Discorso sul programma

Rosa Luxemburg (1919)

 


Pronunciato da Rosa Luxemburg in occasione del congresso di fondazione del Partito Comunista della Germania nel gennaio 1919.
Trascritta per Internet dalla redazione "Che fare", Gennaio 2000


 

Compagni e compagne,

Se noi oggi ci accingiamo a discutere e ad approvare il nostro programma, ciò non dipende soltanto dalla circostanza formale che ieri ci siamo costituiti in nuovo partito autonomo e che un nuovo partito dovrebbe approvare ufficialmente un programma; alla base dell'odierna discussione del programma stanno grandi eventi storici, cioè il fatto che noi ci troviamo in un momento in cui il programma socialdemocratico, socialista, del proletariato dev'essere in generale posto su una nuova base. Compagni, noi ci riannodiamo in tal modo al filo che proprio 70 anni fa Marx ed Engels avevano filato nel Manifesto comunista. Il quale, come voi sapete, considerava il socialismo e la realizzazione dei suoi scopi finali come il compito immediato della rivoluzione proletaria. Era questa la concezione che Marx ed Engels sostennero nella rivoluzione del 1848 e considerarono come la base dell'azione proletaria anche in senso internazionale. Essi allora credevano, e con loro tutti i maggiori esponenti del movimento proletario, che l'instaurazione del socialismo fosse il compito immediato, che bastasse fare la rivoluzione politica e impadronirsi del potere politico statale per dare immediatamente al socialismo sostanza di vita. In seguito, come sapete, Marx ed Engels stessi intrapresero una energica revisione di tale concezione. Nella prima prefazione al Manifesto comunista del 1872, che è firmata ancora insieme da Marx ed Engels (ristampata nell'edizione del Manifesto del 1894), essi parlano in questo modo della propria opera:

"Questo passo (la fine della II sezione, cioè l'esposizione delle misure pratiche per l'attuazione del socialismo) suonerebbe oggi diversamente sotto molti rapporti. Di fronte all'immenso progresso della grande industria negli ultimi venticinque anni e all'organizzazione in partito della classe operaia, che con quella è progredita, di fronte alle esperienze pratiche della rivoluzione di febbraio prima e poi, ancora molto più, della Comune di Parigi, nella quale il proletariato ha tenuto per la prima volta il potere politico per due mesi, è oggi invecchiato in vari punti. La Comune ha, specialmente, fornito la prova che la classe operaia non può semplicemente prendere possesso della macchina statale bell'e pronta e metterla in moto per i propri fini" [1].

E come suona questo passo, che viene dichiarato invecchiato? Noi lo leggiamo a pagina 23 del Manifesto comunista nei termini seguenti:

"Il proletariato adopera il suo dominio politico per strappare a poco a poco alla borghesia tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, cioè del proletariato organizzato come classe dominante, e per moltiplicare al più presto possibile la massa delle forze produttive. Naturalmente ciò può avvenire, in un primo momento, solo mediante interventi dispotici nel diritto di proprietà e nei rapporti borghesi di produzione, cioè per mezzo di misure che appaiono insufficienti e poco consistenti dal punto di vista dell'economia; ma che nel corso del movimento si spingono al di là dei propri limiti e sono inevitabili come mezzi per il rivolgimento dell'intero sistema di produzione. Queste misure saranno naturalmente differenti a seconda dei differenti paesi. Tuttavia, nei paesi più progrediti, potranno essere applicati quasi generalmente i provvedimenti seguenti:

  1. Espropriazione della proprietà fondiaria e impiego della rendita fondiaria per le spese dello Stato.
  2. Imposta fortemente progressiva.
  3. Abolizione del diritto di successione.
  4. Confisca della proprietà di tutti gli emigrati ribelli.
  5. Accentramento del credito in mano dello Stato mediante una banca nazionale con capitale dello Stato e monopolio esclusivo.
  6. Accentramento di tutti i mezzi di trasporto in mano allo Stato.
  7. Moltiplicazione delle fabbriche nazionali, degli strumenti di produzione, dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano collettivo.
  8. Eguale obbligo di lavoro per tutti, costituzione di eserciti industriali, specialmente per l'agricoltura.
  9. Unificazione dell'esercizio dell'agricoltura e dell'industria, misure atte a eliminare gradualmente l'antagonismo fra città e campagna.
  10. Istruzione pubblica e gratuita di tutti i fanciulli. Eliminazione del lavoro dei fanciulli nelle fabbriche nella sua forma attuale. Combinazione dell'istruzione con la produzione materiale, e così via" [2].

Come vedete, sono, con alcune varianti, gli stessi compiti che si presentano immediatamente anche a noi: l'attuazione, la realizzazione del socialismo. Settant'anni di sviluppo capitalistico sono trascorsi dalla formulazione di quel programma a oggi, e la dialettica storica ci riporta oggi alla concezione che Marx e Engels avevano successivamente abbandonato come erronea. Essi avevano allora buone ragioni di farlo. Lo sviluppo capitalistico successivo ha fatto sì che quel che allora era errore oggi è divenuto verità, ed è compito immediato di oggi realizzare l'obiettivo di fronte al quale stavano Marx ed Engels nel 1848. Senonché fra quel punto dello sviluppo, che ne segnava l'inizio, e la nostra concezione e il nostro compito di oggi, sta l'intero sviluppo non solo del capitalismo, ma anche del movimento operaio socialista, e in prima linea di quello della Germania antesignana del proletariato moderno. Lo sviluppo ha avuto luogo in una forma particolare. Dopo che Marx ed Engels, in seguito alle delusioni della rivoluzione del 1848, ebbero abbandonato il convincimento che il proletariato fosse immediatamente e direttamente in grado di realizzare il socialismo, sorsero in ogni paese dei partiti socialdemocratici, socialisti, che accolsero un punto di vista totalmente diverso. Fu proclamato compito immediato la minuta lotta quotidiana sul terreno politico ed economico onde addestrare a poco a poco gli eserciti proletari destinati a realizzare il socialismo, quando lo sviluppo capitalistico fosse giunto a maturità. Questo rovesciamento di posizione, questo radicale spostamento della base programmatica del socialismo, rivestì, specialmente in Germania, un aspetto molto caratteristico. Per la socialdemocrazia tedesca infatti, fino al suo crollo del 4 agosto, faceva testo il programma di Erfurt nel quale erano posti in primo piano i cosiddetti compiti minimi immediati e il socialismo era fatto balenare soltanto come una lontana stella luminosa, come una meta ultima. Ma l'essenziale non è ciò che è scritto nel programma bensì il modo come lo si concepisce nella viva realtà, e per questa concezione del programma faceva testo un documento storico importante del nostro movimento operaio, cioè la prefazione che Federico Engels scrisse nel 1895 per le Lotte di classe in Francia. Compagni, io mi addentro in questi problemi non per un mero interesse storico, ma perché è un problema attualissimo e un dovere storico che ci incombe in quanto noi oggi mettiamo il nostro programma sullo stesso terreno su cui Marx ed Engels stavano nel 1848. Di fronte ai mutamenti che lo sviluppo storico ha nel frattempo determinato, noi abbiamo il dovere di intraprendere con piena chiarezza e coscienza una revisione della concezione che ha dominato nella socialdemocrazia tedesca fino al crollo del 4 agosto. Questa revisione deve essere qui ufficialmente intrapresa.

Compagni, come ha inteso Engels questo problema nella famosa prefazione alle Lotte di classe in Francia di Marx ch'egli aveva scritto nel 1895, cioè già dopo la morte di Marx? Anzitutto egli, volgendo indietro lo sguardo fino al 1848, affermò essere invecchiata la concezione in base alla quale si sarebbe alla vigilia immediata della rivoluzione socialista. Dopo di che prosegue nella sua analisi:

"La storia ha dato torto a noi e a quelli che pensavano in modo analogo. Essa ha mostrato chiaramente che lo stato dell'evoluzione economica sul continente era allora ancor lungi dall'esser maturo per l'eliminazione della produzione capitalistica; essa lo ha provato con la rivoluzione economica che dopo il 1848 ha guadagnato tutto il continente e ha veramente installato la grande industria in Francia, in Austria, in Ungheria, in Polonia e da ultimo anche in Russia; che ha veramente fatto della Germania un paese industriale di prim'ordine: tutto ciò su una base capitalistica, capace quindi ancora nel 1848 di ben grande espansione" [3].

