L'arte

Anatoly Vasilyevich Lunacharsky

 


Anatoly Vasilyevich Lunacharsky, 1918


 

Quando i teorici del socialismo, nelle loro visioni chimeriche o nelle anticipazioni, più o meno fondate, parlavano del futuro socialista dell'umanità, immancabilmente assegnavano, in questo futuro, una funzione cardinale all'arte.

Gli esponenti del proletariato hanno sempre respinto con grande risolutezza i rimproveri per il fatto che l'ordinamento socialista, il quale presuppone, come fase di transizione, la dittatura del proletariato — di quella classe cioè che le classi dominanti tenevano lontano dalla cultura — che questo ordinamento, dicevo, sarebbe contraddistinto sul piano culturale da un pur minimo deperimento, da una pur minima distruzione di quegli aspetti della vita sociale e statale che soddisfano alle esigenze più raffinate ed elevate dello spirito.

Naturalmente questi teorici e profeti del socialismo non hanno mai negato che tra l'arte del proletariato e l'arte della classe dominante esista una linea di demarcazione abbastanza precisa. L'enorme maggioranza fra loro respingeva decisamente sia il rimprovero mosso al proletariato di essere incolto e indifferente sia le chiacchiere su un'unica arte comune a tutta l'umanità. Non intendo smentire con questo l'esistenza di un'arte umana unica, ma se qualcuno parlasse di un unico linguaggio umano avrebbe ragione e torto ad un tempo! Certo, vi è un carattere omogeneo nel linguaggio umano articolato, ma ciò non toglie che vi siano la lingua cinese e quella francese, che vi erano un dialetto del XII secolo e un dialetto del secolo XX. Un fenomeno analogo si osserva nell'arte. Il fatto che l'umanità nel suo insieme possieda l'arte non esclude affatto che questa arte abbia subito con l'andar del tempo rilevanti modifiche e che nelle singole società e presso singoli popoli essa abbia assunto forme particolari.

Se confrontiamo fra loro popoli storicamente molto distanti l'uno dall'altro, cioè retti da un ordinamento sociale diverso, possiamo giurare che anche le rispettive arti differiranno; e la società socialista, appunto, dista moltissimo da quella borghese. Sul piano temporale, essa può sorgere dal capitalismo anche in un sol giorno, attraverso un rivolgimento politico, ma l'essenza interiore della società borghese e di quella socialista sono lontanissime fra loro e pertanto l'arte di queste due società differirà per molti versi. Ora, siccome il progresso delle ideologie è sempre rallentato da una certa forza d'inerzia, al rivolgimento politico, subitaneo per sua natura, non può affiancarsi un rivolgimento ideologico altrettanto repentino.

Se, muovendosi entro certi binari, l'arte ha acquistato certe consuetudini, è ben difficile che in 24 ore, in 24 giorni o mesi, gli artisti di professione diventino consapevoli che le esigenze della società nei loro confronti sono radicalmente mutate.

Se ne fossero consapevoli, spesso si troverebbero dinanzi alle vie per essi insolite, smarriti e con un profondo rimpianto per non poter più operare, come prima, nelle forme abituali. In tal senso un rivolgimento rivoluzionario non può non riflettersi dolorosamente su una certa parte del mondo artistico, anche sul piano economico, dato che l'artista nella società borghese — e per il momento anche nella nostra — non è un libero creatore, bensì il venditore delle proprie opere. Oltre ad essere pittore, poeta, creatore di valori spirituali, egli è costretto a vendere questi valori: « Non si vende l'ispirazione, ma si può vendere un manoscritto ».

Quando vede cambiarsi sostanzialmente il mercato che assorbiva la sua merce, è naturale che l'artista ne sia dolorosamente colpito, dato che non sa se potrà fornire ciò che il mercato domanda, e se la sua merce sia richiesta.

E’ così, se ci limitiamo a trattare la nostra questione su un piano strettamente economico.

Se invece considereremo la vicenda artistica da un altro punto di vista, più profondo e più congeniale a tutti noi che abbiamo a che fare con l'arte, se la considereremo cioè dal punto di vista culturale, constateremo, naturalmente, la stessa situazione dolorosa, poiché anche sul piano culturale esistono la domanda e l'offerta. L'artista, profondamente conscio di infondere in una certa opera ciò che vi è per lui di più sacro, può sentirsi come una vox clamantis in deserto, che attende invano una qualsiasi risposta, e non è facile stabilire a priori di chi sia la colpa: se è invecchiato l'artista (e in tal caso il popolo, che lo ha sopravanzato, lo lascia indietro, lo considera superato) o se l'artista, al contrario, è geniale e «in anticipo sul suo tempo»; se si è rivelato un tipo bizzarro (il quale si è smarrito fra le sabbie come -un piccolo braccio di fiume che se ne va per conto suo) o se si tratta di un tipo originale, che forse finirà per morire soffrendo, incompreso dai suoi contemporanei, ma della cui opera si parlerà più tardi, come di una magnifica gemma dell'arte umana.

