Note sulla storia della letteratura francese del Lanson (a)

Georgij Valentinovič Plechanov

 


Georgij Valentinovič Plechanov, scritto tra il 1894 e il 1897


 

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Il lettore avrà forse constatato che negli esempi citati il Lanson considera gli scrittori da lui caratterizzati come dei rappresentanti della borghesia. In generale, egli ricollega spesso e volentieri l’evoluzione della letteratura francese all’evoluzione del regime sociale in Francia. Chi legga attentamente il suo libro troverà numerose prove della teoria per cui, essendo la letteratura il riflesso della società, ed essendo la società — secondo l’espressione di Belinskij — l’unità dei contrari, la lotta tra questi contrari determina il cammino di sviluppo della letteratura. C’è soltanto da rimpiangere che il Lanson non abbia compreso tutta la portata di una tale idea, e che quindi non abbia saputo applicarla conseguentemente allo studio della storia della letteratura. In certi casi, egli appare perfino incline a rifiutarla. Il suo pensiero non accetta completamente il determinismo applicato alla letteratura, e neppure agli avvenimenti storici in generale.

«Comprendo bene perché vi sia stata una tragedia francese; ma perché l’individuo Corneille, perché l’individuo Racine hanno scritto delle tragedie? La Fontaine, scrivendo, doveva manifestare l’originalità analizzata da Taine; ma doveva necessariamente manifestarla in delle Favole? Non lo vedo chiaramente. Senza dover far intervenire la libertà, c’è anche un effetto morale di cui le tre cause di Taine non ci danno conto».

Qui ci troviamo di fronte alla più evidente e stridente contraddizione di concetti. In primo luogo, per la storia della letteratura è importante chiarire come e perché è sorta, e come e perché è morta la tragedia francese; e non perché proprio Corneille — e non invece qualchedun altro — abbia scritto il Cid, problema inessenziale per l’interpretazione scientifica della storia letteraria. Se in realtà il Cid non fosse stato scritto da Corneille, ma da «qualchedun altro», in tal caso ci si potrebbe chiedere capovolgendo la domanda: perché da «qualchedun altro» e non da Corneille?

Le questioni di questo genere si possono moltiplicare all’infinito e non meritano la minima attenzione. E che non ci si venga a dire che se non siamo in grado di enumerare tutte le condizioni che determinano l’apparizione di un autore letterario, non possiamo nemmeno spiegare scientificamente la sua attività letteraria. Si tratta di un sofisma abbastanza penoso. Che cosa possiamo esigere da una spiegazione scientifica della storia della letteratura? L’indicazione di quelle condizioni sociali da cui è determinata tale storia. Ma quando ci si viene a chiedere perché proprio Corneille abbia scritto il Cid, allora si pretende da noi non soltanto la definizione delle peculiarità di quel particolare ambiente sociale in cui vissero Corneille e gli altri scrittori a lui contemporanei, ma anche l’enumerazione di tutte quelle circostanze relative alla vita privata da cui è stato condizionato lo sviluppo della personalità di Corneille e di tutti i letterati suoi contemporanei.
Diciamo «tutti», giacché soltanto una dettagliata enumerazione delle condizioni di sviluppo di ogni singolo scrittore potrebbe dimostrare perché solo Corneille fu Corneille, mentre nessun altro lo fu, né poteva esserlo. La scienza non sarà mai in grado di enumerare tutte queste condizioni. Ma da ciò non discende che bisogna chiamare in suo aiuto un «elemento di libertà». La meccanica è in grado di determinare esattamente la traiettoria di ogni proiettile di artiglieria, ma non è in grado di dire perché quella certa scheggia è venuta a cadere proprio qui, e non in un altro luogo. Da ciò ne conseguirebbe che noi dovremmo introdurre un «elemento di libertà» per spiegare il movimento dei proiettili di artiglieria?

