Ozio ribelle con bandiera rossa

Lanfranco Binni (2015)


Fonte: Paul Lafargue, Il diritto all’ozio. La religione del Capitale, a cura di Lanfranco Binni, Firenze, Il Ponte Editore, 2015.

Trascritto da Leonardo Maria Battisti su licenza concessa dal Fondo Walter Binni, febbraio 2019.


Quando Paul Lafargue nel 1880 pubblica Le droit à la paresse. Réfutation du «droit au travail» de 1848, e La religion du Capital nel 1886, il nascente movimento operaio, tra socialismo, anarchismo e comunismo, ha già dichiarato la sua guerra di classe contro la borghesia: a Lione nel 1831, a Parigi nel 1871. La posta in gioco è l’autonomia della classe operaia dal modo di produzione capitalistico e dal riformismo borghese declinato in tutte le sue varianti repubblicane, liberali, «democratiche». La fondazione dei partiti operai e socialisti negli anni ottanta-novanta dell’Ottocento rilancerà il conflitto su scala internazionale, e sarà questo il terreno delle future vittorie e sconfitte, avanzate e arretramenti, esperimenti.

Di formazione proudhoniana, marxista dagli anni sessanta, organizzatore delle prime formazioni socialiste in Francia e in Spagna, intellettuale militante e polemista, Lafargue riprende e sviluppa la celebre questione sollevata da Étienne de la Boétie nel Discours de la servitude volontaire, nel 1554: come è possibile che i molti subiscano il potere di uno? Questa domanda apparentemente ingenua, che chiamava in causa la complicità dei molti per paura e la cooptazione di pochi nelle oligarchie di potere, diventa nuovamente centrale in Francia quando dal fronte antifeudale della borghesia e del quarto stato emerge in tutta la sua forza il nuovo potere borghese, e il capitalismo industriale diventa il modo di produzione dominante in Europa e, dall’Europa, nel mondo. I sanculotti della Rivoluzione francese diventano i proletari dell’industria, i nuovi schiavi della produzione di merci; è il paesaggio sociale descritto da Engels nella Situazione della classe operaia in Inghilterra (1845), è la dinamica storica sintetizzata da Marx ed Engels nel Manifesto dei comunisti (1848) che individua nel proletariato la forza con cui l’umanità intera (schiavi e padroni) si libererà dell’orrore economico del capitalismo e costruirà nuove società fondate sulla socializzazione dei mezzi di produzione e sul libero sviluppo delle potenzialità umane. Ma già nell’ondata rivoluzionaria borghese e popolare del 1848 è emersa in tutta la sua evidenza la centralità del lavoro nei conflitti di classe: alla borghesia il «diritto al potere», al proletariato il «dovere del lavoro». Liberali conservatori e repubblicani riformisti si trovano sostanzialmente uniti nella gestione del potere; ai nuovi schiavi viene lasciata la sola possibilità di migliorare le condizioni di sopravvivenza in nome del diritto alle catene del lavoro. Il lavoro forzato dei proletari diventa la nuova religione del Capitale.

Per questo Lafargue, polemista che ha il senso della storia, consapevole della questione centrale di una soggettività operaia rivoluzionaria culturalmente autonoma dalle ideologie della borghesia, confuta il «diritto al lavoro» rivendicato dallo stesso movimento operaio e dai suoi dirigenti riformisti nel 1848 e nei decenni successivi: nelle condizioni del capitalismo il lavoro è schiavitù e abbrutimento; al lavoro da schiavi e alle sue catene di comando è necessario opporre l’ozio attivo, la noncollaborazione, l’autonomia, la coscienza di classe, la piena occupazione nella progettazione e nell’organizzazione della Rivoluzione; il lavoro come libero sviluppo delle potenzialità umane potrà realizzarsi solo in società liberate dal modo di produzione capitalistico.