Egli svolge quindi il concetto che tutto è mutato da quel tempo e viene a parlare del problema di quali siano i compiti del partito in Germania:

"Come Marx aveva predetto, la guerra del 1870-1871 e la sconfitta della Comune avevano temporaneamente spostato il centro di gravità del movimento operaio dalla Francia alla Germania. In Francia occorsero naturalmente degli anni per rifarsi del salasso del maggio 1871. In Germania, invece, dove l'industria, favorita dalla manna dei miliardi francesi, si sviluppava sempre più rapidamente, come in una serra calda, ancora più rapidamente e intensamente si sviluppava la socialdemocrazia. Grazie all'intelligenza con la quale gli operai tedeschi seppero far uso del suffragio universale introdotto nel 1866 lo sviluppo sorprendente del partito si manifestò apertamente al mondo intero in cifre inoppugnabili" [4].

Viene poi la famosa enumerazione di come siamo cresciuti di elezione in elezione fino a essere milioni, e da ciò Engels trae la seguente conclusione:

"Ma con questa efficace utilizzazione del suffragio universale era entrato in azione un nuovo metodo di lotta del proletariato, che andò sviluppandosi rapidamente. Si trovò che le istituzioni dello Stato, in cui si organizza il dominio della borghesia, offrono ancora altri appigli a mezzo dei quali la classe operaia può combattere queste stesse istituzioni statali. Si partecipò alle elezioni delle differenti Diete, dei Consigli comunali, dei probiviri si contese alla borghesia ogni posto alla conquista del quale potesse partecipare una parte sufficiente del proletariato. E così accadde che la borghesia e il governo arrivarono a temere molto più l'azione legale che l'azione illegale del partito operaio, più le vittorie elettorali che quelle della ribellione" [5].

E a questo punto Engels riallaccia un'ampia critica dell'opinione che nelle moderne condizioni del capitalismo il proletariato possa in generale ottenere qualche cosa per mezzo di rivoluzioni di piazza. Io credo che oggi, dato che siamo nel mezzo di una rivoluzione, e proprio di una rivoluzione di piazza con tutto ciò che questo comporta, è tempo di fare i conti con una concezione che ha fatto il bello e il cattivo tempo nella socialdemocrazia tedesca ufficialmente fino all'ultima ora e che è corresponsabile del fatto che noi abbiamo vissuto il 4 agosto 1914 (giustissimo!).

Non voglio dire con ciò che Engels con queste espressioni si sia fatto personalmente complice dell'intero corso dell'evoluzione che si è avuta in Germania; dico soltanto che qui siamo in presenza di un documento, redatto in modo classico, per la concezione che era viva nella socialdemocrazia tedesca, o piuttosto che l'ha uccisa. Qui, compagni, Engels, con tutta la competenza che aveva anche nella scienza militare, vi spiega che è pura illusione credere che il popolo lavoratore potrebbe, con l'odierno sviluppo del militarismo, dell'industria e delle grandi città, fare e vincere delle rivoluzioni di piazza. Questo rapporto comportava due conseguenze: in primo luogo che la lotta parlamentare fu considerata come un contrapposto dell'azione rivoluzionaria diretta del proletariato e addirittura come il solo strumento della lotta di classe. Era il puro "nient'altro che parlamentarismo" che si ricavò da questa critica. In secondo luogo l'organizzazione più poderosa dello Stato di classe il militarismo, la massa dei proletari in divisa, fu stranamente rappresentata a priori immune e inaccessibile a ogni influenza socialista. E quando nella prefazione si dice che, con l'odierno sviluppo di eserciti giganteschi, sarebbe follia pensare che il proletariato possa spuntarla con questi soldati armati di mitragliatrici e dei più moderni mezzi tecnici di combattimento, si parte evidentemente dal presupposto che il soldato è a priori e deve perpetuamente rimanere un sostegno della classe dominante: errore che, sulla base della odierna esperienza, e da parte di un uomo che stava alla testa del nostro movimento, sarebbe assolutamente inconcepibile se non si sapesse in quali circostanze di fatto è nato il citato documento storico. A onore di entrambi i nostri grandi maestri, e in modo particolare di Engels, morto assai più tardi, e che difese anche l'onore e le vedute di Marx, si deve dichiarare che notoriamente Engels ha scritto questa prefazione sotto la diretta pressione del gruppo parlamentare del tempo. Questo accadeva in quel periodo in cui in Germania - dopo la caduta della legge antisocialista al principio degli anni '90 - si manifestava in seno al movimento operaio tedesco una forte corrente radicale di sinistra che voleva mettere in guardia i compagni contro un totale assorbimento nella mera lotta parlamentare. Per battere teoricamente e sopraffare praticamente gli elementi radicali e per escluderli dall'attenzione della vasta massa con l'autorità dei nostri grandi maestri, Bebel e compagni (ed era già significativo allora per le nostre condizioni che il gruppo parlamentare decidesse sul piano intellettuale e tattico delle sorti e dei compiti del partito) hanno spinto Engels, che viveva all'estero e doveva lasciarsi persuadere dalle loro assicurazioni, a scrivere quella prefazione con il pretesto che la cosa più urgente e necessaria era di salvare il movimento operaio tedesco dalle deviazioni anarchiche. Da allora questa concezione ha dominato effettivamente la socialdemocrazia tedesca in ciò che essa ha fatto e non ha fatto, fino a che abbiamo avuto la bella esperienza del 4 agosto 1914. Era la proclamazione del "nient'altro che parlamentarismo". Engels non ha fatto a tempo a vedere i risultati, le conseguenze pratiche di questo uso della sua prefazione, della sua teoria. Io sono sicura che se si conoscono le opere di Marx e di Engels, se si conosce il vivace spirito rivoluzionario genuino, non adulterato, che spira da tutte le loro dottrine e da tutti i loro scritti, si deve essere convinti che Engels sarebbe stato il primo a insorgere contro le degenerazioni del "nient'altro che parlamentarismo", contro questo impantanamento e demoralizzazione del movimento operaio, che presero piede in Germania già decenni prima del 4 agosto (giacché il 4 agosto non è caduto per caso dal cielo come una svolta improvvisa, ma fu una logica conseguenza di quello che noi avevamo prima vissuto giorno per giorno e anno per anno) (giustissimo!) - che Engels e, se fosse vissuto, Marx sarebbero stati i primi a protestare con tutta la forza e a respingere indietro il carro con mano robusta perché non rotolasse giù nel pantano. Ma Engels morì nell'anno stesso in cui scrisse la sua prefazione. Nel 1895 lo perdemmo; da allora purtroppo la guida teorica passò dalle mani di Engels a quelle di Kautsky, e da allora abbiamo assistito al fenomeno che ogni ribellione contro il "nient'altro che parlamentarismo" - la ribellione che a ogni congresso veniva da sinistra, portata da un gruppo più o meno numeroso di compagni che erano in aspra lotta contro l'impantanamento le cui minacciose conseguenze dovevano essere a tutti rese chiare - che ogni ribellione di tale natura fu bollata come anarchismo, anarcosocialismo, o almeno come antimarxismo. Il marxismo ufficiale doveva servire da copertura per ogni calcolo meschino, per ogni deviazione dalla vera lotta di classe rivoluzionaria, per ogni mediocrità che condannava la socialdemocrazia tedesca e in generale il movimento operaio, anche sindacale, a deperire nella cornice e sul terreno della società capitalistica, senza alcun serio sforzo per scuoterla e scardinarla.

