"La mezza guerra nel Golfo"

Arrigo Cervetto (1991)

 


Pubblicato su Lotta Comunista, gennaio 1991
Trascritto per internet da Antonio Maggio (Primo Maggio)
HTML mark-up per il MIA: Dario Romeo, novembre 2003

Recentemente Norberto Bobbio, citando Gaetano Salvemini, ha addebitato ai marxisti di essere delle «aquile cieche» che «volteggiano in alto e non vedono le cose piccole», contrapponendo loro i «passerotti» del pensiero laico e liberale che volano basso ma a contatto con la terra.

E' una confessione di impotenza del pensiero liberaldemocratico che si traveste da bonario passero, in un momento di svolta tremenda, in cui falchi e colombe si scambiano quotidianamente le piume.

Le revisioni della storia sono il banco di prova delle dottrine.

Forze finora latenti si stanno sollevando, polverizzando le illusioni di un mondo pacificato, seminate da politologi, filosofi, chierici.

Solo il marxismo ci ha permesso di avvertire che gli avvenimenti dell'ultimo decennio annunciavano l'apertura di una nuova complessa contesa imperialistica. Alla prova dei fatti, la spavalderia dei detrattori di Marx si scompone in una baraonda di isterismi e paure, di bellicoso cinismo e di rimpianti per la perduta stabilita della guerra fredda.

Solo il marxismo ha oggi gli strumenti, il coraggio militante, la serenità scientifica per abbracciare l'insieme dei fenomeni economici, sociali, politici che si annodano nel cappio della guerra.

La sociologia, statica e stantia, si arresta alla superficie dei fenomeni. L'ideologia liberale vede tremare le muraglie di carta del suo diritto, sotto i sussulti dell'imperialismo.

La religione si riporta al centro della scena, matrigna dell'utopia abbandonata dalla viltà di liberaldemocratici e riformisti. A questo punto diventa necessità vitale la comprensione dei processi in corso, dello sfondo oggettivo in cui maturano le crisi politiche.

Il marxismo diventa una necessità perché permette di guardare avanti, squarciando le bende dell'indifferenza politica, del pragmatismo senza principi, dell'ipocrisia, dell'ambiguità.

Il marxismo può affrontare questa battaglia purché è sorto e si è rinvigorito lottando controcorrente, nei tempi lunghi della fase controrivoluzionaria.

Oggi la storia ha accelerato il suo passo in misura imprevedibile. E' un fenomeno che può essere compreso solo attraverso il materialismo storico. L'analisi del Cinquecento, come secolo di accelerazioni e rottura della storia mondiale, è un modello per la visione marxista: l'Europa decolla, l'Asia perde terreno, restando il continente dei centomila villaggi e del dispotismo, l'America fa il suo ingresso nella civiltà. Nasce la storia moderna.

 Oggi quattro eventi caratterizzano il corso accelerato dell'imperialismo mondiale: l'esaurimento di Yalta, la rapidissima unificazione tedesca, il disfacimento dell'URSS, la guerra del Golfo.

L'intreccio di questi processi, e le nuove ripartizioni che producono, pesano sulla bilancia della storia come una terza guerra mondiale dall'esito imprevedibile.

L'esaurimento di Yalta ha scongelato l'assetto europeo, emerso dal secondo conflitto imperialistico, che mirava ad impedire che la Germania risorgesse come potenza dominante in Europa, poiché una tale potenza non si sarebbe fermata entro i confini del Vecchio Continente.

La fulminea unificazione tedesca crea una potenza di circa 80 milioni di abitanti, con un peso economico decisivo sia verso l'Est europeo che verso l'Europa occidentale. E' stata soprattutto una vittoria del marco tedesco che ha bruciato le tappe e gli schemi della vecchia Ostpolitik. Il trionfo della Bundesbank ha accelerato i progetti di unita monetaria e politica europea.

Il contraccolpo immediato in Gran Bretagna e stato il rovesciamento di Margaret Thatcher. A Londra e prevalsa la linea più flessibile della Confindustria britannica, disponibile alla ricerca di un accordo con la Banca Centrale germanica.

Lo sgretolamento del l'URSS ha una portata sconvolgente. Il Novecento ha visto lo sfaldamento di due imperi plurietnici, l'austroungarico e l'ottomano. Le conseguenze di quei crolli sono state di lunga durata, e si protraggono fino all'attuale burrascosa crisi della federazione jugoslava e ai reiterati terremoti del mondo arabo. In URSS cresce il ruolo dei militari come garanti dell'unita territoriale. In Lituania e in Lettonia i paracadutisti di Mosca ristabiliscono l'ordine centralista, sotto il rispettoso lamento delle democrazie imperialistiche.

