Cinema in quattro dimensioni

Sergej Ejzenstejn


Scritto nel 1929.

Pubblicato in "La forma cinematografica"


 

Esattamente un anno fa, il 19 agosto 1928, prima che si desse inizio al montaggio di Il vecchio e il nuovo, scrivevo, parlando della visita a Mosca del teatro kabuki:

Nel kabuki... si ha un'unica sensazione monistica di «provocazione» teatrale. Il giapponese considera ogni elemento teatrale non come un'unità incommensurabile tra le varie categorie di stimolo (sui vari organi sensori), ma come una singola unità di teatro... Indirizzandosi ai vari organi sensori, egli porta il suo aggregato [di «pezzi» individuali] a una grandiosa provocazione totale del cervello umano, senza preoccuparsi di sapere quale di queste diverse vie sta seguendo.

La mia definizione del teatro kabuki si dimostrò profetica. Questo metodo divenne la base del montaggio di Il vecchio e il nuovo.

Il montaggio ortodosso è fondato sulla dominante: cioè sulla combinazione d'inquadrature secondo le loro indicazioni dominanti. Montaggio in accordo col ritmo. Montaggio in accordo con la tendenza principale nell'interno dell'inquadratura. Montaggio in accordo con la lunghiezza (continuità) delle inquadrature, e così via. Questo è montaggio in accordo con gli elementi superficiali.

Le indicazioni dominanti di due inquadrature una accanto all'altra producono questa o quella relazione di conflitto, risultante in questo o in quell'effetto espressivo (parlo qui di un effetto di puro montaggio). Questa circostanza abbraccia tutti i livelli d'intensità della giustapposizione nel montaggio, tutti gli impulsi. Da una opposizione completa delle dominanti, cioè di una costruzione a netti contrasti, si passa a una «modulazione» appena sensibile da un'inquadratura all'altra; tutti i casi di conflitto debbono perciò comprendere casi di completa assenza di conflitto. Quanto alla dominante stessa, che vada considerata come qualcosa d'indipendente, assoluto e invariabile è fuori questione. Ci sono mezzi tecnici di trattare l'inquadratura per rendere la sua dominante più o meno specifica, ma in nessun caso assoluta.

Le caratteristiche della dominante sono variabili e profondamente relative. La rivelazione delle sue caratteristiche dipende da quella combinazione d'inquadrature dipendente essa stessa dalla dominante! Un circolo vizioso? Un'equazione di due quantità ignote? Un cane che si morde la coda? No, è semplicemente una definizione esatta d'una legge cinematografica. Un fatto.

Anche se abbiamo una sequenza di pezzi di montaggio: un vecchio coi capelli grigi, una vecchia coi capelli grigi, un cavallo bianco, un tetto coperto di neve, siamo ancora tutt'altro che certi che questa sequenza tenda verso un'indicazione dominante di «vecchiaia» o di «bianchezza». Una simile sequenza d'inquadrature potrebbe continuare per un pezzo prima che si scopra finalmente quell'inquadratura-guida che immediatamente «battezza» l'intera sequenza nell'una o nell'altra «direzione». Ecco perché è consigliabile collocare questa inquadratura — che serve a identificare - il più vicino possibile all'inizio della sequenza (in una costruzione «ortodossa»). A volte è persino necessario farlo per mezzo d'una didascalia.

Queste considerazioni escludono completamente una presentazione non dialettica della questione circa il significato univoco di un'inquadratura in se stessa. L'inquadratura cinematografica non può mai essere un'invariabile lettera dell'alfabeto, deve sempre rimanere un ideogramma dai significati multipli. E può esser letta solo accanto a qualcos'altro, esattamente come un ideogramma acquista il suo specifico valore, significato e persino pronuncia (a volte diametralmente opposti l'uno all'altro) solo quando sia combinato con un'interpretazione indicata separatamente o con un minuscolo segno — che indichi l'interpretazione esatta - collocato accanto al geroglifico fondamentale.

Distinguendosi dal montaggio ortodosso secondo le dominanti particolari, Il vecchio e il nuovo fu montato in modo diverso. All'«aristocrazia» di dominanti individualistiche sostituimmo un metodo di «democratica» uguaglianza di diritti per tutte le provocazioni o stimoli, considerandoli come un insieme, un complesso. In realtà la dominante (con tutti questi limiti riconosciuti circa la sua relatività) appare, pur essendo la più forte, tutt'altro che l'unico stimolo dell'inquadratura. Per esempio, al sex-appeal d'una bella diva americana s'accompagnano molti stimoli: quello del tessuto, dato dalla stoffa del vestito; quello della luce, dato dall'illuminazione equilibrata o enfatica della figura; dell'elemento razziale-nazionale (positivo per un pubblico americano come l'«americano tipo», oppure negativo come «colonizzatore-oppressore» per un pubblico di negri o di cinesi); l'elemento sociale di classe, ecc. (tutti raccolti nella ferrea unità della sua essenza di riflesso fisiologico). In una parola, lo stimolo centrale (diciamo sessuale, come nel nostro esempio) è sempre accompagnato da un intero complesso di stimoli secondari, o dal processo fisiologico di un'attività dei centri nervosi superiori.