Possiamo predire con certezza che nell'epoca di una svolta brusca, in cui l'intera classe che disponeva di mezzi ingenti e comandava alla società determinandone in misura sensibile la vita spirituale, declina e muore, mentre una classe nuova passa in primo piano, possiamo predire, dicevo, che in condizioni siffatte il mondo dell'arte non può fare a meno di sentirsi smarrito, non può non sentirsi coinvolto in una procella così veemente da far precipitare alcuni individui nel baratro di una vera e propria morte.

Visto che il rivolgimento socialista viene considerato da alcuni artisti sotto questo aspetto, essi non possono esimersi dal sentirlo come una forza ostile. Non possono, pur consci dell'ingiustizia dell’ordinamento capitalistico, fare a meno di osservare: « Sarebbe stato meglio se tutto fosse rimasto come prima. Non che il vecchio fosse buono, però se fosse cambiato a poco a poco, senza brusche convulsioni, senza fratture, senza imprevisti, con masse più colte, più istruite e meglio preparate, meno estranee agli interessi di cui viviamo, sarebbe stato meglio ».

Ma, agli occhi del proletario rivoluzionario, un siffatto stato d'animo confina con quello che suscitò l'accusa lanciata agli artisti dal grande Jean Paul Marat, il quale diceva: « Tutti costoro sono servi dei ricchi e, coscientemente e incoscientemente, onestamente o disonestamente, come tutti i servi di questo mondo, che si nutrono degli avanzi del banchetto dei ricchi, si addolorano quando questi ricchi vanno a fondo ».

Invece nessuno di questi fenomeni marginali, superficialissimi, ha qualcosa in comune con l'arte in quanto tale. Tutto ciò si ripercuote dolorosamente sull'artista, ma, in sostanza, per l'artista in quanto tale, per l'anima artistica, non dovrebbe avere importanza alcuna.

Prendiamo il problema della vendita delle opere d'arte. Il fatto che l'artista sia costretto a considerare la sua attività creativa da questo punto di vista non è una norma data una volta per sempre, ma una disgrazia, una vergogna che trae origine dall’ordinamento sociale diviso in classi. L'artista dovrebbe impegnarsi con tutta l'anima a svincolare la sua opera dalla umiliante schiavitù della bistecca quotidiana.

Certo, esistono una domanda e una offerta di carattere spirituale, ma questo non significa ancora che l'artista debba sottomettervisi ciecamente; forse egli dovrà tener conto dell'ordinazione datagli di affrescare una casa del popolo o di erigere un monumento a una determinata persona, ma sono aspetti in misura notevole esteriori; mentre quella parte del suo «spirito» che si concreta nell'opera dipende esclusivamente da lui ed egli qui deve essere libero al massimo.

Potrà davvero il nuovo ordinamento socialista portare questa libertà all'artista? Non intendo dipingere la realtà in rosa. Quella che stiamo attraversando è una difficile fase di transizione, di guerra civile, di fame, di caos economico, che solo in questi ultimi tempi comincia ad essere illuminata dai primi raggi della vittoria [forse era un ottimismo un po' precoce, il mio. Nota del 1923].

Certo, ne passeranno ancora di giorni in cui ci toccherà parlare del travaglio che accompagna la nascita della nuova società e non del suo normale funzionamento, ma è certo che il funzionamento normale di una società socialista presuppone per l'artista il massimo di libertà.

Il socialismo aspira a far sì che ogni lavoratore utile alla società, e in particolare quello capace di produrre valori creativi, sia posto in condizioni di assoluta indipendenza da qualsiasi occasionale variazione del mercato. Il socialismo considera il singolo individuo sia sul piano economico sia sul piano spirituale — i due piani sui quali ci siamo soffermati poco più sopra — come un valore sociale, come un organo sociale che deve ricevere una determinata quantità di nutrimento, così come lo riceve il nostro orecchio, il nostro occhio, la nostra lingua; in tal caso l'artista è in grado di funzionare liberamente, sviluppando le inclinazioni e le doti di cui dispone a servizio del gigantesco consumo spirituale dell'intera umanità.

In parole povere, ogni individuo riconosciuto artista, che l'ambiente artistico liberamente organizzato accoglie come un confratello, deve, in virtù di tale affiliazione, acquisire il diritto a un'esistenza sicura, tale da consentirgli di dedicarsi completamente alla propria opera senza doversi minimamente preoccupare dell'esistenza materiale. Questo è il fine a cui dobbiamo tendere incessantemente.

Man mano che ci andremo rafforzando, dovremo fare degli studenti e degli artisti che si sono diplomati e che iniziano la loro carriera, dei membri agiati della nostra società, delle persone alle quali, come agli uccelli sul ramo, possiamo dire: « Canta così come te lo permette il tuo organismo, senza preoccuparti del domani... ».

Si tratta di un'impostazione del problema che deriva automaticamente dal nostro piano socialista. Quanto meglio riusciremo ad attuarlo, quanto più completa sarà la nostra vittoria, tanto più incondizionata sarà la vittoria dell'artista sul mercato, sulle ordinazioni, tanto più liberamente sgorgheranno le linfe dell'arte da quella sorgente perenne che è il cuore dell'uomo.