La storia del Novecento vedrà il movimento operaio sostanzialmente subalterno al veleno ideologico e materiale del «diritto al lavoro», ponendosi raramente la domanda sul senso di quel lavoro, esponendosi a facili ricatti e a nuove servitù volontarie, magari declinate nelle forme disumane di un produttivismo «socialista» al servizio di nuovi poteri oligarchici come nell’Unione Sovietica post-rivoluzionaria, o nelle forme di un capitalismo «dal volto umano», socialdemocratico. In realtà il movimento operaio rimarrà prigioniero della piú conseguente e spietata espressione del capitalismo industriale: la società fabbrica e caserma del «socialismo nazionale» tedesco con i suoi aggiornamenti fordisti.

Nella fase attuale della crisi strutturale del capitalismo, dell’autofagia finanziaria, della devastazione del pianeta in ogni direzione e con qualsiasi mezzo, il discorso apparentemente provocatorio di Lafargue, durissimo con le rivendicazioni del «diritto alla schiavitú», è oggi leggibile in tutta la sua appassionata lucidità. Ma che stai facendo? Produci armi? Produci i veleni della comunicazione? Produci i tuoi guinzagli? Consumi merda? Produci te stesso, produci la tua liberazione! Uccidi in te e lo schiavo e il padrone.

Di noi parla Lafargue, ieri come oggi: con ira appassionata, con amore severo, con indignata tenacia, con pieno diritto di parola, con il senso della storia, senza illusioni sulla sua ferocia, opponendo ai disastri umani la ribellione del pensiero e dell’agire, la noncollaborazione con il potere, la cospirazione, la costruzione di collegamenti e reti di soggettività rivoluzionarie sulle macerie del capitalismo, la progettazione di esperienze di transizione a società democratiche e socialiste costruite dal basso, fondate sul lavoro liberato dalle forme vecchie e «nuove» del modo di produzione capitalistico e applicato a processi di nuova economia, di gestione comune, socialista, dei beni comuni.

Quando Lafargue scrive Il diritto all’ozio la giornata di lavoro del proletariato industriale, uomini, donne e bambini, è di dieci ore a Parigi, undici in provincia; nelle campagne è ancora peggio. Nel programma del Partito operaio fondato in Francia nel 1880, redatto da Lafargue, Jules Guesde e Marx, si rivendica la riduzione della giornata di lavoro a otto ore per gli adulti, sei giorni su sette, proibendo il lavoro dei bambini e dei ragazzi sotto i quattordici anni. La lotta sarà lunga e difficile, terreno di conflitto anche tra le varie correnti rivoluzionarie e riformiste del movimento socialista internazionale. Nel 1880 il ragionamento tutt’altro che provocatorio di Lafargue nel Diritto all’ozio è questo: le «nuove tecnologie» del macchinismo industriale rendono possibile la riduzione della giornata di lavoro a tre ore, pena una sovrapproduzione di merci che ben presto saturerà i mercati vecchi e nuovi, rendendo inevitabili crisi capitalistiche, guerre interimperialistiche, devastazioni e nuove povertà negli stessi paesi industriali. Invece di restare prigioniero del dogma del lavoro, il proletariato farà bene a liberare il proprio tempo per cambiare radicalmente rotta. L’ozio di cui parla Lafargue è l’otium latino, lo spazio del pensiero e della vita attiva, per una diversa operosità, per il libero sviluppo delle potenzialità umane represse dal dominio capitalistico. Lo stesso Lenin, che a Parigi ha frequentato Lafargue dal 1908, in un articolo del 1914 scriverà che «i mezzi di produzione moderni e le loro potenzialità illimitate» permettono di «ridurre di quattro volte il tempo di lavoro degli operai organizzati [in una società socialista], assicurando un benessere quattro volte maggiore di oggi»; nel 1914 la giornata di lavoro media era di dodici ore, anche Lenin dunque pensava a giornate di tre ore. Il ritorno all’ordine della Russia post-rivoluzionaria renderà impraticabile questa prospettiva di liberazione del tempo da un lavoro sostanzialmente speculare a quello capitalistico.

