Il linguaggio cinematografico

Sergej Ejzenstejn


Scritto nel 1934.

Pubblicato in "La forma cinematografica"


La creazione è un concetto che noi scrittori usiamo troppo spesso, anche se non ne avremmo forse il diritto. La creazione è quel grado di tensione raggiunto dal lavoro della memoria quando il suo ritmo accelerato estrae dalle riserve di conoscenze e d'impressioni i fatti, le immagini, i particolari più salienti e caratteristici, e li rende con le parole più vive, precise, intelligibili. La nostra giovane letteratura non può vantarsi di possedere questa qualità. Limitate sono le riserve d'impressioni, e la massa di conoscenze dei nostri scrittori, che non sembrano particolarmente preoccupati di estenderla e approfondirla.
MAKSIM GOR'KIJ
(1)

 

Dobbiamo tener conto del discorso di Gor'kij sul linguaggio letterario; e, data la condizione del linguaggio cinematografico, noi cineasti dovremmo sentire in particolare il dovere di adeguarci a esso.

Il linguaggio cinematografico è, in una certa misura, generalmente legato alle mie opere e ai commenti che ne ho fatto. Prenderò quindi l'iniziativa scegliendo come bersaglio me stesso.

Non mi propongo di trattare del cinema parlato o, più esattamente, delle sue parti parlate. Esso parla da sé. Urla addirittura. E la sua qualità, anche prima di valutarla dal punto di vista cinematografico, è cosi povera dal punto di vista puramente letterario, che per il momento sarà meglio trascurare le sue pretese cinematografiche.

Non è comunque di questo linguaggio che voglio parlare (sarebbe ridicolo che lo facessi con la mia reputazione come stilista letterario). Voglio parlare della mancanza di cultura nella dizione fondamentalmente cinematografica che possiamo oggi osservare sullo schermo.

Nel campo della dizione cinematografica il nostro cinema ha dato un grande contributo alla cultura filmica mondiale: contributo assai più profondo che una semplice moda.

È vero che gran parte di ciò che è specificamente nostro nello sviluppo dell'espressività filmica s'è affermata all'estero superficialmente come una moda passeggera. Frammenti di film, appiccicati insieme con nulla di più razionale del solvente per pellicola, compaiono sui menu cinematografici col titolo di «montaggio alla russa», «Russischen Schnitt»: esattamente come nei ristoranti si usa il termine «insalata russa» per indicare un certo piatto di verdura tagliata e condita.

La moda. La moda passa, la cultura rimane. Accade a volte che non si scorga la cultura dietro la moda. Accade a volte che un risultato culturale sia buttato via dalla tinozza del bagno insieme con l'acqua della moda.

La scultura negra, le maschere polinesiane, il montaggio sovietico sono stati, per l'Occidente, semplice esotismo.
Quanto all'estrazione di valori, generali di cultura, al dominio dei principi, all'uso fattone da quelli che per principio portano avanti la cultura... ma le discussioni su questi temi sono ormai tanto superate!

A che cosa serve la moda? I magnati della moda — Patou, Worth, Madame Lanvin - lanceranno domani dai loro ateliers una nuova moda. Da un punto del Congo arriva una «novità»: qualcosa di scolpito nelle zanne d'avorio degli elefanti dagli schiavi dei colonialisti. Nelle valli della Mongolia si fa una scoperta: sculture di bronzo con la patina del tempo, create dagli schiavi d'un capo morto da un pezzo in un'epoca anch'essa morta da tempo. Tutto va bene. Tutto serve. Tutto rende.

Lo sviluppo della cultura? E chi se ne cura? Si direbbe che simili rapporti verso la cultura e i suoi prodotti siano stati radicalmente mutati nel nostro paese dalla Rivoluzione d'ottobre. Nelle giornate di festa non si riesce a entrare nei musei. Operai con moglie e figli fanno la coda per entrare nella Galleria Tret'jakov. Non si trova posto nelle sale di lettura, tanto sono affollate. Lezioni, conferenze: c'è troppa gente dappertutto. Ovunque attenzione, interesse, tesaurizzazione: conquista senza sprechi del patrimonio prerivoluzionario.