Ma la sola libertà non basta, la libertà come tale è un concetto negativo o, per essere più esatti, che non contiene in sé nessun valore positivo. Già Nietzsche aveva detto: « Libertà, libertà — dici tu, fratello mio; ma a che cosa serve? », ed è giusto. Posso essere libero, avere le mani e le gambe libere, ma posso andare a sinistra o a destra, compiere un'impresa onorevole o un'azione infame; quindi la libertà non è sempre un qualcosa di positivo: lasciar libero un pazzo o un uomo in balia di tendenze criminali difficilmente può essere classificato come un'azione giusta.

La nuova società, l'ordinamento socialista non soltanto libera l'artista, ma gli imprime un impulso ben definito. Se ho detto che l'artista deve essere libero, ciò non significa che egli lo sia nel senso metafisico dell'espressione. Quando affermiamo, in termini puramente fisici, che una certa persona è libera, non ne consegue affatto che essa possa mettersi a volare o camminare meglio carponi. No, libertà fisica significa che l'uomo si comporterà sempre come gli ordina il proprio organismo. L'espressione «L'uomo è libero» non significa che egli sia libero di munirsi di quattro orecchie e di quattro occhi. Tutta l'essenza dell'uomo è condizionata dal passato della specie umana, che ha determinato, anche nelle minuzie, quel che noi definiamo aspetto umano.

La società in cui l'uomo vive, le persone che frequenta, le impressioni che riceve, tutto questo, in una sintesi originale con le tendenze embrionali che l'uomo ha ricevuto in eredità, ne formeranno in seguito la personalità.

La società socialista può offrire alla vita dell'artista un contenuto interiore infinitamente più ricco di quello offerto dalla società in cui è vissuto fino ad oggi. Quanto ai valori che hanno un carattere ampio, monumentale, spontaneo, eterno, grandioso non può esservi dubbio di sorta.

La società di classe divide gli uomini in gruppi in lotta tra di loro, e questo lascia un'impronta su tutta la vita spirituale. Non conosciamo, quasi non sentiamo ciò che è più caro all'umanità: la vita del collettivo umano. Noi accettiamo il passato dell’umanità, ne amiamo in una maniera o nell'altra il futuro, eppure essi trovano rispondenza in noi solo attraverso i vari fenomeni che si verificano nel nostro ambito; non diversamente da una chiocciola che ha intorno a sé il suo solito guscio, da un essere che accoglie le impressioni visive attraverso una finestra appannata e i suoni attraverso uno spesso tramezzo. Soltanto il socialismo distrugge questi tramezzi, elimina la necessità di qualsiasi forma di egoismo, riunisce gli uomini, distrugge la casetta che ci portiamo sul dorso come le lumache, rende la nostra mente morbida, plastica, ricettiva nei confronti di tutte le ricchezze della vita fuori di noi.

Se io dico che dal punto di vista del monumentale e del grandioso si aprono di fronte all'arte vaste prospettive, questo certo non è un sogno né una congettura. Ma è importante anche che, contemporaneamente, viene portato in primo piano il collettivo artistico.

Se prendiamo epoche collettivistiche molto più scialbe quali, ad esempio, quelle delle città-comuni dell'antichità, o del tardo Medioevo in Italia, o la società che ha eretto le cattedrali e i palazzi municipali gotici nell'Europa Centrale, vedremo che lì l'artista come singolo individuo passa in secondo piano: non è sempre facile trovare un nome al quale poter attribuire l'una o l'altra delle grandiose e stupende opere del genio umano. Nel corso dei secoli costruzioni mirabili sono state erette da confraternite anonime.

Ciò che ebbe luogo allora, ciò che Ruskin osannò esecrando l'individualismo artistico che domina nel capitalismo, riecheggerà in un prossimo futuro: avremo collettivi artistici e intere confraternite di architetti, di pittori, di scultori, che lavoreranno concordi a un determinato progetto e porteranno a termine l'opera non attraverso i secoli, date le nuove conquiste della tecnica, ma in pochi anni; e non saranno soltanto i templi eretti a determinati ideali o valori umani, ma forse intere città, città-giardino, di cui abbiamo tanto bisogno e che trasformeranno tutta la faccia della Terra in conformità con i dettami della natura e coi sogni dell'uomo sulla bellezza e sull'armonia.
Sono gli esponenti della poesia intima, dell'arte intimista ad attendersi qualche danno da quel rivolgimento interiore che corrisponderà nelle anime al rivolgimento socialista esteriore. Ed io li comprendo perfettamente questi artisti di suoni lievissimi, persino di fruscii, di tutto ciò che c'è di mistico, di non detto, di personale, di intraducibile, cioè gli artisti dediti alle più tenui sfumature, i quali temono che non rimanga un solo angolino in cui non penetri un raggio del più vivido sole.