Ora, compagni, viviamo oggi il momento in cui possiamo dire: siamo di nuovo con Marx, sotto la sua bandiera. Se oggi noi dichiariamo nel nostro programma: il compito immediato del proletariato non è altro - riassunto in poche parole che fare del socialismo verità e realtà e sradicare completamente il capitalismo, noi ci mettiamo sul terreno su cui stavano Marx ed Engels nel 1848 e dal quale essi non si scostarono mai in linea di principio. Adesso si vede che cos'è il marxismo vero e che cosa era questo surrogato del marxismo (benissimo!) che per tanto tempo si pavoneggiò come marxismo ufficiale nella socialdemocrazia tedesca.

Voi vedete nei suoi rappresentanti dove è andato a finire questo marxismo, come compagno e assistente di Ebert, David e consorti. Là noi vediamo i rappresentanti ufficiali della dottrina che per decenni ci è stata ammannita come marxismo genuino e non adulterato. No, il marxismo non portava a fare politica controrivoluzionaria insieme agli Scheidemann. Il marxismo vero lotta anche contro coloro che cercarono di falsificarlo, esso scava come talpa le fondamenta della società capitalistica e ci ha portato al punto che oggi la parte migliore del proletariato tedesco marcia sotto la nostra bandiera, sotto la bandiera rossa della rivoluzione, e che noi abbiamo seguaci e futuri compagni di lotta là dove pare che domini ancora la controrivoluzione.

Compagni, guidati dal corso della dialettica storica e arricchiti da tutto lo sviluppo capitalistico verificatosi negli ultimi 70 anni, noi stiamo oggi, come ho già detto, nel punto medesimo in cui si trovavano Marx ed Engels nel 1848, quando essi per la prima volta spiegarono la bandiera del socialismo internazionale. Più tardi, quando si rividero gli errori e le illusioni del 1848, si credeva che il proletariato avesse ancora innanzi a sé un tratto di strada infinitamente lungo prima che il socialismo potesse diventare realtà. Naturalmente i teorici seri non si sono mai occupati di fissare un qualsiasi termine obbligatorio e sicuro per il crollo del capitalismo; ma genericamente ci si immaginava quel tratto di strada ancora molto lungo e ciò emerge da ogni riga proprio della prefazione che Engels scrisse nel 1895. Ora noi possiamo tirare le somme. Non fu forse un periodo di tempo assai breve paragonato allo sviluppo delle lotte di classe d'un tempo? Settant'anni di sviluppo del grande capitalismo sono stati sufficienti a portarci così lontano che noi oggi possiamo seriamente pensare a eliminare il capitalismo dal mondo. Più ancora: non soltanto noi siamo oggi in grado di assolvere a questo compito, non soltanto questo è il nostro dovere verso il proletariato, ma soprattutto il suo adempimento è oggi la sola speranza di salvezza per l'esistenza della società umana (vive approvazioni). Poiché, compagni, che altro questa guerra ha lasciato sopravvivere della società borghese, se non un cumulo enorme di rovine? Formalmente tutti i mezzi di produzione e anche moltissimi strumenti di potere quasi tutti decisivi sono ancora nelle mani della classe dominante: su ciò non ci facciamo illusioni. Ma tutto ciò che con essi si può fare, all'infuori di spasmodici tentativi di ristabilire lo sfruttamento mediante bagni di sangue, altro non è che anarchia. Si è andati così lontano che ormai il dilemma innanzi a cui si trova l'umanità si presenta così: o il tramonto nella anarchia o la salvezza per opera del socialismo. Le classi borghesi sono nell'impossibilità di trovare una qualsiasi via d'uscita dalle conseguenze della guerra mondiale, che rimanga sul terreno del loro dominio di classe e del capitalismo. E cosi è accaduto che noi oggi viviamo nel più preciso significato della parola la verità che appunto Marx ed Engels per la prima volta hanno enunciato come base scientifica del socialismo in quel documento grandioso che è il Manifesto comunista: il socialismo diventerà una necessità storica. Il socialismo è diventato una necessità, non solo perché il proletariato non vuol più vivere nelle condizioni di vita che gli fanno le classi capitalistiche, ma anche perché, se il proletariato non adempie al suo dovere di classe e non realizza il socialismo, la rovina sovrasta su tutti noi assieme (vive approvazioni).

Ora, compagni, questa è la base generale su cui poggia il nostro programma, che noi oggi adottiamo ufficialmente e il cui progetto voi avete già potuto leggere nell'opuscolo Che cosa vuole la Lega Spartaco? Esso si trova in cosciente opposizione al punto di vista a cui continua a rimanere aderente il programma di Erfurt, in cosciente opposizione alla separazione delle rivendicazioni immediate, cosiddette minime, per la lotta politica ed economica, dallo scopo finale socialista considerato come un programma massimo. In cosciente opposizione a ciò noi liquidiamo i risultati dello sviluppo degli ultimi 70 anni e specialmente il risultato immediato della guerra mondiale, dicendo: per noi non esiste ora nessun programma minimo e massimo; il socialismo è tutt'uno, e questo è il minimo che noi oggi dobbiamo riuscire a realizzare (benissimo!)

Io non mi diffonderò ora su singole misure che vi abbiamo proposto nel nostro progetto di programma, giacché voi avete la possibilità di prendere posizione punto per punto e d'altra parte andremmo troppo per le lunghe se volessimo discutere qui in dettaglio. Considero mio compito specificare e formulare solo le grandi linee generali che distinguono la nostra presa di posizione programmatica da quella che ha avuto sin qui la cosiddetta socialdemocrazia ufficiale tedesca. Ritengo invece più importante e più urgente che noi c'intendiamo su come siano da valutarsi le circostanze concrete, e come debbano svilupparsi i compiti tattici, le parole d'ordine pratiche che derivano dalla situazione politica, dal corso che la rivoluzione ha sino a ora seguito e dalle prevedibili ulteriori direttrici del suo sviluppo. Vogliamo discutere della situazione politica conformemente alla concezione che ho cercato di precisare, partendo cioè dalla idea della realizzazione del socialismo come compito immediato, che deve illuminare ogni nostro modo di agire, ogni nostra presa di posizione.

Compagni, il nostro odierno congresso, che anzi, come credo di poter affermare con orgoglio, è il congresso costitutivo dell'unico partito rivoluzionario socialista del proletariato tedesco, questo congresso viene per caso a coincidere, o piuttosto, se devo essere precisa, niente affatto per caso, con una svolta nello sviluppo della stessa rivoluzione tedesca. Si può affermare che con gli avvenimenti degli ultimi giorni la fase iniziale della rivoluzione tedesca è conclusa, che noi ora entriamo in un secondo più avanzato stadio dello sviluppo, e che è dovere di noi tutti, e in pari tempo fonte di una migliore e più approfondita conoscenza per il futuro, esercitare l'autocritica, affrontare un serio esame critico di quel che abbiamo fatto, operato e trascurato per accrescere la nostra capacità di procedere oltre. Vogliamo gettare uno sguardo indagatore sulla prima fase testé conclusa della rivoluzione!