«E’ inconcepibile che in letteratura non trovino il loro riflesso le trasformazioni che evidentemente si vengono compiendo nel mondo sociale, politico e morale, — dice il Lanson nell’ultimo capitolo del suo libro. — Siete per il socialismo o contro di esso? Questo è il grande problema del nostro tempo. Più che in qualsiasi altra epoca il disinteresse e l’unanimità sono diventati una necessità per la borghesia; essa deve compenetrarsi dello spirito di solidarietà, che solo è in grado di ampliare il cerchio delle idee e uccidere l’egoismo». Sul fondamento di ciò che il Lanson ci ha detto di Guizot, si poteva pensare che egli fosse ostile alla borghesia. Adesso invece noi vediamo che egli vorrebbe salvarla mediante dei consigli generosamente utopici. Tale apparente contraddizione viene spiegata dal fatto che in realtà egli è solo contro i privilegi che la ricca borghesia avrebbe potuto attribuirsi e che di fatto si era attribuita, ma non era invece affatto contro l’ordine sociale borghese. Egli sa che in Francia tale ordine sta crollando da tutte le parti, ma non sa con che cosa si potrebbe sostituirlo. Per questa ragione la morte di esso gli appare anche come la fine di qualsiasi società umana e di tutti i frutti della civiltà. E così egli cerca di salvarlo appellandosi a un «elemento di libertà». La fede in tale «elemento» gli procura un certo riposo morale. Per dirla altrimenti, Lanson si appella alla libertà per evadere dalla necessità, perché sente che l’obiettiva necessità delle cose si volge in Francia sempre più decisamente contro le «classi medie».

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Oggi è più che mai necessario studiare attentamente e diligentemente la storia dello sviluppo spirituale dell’umanità in tutti i campi in cui esso si è svolto; oggi da noi conosce una notevolissima diffusione ciò che nel nostro gergo letterario viene chiamato materialismo economico, secondo il quale l’evoluzione spirituale dell’umanità viene determinata — in ultima analisi — dai rapporti economici, e cioè dai rapporti di produzione. Questo, naturalmente, è un modo di vedere assolutamente giusto: soltanto dal punto di vista del materialismo economico (o, più giustamente, dialettico) è effettivamente possibile offrire una spiegazione scientifica della storia spirituale della società. Ma una tale spiegazione — come ogni altra spiegazione scientifica — presuppone un attento studio dei fatti e una buona conoscenza della realtà che non possono essere sostituiti da nessuna teoria, da nessuna concezione generale, anche se tale teoria o tale concezione sia in generale assolutamente giusta. Chi, parlando dello sviluppo spirituale dell’umanità, si limita a richiamare il fatto che esso in ultima analisi è stato determinato dallo sviluppo delle forze produttive, che a loro volta hanno dato origine a tutti gli ulteriori mutamenti nei rapporti sociali degli uomini, enuncia senza dubbio un’idea assolutamente giusta. Ma noi non sappiamo ancora se egli comprenda giustamente questo pensiero indubbiamente giusto, o se esso invece resti nel suo cervello sotto la forma di una morta astrazione, di uno sterile dogma accettato come un articolo di fede e fossilizzato nella sua imponente immobilità. Il materialismo dialettico avrebbe a soffrire più di ogni altro sistema filosofico da un atteggiamento dogmatico nei suoi confronti, giacché il dogmatismo è il nemico più acerrimo della dialettica. Il materialismo dialettico non è la giustapposizione di dogmi fossilizzati; esso è innanzi tutto un metodo di studio dei fenomeni. La sua importanza è davvero colossale. Ma esso è destinato a restare per sempre non pienamente comprensibile e non del tutto chiaro per chi si limiti unicamente a delle considerazioni metodologiche, e non si preoccupi di applicare il suo giusto metodo allo studio della realtà.

Ripeto che ora — più che mai per il passato — è necessario studiare la storia spirituale dell’umanità. Lanson può costituire un aiuto molto valido nello svolgimento di questo compito, per quanto si riferisce alla storia della letteratura francese. E’ vero che le sue opinioni personali sul compito principale che debbono affrontare coloro che studiano la storia della letteratura non possono essere considerate soddisfacenti; ma questo grave difetto viene riscattato dalla profonda conoscenza della materia, dalla finezza del gusto letterario e dalla coscienza che non permette all’Autore di lasciare nell’ombra o di passare sotto silenzio i fenomeni che sono nettamente in contraddizione con le sue opinioni preferite. Il lettore ha molto da guadagnare da una coscienza così scrupolosa, sebbene invece lo stesso Lanson ci perda molto: la storia della letteratura francese da lui scritta confuta già di per se stessa in notevole misura le sue opinioni errate; e ancor meglio ci indica la strada che conduce inevitabilmente alla scoperta della loro erroneità.