Non credo però che si debba rimpiangere la scomparsa di certi tratti dell'arte moderna eccessivamente individualistica, in quanto l'originalità personale, quel particolare « prisma del tem¬peramento » attraverso il quale filtrano le impressioni, come giustamente asserisce Zola, sarà tanto più intensa quanto più differenziata e libera sarà la società; quante più impressioni riceve la nostra anima, tanto più è difficile livellarla.

In tal senso, gli aspetti originali nell'arte del socialismo saranno più numerosi che altrove, ma tale originalità sarà più chiara, forte, semplice e virile, mentre quel che è stato battezzato con il termine di « decadentismo » — cioè il « bello-decadente » — assolverà una funzione sempre meno importante. E questo è un bene: l'umanità si avvia verso il trionfo su molte delle sofferenze e avversità che l'hanno soffocata fino ad oggi, e da un fanciullo molto interessante, ma pallido e mingherlino, incapace di esprimere la propria anima se non in toni di malinconico misticismo, sorgerà un giovane robusto, baldanzoso, pieno di salute, pieno della speranza di essere felice.
Ecco le idee generali che devono essere congeniali all'artista anche oggi se questi riesce a scordare per un attimo i travagli quotidiani che interessano (e, certo, non possono fare a meno di interessare) chiunque personalmente, e riesce a meditare sulla situazione soltanto come artista. Ecco quanto possiamo dire di incoraggiante, di profondamente luminoso, parlando all'artista del periodo della storia mondiale in cui stiamo per entrare, senza nascondergli che prima di varcare la soglia del paradiso socialista ci toccherà passare per la fase, forse non troppo lunga, ma certamente parecchio amara, del purgatorio.

L'arte contemporanea non è unitaria. Di conseguenza, quando si troveranno ad affrontare le nuove esigenze sociali, le varie categorie di artisti risponderanno al richiamo in maniera diversa.

Nel mondo borghese il « vecchio » e il « nuovo » si sono azzuffati con una certa violenza ed acredine. La giovane arte si è lagnata amaramente della mancata libertà di sviluppo e della pre¬senza di una specie di gerontocrazia, cioè di un predominio dei vecchi, che hanno conquistato una posizione nella società e le impongono i loro gusti.

Nel nevrastenico ventesimo secolo assistiamo ad un fenomeno straordinariamente originale. Fin dall'inizio del secolo le correnti artistiche si sono avvicendate con estrema rapidità. Quasi ogni anno avevamo una nuova scuola. I giovani, nell'ansia di scoprire nuove sponde », trascuravano molto spesso ciò che si chiama maestria. In tal senso hanno indubbiamente ragione gli artisti delle vecchie generazioni quando dicono che questa affannosa ricerca del nuovo innanzitutto si riflette sull'arte negativamente.

In pittura domina il bozzetto. Non c'è quasi nessuno che la¬vori sul serio, che riesca a spuntarla con l'aspetto mestieristico dell'arte, che acquisti la perizia tradizionale. In tutte le epoche, quando l'arte era in manifesta decadenza, perdeva la tradizione e si trasformava in barbarie, gli artisti non dicevano: ora noi dipingiamo e scriviamo peggio della precedente generazione; essi hanno sempre supposto di introdurre nuovi gusti nella vita. Ma la perdita del mestiere è caratteristica di un'epoca di deca¬denza.
Gli artisti delle vecchie generazioni hanno ragione di affermare che i giovani vogliono farsi largo mostrandosi originali. Uno sbarbatello che ha ancora il latte alla bocca vuole già essere un maestro. Se tira fuori qualche trucco nuovo, magari affatto scombinato, ma che contiene lo schema di una teoria improvvisata in quattro e quattr'otto o qualche combinazione di parole che do¬vrebbe servire da chiave alle sue scoperte, egli trova sempre due o tre altri giovanotti più stupidi di lui, incapaci perfino di combinare quel poco di originale che lui ha « scoperto »; e sono proprio loro a correre verso il nuovo giovane « maestro », ancor privo di discepoli, davanti al quale recitare con esito certo la commedia dell'originalità. Cosí nasce una « modernissima scuola ».

Anche il mercato si è adattato a poco a poco a questo fenomeno. In questi ultimi tempi quel grande padrone degli artisti che nella società borghese è il mercante d'arte e l'esperto in pubblicità ha fiutato la cosa e non si limita a smerciare opere di artisti famosi e imitazioni di opere antiche ma si adopera per lanciare nomi nuovi.

In qualche mansarda abita un tizio, nel migliore dei casi un po' matto e morbosamente presuntuoso; nel peggiore, un ciarlatano. Ed ecco che qualche ditta di Parigi o di Londra pensa di servirsene; acquista tele sue e le lancia a suon di pubblicità. Tutti gli intenditori e i collezionisti vogliono avere quadri di questo tizio, ne hanno assolutamente bisogno, egli comincia ad essere quotato, acquistato, perché si tratta di un fenomeno curioso: «c'est curieux», ecco il miglior elogio per i nostri tempi. Quest'aspetto della questione appare così evidente nell'arte moderna, che nessuno può negare l'inquinamento delle nuovissime correnti e tendenze con cumuli di scorie d'ogni genere.