Il suo punto di partenza fu il 9 novembre. Il 9 novembre fu una rivoluzione piena di incertezze e di debolezze. Non dobbiamo meravigliarcene. Era la rivoluzione che sopravveniva dopo i 4 anni di guerra, dopo i 4 anni durante i quali il proletariato tedesco, grazie all'educazione ricevuta dalla socialdemocrazia e dai liberi sindacati, ha mostrato una tale dose di ignominia e di rinnegamento dei suoi doveri socialisti, di cui non v'è esempio in nessun altro paese. Non ci si può attendere, se si rimane sul terreno dello sviluppo storico - e noi lo facciamo proprio in quanto marxisti e socialisti - che nella Germania che ci ha offerto il quadro pauroso del 4 agosto e dei quattro anni successivi, si potesse vedere di colpo il 9 novembre 1918 una grandiosa rivoluzione classista, cosciente dei suoi fini; e quel che noi abbiamo vissuto il 9 novembre era per tre quarti piuttosto il crollo dell'imperialismo esistente che la vittoria di un nuovo principio (approvazioni). Era semplicemente venuto il momento in cui l'imperialismo come un colosso dai piedi d'argilla, internamente marcio, doveva crollare; e quel che venne dopo fu un movimento più o meno caotico, senza direttive, assai poco cosciente, in cui il legame unitario, il principio permanente di salvezza, era riassunto in un'unica parola d'ordine: la formazione dei consigli degli operai e dei soldati. Questa è la parola d'ordine dell'attuale rivoluzione, che le ha dato subito la impronta particolare della rivoluzione proletaria socialista, nonostante tutte le insufficienze e debolezze del primo momento, e quando ci si fa avanti con le calunnie contro i bolscevichi russi, noi non dobbiamo dimenticare di rispondere: dove avete imparato l'abc della vostra rivoluzione odierna? Dai russi siete andati a prendere i consigli degli operai e dei soldati (approvazioni) e quella gentucola che, alla testa del governo tedesco cosiddetto socialista, considerano oggi loro ufficio assassinare i bolscevichi russi in combutta con gli imperialisti inglesi, anche essi poggiano formalmente sui consigli degli operai e dei soldati, e devono quindi riconoscere che è stata la rivoluzione russa a offrire le prime parole d'ordine per la rivoluzione mondiale. Noi possiamo dire con certezza - e questo scaturisce da tutta la situazione - : in qualsiasi paese dopo la Germania venga a scoppiare la rivoluzione proletaria, il suo primo gesto sarà la formazione dei consigli degli operai e dei soldati (giustissimo!). Appunto in ciò noi abbiamo il legame unitario internazionale della nostra avanzata, questa è la parola d'ordine che distingue nettamente la nostra rivoluzione da tutte le precedenti rivoluzioni borghesi, ed è assai caratteristico per le contraddizioni dialettiche, in cui si muove questa, come del resto tutte le rivoluzioni, che essa già al 9 novembre nel lanciare il suo primo grido, si potrebbe dire il suo vagito, abbia trovato la parola che ci guida al socialismo: consigli degli operai e dei soldati, la parola attorno a cui tutto si raccolse, e che abbia trovato questa parola d'istinto, nonostante che al 9 novembre fosse così arretrata da essere capace, a causa delle insufficienze, delle debolezze, della mancanza di iniziativa propria e di visione chiara dei suoi compiti, di lasciarsi sfuggire di mano, quasi al secondo giorno dopo la rivoluzione, la metà degli strumenti di potere conquistati il 9 novembre. In ciò da un lato è il segno che l'attuale rivoluzione sta sotto la legge prepotente della necessità storica la quale ci garantisce che passo passo giungeremo alla nostra meta nonostante tutte le difficoltà, gli imbrogli e i veri e propri misfatti; ma d'altro lato, confrontando la chiarezza della parola d'ordine con la prassi inadeguata che vi è associata, va detto che questi erano proprio i primi passi infantili della rivoluzione, la quale ha ancora uno sforzo immenso da compiere e un lungo cammino da percorrere per svilupparsi fino alla piena realizzazione delle sue prime parole d'ordine.

Compagni, questa prima fase dal 9 novembre fino ai giorni scorsi è caratterizzata da illusioni in ogni direzione. La prima illusione del proletariato e dei soldati che hanno fatto la rivoluzione fu quella della unità sotto la bandiera del cosiddetto socialismo. Che cosa può caratterizzare meglio l'intima debolezza della rivoluzione del 9 novembre se non il suo primo risultato, che alla testa del movimento si siano posti uomini che due ore prima dello scoppio della rivoluzione avevano considerato loro dovere di aizzare contro di essa (giustissimo!) e di renderla impossibile: gli Ebert-Scheidemann con Haase! L'idea dell'unificazione delle diverse correnti socialiste in mezzo al giubilo generale dell'unità, questo fu il motto della rivoluzione del 9 novembre, un'illusione che doveva sanguinosamente vendicarsi e che solo in questi ultimi giorni abbiamo finito di vivere e di sognare; un autoinganno anche da parte degli Ebert-Scheidemann e degli stessi borghesi, da tutte le parti. Oltre a ciò, nella fase ora conclusa, un'illusione della borghesia di potere, mediante la combinazione Ebert-Haase, il cosiddetto governo socialista, di tenere in realtà a freno le masse proletarie e soffocare la rivoluzione socialista; e l'illusione da parte del governo Ebert-Scheidemann di potere con l'aiuto delle masse di soldati del fronte sopraffare le masse operaie nella lotta di classe socialista. Queste furono le diverse illusioni che possono spiegare i recenti avvenimenti. Tutte queste illusioni si sono dileguate nel nulla. Si è visto che l'unione di Haase con Ebert-Scheidemann sotto l'insegna del socialismo non significava altro in realtà che una foglia di fico su una politica semplicemente controrivoluzionaria, e noi abbiamo sperimentato che siamo stati guariti da questa autoillusione come in tutte le rivoluzioni. C'è infatti un preciso metodo rivoluzionario per curare il popolo dalle sue illusioni ma questa cura purtroppo si compra con il sangue del popolo. Proprio come in tutte le precedenti rivoluzioni, è accaduto anche ora. Fu il sangue delle vittime della Chausséstrasse il 6 dicembre, il sangue dei marinai trucidati il 24 dicembre, che ha suggellato per le grandi masse questa conoscenza e questa verità; quel che avete incollato assieme come un cosiddetto governo socialista non è altro che un governo della controrivoluzione borghese, e chi tollera ancora questa situazione, lavora contro il proletariato e contro il socialismo (benissimo!). Però, compagni, si è anche dileguata l'illusione dei signori Ebert-Scheidemann di essere in grado di soggiogare durevolmente il proletariato con l'aiuto dei soldati del fronte. Quale risultato infatti hanno fatto maturare il 6 e il 24 dicembre? Noi tutti abbiamo potuto vedere un profondo disinganno nelle masse dei soldati e l'inizio da parte loro di una presa di posizione critica verso quegli stessi signori che hanno voluto adoperarli come carne da cannone contro il proletariato socialista. Che le singole schiere del movimento operaio siano a poco a poco portate dalla loro amara esperienza a riconoscere la giusta via della rivoluzione: anche questo è conforme alla legge dell'obiettivo e necessario sviluppo della rivoluzione socialista. Sono state trasportate a Berlino truppe fresche da adoperarsi come carne da cannone per reprimere i moti del proletariato socialista, e si è visto che oggi da diverse caserme vengono richiesti i volantini della Lega Spartaco. Compagni, è questa la conclusione della prima fase. Le speranze degli Ebert-Scheidemann di dominare il proletariato con l'aiuto dei soldati reduci sono già in gran parte scosse. Quel che essi devono attendersi a non lunga scadenza è una sempre più chiara concezione rivoluzionaria anche nell'interno delle caserme, e quindi l'ingrossamento dell'esercito del proletariato combattente e l'indebolimento del campo controrivoluzionario. Ma da ciò discende che qualcun altro doveva perdere le sue illusioni, e cioè la borghesia, la classe dominante. Se leggete i giornali degli ultimi giorni dopo gli avvenimenti del 24 dicembre, voi notate un tono molto netto e chiaro di delusione e di rabbia: i servitori di lassù si sono rivelati degli inetti (benissimo!).

