PAGINE DI STORIA DEL PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALISTA

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Battaglia comunista n. 11, novembre 1970
Fonte: Primo Maggio


 

Il Convegno di Torino (1946) doveva gettare le basi del partito rivoluzionario nel clima del secondo dopoguerra, le cui forze di garanzia, nella prospettiva di una ripresa economica del capitalismo, erano rappresentate dal partito nazional-comunista di Togliatti, dalla democrazia cristiana di De Gasperi e, con ruolo subalterno, dal partito socialista di Nenni.

Lo spazio per una azione a sinistra di una minoranza rivoluzionaria, ad onta del bifrontismo del PCI, era considerevole anche se irto di enormi difficoltà, fra le quali quella soprattutto di dover affrontare gli assertori e difensori di una politica di ricostruzione nazionale da realizzarsi sulla base delle strutture proprie del capitalismo, e sostenuta soprattutto dai comunisti con la solidarietà armata delle forze della resistenza partigiana.

Il Partito, dopo l'incubazione del periodo della guerra, decideva a questo Convegno di gettare nel fuoco di un primo scontro frontale con lo stalinismo i suoi quadri forgiati nella dura vita di Frazione all'estero, nelle galere e nei campi di concentramento fascisti.

Le decisioni del Convegno ponevano come prospettiva il problema della maturazione del Partito nella lotta contro il fronte dei partiti della democrazia parlamentare, sulla base della continuità storica del marxismo rivoluzionario e di una critica spietata al dominio imperialista portato avanti apertamente, dopo Yalta, dalla Russia e dai suoi satelliti, strutturati questi sul modello russo del capitalismo di Stato.

Pochi al Convegno si illusero o teorizzarono l'illusione di una soluzione rivoluzionaria che li attendeva all'angolo della strada. I più, immunizzati contro ogni astrattismo in contrasto con i dati obiettivi della situazione, si dettero come compito immediato la lotta politica e sindacale per favorire la formazione di quadri del Partito, idonei ad affrontare la nuova situazione venutasi a creare con l'avvento al potere delle forze della democrazia parlamentare.

Il Primo Congresso tenutosi a Firenze nel 1948 è il Congresso di un Partito ideologicamente e politicamente adulto, ma che sciupa le proprie possibilità di crescita e di affermazione nel momento stesso che mostra le prime crepe per la insofferenza da parte degli stessi elementi che a Torino, due anni prima, credevano la rivoluzione alle porte, contro una linea politica di Partito che si rifiutava invece di servire da copertura ad un tentativo di ritirata e, in pratica, di liquidazione per fini ed interessi particolari del tutto estranei alla organizzazione del Partito.

I maggiori problemi posti allora al giudizio del Congresso, erano il ruolo storico del Partito, la necessità di dar vita ad una frazione sindacale, strutturata sulla base di una rete di gruppi che nel sindacato e sul posto di lavoro potessero assicurare al Partito una base sociale permanente, indispensabile ad una politica autenticamente di classe, e infine il modo di utilizzazione del dispositivo elettorale secondo le indicazioni leniniste date dalle Tesi sul parlamentarismo rivoluzionario del Secondo Congresso dell'Internazionale.

Il Congresso di Firenze aveva denunciato il pericolo che sovrastava sull'organizzazione internazionalista, consistente nella manovra di ridurre il Partito ad una specie di frazione esterna del PCI, con compiti di studio e di elaborazione teorica, e di spinta critica dall'esterno; una politica, insomma, che non doveva in nessun caso indebolire il fronte di lotta del partito stalinista. Da qui la predica in sordina che consigliava che si dovessero tirare i remi in barca: niente partecipazione alle lotte operaie, niente politica sindacale se non quella del boicottaggio applicata agli stessi scioperi, dietro la speciosa giustificazione di combattere in tal modo una prassi obiettivamente riformista.

Da questo angolo visuale il Congresso di Firenze, anche per il modo con cui è stato condotto il lavoro, cioè lavoro di sottobanco, della formazione degli organi centrali, apriva di fatto quella crisi che doveva portare alla spaccatura in due tronconi della organizzazione del partito.

Il Secondo Congresso di Milano (1952) che, di fatto, per la mole notevole della messa a punto del lavoro teorico dopo i guasti arrecati dalla crisi interna ormai alle spalle, e per l'entusiasmo con cui si è passati al consolidamento dell'organizzazione, merita di essere chiamato nel contempo il Congresso della rottura con certe scorie di conventicola, e di autentica rinascita. La Piattaforma politica, approvata da questo Congresso, riunisce in una felice sintesi il patrimonio teorico e politico della "Sinistra italiana" accumulatosi negli anni di maggior fervore della lotta rivoluzionaria e divenuto di fatto patrimonio inconfondibile del nostro Partito, e quanto, partendo da queste premesse, era stato aggiunto, come contributo teorico-politico, dall'analisi - condotta dal Partito - della strategia imperialista contrapposta alla strategia del proletariato internazionale, della natura di classe dell'economia sovietica e del suo capitalismo di Stato e delle ultime guerre di liberazione nazionale.