Aveva ragione Lafargue, e continua ad avere ragione. Leggere oggiIl diritto all’ozio e La religione del Capitale ci ripropone in tutta la loro centralità la questione del lavoro, del suo totale «non senso» se applicazione servile da scimmie del Capitale, e la questione della religione come strumento di servitú volontaria e di complicità dei sudditi con le gerarchie del potere economico e politico, soprattutto nei periodi di crisi. Dal lavoro coatto ci si difende con l’autonomia, l’estraneità e l’uso politico del posto di lavoro come punto di osservazione sulle dinamiche sociali e di azione per costruire scenari diversi. Dal non lavoro ci si difende con la lotta, senza esitazioni, per un reddito di esistenza che non è altro che un risarcimento dovuto alle prede del capitalismo industriale, spremute come classe ai bei tempi del fordismo e gettate come individui isolati e dispersi nelle discariche sociali dal capitale finanziario. Dalla religione ci si difende con un buon uso dell’antropologia.

Lafargue ci propone inoltre, e anche questo è oggi centrale, un esempio di intellettuale critico, durissimo con i «cani da guardia» del potere, iconoclasta (imperdonabili le sue critiche all’umanitarismo borghese di Hugo e Zola) – appassionatamente indipendente nei suoi giudizi e nelle sue scelte fino a quella del suicidio per sottrarsi al declino della vecchiaia –, che si è assunto la piena responsabilità di fare un buon uso del suo «ozio» al servizio del movimento operaio e socialista, svolgendo un ruolo di primo piano nella diffusione e divulgazione del marxismo: scrive per organizzare, polemizza per spezzare equivoci unanimismi, per dividere false unità, per armare criticamente le nuove soggettività operaie. Il suo materialismo storico non è meccanicistico, è il fondamento di una concezione del mondo profondamente libertaria, indignata e attiva. Il suo Diritto all’ozio sarà l’opuscolo marxista piú diffuso dopo il Manifesto dei comunisti di Marx ed Engels; molti dei suoi scritti, in particolare La religione del Capitale, svolgeranno un ruolo fondamentale nella diffusione del marxismo in Europa, in Russia e negli Stati Uniti nei primi decenni del Novecento. La sua voce geniale e «provocatoria» riemergerà regolarmente nei momenti piú conflittuali: in Russia tra il 1905 e il 1917, in Spagna nel 1936, in Europa e negli Stati Uniti nel 1968. E oggi, negli anni della «decrescita» forzata dell’Occidente.

E La Boétie? Già, la servitú volontaria. Una risposta alla sua domanda apparentemente ingenua il giovane amico di Montaigne l’aveva data: ignorare il potere, non riconoscerlo, smettere di averne paura, mettersi «a parte». A tre secoli dai massacri delle guerre di religione, Lafargue affronta la stessa domanda: com’è possibile che i proletari nutrano con le loro vite un sistema che li distrugge? Anche in questo caso, come nel Cinquecento, è la paura a estorcere l’asservimento, e la corruzione a oliare il sistema. Anche in questo caso, come nel Cinquecento, è importante non riconoscere il potere, non temerlo, e mettersi «a parte». Ma, a differenza dei tempi di La Boétie, l’«uno» che domina tutti, il monarca assoluto che decide della vita e della morte di ognuno, indifferente alla sorte dei sudditi, nell’Ottocento è diventato un Moloch dai piedi di argilla che ha un disperato bisogno della forza lavoro dei suoi schiavi, del loro sfruttamento, della loro partecipazione al sistema come consumatori piú o meno miserabili delle merci che producono. Allora «mettersi a parte» costruendo la propria autonomia di classe, significa per i «produttori» crearsi le condizioni di un cambiamento radicale del modo di produzione e insieme della concezione del mondo di nuovi soggetti attivi della storia, capaci di cambiare il mondo e insieme la vita.