Si aspettava da Ebert-Scheidemann che si dimostrassero gli uomini forti per schiacciare la bestia. E che cosa sono riusciti a fare? Hanno fatto soltanto un paio di modesti putsch da cui viceversa l'idra della rivoluzione ha levato il capo con ancora maggior decisione. Quindi una reciproca disillusione da tutte le parti. Il proletariato ha deposto ogni illusione circa l'accoppiamento Ebert-Scheidemann-Haase come governo cosiddetto socialista. Ebert-Scheideman hanno deposto l'illusione di sopraffare durevolmente i proletari in blusa da lavoro con l'aiuto dei proletari in divisa militare, e la borghesia ha deposto l'illusione di poter abbindolare per i suoi scopi tutta la rivoluzione socialista in Germania per mezzo di Ebert-Scheidemann-Haase. E' un bilancio del tutto negativo, nient'altro che brandelli di illusioni distrutte. Macché, proprio soltanto questi brandelli laceri siano quanto rimane della prima fase della rivoluzione costituisce il maggior successo per il proletariato, poiché non v'è nulla che sia altrettanto dannoso alla rivoluzione come le illusioni, non v'è nulla che le sia più utile della chiara, aperta verità. Io posso richiamarmi all'opinione di un classico dello spirito germanico, che non fu un rivoluzionario del proletariato, ma un rivoluzionario intellettuale della borghesia: io penso a Lessing che in uno dei suoi ultimi lavori, quando era bibliotecario a Wolfenbúttel, ha scritto queste frasi per me molto interessanti e simpatiche: "Io non so se sia dovere sacrificare la felicità e la vita alla verità... Ma so che, quando si vuole insegnare la verità, è dovere insegnarla tutta o niente, insegnarla chiara e tonda, senza enigmi, senza riserve, con piena fiducia nella sua forza... Perché quanto più grossolano è l'errore, tanto più breve e diritta è la via alla verità; per contro l'errore più raffinato ci può tenere eternamente lontani dalla verità, quanto più difficilmente ci appare chiaro che è un errore... Chi pensa di portare all'uomo verità soltanto sotto maschere o vernici di ogni specie, potrà ben essere il suo ruffiano ma certamente non ne è stato mai innamorato".

Compagni, i signori Haase, Dittmann ecc. hanno voluto portare all'uomo la rivoluzione, la merce socialista, sotto maschere e vernici d'ogni genere, essi si sono rivelati i ruffiani della controrivoluzione. Oggi noi siamo liberi da queste doppiezze, la merce sta innanzi alla massa del popolo tedesco nella brutale e massiccia figura del signor Ebert e Scheidemann. Oggi neppure il più ottuso può disconoscerla: ecco la controrivoluzione in carne ed ossa.

Che cosa si presenta oggi come ulteriore prospettiva dello sviluppo dopo questa prima fase che sta dietro di noi? Naturalmente non si tratta di far profezie, ma soltanto di trarre le logiche conseguenze dall'esperienza fatta sin qui e di dedurne le presumibili vie dello sviluppo imminente per indirizzare in conformità la nostra tattica, il nostro particolare modo di lottare. Compagni, dove conduce la strada? Una certa indicazione in proposito voi l'avete già, in colori nitidi e non sofisticati, nelle ultime manifestazioni del nuovo governo Ebert-Scheidemann. In quale direzione può volgersi il corso del cosiddetto governo socialista, dopo che, come ho dimostrato, sono scomparse tutte le illusioni? Questo governo perde ogni giorno più terreno nelle grandi masse proletarie; dietro di esso, accanto alla piccola borghesia, stanno ormai soltanto dei resti, dei miseri resti di proletariato, dei quali tuttavia non si può dire quanto a lungo ancora continueranno a stare dietro Ebert-Scheidemann. Essi perderanno sempre più terreno nelle masse dei soldati che si sono avviati sulla via della critica, della riflessione autonoma, un processo che in verità va avanti per ora assai lentamente ma che non può fermarsi fino a che abbia raggiunto la piena conoscenza del socialismo. Essi hanno perduto credito nella borghesia perché non si son mostrati abbastanza forti. Dove può quindi andare la loro strada? Con la commedia della politica socialista la finiranno molto presto e del tutto; e se voi leggete il nuovo programma di questi signori, vi accorgerete che essi nella seconda fase procedono a tutto vapore verso l'aperta controrivoluzione, o, per meglio dire, verso la restaurazione delle precedenti condizioni prerivoluzionarie. Qual è infatti il programma del nuovo governo? L 'elezione di un presidente, che ha una posizione di mezzo fra il re inglese e il presidente americano (benissimo!), quindi press'a poco un re Ebert, e in secondo luogo il ristabilimento del consiglio federale. Voi potete leggere oggi le richieste che per proprio conto hanno avanzato i governi della Germania meridionale, le quali sottolineano il carattere federale del Reich tedesco. Il ristabilimento del vecchio bravo consiglio federale, e naturalmente della sua appendice, il Reichstag, è ancora soltanto questione di poche settimane. Compagni, Ebert-Scheidemann si muovono quindi sulla linea della restaurazione pura e semplice delle condizioni precedenti il 9 novembre. Ma con questo si son messi da se stessi su un piano inclinato per andare a finire con le membra fracassate in fondo al precipizio. Infatti un ritorno alle condizioni preesistenti al 9 novembre fu superato appunto il 9 novembre e oggi la Germania è mille miglia lontana da questa possibilità. Per rafforzare la propria posizione, che peraltro ha già perduto con gli ultimi avvenimenti, presso l'unica classe di cui esso rappresenta realmente gli interessi, la borghesia, il governo si vedrà costretto a condurre una politica controrivoluzionaria sempre più violenta. Dalle richieste degli Stati della Germania meridionale, pubblicate oggi nei giornali di Berlino, emerge chiaramente il desiderio di rafforzare, come si dice, la sicurezza del Reich tedesco, ciò che in buon tedesco significa introdurre lo stato d'assedio contro gli elementi "anarchici", "rivoltosi", "bolscevichi", in altre parole socialisti. Ebert e Scheidemann saranno spinti dalle circostanze alla dittatura con o senza stato d'assedio. Ma da ciò deriva che noi, appunto a cagione dell'evoluzione precedente e della logica stessa delle cose, a cagione della necessità di violenza che pesa su Ebert-Scheidemann, giungeremo, nella seconda fase della rivoluzione, a vedere contrasti molto più aspri e lotte di classe molto più accese (giustissimo!) di quanto non sia stato finora; un contrasto molto più aspro non soltanto perché i momenti politici che ho sin qui enumerato conducono ad affrontare la lotta fra rivoluzione e controrivoluzione senza illusioni, petto contro petto e occhio nell'occhio, ma anche perché un nuovo fuoco, una nuova fiamma erompe dal profondo nel bel mezzo di tutta la situazione e sono le lotte economiche.

Compagni, è molto caratteristico per il primo periodo della rivoluzione, durata, si può dire, fino al 4 dicembre che io ho descritto, che essa sia stata una rivoluzione ancora interamente politica e di ciò noi dobbiamo renderci pienamente coscienti; in ciò sta la primitività, l'insufficienza, l'indecisione e la mancanza di consapevolezza di questa rivoluzione. Fu il primo stadio di un rivolgimento, i cui compiti fondamentali sono di natura economica, cioè il rovesciamento dei rapporti economici. Fu ingenua, incosciente come un bambino che va a tentoni senza saper dove. Come ho detto, essa aveva ancora un carattere esclusivamente politico. Solo nelle ultime settimane gli scioperi hanno cominciato a estendersi notevolmente in modo del tutto spontaneo. Noi vogliamo ora proclamarlo: è proprio nella natura di questa rivoluzione che gli scioperi si sviluppino sempre di più, ch'essi debbano diventare sempre più il punto centrale, il momento fondamentale della rivoluzione (giustissimo!). Questa è allora una rivoluzione economica e con ciò diventa una rivoluzione socialista. Ma la lotta per il socialismo può essere combattuta soltanto dalle masse, immediatamente, petto contro petto con il capitalismo, in ogni impresa, da ogni proletario contro il suo imprenditore. Solo allora sarà una rivoluzione socialista.