Si discute su un nuovo Trattato dell'Unione. Gli inglesi suggeriscono l'ipotesi di una riforma dell'Unione sul modello del Commonwealth. Le Repubbliche potrebbero delegare al potere centrale oltre alla difesa e alla politica estera anche la proprietà delle materie prime.

Eltsin prospetta una federazione fondata su rapporti bilaterali, ma il suo schieramento e diviso.

Altri, come Solzenicyn, propongono la creazione di uno Stato slavo tra Russia, Bielorussia e Ucraina.

Il georgiano Shevardnazde si dimette dagli Esteri, probabilmente per opposizione all'impiego delle forze arma te che potrebbe toccare la Georgia.

La lotta e aspra e mette a nudo contraddizioni che hanno radici nel vecchio impero zarista, e che riesplodono dopo il lungo congelamento staliniano.

Se si sfasciasse il magma delle nazionalità che compongono l'URSS, tutte le carte si potrebbero rimescolare. I fermenti nazionalistico-religiosi di armeni, curdi, azeri, turkmeni, nell'area caucasica, coinvolgono regioni dell'URSS, della Turchia e dell'Iran.

Nella penisola arabica e nel Golfo gli USA insediano una imponente forza militare per svolgere il ruolo di bilancia in un crocevia decisivo di interessi europei e asiatici.

L'Irak tenta per la seconda volta in un decennio di attuare una nuova ripartizione regionale. I suoi tentativi, come pure l'occupazione siriana del Libano, sono l'esito dello sviluppo capitalistico e del massiccio riarmo delle medie potenze dell'area, con l'aiuto di tutte le potenze imperialistiche. La guerra tra Iran e Irak e stata un massacro di un milione di uomini ma anche un esperimento di guerra missilistica.

L'Irak ha sbagliato, per la seconda volta, i calcoli. Quando, dieci anni fa, l'URSS invase l'Afghanistan pensò fosse il momento di invadere l'Iran sconvolto dalla crisi politica. Le superpotenze, nel complesso, controllarono la guerra perché ne limitarono l'estensione graduando il rifornimento di armi ai due contendenti. La guerra diventò una guerra di posizione e di logoramento, assomigliando, anche per l'impiego dei gas, a quella combattuta sul fronte occidentale franco-tedesco nel 1914-1918.

Al particolare riciclaggio petroldollari-armi hanno partecipato grandi e piccole potenze, americane, europee, asiatiche, africane. Lo Scià aveva creato una considerevole forza militare, uscita ridimensionata dal conflitto. Otto anni di guerra hanno, invece, rafforzato l'esercito di Saddam, anche perché l'Arabia Saudita e il Consiglio di Cooperazione del Golfo lo hanno finanziato e, di conseguenza, ha trovato fornitori e governi occidentali disponibili.

Il 26 maggio 1981 l'Arabia Saudita forma, con Kuwait, EAU, Qatar, Bahrein e Oman il Consiglio di Cooperazione. Nove anni dopo Saddam ha pensato di entrare nel Consiglio, capeggiato dai sauditi, inglobando il Kuwait nella provincia di Bassora.

Questa volta il calcolo e sbagliato due volte. In primo luogo, perché il ritiro dell'URSS da Kabul non significa che tutte le potenze siano disponibili ad una nuova definizione delle frontiere.

In secondo luogo, perché e proprio la superpotenza americana ad essere la meno disposta, e non solo a causa degli interessi petroliferi nel Golfo e delle pressioni delle multinazionali dell'energia. L'imperialismo americano si trova, cosi' ad essere al centro di una convergenza di interessi delle varie potenze ad un momentaneo assestamento. Nella prospettiva di future nuove dislocazioni nello scacchiere mondiale, gli Stati Uniti si vanno collocando al centro di ogni bilancia di potenze o, in altre parole, del nuovo ordine mondiale.

Abbiamo scritto nel 1981, all'inizio del riarmo reaganiano, che questo non era rivolto solo contro Mosca. Washington cercava una superiorità militare relativa, una capacità da "una guerra e mezza ".

Ecco, la "mezza guerra" è nel Golfo.

 

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Ultima modifica 23.12.2003