Il sermone della cortigiana

Paul Lafargue (1886)


Fonte: Paul Lafargue, Il diritto all’ozio. La religione del Capitale, a cura di Lanfranco Binni, Firenze, Il Ponte Editore, 2015.

Trascritto da Leonardo Maria Battisti su licenza concessa dal Fondo Walter Binni, febbraio 2019.


Il manoscritto che mi è stato consegnato è incompleto: mancano i primi tre fogli, che dovevano certamente contenere un’invocazione al Dio Capitale, il protettore di tutti coloro che sono disprezzati. La regola che mi sono imposto di essere un semplice copista mi proibisce ogni tentativo di ricostruzione.

Alcune note ai margini fanno supporre che il redattore del sermone, il legato del papa, abbia avuto come collaboratori il principe di Galles, due ricchi industriali noti in tutto il mondo per le loro seterie e le loro stoffe, Bonnet e Pouyer-Quertier1, e una celebre cortigiana, Cora Pearl2, che fece passare per il suo letto l’alta società cosmopolita. P.L.


Gli uomini che camminano nelle tenebre della vita, guidati dai tremuli bagliori di una ragione fragile, deridono e insultano la cortigiana; la inchiodano con ignominia alla gogna della loro morale, la umiliano con l’esibizione delle loro pubbliche virtù, sollevano contro di lei collera e indignazione: è la schiava del male e la regina della scelleratezza, la macina di frantoio dell’abbruttimento; corrompe la gioventù in fiore e insozza i capelli bianchi della vecchiaia, toglie lo sposo alla sposa, succhia con le sue labbra immonde e insaziabili l’onore e la fortuna delle famiglie.

Oh, sorelle mie! Il furore brutale e la bassa invidia sporcano di fiele amaro e fangoso la nobile immagine della cortigiana. Eppure, diciannove secoli fa, l’ultimo dei falsi dèi, Gesù di Nazaret, risollevava dall’obbrobrio degli uomini Maria Maddalena e la insediava, in mezzo ai santi e ai beati, nello splendore del suo paradiso.

Prima della venuta del vero Dio, prima dell’avvento del Capitale, le religioni che si sono contese la terra e gli dèi che si sono succeduti nella testa umana ordinavano di imprigionare la sposa nel gineceo e di permettere solo all’etèra di mordere i frutti dell’albero della scienza e della libertà. La grande dea di Babilonia, Mylitta-Anaïtis, «l’abile incantatrice, la seducente prostituta», ordinava al suo popolo di fedeli di onorarla con la prostituzione. Quando Buddha, l’Uomo Dio, arrivava a Vaisali3, andava ad abitare nella casa della maîtresse delle prostitute sacre, venerate dai preti e dai magistrati schierati e rivestiti dei loro abiti cerimoniali. Geova, il dio sinistro, alloggiava nel proprio tempio le cortigiane*1.

Illuminati dalla fede, gli uomini delle società primitive deificavano la cortigiana: era il simbolo della forza eterna della natura che crea e distrugge.

I padri della Chiesa cattolica, che per secoli ha trastullato con le sue leggende l’umanità bambina, cercavano l’ispirazione divina tra le braccia delle prostitute. Quando il papa riuniva in concilio i suoi preti e i suoi vescovi per discutere un dogma di fede, guidate dal dito di Dio accorrevano le cortigiane dall’intero mondo cristiano: portavano sotto le gonne lo Spirito Santo e illuminavano l’intelligenza dei Dottori. Il Dio dei cristiani armò Teodora, l’imperial puttana, del potere di fare e disfare i papi infallibili.

Il Capitale, nostro Signore, assegna alla cortigiana un ruolo ancora piú elevato; non comanda piú dei papi dalla testa traballante, ma migliaia di operai giovani e vigorosi, esperti in ogni arte e in ogni mestiere: tessono, ricamano, cuciono, lavorano il legno, il ferro e i metalli preziosi, tagliano i diamanti, riportano dal fondo dei mari il corallo e le perle, producono in pieno inverno i fiori della primavera e i frutti dell’autunno, costruiscono palazzi, decorano pareti, dipingono tele, scolpiscono il marmo, scrivono drammi e romanzi, compongono opere, cantano, recitano e danzano per farla divertire e soddisfare i suoi capricci. Né Semiramide né Cleopatra, quelle potenti regine, ebbero mai al loro servizio una folla cosí numerosa di lavoratori, esperti in ogni mestiere e abili in ogni arte.