Paul Lafargue nasce a Santiago di Cuba il 15 gennaio 1842. Dalla regione di Bordeaux il nonno paterno si era stabilito a Santo Domingo, sposando una mulatta; il padre ha vissuto a lungo a New Orleans prima di fare il piantatore di caffè a Cuba e ha sposato una caraibica di origine francese ed ebraica. Lafargue sarà molto orgoglioso della sua origine creola, meticcia, internazionale, di cui porterà i segni nella carnagione scura e nei tratti del volto. Nel 1851 la famiglia ritorna in Francia, dove Lafargue compie gli studi nei licei di Bordeaux e di Tolosa, trasferendosi a Parigi nel 1860 per iscriversi alla facoltà di medicina. È negli anni dell’università che si appassiona alla lotta politica, inizialmente su posizioni repubblicane contro il secondo Impero, poi critiche del generico umanitarismo dei «democratici anime-belle», come li definisce in uno dei primi articoli con cui collabora al periodico «La Rive Gauche», di ispirazione proudhoniana, diretto da Charles Longuet. In questo periodo di intense letture, da Kant a Hegel e Feuerbach, da Bernard a Darwin, a Fourier, si iscrive a una loggia massonica di «liberi pensatori» dove entra in contatto con allievi e collaboratori di Louis-Auguste Blanqui, dal 1830 il protagonista della cospirazione repubblicana di orientamento comunista.

Nel 1865 aderisce all’Internazionale fondata a Londra nel 1864, e nello stesso anno presenta al Consiglio generale di Londra una relazione sul movimento operaio in Francia; in quest’occasione conosce Marx. Nell’ottobre 1865 partecipa al Congresso internazionale studentesco di Liegi; a Bruxelles conosce Blanqui. Rientrato a Parigi, viene espulso dall’università per le sue attività di agitatore politico. Stabilitosi a Londra, dove si procura un internato in ospedale, il suo rapporto con Marx diventa sempre piú intenso nonostante le riserve del «vecchio» sulla sua esuberanza un po’ troppo anarchica. Frequentando la casa di Marx si innamora di una delle sue figlie, Laura: si sposeranno nel 1868. Nel 1866 Lafargue svolge ormai un ruolo di primo piano nell’organizzazione dell’Internazionale, in Spagna e in Svizzera, impegnandosi particolarmente nella lotta contro la frazione bakuninista che accusa i marxisti di «collettivismo» e «statalismo».

Dal 1868 al 1871 è di nuovo in Francia dove sviluppa un intenso lavoro di organizzazione dell’Internazionale e dal 1870 dirige a Bordeaux «La Défense nationale», giornale di lotta politica contro l’Impero. Nell’aprile 1871 è a Parigi con la Comune; incaricato di sostenere la rivoluzione in provincia, torna a Bordeaux; a maggio, dopo la sconfitta della Comune, ripara in Spagna dove viene arrestato per alcuni giorni su richiesta del governo Thiers; di nuovo libero, si stabilisce a Madrid dove riprende la sua attività di organizzatore dell’Internazionale, dedicandosi alla diffusione delle opere di Marx ed Engels: di Marx traduce in spagnolo, con Laura, il primo volume del Capitale; di Engels traduce in francese una scelta di brani dell’Anti-Dühring. Nel 1872 è di nuovo a Londra, dove abbandona definitivamente la professione medica (si è laureato ma ha esercitato il mestiere per pochi anni) e apre uno studio fotolitografico con un finanziamento di Engels; dall’Inghilterra segue la riorganizzazione del movimento operaio in Francia tenendosi in stretto rapporto con Benoît Malon e Jules Guesde. Amnistiato nel 1880, rientra in Francia nel 1882.