Soltanto nel cinema si nota una mancanza d'economia assolutamente borghese. E non soltanto nei bilanci. Domina la faciloneria. E non soltanto nei programmi. Si notano un'ignoranza e una negligenza totale di tutto ciò che è stato creato nella cultura cinematografica nel periodo sovietico, da mano d'opera sovietica, con materiale sovietico, secondo principi sovietici. È bellissimo poter dire: «Abbiamo assimilato i classici» (se sia bellissimo o meno, è un'altra questione e anche discutibile, se si vuole!) Segnamo comunque un punto all'attivo.

Ma così non si risponde alla mia domanda. Perché dobbiamo trascurare i mezzi espressivi e le qualità cinematografiche rivelate dalle versioni per lo schermo - realizzate recentemente — di questi classici?

«Abbiamo imparato a servirci degli attori di teatro» (meglio ancora dei classici). Bellissimo!

Ed ecco un'altra domanda espressa nelle parole di Krylov: «È riuscita la zietta ad attaccarsi alla coda?» Anche se questa zietta è un'attrice mirabile come la Tarasova! (2). E non potrebbe darsi che la cultura cinematografica, anziché profittarne, sia danneggiata dalle eccellenti qualità della sua recitazione?
Quanto alle inquadrature... «robaccia». E per la composizione delle inquadrature... «crei soltanto confusione». E il montaggio è evidentemente semplice «nevrosi»;

Col risultato che, guardando lo schermo, provi una sensazione dolciastra come se il tuo occhio fosse stato sollevato con mollette da zucchero e girato - oh, con tanta dolcezza! — prima a destra e poi a sinistra fino a compiere un cerchio completo per venir poi respinto in un'orbita confusa. Dicono: «Non è colpa nostra se hai occhi cosi sensibili». «Questo non ha importanza per lo spettatore». «Lo spettatore non nota certe cose». «Non sento lo spettatore protestare urlando». Verissimo, ma non urla neanche il lettore. Quel che occorre non è un urlo, ma un grido tonante. Il grido autorevole di Gor'kij per costringere la letteratura a capire dove pecca e come può salvarsi. Il lettore non muore di «confusione». E non vede come la «robaccia» possa farlo morire. Non precipita nella tomba per una trascuratezza del linguaggio letterario.

È tuttavia parso necessario riunirsi dietro la trincea della letteratura per difendere il lettore. Forse che la capacità visiva del lettore peggiora quando entra in un cinema? Forse che peggiora il suo udito quando assiste a una catastrofe audiovisiva, che pretende d'essere contrappunto audiovisivo?

È caratteristico che i film siano diventati noti esclusivamente come «film sonori». Significa forse che quel che vedi quando ascolti non merita la tua attenzione? Apparentemente è così. A questo punto qualche maligno potrebbe insinuare: « Ah ah, il vecchio demonio sta per ricominciare a pontificare sul montaggio».

Sissignori, il montaggio.

Per molti cineasti montaggio ed eccessi formalistici di sinistra sono sinonimi. Ma il montaggio è tutt'altra cosa.

Per quanti siano in grado di farlo, il montaggio è il mezzo compositivo più potente per raccontare una storia.

Per quelli che non s'intendono di composizione, il montaggio è una sintassi per costruire correttamente ogni particella d'un frammento di film.

Infine, il montaggio è semplicemente una regola elementare di ortografia filmica per quelli che mettono insieme sbagliando pezzi di film, come si mescolano gli ingredienti per fare una medicina; o per mettere i cetriolini sott'aceto, o per conservare le prugne, o per far fermentare insieme mele e bacche di mortella.

Non il montaggio soltanto... Vorrei vedere l'attività espressiva della mano dell'uomo liberata da queste sue funzioni minori, distaccata da questi aggregati che la sostengono.

Si trovano nei film belle inquadrature singole, ma in tali circostanze il valore dell'inquadratura e la sua qualità fotografica indipendente si contraddicono. Staccate dall'idea e dalla composizione del montaggio divengono balocchi estetici, fini a se stesse. Quanto migliori sono le inquadrature, tanto più il film si riduce a un insieme sconnesso di belle frasi, a una vetrina piena di prodotti attraenti, ma che non hanno nulla a che vedere l'un con l'altro, o a un album di cartoline illustrate.