La cortigiana è l’ornamento della civiltà capitalista. Se cessa la sua funzione di decorazione della società, svanisce quel poco di gioia che ancora resta in questo mondo annoiato e intristito; i gioielli, le pietre preziose, le stoffe di lamé e ricamate diventano cianfrusaglie inutili; il lusso e le arti, queste figlie dell’amore, diventano insipide; la metà del lavoro umano perde il suo valore. Ma fino a quando si comprerà e si venderà, e il Capitale resterà il padrone delle coscienze e ricompenserà i vizi e le virtú, la merce d’amore sarà la piú preziosa e gli eletti del Capitale abbevereranno i loro cuori alla gelida coppa delle labbra dipinte della cortigiana.

Se la ragione non lo avesse inebetito, se la fede avesse aperto le porte della sua intelligenza, l’uomo avrebbe capito che la cortigiana, l’oggetto della lussuria dei ricchi e dei potenti, è uno dei motori del Dio Capitale per mettere in movimento i popoli e trasformare le società.

Nei tempi oscuri del Medioevo, quando il Capitale, nostro Signore, come un bambino che palpita silenzioso nel seno della madre si elaborava misteriosamente nella profondità delle cose economiche, quando nessuno ne profetizzava la nascita, quando l’anima umana, ignorando la venuta di un Dio, non vibrava d’allegria, proprio allora il Capitale cominciava a dirigere le azioni umane. Instillò nello spirito dei cristiani d’Europa la furia selvaggia che li spinse sulle strade dell’Asia in schiere piú fitte che battaglioni di formiche. In quei tempi i capi degli uomini erano i rozzi signori feudali, che vivevano nelle corazze come gli astici nei loro gusci, nutrendosi di cibi pesanti e di bevande grevi, non concependo altro piacere che i colpi di lancia, non conoscendo altro lusso che una spada ben temprata. Per smuovere questi bruti, il nostro Dio dovette abbassarsi al livello della loro intelligenza piú inerte del piombo: suggerí loro l’idea di farsi crociati, di correre in Palestina a liberare le pietre di una tomba mai esistita. Dio voleva condurli ai piedi delle cortigiane d’Oriente, inebriarli di lusso e di godimenti, piantare nel loro cuore la passione divina, l’amore dell’oro. Quando rientrarono nei loro cupi manieri, dove ululavano i gufi, con i sensi ancora sconvolti dall’oro e dalla porpora delle feste, dai profumi d’Arabia e dalle molli carezze delle cortigiane depilate, provarono disgusto per le loro femmine grossolane e villose, che sapevano soltanto filare e fare figli; provarono vergogna per la loro barbarie, e come una giovane madre prepara la culla per il bambino che sta per nascere, costruirono le città del Mediterraneo, crearono le corti ducali e reali dell’Europa, per l’avvento del Dio Capitale.

In verità vi dico che la cortigiana è piú cara al nostro Dio che il denaro dell’azionista al finanziere; è la sua figlia piú amata, quella che piú docilmente di ogni altra donna obbedisce alla sua volontà. La cortigiana traffica in ciò che non si può pesare né misurare, immateriale, che sfugge alle sacre leggi dello scambio: vende l’amore come lo speziale smercia il sapone e la candela, come il poeta vende al dettaglio l’ideale. Ma vendendo l’amore, la cortigiana vende se stessa: così dà un valore al sesso della donna, così il suo sesso partecipa delle qualità del nostro Dio, diventa una parcella di Dio, è Capitale. La cortigiana incarna Dio.

Siete più ingenui dei vitelli delle praterie, poeti, drammaturghi, romanzieri, voi che ingiuriate la cortigiana perché concede l’uso del suo corpo solo in cambio di denaro in contanti, voi che la trascinate nel fango perché vende a caro prezzo le sue tenerezze. Volete dunque che profani la particella divina che è il suo corpo, rendendolo più vile dei sassi di strada? Voi, moralisti, che siete dei porcili per l’ingrasso dei vizi, le rimproverate di preferire l’oro fino a un cuore che brucia d’amore. Filosofi ottusi, considerate dunque la cortigiana uno sparviero che si ingozza di carne palpitante? Voi tutti, soffocati dall’avarizia, credete dunque che la cortigiana sia meno desiderabile per il fatto di comprarla? Non si compra forse il pane che sostiene il corpo, il vino che rallegra il cuore? Non si comprano forse la coscienza del deputato, le preghiere del prete, il coraggio del soldato, la scienza dell’ingegnere, l’onestà del cassiere?

