Violenza stupida utile a chi?

Damen

 


Battaglia comunista n. 12 - 1969
Fonte: Primo Maggio


 

La violenza per la violenza, attentati e stragi da qualunque parte indirizzati ed eseguiti, individuali o di gruppo, non hanno mai giovato alla causa dei lavoratori, ma portano con loro disordine, paura collettiva e reazione; in una parola, creano ogni volta situazioni di profondo smarrimento nelle quali le iniziative più aberranti e controrivoluzionarie possono aver corso. La storia degli ultimi decenni ha dato la prova irrefutabile di quanto affermiamo, dall'incendio del Reichstag alla strage di Piazza Fontana. Quest'ultimo episodio, particolarmente oscuro, grave e incomprensibile, si inserisce nel momento più delicato e pieno di ombre, nel mezzo di una lunga ed estenuante agitazione operaia i cui miglioramenti, ottenuti o ancora da ottenere, sono già di fatto, in buona parte, risucchiati nel vortice in fase crescente del caro-vita. Quel che è accaduto non è caduto dal cielo, né si sarebbe prodotto per improvvisa follia omicida di qualche disgraziato, se non ci fosse stato il calcolo di forze occulte a tutela di interessi precostituiti che non osano mostrarsi alla luce del sole. Lo strumento cieco presuppone sempre un contesto di forze di provocazione, che va ricercato più in sede economico-politica che in sede giuridica, tra coloro cioè che possiedono per tradizione la tecnica di pescare nel torbido.

Dopo i fatti di Piazza Fontana la violenza è messa apertamente sotto accusa, ma guai a chiudere gli occhi di fronte al reale svolgimento delle vicende umane, il cui procedere innanzi non avviene per la legge della pacifica gradualità ma sotto l'urto do forze contrarie (guerre, rivoluzioni, ecc.) in un continuo superamento dialettico nel quale veramente consiste tanto il progredire come il regredire del complesso umano.

In ogni caso, per noi marxisti, il problema è soprattutto quello di capire tali avvenimenti, di inquadrarli in una situazione data, ricercarne le cause e intravederne gli effetti come fenomeno che trova nel sistema, da cui questi avvenimenti si originano, la sua ragione d'essere. Il fattore sentimento si esaurisce ogni volta nella esecrazione, nell'odio, o nella rassegnazione, indifferentemente, che la stampa e la politica dei partiti sanno utilizzare e farne piattaforme di lancio per obiettivi di parte.

Pur tuttavia il mondo che ci circonda e nel quale viviamo, è pieno di violenza aperta od occulta, ma sempre obiettivamente violenza; è tale nei rapporti tra uomo e uomo, tra Stato e Stato, tra classe e classe, tra economia ed economia, tra famiglia e famiglia, e persino tra i membri di una stessa famiglia. Forse la stessa Chiesa, nella sua universalità e nella sua predicazione di pace e di giustizia, non porta in sé il dissenso anche violento e le ragioni storiche delle stesse guerre di religione? E la violenza non ha il suo contrario nella teoria e nella pratica attiva della non violenza?

Di violenza trasudano i giornali, i rotocalchi, i teatri, i cinema, la televisione e gli stessi libri in cui i patiti, in fase ossessiva, dell'inconscio, del sesso e del facile possesso seminano ovunque e a piene mani degenerazioni, conflitti e morte. E allora? Ricordiamo, come risposta, la profonda considerazione che Trotzky poneva a compendio dell'ampio esame polemico della sua opera Terrorismo e Comunismo, lanciata come un ariete (e siamo, anche qui, alla violenza della critica delle parole) contro la critica social-sciovinista di Kautsky:

"Questa è l'idea fondamentale del libro: la storia non ha mai trovato fin qui altri mezzi di fare avanzare l'umanità che opponendo ogni volta alla violenza delle classi condannate, la violenza rivoluzionaria della classe progressista".

Ma si tratta qui di conflitti tra le classi, lungo il cammino in avanti della storia umana, che non ha nulla di comune con l'azione individuale, con le bande, con le bombe al plastico contro inermi; con azioni che rafforzano in ogni caso la conservazione facendo camminare all'indietro l'orologio della storia.

Se poi si tentasse di approfittare della situazione creata ad artificio per mettere sotto accusa il marxismo come dottrina, come esperienza storica e come movimento politico di una classe che riempie di sé, universalmente, l'arte, la cultura, l'economia e ogni altra elaborazione teorica basata sulla metodologia scientifica, e di vedere questa conquista del pensiero e le sue stesse implicazioni dal punto di vista di qualche articolo del codice penale, vorrà dire che il mondo dell'arte, della cultura e della scienza dovrà tornare a sedersi sui banchi di scuola per rifarsi una coscienza critica al lume delle Somme di Tommaso d'Aquino. Per quanto ci riguarda, noi rimarremmo marxisti e ci comporteremmo di fronte a "certa" democrazia come ci comportammo di fronte alla dittatura di Mussolini.


Ultima modifica 08.10.2008