Certo coloro che non pensano si rappresentavano diversamente il corso delle cose: si credeva che sarebbe stato necessario soltanto rovesciare il vecchio governo e porre in sua vece un governo socialista, poi si sarebbero emanati i decreti che instauravano il socialismo. Anche questa non era che un'illusione. Il socialismo non è fatto e non può esser fatto mediante decreti, neppure da un governo socialista caratterizzato. Il socialismo dev'esser fatto dalle masse, da ciascun proletario. Là dove essi sono legati alla catena del capitale, là dev'essere spezzata la catena. Solo questo è socialismo, solo così il socialismo può essere attuato.

E come è la forma esterna della lotta per il socialismo? E' lo sciopero e perciò noi abbiamo visto che la fase economica dello sviluppo, adesso, nel secondo periodo della rivoluzione, è emersa in primo piano. Io vorrei anche qui affermare vigorosamente, possiamo dirlo con orgoglio e nessuno lo contesterà: noi della Lega Spartaco, il Partito comunista della Germania, siamo i soli in tutta la Germania che siamo dalla parte degli operai che scioperano e che lottano (giustissimo!).Voi avete letto e visto in tutte le occasioni come il Partito indipendente si sia comportato di fronte agli scioperi. Non vi fu assolutamente nessuna differenza fra la posizione del Vorwarts e quella della Freibeít. Si è detto: dovete essere laboriosi, socialismo vuol dire lavorare molto. E si dice questo mentre il capitale ha ancora il coltello per il manico! Non così si fa il socialismo ma lottando nel modo più energico contro il capitalismo, le cui pretese sono sostenute dai reazionari estremi fino al Partito Indipendente fino alla Freiheit, escluso soltanto il nostro Partito comunista. In quanto ho esposto è già implicito che oggi tutto quel che è sul nostro terreno rivoluzionario comunista lotta, senza alcuna eccezione e col massimo accanimento, contro gli scioperi.

Deriva da ciò che nella prossima fase della rivoluzione gli scioperi non solo si estenderanno sempre più, ma saranno al centro, nel punto nevralgico della rivoluzione, respingendo in secondo piano i problemi meramente politici. Assisterete così a un enorme inasprimento della situazione sul terreno della lotta economica giacché in questo modo la rivoluzione giunge al punto dove non si scherza più con la borghesia. La borghesia può concedersi delle mistificazioni sul terreno politico, dove una mascherata è ancora possibile, dove gente come Ebert-Scheidemann può ancora presentarsi con etichetta socialista, ma non là dove è in gioco il profitto. Allora essa porrà il governo Ebert-Scheidemann davanti all'alternativa: o farla finita con gli scioperi, ed eliminare la minaccia di soffocamento che questo movimento di scioperi rappresenta per essa, oppure i signori Ebert-Scheidemann saranno bell'e liquidati. Io credo anche che già i loro provvedimenti politici porteranno assai presto alla loro liquidazione. Gli Ebert-Scheidemann sono particolarmente addolorati per non aver trovato molta fiducia da parte della borghesia. Essa rifletterà se sia il caso di porre l'ermellino sulla grossolana figura di parvenu di Ebert. Se si arriva a questo, dopo si concluderà dicendo: non basta per questo aver sangue sulle mani, ma occorre aver sangue blu nelle vene (benissimo!), se si arriva a questo, dopo si dirà: se vogliamo avere un re, non abbiamo bisogno di un parvenu, che in nessuna occasione sa comportarsi da re (ilarità).

Così, compagni, i signori Ebert-Scheidemann si adoperano perché si faccia largo un movimento controrivoluzionario. Essi non riusciranno a spuntarla con le fiamme divampanti della lotta di classe economica e perciò, malgrado i loro sforzi, non riusciranno a soddisfare la borghesia. Essi saranno sommersi o per far posto a un tentativo di controrivoluzione che si raccoglie alla rinfusa per una lotta disperata attorno a un signor Groener o per un'esplicita dittatura militare sotto Hindenburg, oppure dovranno cedere il passo alle altre forze controrivoluzionarie.

Non si può dire niente di preciso, non si possono fare previsioni positive su ciò che deve accadere. Ma a noi non importano le forme esteriori, non importa il momento in cui ha luogo l'una o l'altra cosa, a noi bastano le grandi direttrici dell'evoluzione ulteriore, e queste, dopo la prima fase della rivoluzione, caratterizzata da una lotta prevalentemente politica, ci conducono a una seconda fase di lotta più dura e più intensa essenzialmente economica, nel corso della quale in un tempo più breve o forse un pochino più lungo il governo Ebert-Scheidemarm deve scomparire nell'Orco.

Che cosa avverrà dell'Assemblea nazionale nella seconda fase dello sviluppo è egualmente difficile predire, è possibile che, se essa vede i natali, diventi una nuova scuola educatrice per la classe operaia, ma neppure è escluso che non si arrivi per nulla all'Assemblea nazionale: niente si può predire. Voglio solo aggiungere fra parentesi, affinché voi comprendiate da quale punto di vista difendevamo ieri la nostra posizione: noi eravamo contrari soltanto al fatto di basare la nostra tattica su una sola alternativa [6]. Io non voglio qui riaprire delle discussioni, ma dire soltanto questo, affinché nessuno di voi, ascoltando distrattamente, pensi magari: ah, il tono è cambiato. Noi siamo decisamente e pienamente sullo stesso terreno di ieri. Noi non vogliamo fissare la nostra tattica nei riguardi dell'Assemblea nazionale sulla possibilità, che può ma non è detto che debba verificarsi, e cioè che l'Assemblea nazionale vada all'aria, ma vogliamo fissarla in base a tutte le eventualità, ivi compresa l'utilizzazione rivoluzionaria della Assemblea nazionale, se essa vede i natali. Se veda i natali o no, è indifferente, la rivoluzione avrà da guadagnare in tutti i casi.

Che cosa resta allora all'esautorato governo Ebert-Scheidemann o a qualsiasi altro governo sedicente socialdemocratico, che sia al timone? Ho detto che il proletariato come massa gli è già sfuggito di mano e che i soldati non si possono più adoperare come carne da cannone. Che cosa resta ancora in generale a questa miserabile gentucola per salvare la propria posizione? Rimane a essi una sola chance, e se voi, compagni, avete letto oggi le notizie della stampa, avrete visto dove stanno allineate le ultime riserve che la controrivoluzione tedesca porterà in campo contro di noi quando si arriverà alla lotta corpo a corpo. Tutti voi avete letto che a Riga le truppe tedesche già avanzano a braccetto con gli inglesi contro i bolscevichi russi.

Compagni, io ho in mano dei documenti grazie ai quali possiamo farci un'idea di che cosa sia in gioco adesso a Riga. Tutta la faccenda promana dal comando della VIII armata in combutta con il signor August Winnig, socialdemocratico e dirigente sindacale tedesco. Si è sempre fatto credere che i poveri Ebert-Scheidemann fossero le vittime dell'Intesa. Ma era una tattica del Vorwarts già da parecchie settimane, dal principio della rivoluzione, di far credere che il soffocamento della rivoluzione russa fosse lo spontaneo desiderio dell'Intesa, e con questo mezzo fu suggerito all'Intesa il primo pensiero in proposito. Noi abbiamo ora accertato documentalmente come tutto questo sia stato fatto a spese del proletariato russo e della rivoluzione tedesca. In un telegramma del 26 dicembre, il tenente colonnello Burkner, capo del quartier generale della VIII armata, dà notizia delle trattative che portarono a quest'accordo di Riga. Questo telegramma dice:

"Il 23 dicembre a bordo della nave inglese Principessa Margherita ebbe luogo un colloquio fra il plenipotenziario del Reich, Winnig, e il rappresentante del governo inglese già console generale a Riga, Monsanquet, al quale fu sollecitata anche la partecipazione del comandante supremo tedesco o di un suo rappresentante. Fui designato io a prendervi parte.

