Metodi di montaggio

Sergej Ejzenstejn


Scritto nel 1928.

Pubblicato in "La forma cinematografica"


In ogni arte e ogni scoperta, l'esperienza ha sempre preceduto i precetti.
Col passar del tempo si è stabilito un metodo per la pratica dell'invenzione.
GOLDONI !(1)

 

Il metodo del montaggio sovratonale è qualcosa di non legato alla nostra precedente esperienza, artificiosamente innestato nel cinema, oppure è il semplice accumularsi quantitativo d'un attributo che, compiendo un balzo dialettico, incomincia a funzionare come nuovo attributo qualitativo? In altre parole, il montaggio sovratonale è uno stadio dialettico dello sviluppo dei metodi di montaggio, che nasce successivamente alle altre forme di montaggio?

Ecco le categorie formali di montaggio a noi note.

1. Il montaggio metrico.

Criterio fondamentale di questo tipo di montaggio è la lunghezza assoluta dei pezzi. I pezzi sono uniti insieme secondo la loro lunghezza in una formula schematica corrispondente a una battuta musicale. Il risultato si ottiene con la ripetizione di queste «battute». Si ottiene la tensione per mezzo di un'accelerazione meccanica, abbreviando i pezzi e conservando le proporzioni originali della formula. Elementi primi del metodo: tempo a tre quarti, tempo di marcia, tempo di valzer (3/4, 2/4, 1/4, ecc.), usati da Kulesov; degenerazione del metodo: montaggio metrico con una battuta di complicata irregolarità (16/17, 22/57, ecc.). Una battuta simile smette di avere un effetto fisiologico, perché contraria alla «legge dei numeri semplici» (rapporti). Semplici rapporti che diano chiare impressioni son quindi necessari per ottenere un massimo d'efficacia. Si trovano, in ogni campo, nei momenti di più matura classicità: l'architettura; il colore nella pittura; una complessa composizione di Skrjabin (sempre cristallina nei rapporti tra le sue parti); le messe in scena geometriche; la rigorosa pianificazione statale, ecc. Un esempio del genere troveremo nell'Undicesimo (O-dinnadcatyj, 1928) di Vertov, in cui il palpito metrico è matematicamente così complesso che soltanto «col regolo» è possibile scoprire la legge proporzionale che lo governa: non con l'impressione in quanto percepita, ma con la misurazione.

Non voglio dire con questo che si debba riconoscere il palpito come parte dell'impressione percepita. Al contrario. Sebbene non riconosciuto, esso è tuttavia indispensabile per l'«organizzazione» dell'impressione sensoria. La sua chiarezza può portare all'unisono il «polso» del film e il «polso» del pubblico. Senza questo unisono (che si può ottenere con molti mezzi) non esiste contatto tra i due. L'eccessiva complessità del palpito metrico produce un caos di impressioni invece di una netta tensione emotiva.

Esiste un terzo modo di usare il montaggio metrico tra i suoi due estremi di semplicità e complessità: consiste nell'alternare due diverse lunghezze dei pezzi secondo i due diversi generi di contenuto dei pezzi stessi. Esempi: la sequenza della lezginka in Ottobre e la dimostrazione patriottica nella fine di San Pietroburgo (quest'ultimo esempio può essere considerato come classico nel campo del montaggio puramente metrico). In questo tipo di montaggio metrico il contenuto dell'inquadratura è subordinato alla lunghezza assoluta del pezzo. Si tiene quindi conto perciò soltanto del carattere di contenuto di gran lunga dominante; sarebbero queste inquadrature «sinonime».

2. Il montaggio ritmico.

Qui il contenuto dell'inquadratura è un fattore di cui si deve, a ugual diritto, tener conto nel determinare la lunghezza dei pezzi. All'astratta determinazione della lunghezza si sostituisce un rapporto flessibile tra le lunghezze reali. La lunghezza reale non coincide qui con la lunghezza del pezzo determinata matematicamente secondo una formula metrica: deriva dai caratteri specifici del pezzo e dalla sua lunghezza stabilita secondo la struttura della sequenza.