Non intendo affatto sostenere l'«egemonia» del montaggio. È passato il tempo in cui, per fini pedagogici e didattici, bisognava compiere mosse tattiche e polemiche per affrancare il montaggio come mezzo espressivo del cinema. Ma dobbiamo affrontare il problema della correttezza linguistica nella dizione del film. E dobbiamo pretendere che la qualità del montaggio, della sintassi e del linguaggio filmico, non soltanto non cadano mai al di sotto del livello del lavoro precedente, ma vadano oltre superando i risultati ottenuti: ecco perché ci dovremmo tanto preoccupare della battaglia per l'alta qualità della cultura cinematografica.

Nel campo della letteratura è più facile. Criticandola, la si può paragonare ai classici. Il patrimonio letterario è stato oggetto d'una quantità d'indagini e di studi, fino ai particolari più minuti. L'analisi della struttura compositiva e figurativa della prosa di Gogol', compiuta da Andrej Belyj, costituisce un rimprovero vivente per qualsiasi vel­leità letteraria.
A proposito, Gogol' è stato tradotto anche in film. Appesantito finora da un trattamento cinematografico informe, ha potuto finalmente brillare in tutta la purezza formale nel cinema sonoro, quasi come se un testo di Go­gol' fosse stato tradotto direttamente in materiale visivo. Sotto lo splendido poema visivo del Dnepr nella prima bobina di Ivan (1932), credo che Dovzenko avrebbe potuto far recitare con successo la descrizione del « meraviglioso Dnepr» fatta da Gogol' nella sua Terribile vendetta.

Il ritmo della macchina da presa in moto, che galleggia lungo le rive. Lo stacco su immobili distese d'acqua. Nell'alternarsi e nello spostarsi di queste visioni c'è il magico incanto delle immagini e del fraseggiare di Gogol'. Tutto questo «né smuove né tuona». Tutto questo «lo vedi e non sai se la sua immensa ampiezza si muova o no... sembra un incantesimo, quasi fosse vetro fuso», e così via. Qui letteratura e cinema presentano un modello della più pura fusione e affinità. E la sequenza fa pensare anche a... Rabelais. La sua poetica anticipazione della «resa in immagini» della teoria della relatività si trova nella descrizione dell'isola «en laquelle les chemins cheminent » :

... ci disse che, a suo parere, Filone, Aristarco e Seleuco proprio in quell'isola dovevano aver filosofato e trovato argomento per affermare che la terra in verità si muove intorno ai Poli, e non il cielo, sebbene a noi sembri che sia vero il contrario, così come, scendendo per la Loira, ci sembrano muoversi gli alberi, mentre essi stanno fermi e ci muoviamo noi col battello.

Ci soffermiamo su quest'esempio, perché ci sembra il canto del cigno della purezza del linguaggio cinematografico sul nostro schermo contemporaneo. Nello stesso Ivan, le bobine seguenti non raggiungono più la perfezione di questo frammento.
Già sento qualcuno obiettare, dicendo che il «meraviglioso Dnepr» è poesia. Ma non è qui il nocciolo della questione. Fondandoci su questo si dovrebbe pensare che la struttura della prosa, quella di Zola per esempio, debba inevitabilmente rappresentare il «caos naturalistico».

E tuttavia, nel corso d'uno studio fatto sulla sua opera, mi accadde di vedere pagine di Germinai ridotte a strofe d'un poema epico: le si sarebbero potute recitare con lo stesso rigore degli esametri omerici.

Queste pagine contenevano gli episodi che portano alla sinistra scena in cui, durante la rivolta prima dell'arrivo dei gendarmi, le donne distruggono la bottega dell'usuraio e seduttore Maigrat. Esse, infuriate, sotto la guida di La Brulé e Mouquette, mutilano il cadavere dell'odiato bottegaio che fuggendo era scivolato e caduto dal tetto spaccandosi la testa sul marciapiede; infine, il sanguinante «trofeo» è issato su un bastone e portato in testa al corteo...

- Che cos'hanno in cima a quel bastone? - chiese Cécile, che s'era fatto coraggio fino a guardar fuori. Lucie e Jeanne dissero che sembrava una pelle di coniglio.

- No, no, - mormorò Madame Hennebeau, - devono aver saccheggiato una macelleria suina, sembra un pezzo di
porco.

A questo punto ebbe un brivido e tacque. Madame Grégoire le aveva toccato il gomito. Rimasero entrambe come impietrite. Le ragazze, pallidissime, non fecero altre domande ma seguirono con occhi sbarrati la rossa visione nella tenebra.