Terzo Congresso (Milano, 1963). Ciò che caratterizza questa assise del Partito è la constatazione di un aumento del raggio di influenza che non è sempre coincidente con un aumento della sua forza organizzativa: l'influenza qualitativa, dovuta soprattutto al riconoscimento che gli avvenimenti erano andati svolgendosi secondo una linea di sviluppo che confermava la validità della nostra impostazione politica, era assai superiore all'influenza che il Partito esercitava, quantitativamente, sullo stesso proletariato più avanzato. Fenomeno questo facilmente comprensibile quando si considera che nella situazione oggettiva prevalevano, come tuttora prevalgono, i fattori della più oppressiva dominazione economica dell'imperialismo monopolistico e del capitale finanziario, i termini cioè di un intenso sfruttamento del lavoro umano ad opera di una classe decadente e parassitaria che si faceva "bella" sotto i panni della democrazia parlamentare, come precedentemente si era fatta "truce" sotto i panni della dittatura fascista, l'altra faccia della stessa realtà capitalista.

Gli avvenimenti del sud-est asiatico, resi più drammatici dall'eroica lotta condotta nel Vietnam, riproponevano il problema del ruolo del Partito rivoluzionario di fronte alle rivolte dei paesi sottosviluppati che hanno raggiunto la loro indipendenza nazionale o lottano per raggiungerla. Il dibattito verteva non tanto nell'applicazione della teoria della doppia rivoluzione, ritenuta sempre valida quando esistono le condizioni necessarie, ma del destino cui vanno incontro queste lotte nell'epoca del dominio imperialista. La constatazione della inesistenza di un operante schieramento politico del proletariato rivoluzionario su scala internazionale e il riconoscimento che quella attuale è la fase storica del dominio imperialista, articolato nei vari centri di potere in altrettante zone di influenza, sono il presupposto e il limite entro cui è resa evidente la incapacità di queste lotte a essere autonome e a sottrarsi all'influenza e agli interessi del capitalismo preso nel suo insieme.

Al Quarto Congresso (Milano, 1970) è demandato innanzitutto il compito di portare il suo contributo alla affermazione e alla difesa del marxismo sia come dottrina della rivoluzione proletaria, la sola che la storia del pensiero scientifico ritiene valida a interpretare il capitalismo, e sia come strumento per gettare le basi della nuova società comunista contro ogni tentativo - oggi questi tentativi non si contano più - di snaturarlo. Sottrarre quindi il Partito ad ogni forma di contaminazione ideologica, sempre possibile data la enorme crescita ed importanza sociale e politica assunta dalla media e piccola borghesia. Mezze classi che le esigenze produttive del capitalismo monopolistico e della rivoluzione tecnologica obiettivamente tendono a proletarizzare, con tutte le carenze che portano con loro tali stratificazioni sociali staccate da un concreto contesto di classe, e portate a oscillare costantemente verso i poli opposti delle due classi fondamentalmente antagoniste: borghesia e proletariato.

E' demandato al Quarto Congresso, inoltre, il compito di mantenere salde le posizioni della Piattaforma politica che hanno caratterizzato e continueranno a caratterizzare il nostro partito nell'arco della sua lunga esistenza, quali i tre precedenti Congressi hanno a volta a volta portato a conclusione nella loro sistemazione teorica.

Queste posizioni, per la loro aderenza e fedeltà al marxismo, non attendono di essere cambiate nella loro essenzialità fino a che lo svolgersi del mondo capitalista ne confermerà la validità come costante proiezione ideale del suo "contrario", e come non arbitraria capacità di previsione storica della decadenza capitalista e della inevitabilità del suo superamento per opera del proletariato rivoluzionario. Ecco in sintesi i punti fondamentali caratterizzanti la Piattaforma del Partito:

* Ruolo del Partito, modellato su quello di Lenin.

* Intreccio dialettico nel rapporto tra Partito e classe.

* Centralismo democratico leninisticamente inteso.

* Fine della fase storica delle rivoluzioni nazionali sotto il dominio dell'imperialismo.

* Capitalismo di Stato nei centri maggiori dell'imperialismo e sua tendenza prioritaria nello sviluppo dei paesi usciti o in via di uscire dal sottosviluppo.

* Tendenza in atto del sindacato, come una delle componenti responsabili della programmazione economica capitalista, ad integrarsi nel sistema.

* Spetta al Congresso esaminare se esistono attualmente le condizioni per un lavoro comune tra le correnti di opposizione rivoluzionaria all'interno del sindacato e sui posti di lavoro, e decidere di conseguenza sulla base ed entro i limiti posti dalla piattaforma sindacale del Partito.

Con questo vasto e responsabile impegno politico e con questa ferma volontà di realizzazione, salutiamo i compagni che stanno per affrontare con scienza e coscienza i lavori del Quarto Congresso.

Buon lavoro, compagni.


Ultima modifica 08.10.2008