È possibile trovare qui casi di completa identità metrica dei pezzi e delle loro battute ritmiche, ottenuta con una combinazione dei pezzi: sulla base del contenuto. La tensione formale creata dall'accelerazione si ottiene qui accorciando i pezzi non solo secondo il piano fondamentale, ma anche violando questo piano. La violazione che più colpisce si ottiene introducendo materiale più intenso in un ritmo facilmente distinguibile.

Ne troviamo un esempio evidente nella sequenza della «scalinata di Odessa» nel Potemkin. Qui il ritmico battito dei piedi dei soldati che scendono i gradini è una violazione di tutte le esigenze metriche. Non sincronizzato col palpito del montaggio, questo battito viene ogni volta fuori tempo, e ogni inquadratura dei soldati offre una sua diversa soluzione. Il punto massimo di tensione si ha passando dal ritmo dei piedi che discendono, a un altro ritmo - un nuovo tipo di movimento discendente, un nuovo livello d'intensità dello stesso movimento — e cioè la carrozzina che rotola giù per i gradini. La carrozzina funziona come un progressivo acceleratore dei piedi che avanzano. La discesa dei passi si trasforma in una discesa di ruote.

Mettiamo questo esempio a confronto con quello prima citato della Fine di San Pietroburgo, in cui l'intensità è ottenuta tagliando ogni pezzo al minimo richiesto nell'ambito della singola battuta metrica. Simile montaggio metrico si adatta perfettamente a soluzioni di tempo di marcia ugualmente semplici. Ma è inadeguato a più complesse esigenze ritmiche. Quando lo si applica forzatamente alla soluzione d'un simile problema, abbiamo un montaggio sbagliato. Si spiega così una sequenza non riuscita come quella della danza religiosa colle maschere in Tempeste sull'Asia (o Il discendente di Gingis-Chan [Potomok Cingiz-Chand], 1928). Eseguita sulla base d'un complesso palpito metrico, inadatta al contenuto specifico dei pezzi, questa sequenza non riproduce il ritmo della cerimonia originale né riesce a organizzare un ritmo cinematograficamente efficace. In una gran parte dei casi di questo genere non si riesce che a suscitare perplessità nello specialista e un'impressione di confusione nello spettatore profano (anche se una gruccia d'accompagnamento musicale può sorreggere in qualche modo una sequenza così traballante - com'è accaduto nell'esempio citato - la debolezza fondamentale si fa sempre sentire).

3. Il montaggio tonale.

È questo un termine usato qui per la prima volta. Indica uno stadio al di là del montaggio ritmico. Nel montaggio ritmico è il movimento all'interno dell'inquadratura che determina il movimento del montaggio da un'inquadratura all'altra. Questi movimenti nell'inquadratura possono essere di oggetti in movimento o dell'occhio dello spettatore diretto lungo le linee d'un oggetto immobile.

Nel montaggio tonale, il movimento è percepito in senso più ampio. Il concetto di movimento comprende tutti gli elementi d'urto del pezzo di montaggio. Il montaggio si fonda qui sul suono emotivo caratteristico del pezzo, della sua dominante: il tono generale del pezzo.

Non voglio dire con questo che il suono emotivo del pezzo debba essere misurato «in modo impressionistico». Le caratteristiche del pezzo sotto questo aspetto si possono misurare esattamente come nel caso più elementare di misura «col regolo» nel montaggio metrico. Differiscono però le unità di misura. E diverse sono anche le quantità da misurare. Il grado della vibrazione di luce in un pezzo, per esempio, non può essere misurato soltanto per mezzo di fotocellule: ogni gradazione è percepibile a occhio nudo. Se diamo a un pezzo la definizione comparativa ed emotiva di «più tetro», troveremo un coefficiente matematico per il suo grado d'illuminazione. È questo un caso di «tonalità di luce». Oppure, se si dà al pezzo la definizione di «tono acuto», si vuole cosi indicare il predominio, nell'inquadratura, degli angoli acuti in confronto alle altre forme. È questo un caso di «tonalità grafica».