Questa scena, come anche la precedente, in cui la stessa folla di donne tenta di fustigare pubblicamente Cécile, è l'evidente trasferimento stilizzato d'un episodio che colpì Zola negli annali della rivoluzione francese. L'episodio dell'incontro di Cécile con le donne riproduce il ben noto episodio dell'assalto a Théroigne de Méricourt.

La seconda scena ci fa involontariamente ricordare un episodio meno noto e meno popolare che si trova nei documenti raccolti da Mercier. Quando l'odio della folla per la principessa di Lamballe, intima amica di Maria Antonietta, scoppiò alle porte della prigione di La Force, e la collera popolare si sfogò su di lei, uno dei partecipanti «lui coupa la partie virginale et s'en fit des moustaches».

Un'indicazione dell'antica fonte coscientemente usata per questi adattamenti stilizzati, che non potevano esser stati scelti a caso, ci offre il titolo stesso, tolto dal calendario di quest'epoca: Germinai. Se questo appello alla viva passionalità di un'epoca precedente venne espresso nella chiarezza esplicitamente ritmica del suo stile letterario, questo ampliamento di piccoli episodi non è tra le sue cose più felici.

Anche il nostro film Ottobre, nel caso di un'immagine analoga, nella sequenza della sommossa di luglio, risultò inadeguato. Nell'episodio autentico dell'assassinio d'un operaio bolscevico da parte d'una borghese inferocita non avevamo nessuna intenzione di far rivivere l'atmosfera della fine della Comune parigina. Vista nel contesto, la scena della signora che trafigge l'operaio con l'ombrellino è lontanissima, come spirito, dall'atmosfera generale delle giornate precedenti l'Ottobre.

E questa, a proposito, un'osservazione che può essere utile. In quanto eredi letterari, ci serviamo spesso delle immagini e del linguaggio culturale di epoche precedenti. Questo determina naturalmente gran parte dell'atmosfera delle nostre opere. Ed è importante osservare gli errori commessi nel servirsi di questi modelli consacrati.

Per tornare ancora una volta al problema della purezza della forma cinematografica, posso facilmente controbattere la solita obiezione secondo cui il mestiere della dizione e dell'espressione cinematografica è ancora molto giovane e privo dei modelli necessari per creare una tradizione classica. Si dice persino che io critico troppo aspramente i modelli di forma cinematografica a nostra disposizione e mi servo soltanto di analogie letterarie. Molti dubitano persino che questa «semi-arte» (e sareste sorpresi nel vedere quanti, dentro e fuori del cinema, ancora la considerano in questo modo) meriti un così ampio quadro di citazioni.

Perdonatemi. Ma le cose stanno proprio così. Tuttavia il nostro linguaggio cinematografico, pur mancando di classici, possedeva un grande rigore di forma e di dizione filmica. A un certo livello il nostro cinema dimostrò, un rigoroso senso di responsabilità in ogni inquadratura,, inserendola in una sequenza di montaggio con la stessa cura con cui s'inserisce un verso in una poesia o una nota in una fuga musicale.

Molti sono gli esempi che si possono trarre dalla pratica del nostro cinema muto. Non essendoci qui il tempo di analizzarne altri, mi si permetta di presentare l'analisi d'un campione tolto da una delle mie opere. Si trova nel materiale raccolto per la conclusione del mio libro La regia (parte seconda: Messa in inquadratura) e si riferisce al Potemkin. Per dimostrare il legame compositivo tra le varie inquadrature dal punto di vista plastico, si è scelto volutamente un esempio non da un momento culminante, ma da un punto quasi casuale: quattordici pezzi successivi tratti dalla scena che precede la carica sulla scalinata di Odessa. La scena in cui la «brava gente di Odessa» (così i marinai del Potemkin si rivolgevano alla popolazione) manda barche a vela cariche di provviste in aiuto ai marinai ammutinati della corazzata.
L'invio è costruito su un distinto intrecciarsi di due temi.
1) Le barchette che muovono rapide verso la corazzata.
2) La gente di Odessa che guarda salutando con la mano.

Alla fine i due temi si fondono. La composizione è impostata sostanzialmente su due piani: profondità e primo piano. I temi assumono alternativamente una posizione dominante, venendo avanti in primo piano e respingendosi a turno nello sfondo.