Tutto ciò corrisponde a quanto accade in acustica, specialmente nel caso della musica strumentale. Alla vibrazione d'un tono dominante fondamentale s'accompagna un'intera serie di vibrazioni analoghe chiamate sovratoni e sottotoni. I loro urti reciproci, i loro urti col tono fondamentale, e così via, avvolgono il tono fondamentale in una massa di vibrazioni secondarie. Se in acustica queste vibrazioni collaterali divengono puri elementi «di disturbo», queste stesse vibrazioni nella musica, nella composizione, divengono uno dei mezzi più significativi di stimolo usati dai compositori sperimentali del nostro secolo come Debussy e Skrjabin.
La stessa cosa accade nell'ottica. Tutti i tipi di aberrazioni, distorsioni e altri difetti a cui si può porre rimedio con sistemi di lenti, possono anche essere sfruttati da un punto di vista compositivo, fornendo un'intera serie di precisi effetti di composizione (usando lunghezze focali da 28 a 310). Nelle combinazioni che sfruttano queste vibrazioni collaterali - che sono poi semplicemente lo stesso materiale filmato - possiamo ottenere, in completa analogia con la musica, il complesso visivo sovratonale dell'inquadratura.

Il montaggio di Il vecchio e il nuovo segue questo metodo: non è costruito su dominanti particolari, ma persegue la stimolazione totale attraverso tutti gli stimoli. È questo il complesso montaggio originale nell'inquadratura, che nasce dall'urto e dalla combinazione degli stimoli individuali inerenti. Questi stimoli sono eterogenei per quel che riguarda la loro «natura esterna», ma la loro essenza di riflessi fisiologici - fisiologici in quanto percepiti psichicamente - li lega in una ferrea unità. Non è che il processo fisiologico di un'attività nervosa superiore.

Dietro l'indicazione generale dell'inquadratura, c'è dunque il compendio fisiologico delle sue vibrazioni come intero, come unità complessa delle manifestazioni di tutti i suoi stimoli. È questa la particolare «sensazione» dell'inquadratura, prodotta dall'inquadratura come un tutto. Questo ci permette di paragonare l'inquadratura come pezzo di montaggio alle scene separate nel metodo kabuki. L'indicazione fondamentale dell'inquadratura può essere presa come compendio finale del suo effetto sulla corteccia cerebrale nel suo complesso, indipendentemente dalle vie per cui si sono accumulati gli stimoli. La qualità dei totali può essere messa fianco a fianco in ogni combinazione contrastante, rivelando così possibilità completamente nuove di soluzioni di montaggio.

Come abbiamo visto, in forza della genetica stessa di questo metodo, a questi totali deve accompagnarsi una qualità fisiologica eccezionale. Come nella musica che costruisce le sue opere su un duplice uso dei sovratoni. Non il classicismo di Beethoven, ma la qualità fisiologica di Debussy e Skrjabin.

La straordinaria capacità di stimolo fisiologico di Il vecchio e il nuovo è stata notata da molti spettatori. Questo si spiega col fatto che Il vecchio e il nuovo è il primo film montato secondo il principio del sovratono visivo. È possibile e interessante verificare questo metodo di montaggio.

Molto probabilmente nel lontano futuro d'un cinema che abbia raggiunto una sua classica maturità, il montaggio sovratonale verrà usato simultaneamente al montaggio secondo la dominante; ma - come sempre accade agli inizi - il nuovo metodo deve imporsi in un'aspra polemica di principio. Ai suoi primi passi il montaggio sovratonale ha dovuto quindi assumere una linea in netta opposizione a quello secondo la dominante.

Esistono, è vero, molti esempi — anche in Il vecchio e il nuovo — in cui già si possono trovare combinazioni «sintetiche» di montaggio tonale e sovratonale. In Il vecchio e il nuovo, per esempio, il punto culminante della processione religiosa (fatta per implorare rimedio alla siccità), e la sequenza del grillo e della falciatrice, sono montate visivamente secondo associazioni sonore, con uno sviluppo evidente che già esiste nella loro «analogia» spaziale.

Un particolare interesse metodologico presentano, naturalmente, le costruzioni completamente adominanti. In esse la dominante appare nella forma d'una formulazione puramente fisiologica del concetto. Per esempio, il montaggio dell'inizio della processione religiosa si svolge secondo «gradi di saturazione di calore» nelle inquadrature singole, e il principio della sequenza nella fattoria statale segue una linea di «voracità carnivora». Condizioni estranee alla sfera cinematografica forniscono le più inattese indicazioni fisiologiche tra materiali che, logicamente (dal punto di vista sia formale sia naturale), sono del tutto neutri nei loro rapporti reciproci.