Lavorare con combinazioni di gradi variabili di sfocature o gradi variabili di «acutezza» sarebbe un uso tipico di montaggio tonale. Come già ho detto, questo si fonderebbe sul suono emotivo dominante dei pezzi. Ecco un esempio: la «sequenza della nebbia» nel Potèmkin (che precede l'omaggio funebre collettivo al corpo di Vakùlincuk). Il montaggio si fonda qui esclusivamente sul «suono» emotivo dei pezzi: su vibrazioni ritmiche che non influiscono sulle alterazioni spaziali. È interessante osservare come in questo esempio, accanto a una dominante tonale fondamentale, funzioni anche una dominante ritmica secondaria, accessoria, che lega la costruzione tonale della scena alla tradizione del montaggio ritmico, il cui ulteriore sviluppo si conclude nel montaggio tonale. E, come il montaggio ritmico, anche questa è una variazione particolare di montaggio metrico.

Questa dominante secondaria si esprime in movimenti che mutano in modo appena percettibile: l'acqua che si muove; il leggero dondolio delle navi ancorate e dei gavitelli; la nebbia che sale lentamente; i gabbiani che si posano dolcemente sull'acqua.
Più precisamente, anche questi sono elementi di ordine tonale. Sono movimenti che si svolgono secondo caratteristiche tonali piuttosto che ritmico-spaziali. Mutamenti non misurabili spazialmente si combinano qui secondo il loro suono emotivo. Ma la migliore indicazione per mettere insieme i pezzi è il loro elemento fondamentale: vibrazioni ottiche di luce (gradi variabili di «nebulosità» e «luminosità»). L'organizzazione di queste vibrazioni rivela una completa identità con un'armonia musicale in tono minore. Questo esempio offre inoltre una dimostrazione di consonanza nel combinare il movimento come mutamento e il movimento come vibrazione di luce.

Anche l'accresciuta tensione in questo livello di montaggio si ottiene intensificando la stessa dominante «musicale». Troviamo un esempio particolarmente chiaro di questa intensificazione nella sequenza del raccolto ritardato in Il vecchio e il nuovo. La costruzione del film - tanto nel suo complesso quanto in questa sequenza particolare -, aderisce a un processo costruttivo fondamentale. E cioè: un conflitto tra il soggetto e la sua forma tradizionale.

Strutture emotive applicate a materiale non emotivo. Anziché nascere, come al solito, da una situazione (così, per esempio, viene usato in genere l'erotismo nei film), lo stimolo scaturisce da strutture paradossali. Quando finalmente si scopre «il pilastro dell'industria», si vede che è una macchina per scrivere. L'eroe toro e l'eroina mucca si sposano felicemente. Non è il santo Graal a ispirare uno stato d'animo di dubbio e di estasi, ma una scrematrice (2).

Il tema in minore del raccolto si risolve col tema in maggiore del temporale, della pioggia. Si, e le immagini stesse del mucchio dei covoni — tema in maggiore tradizionale della fecondità che si apre al bacio del sole -è una risoluzione del tema in minore, bagnato com'è dalla pioggia.

L'aumento di tensione nasce qui dal rafforzamento interno di un implacabile accordo dominante; dal sentimento crescente, nell'interno del pezzo, di «oppressione prima del temporale». Come nell'esempio precedente, alla dominante tonale - movimento come vibrazione di luce - s'accompagna una dominante ritmica secondaria, e cioè il movimento come mutamento.

Si esprime qui nella violenza crescente del vento, s'incarna, in un passaggio da correnti d'aria a torrenti di pioggia: decisamente analogo al passaggio dai passi che discendono alla carrozzina che rotola. Nella struttura generale l'elemento vento-pioggia si può identificare in rapporto alla dominante col legame esistente nel primo esempio (le nebbie del porto), tra il suo ritmico dondolio e la sua afocalità reticolare. In realtà il carattere del rapporto reciproco è completamente diverso. Invece della consonanza del primo esempio abbiamo qui esattamente il contrario.