La composizione è costruita:
1) su un'interazione plastica di entrambi i piani (nell'interno dell'inquadratura) e
2) sullo spostarsi di linea e forma in ciascuno di questi piani da un'inquadratura all'altra (per mezzo del montaggio). Nel secondo caso il gioco compositivo è creato dall'interazione d'impressioni plastiche dell'inquadratura precedente in conflitto o in concordanza con l'inquadratura che segue (qui l'analisi s'occupa soltanto di direzioni puramente spaziali e lineari: i rapporti ritmici e temporali saranno discussi altrove).

Il movimento della composizione si svolge in questo modo:

I. Le barche in movimento. Un movimento liscio, uguale, parallelo alle linee orizzontali dell'inquadratura. L'intero campo di visione è occupato dal tema I. C'è un gioco di piccole vele verticali.

II. Movimento intensificato delle barche del tema I (a cui contribuisce l'ingresso del tema 2). Il tema 2 viene in primo piano col ritmo rigoroso delle immobili colonne verticali. Le linee verticali preannunciano la distribuzione plastica delle figure che verranno (nei pezzi IV, V, ecc.). Gioco alterno delle scie orizzontali e delle linee verticali delle vele e delle colonne. Il tema delle barche è ricacciato in profondità. Sullo sfondo dell'inquadratura appare il tema plastico dell'arco. .

III. Il tema plastico dell'arco si amplia sino a occupare l'intera inquadratura. L'effetto si ottiene spostando il contenuto dell'inquadratura dalle linee verticali alla struttura dell'arco. Il tema delle verticali si mantiene nel movimento della gente: piccole figure che s'allontanano dalla macchina da presa. Il tema delle barche è ricacciato completamente nello sfondo.

IV. Il tema plastico dell'arco viene finalmente in primo piano. La formazione ad arco si trasferisce in una soluzione contraria: si tracciano i contorni d'un gruppo che formano un cerchio (l'ombrellino accentua la composizione). Questo stesso passaggio in una direzione contraria avviene anche nell'interno d'una costruzione verticale: alle schiene delle piccole figure che muovono verso il fondo si sostituiscono grandi figure fotografate di fronte. Il tema delle barche in movimento è mantenuto di riflesso nell'espressione dei loro occhi e nel loro movimento in direzione orizzontale.

V. In primo piano c'è una variante compositiva comune: a un numero uguale di persone si sostituisce un nu­mero disuguale. Al posto di due se ne mettono tre. Questa «regola aurea» nel mutamento della «messa in scena» è sostenuta da una tradizione che si può far risalire tanto ai principi della pittura cinese quanto alla pratica della commedia dell'arte. Anche la direzione degli sguardi s'incrocia. L'arco è nuovamente piegato, questa volta in direzione contraria. Un nuovo motivo d'arco parallelo nello sfondo lo ripete e lo sostiene: una balaustra, il tema della barca in movimento. Gli occhi si tendono attraverso l'intera inquadratura in direzione orizzontale.

VI. I pezzi da I a V ci danno il passaggio dal tema delle barche a quello degli osservatori, sviluppato in cinque pezzi di montaggio. L'intervallo dal V ai VI riporta di colpo da quelli che guardano alle barche. Seguendo strettamente il contenuto, la composizione sposta brusca­mente ciascun elemento nella direzione opposta. La linea della balaustra viene portata rapidamente in primo piano, ora come linea del parapetto della corazzata. A questa s'accompagna la linea adiacente della superficie dell'ac­qua. Gli elementi compositivi fondamentali sono gli stessi, ma contrapposti nel trattamento. Il V pezzo è statico; il VI nasce dalla dinamica della corazzata in movimento. La divisione verticale in «tre» è mantenuta in entrambe le inquadrature. L'elemento centrale è simile come tessuto (la camicetta della donna, la tela della velatura). Gli elementi laterali sono in netto contrasto: le forme scure degli uomini accanto alla donna e gli spazi bianchi vicino alla vela centrale. Anche la distribuzione verticale è in contrasto: tre figure tagliate dal fondo orizzontale si trasformano in una vela verticale tagliata dalla linea orizzontale superiore dell'inquadratura. Un nuovo tema appare nello sfondo: il fianco della corazzata, tagliato in cima (in preparazione del pezzo VII).