Sarebbe giusto rammentare ai giovani che prima di creare, prima di trovare nuove vie, non sarebbe male reggersi meglio sulle proprie gambe, apprender bene l'abbiccì dell'arte e soltanto dopo pensare all'indipendenza creativa e agli ulteriori sviluppi dell'arte stessa.

Ma, purtroppo, questi rimproveri che gli artisti delle vecchie generazioni rivolgono ai giovani spesso devono essere accantonati, perché il mestiere è stato trascurato proprio allo stesso modo anche da loro, che formano il gruppo accademico dominante.

In tutti i paesi il livello dell'arte è calato. La sacra fiamma minaccia di spegnersi. E, certamente, non è la «salsa bruna», contro cui mossero gli impressionisti, non è il penoso copiare dalle copie, non è l'epigonismo che ha conquistato quasi tutta l'arte, non è l'arte da routine della società borghese degli ultimi decenni che si può contrapporre alla giovane arte, per quanto insoddisfacente essa possa essere.

Da parte dei «giovani» viene il giusto rilievo che i «maestri», i quali seguirebbero le grandi tradizioni, sono quasi dei tappezzieri che su ordinazione dei ricchi producono decorazioni per la loro vita. I ritratti di questi ricchi e i quadri dipinti per loro sono privi della trepidazione creativa, per cui l'arte si è trasformata in mestiere, ma certo non nell'alto significato che la parola a volte ha avuto. Chi non vede la differenza tra le tele che troviamo nei musei, che rispecchiano effettivamente epoche di autentica floridezza, e le tele del nostro tempo?

Da questo punto di vista si potrebbe dire che la situazione dell'arte è piuttosto deprimente. Vi sentiamo un ribollire di aspirazioni e di ricerche e questo, in fondo, è l'unico lato relativamente buono, perché là dove non si cerca abbiamo, anziché una tecnica ben sedimentata, espressione di un determinato secolo, un residuo scialbo, fossilizzato di un'arte che un tempo fu veramente viva.
Certo, fra questi due estremi c'è posto anche per un certo numero di magnifici maestri e, se ci poniamo a una discreta distanza, vediamo, nelle oasi di una fase veramente desertica, come quella attraversata dalle arti figurative del nostro tempo, brillare stelle di prima grandezza e spesso fondersi in maniera originale le nuove ricerche con la vecchia maniera. Ma la situazione generale è triste. Deve pur esserci una via d'uscita.

Innanzitutto sarà interessante porre il problema della cosiddetta arte «rivoluzionaria».

Le ricerche di cui abbiamo parlato sono contraddistinte da taluni aspetti morbosi, ma non vi è in esse anche un principio sano e non rispondono esse sostanzialmente a quella rivoluzione che si svolge al di fuori del mondo dell'arte, vale a dire nel campo delle ricerche sociali?
Problemi di importanza e interesse estremi.

E i cittadini e i compagni qui presenti non pensino che quando io ho accennato con una certa rudezza a taluni aspetti deformi del cosiddetto rinnovamento nell'arte, alla presenza di elementi di pazzia e di ciarlataneria, intendessi dire che non c'è altro all'infuori della pazzia e della ciarlataneria.

No, esistono opere di immenso valore, autentiche nuove aspirazioni della parte più viva e sensibile del mondo artistico (cioè dei giovani) ad esprimere determinate sensazioni, a dare un'eco artistica alla realtà quotidiana. «Le scuole» tipicamente nuove (consideriamo l'impressionismo come una scuola del passato, che ha fatto molto chiasso ancor di recente, ma ormai è relegata in secondo piano), come il cubismo e il futurismo in tutte le loro diramazioni, meritano uno studio assai particolareggiato. Ora non sono in grado di dedicare molto tempo all'analisi di questi fenomeni e mi limiterò all'affermazione generale, ben difficilmente contestabile, che nelle nuovissime tendenze si riscontra un riflesso reale della vita agitata del ventesimo secolo.

Le arti figurative, per la loro stessa natura, sono statiche: la scultura e la pittura non possono esprimere il movimento. Nel ventesimo secolo la stessa forma della pittura e della scultura è entrata in collisione dolorosa con l'anima umana. L'artista moderno mira a far sì che il suo quadro sembri muoversi o correre, egli si sforza di farlo vivere dinamicamente, mentre il contenuto, una volta portato sulla tela, subito si immobilizza. E’ necessario quindi dare l'illusione del movimento. Proprio nella morsa di questa intima contraddizione si dibattono oggi le più moderne correnti artistiche.
Oltre a ciò che rappresenta l'anima di questa crisi acutamente sofferta dai giovani, vi si apporta ancora molto entusiasmo giovanile, amore per tutto ciò che è brusco e stridente; in ciò vedono una corrispondenza con la nuova fase della vita sociale con le sue tempeste di carattere militare e rivoluzionario. Una tale corrispondenza c'è, ma bisogna cercar di capirla meglio.