Dio Capitale maledice le prostitute che fanno un uso sconsiderato del loro corpo, che si vendono per qualche franco, per qualche soldo, ai lavoratori e ai soldati; più temibile della peste, martirizza le brute del piacere dei poveri, avvelena la carne dei pipistrelli di venere, le consegna ai magnaccia che le picchiano e le derubano, le sottopone alle ispezioni della polizia, come la carne marcia dei mercati.

La cortigiana invece, che possiede la grazia efficace del Dio Capitale, non ascolta neppure le vostre ridicole declamazioni morali, più vane delle grida delle oche mentre vengono spennate. Avvolge la sua anima di un ghiaccio polare che il fuoco di nessuna passione d’amore può fondere: guai, tre volte guai alla Signora delle camelie4 che si dà senza vendersi. Dio abbandona la cortigiana innamorata che spasima di piacere; se il suo cuore palpita e i suoi sensi parlano, il compratore d’amore che segue all’amante del cuore trova, indispettito e deluso, invece di una merce fresca, un corpo accaldato e sfinito.

La cortigiana si corazza di seducente freddezza, affinché sul suo corpo di porcellana, impassibile e indifferente, gli acquirenti usino le loro labbra ardenti senza alterarne la freschezza: dal fermento del loro sangue devono sentire l’ebbrezza d’amore, e non dalla febbre delle sue carezze e dal calore dei suoi abbracci; perché bisogna che, mentre l’acquirente divora di baci il suo corpo venduto, la sua anima libera pensi al denaro che le è dovuto. La cortigiana borseggia i suoi compratori, li obbliga a pagare a peso d’oro il piacere d’amore che procurano a se stessi. E proprio perché, quando lei vende l’amore, la merce venduta non esiste, il nostro Dio Capitale, le cui prime virtú teologali sono il furto e la falsificazione, benedice la cortigiana.

Donne che mi ascoltate, io vi ho rivelato il mistero dell’enigmatica freddezza della cortigiana, della cortigiana di marmo che invita l’intera classe degli eletti del Capitale al banchetto del suo corpo e dice loro: «Prendete, mangiate e bevete, questa è la mia carne e questo è il mio sangue».

La sposa fedele, brava donna di casa, che la gente della buona società onora a parole ma si affretta ad abbandonare alla noia del focolare coniugale, isola l’uomo dai suoi simili, genera e alimenta la sua gelosia, questa passione antisociale che avvelena di bile il sangue, e lo imprigiona in casa, lo mura nell’egoismo familiare. La cortigiana, al contrario, libera l’uomo dal giogo della famiglia e delle passioni.

Il denaro crea distanze tra gli uomini, la cortigiana li avvicina, li unisce. Nel suo boudoir, coloro che sono divisi da interessi fraternizzano, legati da un patto segreto, indefinibile ma profondo e irrevocabile: hanno mangiato e bevuto della stessa cortigiana, si sono comunicati sullo stesso altare.

All’amore, la passione selvaggia e brutale che sconvolge il cervello, spinge l’uomo all’oblio e al sacrificio dei suoi interessi, la cortigiana sostituisce la facile, borghese, confortevole galanteria venale: frizzante come l’acqua di seltz, non ubriaca.

Dono del Dio Capitale, la cortigiana inizia i suoi eletti alle sapienti raffinatezze del lusso e della lussuria, e li consola delle consorti, noiose come le interminabili piogge d’autunno. Quando li prende la vecchiaia, e li raggrinzisce di rughe e spegne il fuoco degli occhi, irrigidendo gli arti, rendendo fetido l’alito, e diventano oggetto di disgusto per le donne, la cortigiana allevia le tristezze dell’età; sul suo corpo freddo trovano ancora il piacere fuggente comprato con l’oro.