Esistono in questo film innumerevoli casi di giunte di montaggio che si fanno apertamente beffe del montaggio ortodosso e scolastico fondato sulla dominante. Il modo migliore per dimostrarlo è esaminare il film alla moviola. Solo così si possono veder bene le giunte di montaggio assolutamente «impossibili» di cui abbonda Il vecchio e il nuovo. Si dimostrerà così anche l'estrema semplicità della sua struttura metrica, delle sue «dimensioni».

Intere e ampie sezioni di certe sequenze sono fatte di pezzi perfettamente uniformi come lunghezza oppure di piccoli frammenti ripetuti in modo del tutto primitivo. Tutto l'intricato, ritmico e sensuale schema di sfumature dei pezzi combinati si svolge quasi esclusivamente grazie alle vibrazioni «psicofisiologiche» di ciascun pezzo. Fu proprio alla moviola che scoprii lo scopo preciso del particolare montaggio di Il vecchio e il nuovo. Fu quando si trattò di condensare e accorciare il film. L'«estasi creativa» che accompagna la costruzione e il montaggio, l'«estasi creativa» di «udire e sentire» le inquadrature, era già cosa del passato. Per le abbreviazioni e i tagli non occorre l'ispirazione, bastano la tecnica e l'abilità.

Fu allora che, esaminando alla moviola la sequenza della processione religiosa, non potei collocare la combinazione dei suoi pezzi in nessuna delle categorie ortodosse, nell'ambito delle quali si può applicare la propria diretta esperienza. Sul tavolo di montaggio, mancando il movimento, le ragioni della scelta dei pezzi appaiono completamente incomprensibili. Il criterio usato per metterli insieme sembra esulare dai criteri che normalmente regolano la forma cinematografica.

Osserveremo qui un altro curioso parallelo tra il tono visivo e il musicale che non si può trovare nell'inquadratura statica, così come non si trova nella partitura musicale. Emergono entrambi come valori genuini soltanto nella dinamica del processo musicale o cinematografico.

I processi sovratonali, previsti ma non scritti nella partitura, non possono emergere senza il processo dialettico del passaggio del film attraverso l'apparecchio di proiezione, o dell'esecuzione di un'orchestra sinfonica.

Il sovratono visivo si dimostra un pezzo reale, un ele­mento reale di... una quarta dimensione!

Nello spazio tridimensionale, spazialmente inesprimibile, che emerge ed esiste soltanto nella quarta dimensione (il tempo aggiunto alle tre dimensioni).
La quarta dimensione?! Einstein? Oppure il mistici­smo? O una buffonata?
È ormai tempo di smetterla con questa paura d'una quarta dimensione. Lo stesso Einstein ci rassicura:

Un misterioso brivido coglie il non matematico quando sente parlare di entità «quadridimensionali»: una sensazione non dissimile da quella risvegliata dall'apparizione di uno spettro sul palcoscenico. Tuttavia non esiste affermazione più banale di quella che il mondo in cui viviamo è un continuo spazio-temporale a quattro dimensioni.

Possedendo un così ottimo strumento di percezione come il cinema - anche al suo livello primitivo — per la sensazione di movimento, dovremmo presto imparare a orientarci concretamente in questo continuo spaziale e temporale a quattro dimensioni, e sentirci in esso perfettamente a nostro agio. E non passerà molto tempo che ci porremo il problema d'una quinta dimensione!
Il montaggio sovratonale si rivela come una nuova categoria tra gli altri processi di montaggio finora conosciuti. Immenso e immediato è il significato dell'applicazione di questo metodo. Ecco perché questo articolo compare in un numero dedicato al film sonoro.

Nell'articolo citato all'inizio, accennando all'«associazione inattesa» come punto di somiglianza tra il teatro kabuki e il cinema sonoro, scrissi sul metodo del contrappunto per combinare le immagini visive e uditive:

Per possedere questo metodo bisogna sviluppare in sé un nuovo senso: la capacità di ridurre a un «comune denominatore» le percezioni visive e uditive.

E tuttavia non possiamo ridurre a un denominatore comune le percezioni uditive e visive. Si tratta di valori di dimensioni diverse. Ma il sovratono visivo e il sovratono sonoro sono valori d'una sostanza che ha un'unica misura. Perché, se l'inquadratura è una percezione visiva e il tono è una percezione uditiva, i sovratoni sia visivi sia uditivi sono una sensazione totalmente fisiologica.

Appartengono quindi a un unico e medesimo genere, all'infuori delle categorie visive o uditive che servono come guide.Per il sovratono musicale (un palpito) non è veramente esatto dire: «io odo». Né per il sovratono visivo: «io vedo». Per entrambi, deve entrare nel nostro vocabolario una nuova formula ambivalente: «io sento».

La teoria e la metodologia del sovratono sono state coltivate e rese familiari, tra gli altri, da Debussy e Skrjabin. Il vecchio e il nuovo introduce il concetto del sovratono visivo. E dal conflitto di contrappunto tra i sovratoni visivi e uditivi nascerà il cinema sonoro sovietico.

 

 


Ultima modifica 12.06.2009