Ancor di recente si parlava di banalità quotidiana, piccolo-borghese. Guardate come è riflessa nelle opere di Cechov, nella Solitudine di Maupassant. Ma adesso chi dice mai che la vita è irrancidita, che è statica, avara di sensazioni forti, di grandi avvenimenti? Possiamo affermare che siamo in balia del vortice più violento che l'umanità abbia mai visto. Più si va avanti, più questo gorgo ci trascina, ci afferra, e ogni cosa statica vi si disintegra dentro, comprese le statue e i quadri. Al posto dei tratti sfumati di prima se ne hanno adesso di troppo espressivi, di un'estrema inquietudine interiore.
Ma significa questo che il contenuto dell'arte moderna presenta determinati legami con il contenuto della nostra nuova vita? La mia risposta è: no. Altrimenti, di certo, la classe rivoluzionaria, il proletariato, avrebbe sentito subito di non avere più niente in comune con gli artisti delle vecchie generazioni, anche se tuttora viventi, di dover accogliere senza riserve il fu-turismo (se prendiamo tra parentesi sotto questo nome tutta la nuova corrente). Ma il fatto è che non si osserva nulla di simile!

Se, da un lato, una certa inclinazione per le forme vecchie, tipica del proletariato rivoluzionario, può spiegarsi con una certa mancanza di cultura, con l'incapacità di distinguere l'imitazione e il falso, d'altro canto l'infatuazione di singoli proletari per determinati « metodi » futuristici appare manifestamente sporadica e superficiale. Una vera confluenza, tale che il proletariato e i suoi esponenti d'avanguardia possano dichiarare: « Ecco che cosa risponde alle nostre esigenze », non c'è affatto.

Eppure, nell'osservare quanto accade nelle sale dei teatri proletari e nelle mostre, noi vediamo che proprio le scuole modernissime stanno esercitando un'influenza decisiva sull'arte sovietica. L'affinità formale, vale a dire la ricerca di una forma nuova, l'inclinazione per il dinamismo, per il moto impetuoso tipica d'ogni rivoluzione: ecco cosa avvicina esteriormente l'una e l'altra parte. Però tale affinità non dev'essere sopravvalutata, perché ad un esame più attento essa risulta fittizia. Il proletariato possiede un suo contenuto. Se gli chiedete che cosa desidera, vi esporrà idee grandiose, uscirà in dichiarazioni che implicano un rivolgimento radicale in tutta la vita umana. Ma se rivolgerete la stessa domanda a un futurista, egli risponderà: « la forma... la forma... ». Gli sembra che una determinata combinazione di linee o di colori, impossibile a definirsi, che non esprime niente se non delle «esperienze interiori», abbia tutte le carte in regola per essere un quadro.

Un innovatore contagiato dai pregiudizi del vuoto interiore artistico borghese (poiché la borghesia moderna non ha un ideale positivo) vi dirà: «le arti figurative non hanno niente da spartire con la letteratura, il pittore non deve rimanerne contagiato, non deve interessarsi a nessun contenuto». Per noi queste sono eresie mostruose; esse ci indicano che abbiamo a che fare con un fanciullo incapace di raccapezzarsi di fronte a questi problemi, poiché qualsiasi arte è poesia, qualsiasi arte è creazione che esprime sentimenti e idee reali. Quanto più determinate sono queste idee, quanto più limpidi questi sentimenti, tanto più definito è questo frutto, che si ritrova, succoso e maturo, nell'opera dell'artista [naturalmente parlo di arte ideologica. L'arte commerciale può essere anche formale. Nota del 1923].

Un individuo che ritiene che una combinazione di colori e di linee abbia un valore a se stante, lo dobbiamo considerare o un giovincello, che non ha niente da versare nemmeno nella botte più nuova, o un mezzo cadavere deambulante, infatuato delle forme, perché è sopravvissuto alla perdita del proprio contenuto interiore. Aveva perfettamente ragione Cechov nel dire che l'arte contemporanea ha perduto «Iddio», che non sa cosa insegnare, Che non ama niente, che è senza idee e che in queste condizioni nemmeno il più valente maestro può essere artista.

Chi non sa pensare attraverso le immagini, chi non è capace di riversare negli stampi delle immagini il metallo fuso della esperienza e delle sensazioni è tutto fuorché un artista. Non può essere altro che un «maestro», nel senso che è capace di attuare determinate combinazioni che forse potranno in parte servire ad altri artisti, quelli veri.

Questa voluta mancanza di contenuto, questa teoria di una «libera» associazione di linee, suoni o parole senza un contenuto interiore (a furia di rimbalzi si è arrivati a scacciare la letteratura... dalla letteratura), sono appunto quei tratti del futurismo che lo fanno considerare dalla gente autenticamente nuova un vecchiume, un raffinatissimo dessert, servito dopo il pranzo borghese, un frutto della vuota cultura borghese, pronta a servire lingue d'usignolo, perché ormai tutto il resto sembra insipido e banale.