Nel 1880 ha pubblicato in forma di articoli, su «L’Égalité» di Guesde, Il diritto all’ozio. Nel 1883 è arrestato e condannato a sei mesi di carcere per «incitamento all’assassinio e al saccheggio», a seguito di un comizio; nel carcere parigino di Sainte-Pélagie cura l’edizione in volume del Diritto all’ozio che sarà pubblicata nello stesso anno. Gli anni che seguono lo vedono attivo teorico e organizzatore del Partito operaio fondato con Jules Guesde nel 1883, impegnato nella critica del bakuninismo, del riformismo e del parlamentarismo, e instancabile divulgatore del marxismo: articoli su riviste, opuscoli, saggi. Tra le opere principali di questi anni: Il materialismo economico di Karl Marx. Corso di economia sociale [Le Matérialisme économique de Karl Marx. Cours d’économie sociale], 1884; La leggenda di Victor Hugo [La légende de Victor Hugo], 1885; La religione del Capitale [La Religion du Capital], 1886; Ricordi personali su Marx [Souvenirs personnels sur Marx], 1890; Il comunismo e l’evoluzione economica [Le Communisme et l’évolution économique], 1892]; K. Marx, Il Capitale, brani scelti da P. Lafargue, 1894; J. Jaurès e P. Lafargue, Idealismo e materialismo nella concezione della storia [Idéalisme et matérialisme dans la conception de l’histoire], 1895; Programma agricolo del Partito operaio francese [Programme agricole du P.O.F.], 1895; La proprietà comunista [La propriété communiste], in collaborazione con Y. Guyot, 1895; Il socialismo e la conquista dei poteri pubblici [Le socialisme et la conquête des pouvoirs publiques], 1899; Pio IX in Paradiso [Pie IX au Paradis], 1900; Il socialismo e gli intellettuali [Le socialisme et les intellectuels], 1900; La questione della donna [La question de la femme], 1904; La carità cristiana [La charité chrétienne], 1904; Il determinismo economico. Il metodo storico di Marx [Le déterminisme economique. La méthode historique de Marx], 1907; Il Signor Avvoltoio e la riduzione degli affitti [M. Vautour et la réduction des loyers], 1909; Il problema della conoscenza [Le problème de la connaissance], 1911.

Nel 1891 è stato arrestato di nuovo, a seguito di una manifestazione per le otto ore repressa nel sangue il primo maggio a Fourmies; incarcerato a Sainte-Pélagie, ne esce alla fine dell’anno essendo stato eletto deputato al Parlamento; alle elezioni del 1893 non sarà rieletto. Il campo socialista vede sempre piú indebolirsi la corrente «guesdista», e la partecipazione socialista al governo borghese nel 1899 provoca nuove divisioni e dibattiti accesi tra rivoluzionari e riformisti. Con la fondazione del Partito socialista unificato, nel 1905, si afferma intorno a Jaurès un nuovo gruppo dirigente decisamente impegnato sul terreno del riformismo parlamentare. I marxisti della componente guesdista si trovano progressivamente emarginati. In questi anni Lafargue continua a svolgere il suo ruolo di polemista e divulgatore del marxismo, soprattutto collaborando alle riviste marxiste «L’Ère nouvelle» e «Le Devenir social», ma anche all’«Humanité» fondata da Jaurès nel 1904. Nei suoi articoli e nei suoi interventi pubblici prende ripetutamente posizione contro i compromessi «ministerialisti» del partito di Jaurès.

Il 25 novembre 1911 Lafargue e la moglie Laura si tolgono la vita nella loro abitazione di Draveil, nei dintorni di Parigi, e Lafargue ne spiega le ragioni in una imprevedibile e lucidissima lettera-testamento: «Sano di corpo e di spirito, mi uccido prima che la vecchiaia impietosa, che mi tolse a uno a uno i piaceri e le gioie dell’esistenza e mi spogliò delle risorse fisiche e intellettuali, paralizzi la mia energia e spezzi la mia volontà facendomi diventare un peso per me stesso e per gli altri. Da molto tempo mi sono ripromesso di non superare i settant’anni; ho stabilito la stagione dell’anno per il mio distacco dalla vita e ho predisposto la modalità di esecuzione della mia volontà: un’iniezione ipodermica di acido cianidrico. Muoio con la suprema gioia della certezza che in un prossimo futuro la causa alla quale mi sono votato da quarantacinque anni trionferà. Viva il Comunismo. Viva il Socialismo Internazionale!». Al funerale di Paul Lafargue e di Laura Marx, al cimitero parigino del Père-Lachaise, partecipano i maggiori rappresentanti del socialismo internazionale, da Jaurès e vaillant a Kautsky, da Kollontai a Lenin, che saluta in Lafargue «uno dei piú geniali e profondi divulgatori del marxismo». Le ceneri di Paul e Laura sono tumulate di fronte al «muro dei federati», dove furono fucilati i comunardi nella «settimana di sangue» del 1871.