All'addensarsi del cielo in una nera massa minacciosa fa contrasto la sempre più intensa forza dinamica del vento, e la solidificazione implicita nel passaggio da correnti d'aria a torrenti d'acqua è intensificata dalle gonne che s'alzano dinamicamente e dai covoni del raccolto che si sparpagliano. Qui un urto di tendenze - intensificazione dello statico e intensificazione del dinamico - ci offre un chiaro esempio di dissonanza nella costruzione del montaggio to­nale.

Dal punto di vista dell'impressione emotiva, la sequenza del raccolto è un esempio del tono minore tragico (attivo) distinto dal tono minore lirico (passivo) della sequenza delle nebbie nel porto, E' interessante notare come in entrambi gli esempi il montaggio si sviluppi con l'accresciuto mutamento del suo elemento fondamentale: il colore. Nel «porto», dal grigio scuro a un bianco nebbioso (analogia nella vita: l'alba); nel «raccolto», dal grigio chiaro a un nero plumbeo (analogia nella vita: l'avvicinarsi della crisi). E cioè lungo una linea di vibrazioni luminose la cui frequenza aumenta in un caso e diminuisce invece nell'altro.

Una costruzione di semplice metrica è stata elevata a una nuova categoria di movimento di più alto significali!
Arriviamo così a una categoria di montaggio che pò siamo propriamente definire:

4. Montaggio sovratonale.

È mia opinione che il montaggio sovratonale (come l'ho descritto nel saggio precedente) è il massimo sviluppo organico e logico lungo la linea del montaggio tonale. Si distingue, come ho detto, da questo perché tiene conto complessivamente di tutte le qualità di richiamo del pezzo. Questa caratteristica porta l'impressione da una sfumatura, melodicamente emotiva a una percezione direttamente fisiologica. Anche questo rappresenta un livello in rapporto coi livelli precedenti.

Queste quattro categorie sono metodi di montaggio. Divengono vere e proprie costruzioni di montaggio quando entrano in un rapporto di conflitto l'una con l'altra, come negli esempi citati. All'interno di uno schema i rapporti reciproci, che si echeggiano e contrastano l'un l'altro, muovono verso un tipo di montaggio sempre più nettamente definito, nascendo organicamente l'uno dall'altro. Così il passaggio dalla metrica alla ritmica si manifestò nel conflitto tra la lunghezza dell'inquadratura e il movimento nel suo interno.

Il montaggio tonale nasce dal conflitto tra i principi ritmici e tonali del pezzo. E infine, il montaggio sovratonale nasce dal conflitto tra il tono principale del pezzo (e la sua dominante) e il sovratono.

Queste considerazioni offrono, in primo luogo, un interessante criterio per valutare la costruzione del montaggio da un punto di vista «pittorico». Il pittoricismo è qui in contrasto con il «cìnematicismo», e i valori estetici pittorici con la realtà fisiologica.

Sarebbe ingenuo discutere circa il valore pittorico dell'inquadratura filmica. È quello che fanno in genere quanti posseggono una discreta cultura estetica che non è mai stata logicamente applicata ai film. A questo modo di pensare appartengono, per esempio, le osservazioni sul cinema di Kazimir Malevic. Neanche il novizio più impreparato nel campo del cinema si sognerebbe di analizzare l'inquadratura filmica dall'identico punto di vista da cui si analizza una pittura di paesaggio.

Quanto segue può servire come criterio del «pittoricismo» della costruzione di montaggio nel senso più ampio: il conflitto dev'essere risolto entro l'una o l'altra categoria di montaggio senza permettere che diventi una delle diverse categorie di montaggio.

