Il mito come storia umana avvolta nel favoloso

Cesare Peri (2015)


Escerto di Cesare Peri: Interpretare il Mito: Come percorso di autoconoscenza, Anima Edizioni, Milano, 2015, pp. 93-96

Eccerpito da: Leonardo Maria Battisti.


Tra le più antiche interpretazioni del mito troviamo anche quella di Evèmero, un dotto greco vissuto tra i secoli IV e III a.C., che ha avuto poi sostenitori in ogni epoca. In una voluminosa opera sull'origine delle religioni, intitolata Sacra scrittura, di cui ci restano solo pochi frammenti, sosteneva che gli dèi fossero nient'altro che eroi veramente esistiti e in seguito divinizzati.

Secondo lui i miti sarebbero solo trasfigurazioni di fatti reali, che la fantasia delle successive generazioni sarebbe andata via via arricchendo, con l'inevitabile introduzione di nuovi aspetti particolari. Se sfrondiamo tutti gli elementi più fiabeschi e immaginosi, ci dice Evèmero, possiamo scoprire che il nucleo di un mito racchiude la memoria di un fatto reale, di un remoto avvenimento storico. Tale teoria si disegna tuttora col nome di Evemerismo.

Il grande flusso della tradizione orale attraverso i millenni, al quale attinsero cantori e a cui poeti diedero forma, avrebbe dunque radici storiche.

In effetti le Muse non sono solo dee della poesia, ma anche della verità, giacché la tradizione le vuole figlie di Mnemosine, la dea della memoria. E non afferma forse solennemente Esiodo (VIII sec. A.C.) che «le Muse, che dicono il vero, m'ispirarono il canto profetico, perché io cantassi il futuro e il passato»?

Non è difficile immaginare che da un uomo dalla forza e dal coraggio straordinari possa essere nata la figura di Eracle; che dalle fratricide guerre dinastiche di Micene sia sorta la leggenda delle sventure degli Atridi, che qualcuno volle far risalire fino al banchetto dei celesti, dove Tantalo fu maledetto da Zeus per aver messo alla prova l'onniscienza degli dèi; che Minosse, re di Creta, abbia fatto guerra ad Atene e, dopo averla vinta, le abbia imposto l'annuale pagamento di tributi, che il tempo avrebbe trasfigurati in sette fanciulli e altrettante ragazze da inviare nell'isola in pasto al Minotauro, il mostro carnivoro mezzo uomo e mezzo toro, simbolo di una crudele e odiata dominazione; che Teseo, da cui fu ucciso il minotauro, sia stato il liberatore dell'Attica; che la guerra di Troia, cui parteciparono personaggi realmente esistiti, quali Agamennone, re di Argo e di Micene, e Ulisse, re della piccola isola di Itaca, il quale incontrò poi parecchie difficoltà a ritornare in patria, sia scoppiata non a causa di Elena, cioè dal giudizio di Paride e prima ancora per i guai che combinò Eris, la dea della discordia, poiché fu l'unica fra tutti gli dèi a non essere stata invitata alle nozze di Peleo e Teti, ma per rivalità commerciali, dal momento che la fiorente città asiatica esercitava un proficuo controllo sulle rotte che attraversavano l'Ellesponto…

Potremmo continuare con molti altri esempi, fonti più che plausibili di figure di eroi e di leggende locali; tuttavia spiegare in questo modo i miti, i cui protagonisti propriamente sono dèi, risulta meno facile e in ultima analisi poco convincente: a quali personaggi storici, infatti, si potrebbero far risalire, ad esempio, le Muse, le Moire, Ermes, Iris, Urano, Gea, Posidone, Apollo, e a quali remoti avvenimenti loro ruoli e le loro avventure

A questo proposito già agli inizi del II secolo avanti d.C. lo storico e filosofo greco Plutarco così obiettava:

«Nonostante tutte queste leggende e queste dimostrazioni, c'è chi ritiene si tratti di casi accaduti al re e tiranni: per la superiorità del loro valore e della loro potenza, essi furono elevati a dignità divina, e in seguito furono loro attribuiti i casi stessi degli dèi. In tal modo il mito tra manderebbe la memoria delle straordinarie vicende da essi compiute o subite. Questo modo di sfuggire alle difficoltà della tradizione mitica e di trasferire, non senza ragione, dagli dèi agli uomini i dati più scabrosi, è molto facile: dalla loro parte, infatti, costoro hanno alcune testimonianze offerte dal mito stesso. Gli egiziani raccontano, ad esempio, che Ermes era corto di braccia, che Tifone aveva la pelle rossa, Horos bianca e Osiride nera, come se il loro aspetto corrispondesse a quello umano. Inoltre chiamano Osiride capo di eserciti, e timoniere Canopo, che si trasformò, dicono, nella stella che porta il suo nome. La nave che i greci chiamano Argo viene considerata come immagine della nave di Osiride, e posta fra le costellazioni in suo onore […].

Ma io andrei molto cauto con questa concezione, perché essa comporta il rischio di “muovere le cose immobili” e di “far guerra”, come dice Simonide, non solo “a lungo tempo passato”, ma anche “a molte razze di uomini” e a molti popoli che sono ispirati dalla devozione verso questi dèi. Vi è il pericolo, insomma, di far scendere dal cielo alla terra nomi tanto grandi senza più riuscire a fermarsi, e basterebbe poco per alterare e distruggere quel senso di fede e di venerazione che tutti gli uomini hanno da sempre dentro di sé. In questo modo finiremmo per aprire grandi porte alla massa degli atei e per umanizzare le cose divine, dando inoltre sfrenata libertà di parola le imposture di Evemero di Messene, quello che inventò di sua fantasia certi scritti mitologici irreali e privi di fondamento, e riuscì a diffondere nel mondo ogni forma di ateismo. Evemero ha degradato tutti gli dèi riconosciuti, senza eccezione, a nomi di comandanti, di ammiragli e di re, che sarebbero appartenute ad epoche lontane, e che si troverebbero elencati a Panchea incisi a lettere d'oro. Nessuno, né greco né barbaro, ha mai visto questi nomi, tranne il solo Evemero: probabilmente si è imbattuto in essi quando fece rotta verso i Pancheiti e i Trifilli, popoli che non ci sono mai stati nessuna parte della terra e che non esistono»1.

È vero, d'altro canto, che la divinizzazione (in greco apotheòsis), cioè l'atto con cui un essere umano era annoverato tra gli dèi, divenendo oggetto di culto, era una pratica religiosa diffusa in oriente, soprattutto in epoca ellenistica. A Roma il primo ad essere divinizzato fu Romolo, il mitico fondatore della città, che divenne il dio Quirinus; poi fu la volta di Giulio Cesare, onorato come Divus Iulius, e da Augusto in poi la divinizzazione degli imperatori e perfino dei membri della loro famiglia divenne un fatto abituale.


Vorremmo qui dedicare un po' di spazio a un personaggio straordinario, che non si può definire propriamente un seguace della teoria di Evèmero, eppure in un certo senso ne applicò i principi, riconoscendo ai poemi omerici, l'Iliade e l'Odissea, un reale valore storico, al punto da utilizzarli (e con mirabili risultati!) come fonti su cui basare precisi scavi archeologici.

Ci riferiamo ovviamente al tedesco Heinrich Schliemann (1822-1890), il quale, autodidatta e poliglotta, divenuto ricco commerciante da povero garzone di drogheria, dedicò il resto della vita coronare il sogno della sua infanzia: scoprire i luoghi cantati da Omero.

C'erano allora illustri studiosi che sostenevano che Troia, con tutte le vicende ad essa collegate, non fosse mai esistita, se non nella fantasia di Omero; altri, dando credito alla tradizione, ipotizzavano che i suoi resti si cercassero sotto la collina di Burnabashi, in Turchia. Gli uni e gli altri concordavano tuttavia nel ritenere ridicolo il metodo che intendeva adottare quel giovane archeologo dilettante, esperto nel commercio dell'indaco, per condurre la sua campagna di scavi: esplorare la zona con l'Iliade aperta tra le mani, quasi fosse la mappa di un mitico tesoro!


Note

1. Plutarco: Iside e Osiride, 22-23 (359D-360B).


Ultima modifica 2020.01.12