chiesa, dei suoi insegnamenti e delle sue pratiche. "I borghesi francesi rifiutarono la carne al venerdì, e quelli tedeschi sudarono abbondantemente nelle loro panche di Chiesa, ascoltando interminabili prediche protestanti. Con il loro materialismo erano incappati nei guai".

Il materialismo della borghesia rivoluzionaria aveva gettato le fondamenta per la base logica del comunismo. Gli assetti inglese, francese e tedesco convergevano nel dominio di classe.

 

NOTE

56 lotta comunista Maggio 1995
57 lotta comunista Giugno 1995
58 lotta comunista Luglio 1995
59 lotta comunista Ottobre 1995
60 lotta comunista Novembre 1995
61 lotta comunista Dicembre 1995
62 lotta comunista Gennaio 1996
63 lotta comunista Febbraio 1996
64 lotta comunista Marzo 1996
65 lotta comunista Aprile 1996

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Ultima modifica 11.09.2001