La vera cinematografia incomincia soltanto con l'urto di varie modificazioni, cinematiche di movimento e di vibrazioni. Per esempio, il conflitto «pittorico» tra figura e orizzonte (e non importa se si tratta di un conflitto statico o dinamico). O l'alternarsi di pezzi illuminati in modo diverso unicamente dal punto di vista di vibrazioni luminose in conflitto, o di un conflitto tra la forma di un oggetto e la sua illuminazione, ecc.

Dobbiamo anche definire ciò che caratterizza l'azione e-sercitata dalle varie forme di montaggio sul complesso psicofisiologico della persona che le percepisce.

La prima, la categoria metrica, è caratterizzata da una violenta forza causale. Può costringere lo spettatore a riprodurre esteriormente l'azione percepita. Così è montata, per esempio, la gara tra i falciatori in Il vecchio e il nuovo. I diversi pezzi sono «sinonimi»: contengono cioè un movimento singolo di falciatura da un lato dell'inquadratura all'altro. Non potei fare a meno di ridere quando vidi gli spettatori più impressionabili mettersi a dondolare a destra e a sinistra con velocità crescente a misura che i pezzi, abbreviandosi, s'acceleravano. Era lo stesso effetto d'una banda di ottoni e strumenti a percussione che suoni una semplice marcia.

Ho definito ritmica la seconda categoria. La si potrebbe anche chiamare emotivo-elementare. Il movimento è qui calcolato in modo più sottile, che, sebbene l'emozione sia anche un risultato del movimento, si tratta d'un movimento che non è semplicemente un cambiamento esterno elementare.

La terza categoria — quella tonale — potrebbe anche essere definita melodico-emotiva. Qui il movimento che già aveva cessato di essere semplice mutamento, nel secondo caso si trasforma chiaramente in una vibrazione emotiva di ordine ancora superiore.

La quarta categoria - che è, per cosi dire, una fresca corrente di puro fisiologismo - richiama, nel più alto grado d'intensità, la prima categoria, riacquistando una maggiore intensificazione attraverso una forza causale diretta. Questo si spiega, in musica, col fatto che, dal momento in cui si possono udire i sovratoni parallelamente al suono fondamentale, si possono anche sentire vibrazioni, oscillazioni, che non colpiscono più come toni, ma come spostamenti puramente fisici dell'impressione percepita. Ciò vale essenzialmente per gli strumenti di timbro fortemente pronunciato con una grande preponderanza del principio sovratonico. Si ottiene a volte anche letteralmente una sensazione di spostamento fisico: suono di campane, organo, enormi tamburi, ecc. In alcune sequenze, Il vecchio e il nuovo riesce a realizzare giunte di linee tonali o sovratonali. A volte vengono addirittura in urto con le linee metriche e ritmiche. Come nei vari «viluppi» della processione religiosa: quelli che cadono in ginocchio davanti alle icone, i ceri che si sciolgono, i sospiri d'estasi, ecc.

È interessante notare che, nello scegliere i pezzi per il montaggio di questa sequenza, ottenemmo inconsciamen­te la prova di un'uguaglianza essenziale tra il ritmo e il tono, stabilendo quest'unità di gradazione pressappoco come io avevo prima stabilito un'unità di gradazione tra i concetti d'inquadratura e di montaggio.

Il tono è dunque un livello di ritmo. Per tranquillizzare quelli che possono sentirsi spaventati da simili riduzioni a un denominatore comune e dall'estensione delle proprietà da un livello a un altro a scopo d'indagine e di metodologia, richiamerò qui la sinopsi fatta da Lenin degli elementi fondamentali della dialettica hegeliana:

Si possono forse presentare in modo più particolareggiato questi elementi come segue:


10) il processo infinito di scoperta di nuovi lati, rapporti, ecc.
11) il processo infinito di approfondimento della conoscenza umana delle cose, dei fenomeni, processi, ecc., che muove dal fenomeno all'essenza, dall'essenza meno profonda all'essenza più profonda.
12) dalla coesistenza alla causalità, da una forma di connessione e reciproca dipendenza a un'altra più profonda e più universale.
13) la ripetizione in uno stadio più alto di certi tratti, proprietà, ecc. dello stadio inferiore e
14) il presunto ritorno al vecchio (negazione della negazione).