Per l'arte vecchia esiste una via d'uscita naturale dato che quest'arte è realistica, ha indubbiamente il diritto a un futuro; e non solo il «diritto»: ci sentiamo di affermare con assoluta certezza che nel futuro essa finirà per affermarsi. Qualunque sia la teoria di cui siamo seguaci, come potremmo negare alla combinazione delle immagini, quale viene offerta ad ogni individuo sano dalla natura, alla combinazione delle immagini ricca di un elevato contenuto ideale e sensibile, il diritto di esistere?
Da questo punto di vista, se la cosiddetta vecchia arte, coi i suoi metodi realistici (« servili », come dicono gli « innovatori ») nei confronti della natura, si empisse di un contenuto nuovo, troverebbe senz'altro un'ottima accoglienza. La chiave per render, viva quest'arte sta nel trovare un'anima viva, ovvero il soggetto stesso, così spensieratamente trascurato in questi ultimi tempi persino dagli artisti d'ispirazione realistica. Riuscire a trovare un soggetto è, in sostanza, per l'artista dotato di un sufficiente livello tecnico, tutto. Non si può considerare un soggetto come un semplice pretesto; riuscire a trovare un soggetto significa trovare un'idea che si sente il bisogno impellente di esprimere, che tormenta l'uomo.

L'arte nuova non si trova, come si vede, in una situazione particolarmente favorevole nei confronti del socialismo.

Nei miei tentativi di sollecitare un avvicinamento tra la giovane arte, tra i suoi esponenti più validi e le masse operaie, ho sempre incontrato un'accanita resistenza, non soltanto da parte delle masse, ma anche da parte dei più evoluti rappresentanti della classe operaia, che, scrollando il capo, dichiarano: « No, questo non va ». Però ciò non significa ancora che, con tutto il bagaglio dei suoi metodi nuovi, la sua deformazione, la sua interpretazione musicale dei fenomeni della vita, il predominio completo della forma artistica dettata dal creatore su quella offerta dalla natura, l'arte nuova non possa in nessun modo attecchire. Ma anch'essa ha bisogno di un soggetto. Allora cambierà profondamente il suo carattere. Uno dei futuristi di talento, il poeta Majakovskij, ha scritto un'opera poetica, intitolata Mistero-buffo. Se la forma di quest'opera è la solita impiegata da Majakovskij, lo stesso non può dirsi del contenuto, che affronta le vicende ciclopiche del nostro tempo. Si tratta del primo caso, in tutte le opere d'arte di quest'ultimo periodo, di un contenuto adeguato ai fenomeni della vita.

Queste sono le grandi difficoltà interiori che sono di fronte all'arte. Sul piano esteriore, la situazione è più semplice. Nonostante la nostra povertà economica, noi ci avviamo verso una fioritura artistica.
Ciò che ci suggerisce di fare Lenin, ciò che noi ora facciamo - e che non possiamo non fare — è la creazione artistica nella ricca gamma delle sue manifestazioni nelle vie, nelle case e nelle piazze di tutte le nostre città. Si è sentito il bisogno di modificare al più presto l'aspetto di queste città, di esprimere nelle opere d'arte le nostre nuove esperienze, di eliminare molte cose che offendono il sentimento popolare, di creare edifici monumentali nuovi, monumenti grandissimi. Si tratta di un'esigenza estremamente sentita. Per ora dobbiamo limitarci, per appagarla, a creare dei monumenti provvisori, che stiamo erigendo e che saranno eretti a decine a Mosca, a Pietrogrado, in altre città [dati i tempi particolarmente difficili, questo movimento è stato interrotto, ma adesso rinasce. Nota del 1923].

Dipende dagli artisti che ogni gesso, ogni statua provvisoria aspiri ad essere fusa nel bronzo, e quando ciò sarà, si avrà anche la colata.

Quanto più ricco diventerà il nostro popolo — e dovrà diventare tale — tanto più grandioso sarà lo sviluppo della creazione artistica. È da supporre che la celebrazione dell'Ottobre sarà una delle maggiori feste che il mondo abbia mai visto.

Oggi ho appreso con piacere che la fabbrica Putilov, la più grande di Pietrogrado, si è rivolta al governo per chiedere il suo appoggio nella costruzione a Pietrogrado di una grande casa del popolo. I lavoratori della Putilov dicono: anche se ci date decine, centinaia di edifici di vecchio tipo, centinaia di lussuose case borghesi, questo non ci basta, non soddisfa le nostre esigenze; noi vogliamo avere la nostra casa, costruita su nostra ordinazione, a nostra misura e non imitando quelle dei nobili e dei borghesi.

Certo il governo non rifiuterà le diecine di milioni che si richiederanno per realizzare un'opera del genere, e certamente dalla prossima primavera cominceremo a costruire una grande Casa del popolo; a tal fine dovremo cominciare subito i preparativi, pubblicare il bando di concorso per il progetto.