Scopo del colloquio: esecuzione delle condizioni d'armistizio. Andamento del colloquio:

Inglese - Le navi che sono qui devono sorvegliare l'esecuzione delle condizioni. In base alle condizioni d'armistizio si richiede quanto segue:

  1. Che i tedeschi mantengano in questo distretto una forza di combattimento sufficiente a tenere in scacco i bolscevichi e non permetter loro di avanzare oltre le loro attuali posizioni. Inoltre:
  2. Una comunicazione delle attuali disposizioni alle truppe sia tedesche che lettoni che combattono contro i bolscevichi dev'essere mandata all'ufficiale di stato maggiore militare britannico per conoscenza dell'ufficiale di marina anziano. Tutte le future disposizioni riguardanti le truppe che sono destinate alla lotta contro i bolscevichi devono essere comunicate per tramite dello stesso ufficiale.
  3. Dev'essere mantenuta sotto le armi nei seguenti punti una forza di combattimento sufficiente a impedire che i bolscevichi possano occuparli o che possano avanzare su una linea generale che congiunge le seguenti piazze: Walk, Wolmar, Wenden, Friedrichstadt, Pinsk, Mitau.
  4. La ferrovia Riga-Libau dev'essere assicurata contro attacchi bolscevichi e tutti i rifornimenti britannici e la posta, che percorrono questo tratto, devono godere un trattamento preferenziale".

Segue quindi un'altra serie di richieste. E ora la risposta del plenipotenziario tedesco signor Winnig:

"Sarebbe davvero un fatto inconsueto voler costringere un governo a mantenere occupato uno Stato straniero, ma in questo caso sarebbe il nostro preciso desiderio, - questo dice il signor Winnig, il dirigente sindacale tedesco! - perché si tratterebbe di proteggere sangue tedesco - i baroni baltici! - e noi ci consideriamo anche moralmente obbligati ad aiutare il paese che abbiamo liberato dalla sua precedente compagine statale. Ma i nostri sforzi sarebbero resi difficili; in primo luogo dallo stato delle truppe, che sotto l'influenza delle condizioni d'armistizio non vorrebbero più combattere ma tornare a casa, e che per di più sono composte di uomini anziani e di invalidi di guerra; in secondo luogo dal contegno dei governi locali - si accenna ai lettoni - che considerano i tedeschi come loro oppressori. Noi ci saremmo sforzati di formare reparti volontari, pronti al combattimento, ciò che sarebbe già parzialmente riuscito".

Ciò che qui si fa è controrivoluzione. Voi avete letto già qualche tempo fa della formazione della Divisione di ferro, che fu creata espressamente per combattere i bolscevichi nei paesi baltici. Ma non era chiaro l'atteggiamento degli Ebert-Scheidemann a questo riguardo. Ora voi sapete che è stato questo governo stesso che ne ha fatto per primo la proposta.

Compagni, ancora un piccolo rilievo sul conto di Winnig. Noi possiamo dire tranquillamente che i dirigenti sindacali tedeschi - e non è affatto un caso che un dirigente sindacale renda tali servizi politici - che i dirigenti sindacali tedeschi e i socialdemocratici tedeschi sono i peggiori e più infami furfanti che abbiano vissuto al mondo (applausi tempestosi e battimani). Sapete in che posto va messa questa gente, Winnig, Ebert, Scheidemann? Secondo il codice penale tedesco, che proprio costoro dichiarano pienamente valido, e in base al quale essi fanno amministrare la giustizia, questa gente deve stare in galera (ovazione tempestosa e battimani). Poiché secondo il codice tedesco, è punito con la galera chi cerca di arruolare soldati tedeschi al servizio dello straniero. E oggi noi abbiamo -possiamo dirlo tranquillamente - alla testa del "governo socialista" degli uomini che non soltanto sono dei giuda del movimento socialista, della rivoluzione proletaria, ma sono anche dei pezzi da galera, che in generale non dovrebbero essere ammessi in una compagnia di galantuomini (approvazioni tempestose).

In relazione a questo punto vi presenterò alla fine della mia relazione una risoluzione, per la quale spero di avere il consenso unanime allo scopo di poter operare con la necessaria energia contro questa gente che ora regge i destini della Germania.

Compagni, per raccogliere di nuovo il filo della mia esposizione, è chiaro che tutte queste macchinazioni, la formazione di divisioni di ferro e particolarmente il menzionato accordo con l'imperialismo inglese, non significano altro che le ultime riserve per soffocare il movimento socialista tedesco, ma a ciò è strettissimamente collegato anche il problema principale, il problema cioè delle prospettive di pace. Che cos'altro vediamo in questi accordi, se non un riaccendersi della guerra? Mentre questi furfanti in Germania recitano la commedia di essere indaffarati a ristabilire la pace che noi disturbatori allontaneremmo, provocando il malcontento dell'Intesa, essi in realtà preparano con le loro mani un nuovo scoppio della guerra, della guerra in Oriente, a cui seguirebbe immediatamente la guerra in Germania. Così voi avete anche qui di nuovo la situazione che ci farà entrare in un periodo di aspri contrasti. Noi dovremo difendere insieme con il socialismo e con gli interessi della rivoluzione anche gli interessi della pace mondiale, e questa è proprio la conferma della tattica che soltanto noi spartachisti abbiamo sostenuto in ogni occasione durante 14 anni di guerra. Pace significa rivoluzione mondiale del proletariato! Non v'è altra via per ristabilire e garantire realmente la pace che la vittoria del proletariato socialista (viva approvazione).

Compagni, che cosa emerge per noi da tutto ciò come direttiva tattica generale nella situazione in cui verremo a trovarci ben presto? La prima cosa che voi ne concluderete è certamente la speranza della caduta del governo Ebert-Scheidemann e della sua sostituzione a opera di un governo dichiaratamente socialista-proletario-rivoluzionario. Tuttavia io vorrei rivolgere la vostra attenzione non ai vertici, verso l'alto, ma in basso. Non possiamo abbandonarci di nuovo alla illusione della prima fase della rivoluzione, all'illusione del 9 novembre che basti in generale per il corso della rivoluzione socialista rovesciare il governo capitalista e sostituirlo con un altro. Al contrario, la vittoria della rivoluzione proletaria può essere ottenuta soltanto cominciando a scalzare dalle basi del governo Ebert-Scheidemann con una lotta di massa rivoluzionaria sul terreno sociale condotta a ogni piè sospinto dal proletariato, e io vorrei a questo proposito ricordare alcune insufficienze della rivoluzione tedesca che non sono state superate con la prima fase, ma mostrano chiaramente che noi purtroppo non siamo ancora in grado di assicurare la vittoria del socialismo rovesciando il governo. Io ho cercato di spiegarvi che la rivoluzione del 9 novembre fu soprattutto una rivoluzione politica, mentre essa deve ancora diventare una rivoluzione essenzialmente economica. Ma essa è stata anche una rivoluzione soltanto cittadina, la campagna è rimasta finora pressoché immobile. Sarebbe un'illusione sperare di realizzare il socialismo senza l'agricoltura. In generale l'industria non può essere trasformata nel senso dell'economia socialista senza un'immediata combinazione con un'agricoltura socialisticamente organizzata. Il concetto più importante dell'ordinamento, economico socialista è l'eliminazione del contrasto e della separazione fra città e campagna. Questa separazione, questa opposizione, questo contrasto è un fenomeno puramente capitalistico che dev'essere subito eliminato se ci vogliamo porre da un punto di vista socialista. Se vogliamo operare sul serio una trasformazione socialista, voi dovete rivolgere la vostra attenzione tanto alla campagna quanto ai centri industriali, e qui purtroppo non siamo neppure al principio del principio. Questo lavoro dev'essere fatto seriamente non solo per la considerazione che senza l'agricoltura non possiamo socializzare, ma anche perché, quando poco fa abbiamo enumerato le ultime riserve della controrivoluzione contro di noi e contro i nostri forzi, noi non abbiamo tenuto conto di un'importante riserva, che sono i contadini. Proprio perché essi finora sono rimasti immobili, sono ancora una riserva per la borghesia controrivoluzionaria. E la prima cosa ch'essa farà, se la fiamma dello sciopero socialista le brucia le calcagna, sarà la mobilitazione dei contadini, di questi fanatici sostenitori della proprietà privata. Contro questa minacciosa forza controrivoluzionaria non è altro mezzo che portare la lotta di classe nelle campagne mobilitando contro i contadini il proletariato senza terra e i piccoli contadini (brava! e battimani).