Per leggere e studiare Lafargue

Un’edizione a stampa delle opere complete di Lafargue non è mai stata realizzata. Tra le raccolte di testi piú o meno ampie: Paul Lafargue théoricien du marxisme, testi scelti e annotati a cura di Jean varlet, Paris, Éditions Sociales Internationales, 1933; Paul Lafargue, Critiques littéraires, a cura di Jean Fréville, ivi, Éditions Sociales Internationales, 1936; Paul Lafargue, Textes choisis, introduzione e note di Jacques Girault, ivi, Éditions sociales, 1970; Paul Lafargue, Paresse et Révolution. Écrits 1880-1911, cura di Gilles Candar e Jean-Numa Ducange, ivi, Éditions Tallandier, 2009, con ampia bibliografia.

Numerosi testi di Lafargue sono liberamente scaricabili dal sito www.marxists.org/français/lafargue/index.htm.

Tra le piú recenti traduzioni italiane: La religione del Capitale, a cura di Augusto Zuliani, prefazione di Fabio Minazzi, Roma, Mimesis, 2014; La proprietà. Origine ed evoluzione (1890), a cura di Chiara Pirro, Napoli, Edizioni Immanenza, 2014.


Per la corrispondenza: Correspondance avec Friedrich Engels et Laura Lafargue, a cura di Émile Bottigelli, 3 voll., Paris, Éditions sociales, 1956, 1957 e 1959; La Naissance du Parti Ouvrier Français, correspondance avec Jules Guesde, Paul Brousse etc., a cura di Émile Bottigelli e Claude Willard, Paris, Éditions sociales, 1981.


Tra gli studi biografici l’opera di riferimento è Leslie Derfler, Paul Lafargue and the founding of french marxism, 1842-1882, e Paul Lafargue and the flowering of french marxism, 1882-1911, Cambridge, Cambridge University Press, 1991 e 1998; un agile profilo è proposto da Françoys Larue Langlois in Paul Lafargue, Paris, Punctum, 2007.


Alcuni studi critici particolarmente utili: Claude Willard, Le mouvement socialiste en France (1893-1905), les guesdistes, Paris, Éditions sociales, 1965; Maurice Dommanget, L’Introduction du marxisme en France, Lausanne-Paris, Rencontre, 1969, e Introduction a Paul Lafargue, Le Droit à la paresse, Paris, Maspero, 1969, La Découverte, ivi, 2009, a cura di Gilles Candar; Jacques Girault, La Commune et Bordeaux, ivi, Éditions sociales, 1971, nuova ed. Bordeaux et la Commune, Périgueux, Fanlac, 2009; Pedro Ribas, La introducción del marxismo en Espana, Madrid, Ediciones de La Torre, 1981; Robert Stuart, Marxism at Work. Ideology, Class and French socialism during the Third Republic, Cambridge, Cambridge University Press, 1992; Jacques Macé, Paul et Laura Lafargue. Du droit à la paresse au droit de choisir sa mort, Paris, L’Harmattan, 2001; Aa.vv., Histoire des gauches en France, sotto la direzione di Jean-Jacques Becker e Gilles Candar, ivi, La Découverte, 2004.

Lanfranco Binni



Ultima modifica 2019.02.15