La sola costruzione di questa Casa del popolo socialista, qui, a Pietrogrado, può e deve trasformarsi in una gigantesca ordinazione all'artista russo da parte dell'operaio russo, tale da poter impegnare a lungo una buona metà se non tutti gli artisti di un certo talento. E questo in un periodo in cui di superfluo non abbiamo nemmeno un tozzo di pane [il progetto allora non fu eseguito. Ora la sua realizzazione è imminente. Nota del 1923].

Se gli avvenimenti si svilupperanno al ritmo che hanno avuto finora, noi cercheremo (almeno per quel che concerne il popolo e i suoi rappresentanti, essi tendono a questo) di aggiungere alla stupenda Pietrogrado degli zar una ancora più stupenda Pietrogrado degli operai.

Riusciremo a trovare gli ingegni, i talenti e il gusto necessari alla realizzazione di un tale progetto? Io spero che gli artisti qui convenuti si sentano abbastanza sicuri per poter affermare: fateci lavorare, dateci i materiali necessari, e i talenti non mancheranno. Solo questo può essere lo stato d'animo degli artisti di un grande popolo in una grande epoca storica.

Un massimo di libertà, dunque, un massimo di contenuto interiore, suggerito da tutta l'importanza storica del momento che attraversiamo, dall'imponenza stessa delle ordinazioni fatte non da un singolo mecenate, bensì da un intero popolo, il che comporta, appunto, la libertà della creazione, la libera struttura di tutti gli enti addetti all'arte. Abbasso qualsiasi formalità burocratica, qualsiasi controllo da parte dei mercanti, dei cosiddetti notabili dell'arte! Completa libertà di autodeterminazione alla personalità artistica, al collettivo artistico!

Ecco i principi, ecco le prospettive che si dischiudono all'arte.

Qui, a Pietrogrado, in questo edificio dell'ex Accademia di belle arti, speriamo di vedere già quest'anno il primo esperimento di una libera autodeterminazione dell'arte, di una collaborazione tra compagni giovani e anziani; di una collaborazione estremamente attiva, ispirata a quei compiti diretti che la vita proporrà al mondo dell'arte senza far distinzioni tra vecchio e giovane, famoso e sconosciuto, e creando così effettivamente un concorso libero, in cui un soldato può rivelarsi un generale, come sempre accade in epoca di rivoluzione, quando ciascun talento può incontrare una giusta valutazione e un posto adeguato. Perciò io credo, senza negare affatto taluni aspetti dolorosi della nostra vita, che un uomo nelle cui vene scorre sangue veramente caldo, può sentire solamente gioia e sicurezza di sé al pensiero di affrontare il futuro. Quel tanto di pericoloso, di indefinito, insito in esso, deve soltanto servire da catalizzatore, suscitare il coraggio in chi è ancora giovane, e giovane deve restare chiunque fino alla tomba.

Dicono che la civetta di Minerva esca a volare soltanto di notte, che l'arte tracci il consuntivo dei grandi avvenimenti solo dopo che siano accaduti. Da molti sintomi sono indotto a pensare che da noi non sarà così.

La rivoluzione socialista è ansiosa di versare al più presto possibile il vino nuovo nella botte nuova. Già oggi sentiamo ad ogni passo istanze commoventi da parte di operai e contadini: dateci scienza, dateci arte, fateci conoscere i tesori che sono stati accumulati sino ad oggi, fate che gli artisti vengano incontro alle nostre aspirazioni e alla nostra sete di esperienze, dateci al più presto libero accesso alle fonti della conoscenza capaci di aiutarci ad esprimere in maniera adeguata, lineare e forse in forma straordinariamente nuova quanto è avvenuto nell'anima del popolo nel corso dei secoli e quanto è stato liberato dalla rivoluzione che libera ogni individualità.

Io vi esorto, ammesso che ve ne sia bisogno, alla fiducia, alla speranza, al coraggio. Viviamo in un autentico regno di speranza. Se questa nuova speranza somiglia a un bucaneve, è già qualcosa, perché cresce; un seme di senape può trasformarsi in un grande albero, la nostra terra si trasformerà in un paradiso e, con il contributo del genio umano, in un'opera d'arte a cui gli artisti devono contribuire sin da oggi.

Ritengo la piccola cerimonia alla quale stiamo assistendo [ l'inaugurazione dei «Liberi Ateliers di Stato» nella sede dell’ex Accademia di belle arti. Nota del 1923] profondamente conforme allo spirito stesso del rivolgimento socialista, e sono felice che proprio in questo giorno, quando sono apparso dinanzi a voi per pronunciare le parole che avete udito, che in questo stesso giorno io abbia avuto la gioia di ricevere la delegazione della fabbrica di Putilov e di ascoltarne le richieste: «Invitate i nostri artisti a lavorare, che lo Stato dia loro i mezzi necessari affinché sorga a Pietrogrado la prima grande Casa del popolo».

I «Liberi Ateliers di Stato» sono, a quanto sembra, proprio quell'artista collettivo al quale, anzitutto, verrà affidato il compito di costruire la Libera casa del popolo a Pietrogrado.

Inizio pagina


Ultima modifica 4.03.2010