VII. Una netta svolta tematica. Un tema di sfondo— la corazzata - viene portato in primo piano (il salto tematico dal V al VI serve in un certo senso come anticipazione del salto dal VI al VII). Il punto di vista è spostato di 180°: la ripresa avviene dalla corazzata in direzione del mare, rovesciando il pezzo VI. Anche questa volta il fianco della corazzata in primo piano è tagliato, ma dalla linea orizzontale inferiore dell'inquadratura. Nello sfondo c'è il tema della vela, sviluppato in verticali. Le verticali dei marinai. Lo statico parapetto continua la linea del movimento della nave dell'inquadratura precedente. Il fianco della corazzata sembra addirittura un arco tirato sino a diventare una linea quasi retta.

VIII. Ripetizione del IV pezzo con accresciuta intensità. Il gioco orizzontale degli occhi si trasforma in mani che si agitano verticalmente. Il tema verticale s'è spostato dallo sfondo in primo piano, ripetendo il passaggio tematico a quelli che guardano.

IX. Due facce, viste più da vicino. Da un punto di vista generale, questa è una combinazione poco riuscita con l'inquadratura precedente. Sarebbe stato meglio inserire tra l'VIII e il IX un'inquadratura di tre facce, e ripetere il V con maggiore intensità. Si sarebbe ottenuta cosi una strut­tura 2-3-2. Inoltre la ripetizione dei gruppi familiari del IV e del V, che terminano col nuovo IX, avrebbero resa più viva l'impressione dell'ultima inquadratura. A questo er­rore s'è in un certo senso rimediato cambiando leggermente piano e venendo più vicino alle figure.

X. Le due facce si fondono in una sola, vista più da vicino. Il braccio viene agitato con molta energia su e fuori del quadro. Un corretto alternarsi di facce (qualora si facesse la correzione suggerita tra l'VIII e il IX): 2-3-2-1. Una seconda coppia d'inquadrature con un adeguato cambiamento delle dimensioni in rapporto con la prima coppia (opportuna ripetizione con una variante qualitativa). La linea dei numeri dispari differisce tanto in quantità quanto in qualità (sono diverse le dimensioni dei volti e la loro quantità, mentre conservano la direzione comu­ne dei numeri dispari).

XI. Una nuova brusca svolta tematica. Un salto, che ripete quello del V-VI con intensità nuova. Al movimento verticale verso l'alto del braccio nell'inquadratura precedente, fa eco la vela verticale. Qui la linea verticale della vela corre oltre mutandosi in una linea orizzontale. Ripetizione del tema del VI con maggiore intensità. E ripetizione della composizione del II con questa differenza: che il tema orizzontale delle barchette in moto e le linee verticali delle colonne immobili sono fuse qui in un unico movimento orizzontale della vela verticale. La composizione ripete il tema della sequenza di un'identità tra le barche e la gente sulla riva (prima di passare al tema conclusivo di questa bobina, la fusione delle barche e della corazzata).

XII. La vela dell'XI si frantuma in una quantità di vele verticali, che muovono orizzontalmente (ripetizione del pezzo I con aumentata intensità). Le piccole, vele muovono in direzione opposta a quella della grande vela unica.

XIII. Dopo essere stata frantumata in piccole vele, la grande vela è nuovamente rimessa insieme, ma ora non come vela bensì come la bandiera che sventola sul Potemkin. C'è una qualità nuova in questa inquadratura, che è al tempo stesso statica e mobile: l'asta della bandiera è verticale e immobile, mentre la bandiera sventola al vento. Dal punto di vista formale il pezzo xiii ripete l'XI. Ma il passaggio dalla vela alla bandiera traduce un principio d'unificazione plastica in unificazione ideologico-tematica. Non è più una verticale, un'unione plastica di elementi, separati di composizione: è una bandiera rivoluzionaria che unisce corazzata, barche e spiaggia.

XIV. A questo punto si torna naturalmente dalla bandiera alla corazzata. Il XIV ripete il VII con aumentata intensità. Questa inquadratura introduce un nuovo gruppo compositivo di interrelazioni tra le barche e la corazzata, distinto dal primo gruppo, le barche e la spiaggia. Il primo gruppo esprimeva il tema: «le barche portano auguri e doni dalla riva alla corazzata». Questo secondo gruppo esprimerà la fraternizzazione tra le barche e la corazzata.

Punto di divisione compositivo e al tempo stesso punto d'unione ideologico di entrambi i gruppi compositivi, è l'asta con la bandiera rivoluzionaria.