Dopo questa citazione, credo utile definire la seguente categoria di montaggio, ancora più elevata:

5. Il montaggio intellettuale.

Il montaggio intellettuale non è fatto di suoni sovratonali genericamente fisiologici, ma di suoni e sovratoni di qualità intellettuale: è cioè una giustapposizione - conflitto di stimoli intellettuali che si accompagnano.

La gradazione è qui determinata dal fatto che non esiste teoricamente differenza alcuna tra il movimento d'un uomo che oscilla sotto l'influenza d'un montaggio metrico elementare (vedi sopra) e il processo intellettuale che si svolge nel suo interno, poiché il processo intellettuale è lo stesso agitarsi, ma nel regno dei centri nervosi superiori.

E se, nell'esempio citato, sotto l'influenza del «montaggio-jazz», si vedono tremare ritmicamente le mani e le ginocchia d'un personaggio, nel secondo caso questo tremito, sotto l'influenza d'un grado diverso di stimolo intellettuale, avviene nello stesso identico modo attraverso i tessuti dei sistemi nervosi superiori dell'apparato del pensiero. Benché, giudicati come «fenomeni» (apparenze), sembrino diversi, dal punto di vista dell'«essenza» (processo) sono indubbiamente identici.

Applicando l'esperienza del lavoro su un piano inferiore a categorie di ordine più elevato, si ha la possibilità di portare l'attacco proprio al cuore delle cose e dei fenomeni. La quinta categoria è perciò il sovra tono intellettuale.

Ne troviamo un esempio nella sequenza degli «dèi» in Ottobre, dove tutte le condizioni per il confronto si fondano sulla qualità puramente intellettuale e di classe del rapporto di ciascun pezzo con Dio. Dico classe che, sebbene il principio emotivo sia universalmente umano, il principio intellettuale è profondamente colorato dalla classe. Questi pezzi furono messi insieme secondo una scala intellettuale discendente, riportando il concetto di Dio alle sue origini, e costringendo lo spettatore a percepire intellettualmente questo «sviluppo».

Ma, naturalmente, questo non è ancora il cinema intellettuale che da alcuni anni vado annunciando! Il cinema intellettuale sarà quello capace di risolvere la giustapposizione-conflitto dei sovratoni fisiologici e intellettuali. La creazione d'una forma di cinema completamente nuova; la realizzazione d'una- rivoluzione nella storia generale della cultura; la costruzione d'una sintesi tra scienza, arte e coscienza di classe.

Secondo me, il problema del sovratono ha una straordi-naria importanza per il nostro cinema futuro. Merita quindi la pena di studiarne la metodologia e di approfondirne l'esame.


Mosca-Londra, autunno 1929.

 

 

NOTE

 

1Carlo GOLDONI, Mémoires de M. Goldoni, pour servir à l'histoìre de sa vie, et à celle de son théatre, dédiés au Roi, Venezia 1761-78 (trad. it. Memorie, Torino 1967)..

2C'era persino un parallelo con la conclusione ironica della Donna di Parigi (A Woman of Paris) nel finale studiato originariamente per II vecchio e il nuovo.. È questo, tra l'altro, un film unico per la quantità di riferimenti (sia nel soggetto sia nello stile) ad altri film: la sequenza del «pilastro dell'industria» costruisce umoristicamente la sua satira su un episodio analogo ma serio della Fine di San Pietroburgo di Pudovkin; il trionfo finale del trattore è una parodia gonfiata di un inseguimento da western ecc. Persino Senti amor mio (The Three Ages) di Buster Keaton si riflette consciamente nella struttura originaria di Il vecchio e il nuovo .

 


Ultima modifica 21.05.2009