Più attiva dei fermenti che fanno bollire il vino nuovo, la cortigiana imprime alle ricchezze un vertiginoso moto rotatorio, e lancia nella folle danza milioni, le più grandi fortune; tra le sue mani noncuranti spariscono miniere, fabbriche, banche, titoli di Stato, vigneti e campi di grano, le scivolano tra le dita e si disperdono nei mille canali del commercio e dell’industria. I vermi che vanno all’assalto delle carogne sono meno numerosi della folla di domestici, mercanti e usurai che la assediano, tenendo spalancate le loro immense tasche per raccogliere la pioggia d’oro che cade quando si alza la gonna. Modello di abnegazione, manda in rovina i suoi amanti per arricchire i domestici e i fornitori che la derubano.

Gli artisti e gli industriali si addormenterebbero nella grassa mediocrità se la cortigiana non li obbligasse a surriscaldare i loro cervelli per scoprire nuovi godimenti e inedite futilità; infatti, assetata di ideale, subito si disgusta di ciò che ha voluto, e un piacere che apprezza le viene subito a noia.

La macchina riduci-lavoro condannerebbe le operaie e gli operai all’ozio, il padre dei vizi; ma elevando lo spreco ad alta funzione sociale, la cortigiana aumenta il suo lusso e le sue esigenze nella misura in cui progredisce la meccanica industriale, affinché per i dannati del proletariato ci sia sempre lavoro, la fonte delle virtú.

La cortigiana che divora fortune, dissipandole e distruggendole come un esercito in marcia, è adorata dai signori della fabbrica e della bottega: è lei il genio tutelare che alimenta la vita e il vigore del commercio e dell’industria.

La morale della religione del Capitale, piú pura ed elevata di quella delle false religioni del passato, non proclama l’eguaglianza umana: solo una minoranza, l’infima minoranza, è chiamata a condividere i favori del Capitale. Il Fallo non rende piú gli uomini eguali, come accadeva nei tempi primitivi. La cortigiana non deve essere insozzata dai baci degli zotici e dei pezzenti, perché Dio Capitale riserva ai propri eletti le cose preziose della natura e dell’arte.

La cortigiana, che Dio conserva per la gioia dei ricchi e dei potenti, pur condannata a sollevare il velo delle ipocrisie sociali, a toccare il fondo delle turpitudini umane, cosí basse da togliere il respiro, vive nel lusso e nelle feste; nobili e borghesi rispettabili e rispettati elemosinano l’onore di trasformare una Signora Qualunque in Signora Qualcuno, e cosí le accade di chiudere la serie delle sue folli gozzoviglie con un onorevole matrimonio. Nella primavera della sua vita, i capitalisti depongono ai suoi piedi il loro cuore che lei disdegna, e i loro tesori che dissipa; gli artisti e i letterati le volteggiano intorno, la adulano con omaggi servili e interessati. Giunto l’autunno, stanca e ingrassata, chiude bottega e apre la casa, circondata da uomini seri e donne pudibonde a rendere omaggio al patrimonio che ricompensa il suo lavoro sessuale.

Dio riserva tutte le sue grazie alla cortigiana: a colei che la natura imprevidente non ha dotato di bellezza e spirito dona eleganza, arguzia, monelleria, perfidia, che seducono e catturano l’anima distinta dei privilegiati del Capitale.

Dio la pone al riparo delle debolezze del suo sesso. La natura matrigna condanna la donna alla dura fatica della riproduzione della specie, ma i dolori lancinanti che attanagliano il ventre delle madri sono inflitti solo all’amante e alla sposa. Dio, nella sua bontà, risparmia alla cortigiana le smagliature e le deformazioni del parto: a lei accorda la sterilità, grazia così invidiata. Sono l’amante e la sposa a dover implorare la vergine Maria, a rivolgerle la fervente preghiera dell’adultera: «vergine santa che avete concepito senza peccato, fate che io pecchi senza concepire!». La cortigiana appartiene al terzo sesso, lascia alla donna comune lo sporco e penoso compito di partorire l’umanità*2.

Il caso recluta le cortigiane nelle classi basse della società. Non è una vergogna, non fa venire il crepacuore, veder uscire dallo sterco personaggi che occupano un posto così elevato nella scala sociale?