Da ciò si deduce quel che dobbiamo fare per assicurare le premesse necessarie al buon esito della rivoluzione, e io vorrei perciò riassumere così i nostri compiti immediati: dobbiamo in futuro prima di ogni altra cosa sviluppare in tutte le direzioni il sistema dei consigli degli operai e dei soldati, e principalmente il sistema dei consigli degli operai. Quel che noi abbiamo intrapreso il 9 novembre fu solo un debole cominciamento, e non c'è solo questo. Nella prima fase della rivoluzione abbiamo persino riperduto degli importanti strumenti di potere. Voi sapete che una demolizione continua del sistema dei consigli degli operai e dei soldati è stata intrapresa dalla controrivoluzione. In Assia il governo controrivoluzionario li ha generalmente soppressi, in altri posti sono stati strappati loro di mano gli strumenti di potere.

Noi perciò non dobbiamo soltanto sviluppare questo sistema ma dobbiamo introdurvi anche gli operai agricoli e i piccoli contadini. Dobbiamo prendere il potere e dobbiamo porci il problema della conquista del potere in questo modo: che cosa fa, che cosa può, che cosa deve fare in tutta la Germania ogni consiglio di operai e di soldati? Là è il potere, noi dobbiamo scavare dal basso lo Stato borghese non più dividendo ma unificando potere pubblico, legislazione e amministrazione, e portarli ovunque nelle mani dei consigli degli operai e dei soldati.

Compagni, è un immenso campo che dobbiamo arare. Dobbiamo prepararci dal basso a dare ai consigli degli operai e dei soldati una tale potenza che, se il governo Ebert-Scheidemann o un altro simile viene rovesciato, questo sia soltanto l'atto conclusivo. La conquista del potere non si realizza tutta d'un colpo ma progressivamente, incuneandosi nello Stato borghese fino a occuparne tutte le posizioni e a difenderle con le unghie e con i denti. E la stessa lotta economica, secondo la concezione mia e dei compagni di partito a me più vicini, dev'essere condotta mediante i consigli operai. Anche la direzione delle lotte economiche da avviare su strade sempre più ampie dev'essere nelle mani dei consigli operai. I consigli operai devono avere tutto il potere nello Stato. Nel prossimo futuro dobbiamo lavorare in questa direzione con il risultato che, ponendoci tale compito, dobbiamo far conto anche su un colossale inasprimento della lotta a brevissima scadenza. Perché, compagni, dobbiamo lottare passo a passo, corpo a corpo, in ogni Stato, in ogni città, in ogni villaggio, in ogni comune, per trasferire ai consigli degli operai e dei soldati tutti gli strumenti del potere statale che devono essere pezzo a pezzo strappati alla borghesia. Ma per questo anche i nostri compagni, per questo i proletari devono essere dapprima educati. Anche là dove i consigli degli operai e dei soldati esistono, manca la coscienza dei compiti a cui essi sono chiamati (giustissimo!). Noi dobbiamo innanzitutto insegnare alle masse che il consiglio degli operai e dei soldati deve diventare in tutte le direzioni la leva del meccanismo statale, che esso deve assumere tutti i poteri e convogliarli tutti nella medesima corrente della rivoluzione socialista. Da ciò sono ancora mille miglia lontane quelle stesse masse operaie che sono già organizzate in consigli degli operai e dei soldati, fatta eccezione naturalmente di piccole minoranze di proletari che hanno chiara coscienza dei loro compiti. Ma non è questa una deficienza, bensì precisamente la normalità. E' esercitando il potere che una massa impara a esercitarlo. Non c'è nessun altro mezzo di insegnarglielo. Noi abbiamo fortunatamente superato i tempi in cui si diceva che bisognava educare socialisticamente il proletariato. Per i marxisti della scuola kautskiana fino a oggi questi tempi sembrano esistere tuttora. Educare socialisticamente le masse proletarie, cioè: tenere dei discorsi e diffondere manifestini e opuscoli. No, l'educazione socialista dei proletari non ha bisogno di tutto questo. Essi si educano gettandosi all'azione (giustissimo!). Qui è proprio il caso di dire: in principio era l'azione, e l'azione dev'essere che i consigli degli operai e dei soldati si sentano chiamati e imparino a diventare il solo potere pubblico in tutto il Reich. Solo in questo modo noi possiamo minare il terreno, in modo da renderlo maturo al crollo che deve coronare la nostra opera. E perciò, compagni, non era senza un preciso calcolo e senza una chiara coscienza se noi vi esponevamo ieri, se io in modo particolare vi dico: non pensate che la lotta sia così comoda anche per l'avvenire. Da parte di alcuni compagni si è falsamente creduto che io avessi attribuito loro l'intenzione di voler boicottare le elezioni dell'Assemblea nazionale per starsene a braccia conserte. Neppure per sogno ho pensato a una cosa simile. Solo non potevo affrontare l'argomento; ne ho invece la possibilità nel contesto di oggi. Secondo me la storia non ci fa le cose così comode come nelle rivoluzioni borghesi, quando bastava rovesciare al centro il potere ufficiale e sostituirlo con un paio o un paio di dozzine di uomini nuovi. Noi dobbiamo lavorare dal basso e questo corrisponde precisamente al carattere di massa della nostra rivoluzione quanto agli scopi che vanno al fondo della costituzione sociale; risponde al carattere della odierna rivoluzione proletaria che noi dobbiamo conquistare il potere politico non dall'alto ma dal basso. Il 9 novembre rappresentò il tentativo di abbattere il potere borghese, il dominio di classe, - un debole, incompiuto, incosciente, caotico tentativo. Quel che ora si deve fare è di dirigere con piena coscienza tutta la forza del proletariato contro le principali fortezze della società capitalistica. In basso, dove ciascun imprenditore ha di fronte a sé i suoi schiavi salariati, in basso dove tutti gli organi esecutivi del dominio politico di classe si trovano di fronte all'oggetto del loro dominio, alle masse, là dobbiamo passo passo strappare dalle mani dei nostri dominatori i loro strumenti di potere e porli nelle nostre mani. Disegnato in questo modo, il processo appare forse un tantino più lungo di quanto si sarebbe inclini a raffigurarselo in un primo momento. lo credo salutare per noi porci innanzi agli occhi con piena chiarezza tutte le difficoltà e complicazioni di questa rivoluzione. Giacché io spero che la descrizione delle grosse difficoltà e dei compiti che ci si ammassano dinanzi non operi su nessuno di voi, come non opera su di me, nel senso di raffreddare il vostro zelo e la vostra energia; al contrario, quanto più gravoso è il compito, tanto più raccoglieremo tutte le forze, e non dimentichiamolo: la rivoluzione sa attuare la propria opera con enorme celerità. lo non mi accingo a profetizzare quanto tempo occorre per questo processo. Chi di noi sta a fare i conti, che c'importa se la nostra vita basta appena allo scopo? Importa soltanto, che noi sappiamo con chiarezza e precisione quel che si deve fare; e che cosa ci sia da fare io spero di averlo in qualche modo detto nelle sue linee fondamentali con le mie deboli forze (applausi tempestosi).

 

Note

1. K. MARX e F. ENGELS Manifesto del Partito comunista, Torino 1948, pp. 287-288.

2. Ibid., pp. 143-144.

3. Nell'edizione italiana K. MARX - F. ENGELS, Opere scelte, Roma 1955, p. 1263.

4. Ibid., p. 1266.

5. Ibid., p. 1268.

6. Allusione al dibattito del giorno prima, nel corso del quale la Luxemburg aveva sostenuto la tesi della partecipazione alle elezioni dell'Assemblea costituente, rimanendo in minoranza.

 


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