Il pezzo VII, ripetuto dal pezzo XIV, primo del secondo gruppo, appare come una specie di preannuncio del se­condo gruppo e come elemento che lega insieme i due gruppi, quasi il secondo avesse mandato una «pattuglia avanzata» nel territorio del primo. Nel secondo gruppo assolvono a questo compito le inquadrature di figure che salutano con la mano, inserite nelle scene di fraternizzazione tra le barche e la corazzata.

Non si deve pensare però che la ripresa e il montaggio di questi pezzi siano stati fatti secondo questi calcoli, compiuti a priori. No, naturalmente. Ma la riunione e la distribuzione di questi pezzi sul tavolo di montaggio fu chiaramente dettata dalle esigenze compositive della forma cinematografica. Furono queste esigenze a imporre la scelta di questi pezzi particolari tra tutti quelli disponibili. E furono ancora queste esigenze a imporre il regolare alternarsi dei pezzi. In realtà, considerati soltanto nel loro intreccio e nei loro valori narrativi, questi pezzi potrebbero esser disposti in qualsiasi altro ordine. Ma il loro movimento compositivo non avrebbe in questo caso una costruzione cosi regolare.

Non si deplori dunque la complessità di quest'analisi. A confronto delle analisi di opere letterarie e musicali, la mia è ancora notevolmente facile e descrittiva.

Lasciando da parte per il momento il problema dell'e­same ritmico, abbiamo anche studiato nella nostra analisi l'alternarsi del suono e delle combinazioni di parole.
Un'analisi degli obiettivi usati nel riprendere queste inquadrature, e del modo in cui sono stati usati con le angolazioni e l'illuminazione, tutte derivanti dalle esigenze dello stile e del carattere del contenuto del film, sarebbe perfettamente analoga all'analisi del valore espressivo delle frasi e delle parole e delle loro indicazioni fonetiche in un'opera letteraria.

Naturalmente lo spettatore è meno di tutti in grado di verificare, calibrandola, la conformità alla regola della composizione delle successive inquadrature nell'interno del montaggio. Ma alla sua percezione di una composizione di montaggio perfettamente realizzata contribuiscono gii stessi elementi che distinguono stilisticamente un brano di prosa colta dalle pagine di Igo Ijubvi, della Verbickaja o di Bresko-Breskovskij '.

Oggi la cinematografia sovietica ha storicamente ragione nell'intraprendere una campagna in favore del soggetto. Ci sono ancora su questo cammino molte difficoltà, molti pericoli di fraintendere i principi della narrativa. Il più grave di tutti è il trascurare la possibilità che ci viene ripetutamente offerta di liberarci dalle vecchie tradizioni del soggetto: cioè di riesaminare in modo nuovo e sostanziale i fondamenti e i problemi del soggetto; e di avanzare in un movimento cinematografico progressivo non «per tornare al soggetto», ma per muovere verso «il soggetto che sta davanti a noi». Non esiste ancora un chiaro orientamento artistico in questo senso, benché già s'incomincino a scorgere diverse influenze positive.

Ci avviciniamo in un modo o nell'altro al momento in cui dovremo essere perfettamente padroni dei principi che si verranno realizzando nei film a soggetto sovietici, e dobbiamo prepararci a quel momento armandoci della pu­rezza e della cultura del linguaggio cinematografico.

Apprezziamo i grandi maestri della nostra letteratura da Puskin a Gogol', a Majakovskij, a Gor'kij, non soltanto come maestri della narrazione. Apprezziamoli anche come maestri del linguaggio.

È ora di porre con tutta chiarezza il problema della cultura del linguaggio cinematografico. È importante che tutti i cineasti dicano la loro opinione in proposito; e che la dicano soprattutto attraverso il montaggio e le inquadrature dei propri film.

 

NOTE

 

1Dalla relazione di Maksim Gor'kij sulla letteratura sovietica tenuta al I Congresso degli scrittori sovietici (Mosca 1934).

2 Alla Tarasova, del Teatro d'arte di Mosca, era comparsa in una ver­sione cinematografica del dramma di Ostrovskij, L'uragano, poco prima che questo saggio fosse scritto [Nota di Jay Leyda].

3 Incompiute alla morte dell'autore, le sezioni completate di quest'o­pera vengono preparate per la pubblicazione dai suoi esecutori testamentari letterari [Nota di J.Z]. .


Ultima modifica 01.02.2010