Donne che mi ascoltate e appartenete alle classi superiori, ricordatevi che l’antica nobiltà rimproverava a Luigi XV di prendere le sue concubine dalla plebe; reclamate come uno dei vostri più preziosi privilegi il diritto e l’onore di fornire le cortigiane agli eletti del Capitale. Già molte di voi, disprezzando i tristi doveri della sposa, si vendono come le cortigiane, ma mercanteggiano in modo timido e ipocrita. Imitate l’esempio delle onorevoli matrone dell’antica Roma che si facevano iscrivere nella corporazione degli edili per esercitare il mestiere di prostitute; scuotete, gettate a terra e calpestate pregiudizi idioti e fuori moda che si addicono solo a delle schiave. Il Dio Capitale porta nel mondo una morale nuova, proclama il dogma della Libertà umana; sappiate che la libertà si ottiene soltanto conquistando il diritto di vendersi. Liberatevi dalla schiavitù coniugale, vendendovi.

Nella società capitalista non c’è lavoro più onorevole di quello della cortigiana. Ecco, osservate il lavoro dell’operaia e contemplate poi quello della cortigiana. Alla fine della sua lunga e monotona giornata, l’operaia disprezzata, pallida e indolenzita, nella sua mano smagrita stringe il modesto salario che le impedisce di morire di fame. La cortigiana, felice come un giovane dio, si alza dal suo letto o dal divano e, scuotendo la capigliatura profumata, conta con noncuranza luigi d’oro e banconote. Il lavoro non lascia sul suo corpo né fatica né sporcizia; si sciacqua la bocca, si asciuga le labbra e dice sorridendo: «Avanti un altro!».

Filosofi ruminanti, che non fate che masticare e rimasticare i logori precetti dell’antica morale, diteci dunque quale lavoro è più apprezzato dal nostro Dio Capitale, quello dell’operaia o quello della cortigiana?

Il Capitale attribuisce il valore a una merce attraverso il prezzo al quale permette che venga venduta. Su, moralisti bigotti, riuscite a trovare nell’infinita serie delle occupazioni umane un lavoro della mano o della mente che riceva un salario così remunerativo come quello del sesso? La scienza dello studioso, il coraggio del soldato, il genio dello scrittore, l’abilità dell’operaio, sono mai stati pagati quanto le prestazioni di Cora Pearl?

Il lavoro della cortigiana è il lavoro sacro, che Dio Capitale ricompensa più di ogni altro.

Carissime sorelle, ascoltatemi, ascoltatemi, è Dio che parla attraverso la mia bocca:

se siete state abbandonate da Dio al punto di non aborrire il lavoro devastante dell’operaia che deforma il corpo e uccide l’intelligenza, non prostituitevi;

se siete state abbandonate da Dio al punto di aspirare all’esistenza vegetativa della donna di casa, nella clausura della famiglia e condannata alla sordida economia domestica, non prostituitevi;

se siete state abbandonate da Dio al punto di voler vivere in solitudine nel focolare coniugale, abbandonate dal marito che si mangia la vostra dote con la cortigiana, non prostituitevi;

ma se vi stanno a cuore la vostra libertà, la vostra gloria e la vostra felicità in terra, prostituitevi; se siete di animo troppo fiero per accettare senza ribellarvi il lavoro degradante dell’operaia e la vita della civiltà, prostituitevi;

se volete essere la regina delle feste e dei piaceri della civiltà, prostituitevi;

è la grazia che vi auguro. Amen!

Per copia conforme
Paul Lafargue


Note

*1. Il legato del papa si riferisce a questo versetto del Antico Testamento: «[Giosia] demolí le case dei sodomiti che erano nel tempio e nelle quali le prostitute tesseravo tende» (II, Re, cap. XXIII, v. 7). Nel tempio di Mylitta le cortigiane di Babilonia avevano cappelle simili dove esercitavano il loro sacro ministero [N.d.A.].

*2. I redattori del sermone si sono ispirati al pensiero di Auguste Comte. Il fondatore del positivismo prediceva la formazione di una razza superiore di donne, liberate dalla gestazione e dal parto. In effetti la cortigiana realizza l’ideale del borghese filosofo [N.d.A.].


1. Claude-Joseph Bonnet (1786-1867), industriale della seta a Lione. Auguste Pouyer-Quertier (1820-1891), industriale, ministro delle Finanze nel 1871-1872.

2. Cora Pearl (1835-1886), prostituta inglese attiva nell’alta società parigina, soprannominata «la grande orizzontale».

3. Antica città dell’India, al confine con il Nepal; dal VI secolo a.C. centro del buddhismo.

4. Il celebre romanzo (1848) di Alexandre Dumas figlio.



Ultima modifica 2019.02.15