"Equilibrio di fuoco nel Golfo"

Arrigo Cervetto (1991)

 


Pubblicato su Lotta Comunista, febbraio 1991
Trascritto per internet da Antonio Maggio (Primo Maggio)
HTML mark-up per il MIA: Dario Romeo, novembre 2003

All'inizio degli anni Ottanta pensavamo che: "E' chiaro che gli USA puntano al riarmo per trattare da posizioni di forza una nuova definizione delle sfere di influenza e, laddove non è possibile, alcune norme di comportamento interimperialistico sulle aree in movimento, di impossibile collocazione e da dove stanno emergendo giovani potenze".

Risulta chiaro che la nostra interpretazione delle tesi della trattativa americana da posizioni di forza non si limitava al solo rapporto Stati Uniti- Unione Sovietica.

La crisi del Golfo non ha sconfessato, secondo Paul Samuelson, la tesi di Paul Kennedy sul "declino americano" . La contrazione della quota americana in termini di prodotto mondiale dal 40% del 1950 al 20% del 1991 sarebbe una realtà inevitabile e, nello stesso tempo, positiva. L'Unione Sovietica, attualmente attestata al di sotto del 10%, rimane pur sempre "una potenza militare di prim'ordine".

Henry Kissinger pensa che il nuovo ordine mondiale non possa più essere bipolare e che sia destinato a essere multipolare. La pluralità dei centri di potere è basata principalmente sulle aree regionali. Gli Stati Uniti non sono più in grado di dominare e devono, quindi, puntare su una bilancia di potenze sia su scala globale che su scala regionale.

L'ipotesi di multipolarismo a base regionale ricalca la concezione dello stesso Kissinger negli anni Settanta; in modo restrittivo però, dato che viene meno considerato il ruolo globale di potenze come il Giappone e la Germania.

Del resto, quella di Kissinger è una contestazione di scuola realista alle tesi sul "governo mondiale" e sul "ruolo dell'ONU" e come tale si proietta nel non voler alterare l'assetto del Medio Oriente.

L'Irak aveva un milione di soldati, 800 aerei e 5.000 tank, la Siria 800 mila soldati, 550 aerei da combattimento e 4.000 tank, Israele 500 mila, 600 aerei e 4.000 tank, l'Egitto un milione di sol dati, 600 aerei e 2.500 tank.

L'intero Medio Oriente è sovrarmato anche perché è la somma di varie corse riarmistiche: quella dell'Irak contro l'Iran, quella dell'Arabia Saudita contro Iran e Irak, quella di Israele contro gli Stati arabi. Gerusalemme mira ad avere una forza militare in grado di sconfiggere ogni possibile coalizione di forze arabe; Damasco punta ad una parità strategica con Israele.

"The Economist" calcola che Siria e Israele spendano il 10-15% del loro PNL in armi, l'Irak il 25% , la Giordania il 12% , l'Arabia Saudita il 20% .

Il tasso è mediamente 4 o 5 volte quello già alto del 3-4% che è la media degli Stati della NATO.

Il mercato delle armi è alimentato dal petrolio ed è diventato un fenomeno inarrestabile ed esplosivo.

Gli inglesi valutano che, se le grandi potenze cessassero di rifornirlo, i paesi mediorientali svilupperebbero una loro produzione.

Secondo l'Istituto SIPRI, in una ricerca sulla pace, l'industria delle armi, che impiega nel mondo 1 milione e mezzo di addetti, ha ridotto i suoi effettivi di 100 mila unità. A mezzo termine dovrebbe sopprimerne altre 300 mila, che potrebbero essere 500 mila nel caso di ulteriori progressi nei negoziati sul disarmo.

Gli esperti della rivista militare britannica ''Jane's Defence Weekly" danno per scontato un calo generale del 18% delle spese d'armamento. Maggiormente implicate risultano essere le società americane le quali occupano 15 posti nelle prime 20 aziende dell'industria mondiale degli armamenti; 8 di queste 15 realizzano più della metà della loro cifra d'affari nel settore bellico.

"Rheinischer Merkur/Christ und Welt" attribuisce alle imprese tedesche una quota eguale o inferiore al 50% del loro fatturato.

Un equilibrio militare nella regione è reso difficoltoso dall'assenza di un esercito di massa nell'Arabia Saudita, la quale ha speso più in basi aeree che in truppe di terra.

"The Economist" riferisce che la monarchia saudita starebbe pensando di costituire un esercito di 180 mila unità e di superare la soluzione del piccolo esercito quale garanzia contro il golpe militare repubblicano.

Il saudita Abdulaziz H. Fahd, in un articolo sul "Washington Post", spiega la contraddizione dell'Arabia con la storia della formazione dello Stato. Questo è il risultato di una lunga lotta tra le tribù beduine e la popolazione sedentaria Hadar. Quando gli Hadar riuscirono a sottomettere i beduini, all'inizio del secolo, posero le fondamenta dello Stato saudita, e nel 1930 spezzarono la resistenza dei nomadi. Venne utilizzata, infine, la rendita petrolifera, derivata dalla concessione alla americana Standard Oil, per demilitarizzare i beduini e per assicurare una stabilità.

La scelta deliberata di non costruire un grande esercito e di privilegiare la forza aerea ha inevitabilmente attirato pretese da parte dell'Egitto e dell'Irak.

L'Arabia Saudita ha dovuto compensare i pretendenti.

La banca J. P. Morgan di New York, assieme ad alcune banche giapponesi, capeggia un credito di 3,6 miliardi di dollari all'Arabia Saudita, teso a pagare l'intervento militare statunitense nel Golfo per un impegno di 13,5 miliardi di dollari. Invece di cedere una parte dei titoli di Stato USA, per un ammontare di 65 miliardi di dollari, i sauditi preferiscono indebitarsi.

Il riciclaggio nel Golfo è esplosivo e produce un conflitto devastante. Non è un conflitto mondiale ma una esercitazione reale con migliaia di morti.

La "mezza guerra" americana è stata gettata come una tremenda mazzata nel Golfo e ha scosso la superficie del pianeta.

La contesa mondiale è sbarcata sul Tigri e sull'Eufrate.

 

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Ultima modifica 28.11.2003