Nel fascicolo di giugno abbiamo già parzialmente messo in evidenza sia gli aspetti deboli che quelli validi delle opere di Lanson. Ma l’abbiamo fatto appunto solo in parte, giacché per una considerazione completa di essi era indispensabile scrivere un lungo articolo critico. Approfittiamo della presente nota per dire almeno una parte di ciò che non abbiamo detto.
«Lo studio della letteratura non può attualmente fare a meno dell’erudizione: un certo numero di conoscenze esatte, positive, sono necessarie per dare una base e guidare i nostri giudizi. D’altra parte non c’è nulla di più legittimo di tutti i tentativi che hanno per oggetto il collegamento — mediante l’applicazione di metodi scientifici — delle nostre idee e delle nostre impressioni particolari, e che si sforzano di rappresentare sistematicamente il cammino, gli sviluppi e le trasformazioni della letteratura. Ma non bisogna perdere di vista due cose: la storia letteraria ha per oggetto la descrizione di individualità; essa ha per base delle intuizioni individuali. Si tratta di cogliere non una specie, bensì Corneille o Hugo; e tali individualità vengono colte non per mezzo di esperienze o di procedimenti che chiunque può ripetere e che forniscono a tutti dei risultati invariabili, bensì per mezzo di facoltà che — essendo variabili da uomo a uomo — forniscono dei risultati necessariamente incerti e relativi. Né l’oggetto, né i mezzi della conoscenza letteraria sono — nel senso rigoroso della parola — scientifici».

Nella quarta edizione francese del suo libro Lanson si sforza, in una nota, di dissipare certi malintesi originati dal suo modo di vedere il fine e i mezzi dello studio della storia della letteratura.«Io non intendo dire — dice il Lanson — che bisogna tornare al metodo di Sainte-Beuve e creare una galleria di ritratti. Dico soltanto che, quando siano stati esauriti tutti i mezzi per determinare l’opera, una volta che sia stato dato alla razza, all’ambiente e al momento ciò che loro spetta, una volta che si sia tenuto conto della continuità di evoluzione del genere, resta spesso qualcosa che nessuna di tali spiegazioni è in grado di cogliere, qualcosa che nessuna di queste cause può determinare: ed è appunto in questo residuo indeterminato, inspiegato, che bisogna ricercare la superiore originalità dell’opera; questo residuo è appunto l’apporto personale di Corneille o di Hugo, e ciò che costituisce la loro individualità letteraria. Nella misura in cui questo apporto personale non è accessibile all’analisi scientifica, la storia della letteratura non è un argomento di studio rigorosamente scientifico».

Simili opinioni capita spesso di sentirle esprimere non soltanto in relazione alla storia della letteratura, ma anche in relazione alla storia in generale e perfino a tutte le scienze sociali. Sostanzialmente qui il Lanson non è affatto originale. Ma in tutto ciò che dice quest’uomo intelligente e serio c’è sempre un certo «residuo personale» che conferisce un tono originale e convincente a pensieri non originali e per niente giusti. Nel caso che ci riguarda, è originale la formulazione che il Lanson ha conferito a una corrente obiezione contro i tentativi di una spiegazione scientifica dei fenomeni sociali. Grazie a una tale formulazione l’obiezione appare a prima vista incontrovertibile: giacché un certo «residuo personale» si troverà verosimilmente nelle opere di qualsiasi scrittore, evidentemente bisogna riconoscere che il Lanson ha ragione, e cioè che le «conoscenze letterarie non possono esser definite scientifiche nel senso rigoroso della parola».
Ma consideriamo la cosa un po’ più da vicino, e per questo prendiamo uno degli scrittori citati dal Lanson, e cioè Corneille. A Corneille sono dedicate le pagine 545-564 del volume da noi analizzato. Rileggiamo queste pagine e vediamo quale sia in concreto il «residuo personale» che il nostro autore ha trovato presso questo grande scrittore tragico.

Cominciamo dalla «psicologia dell’eroe corneliano». Secondo le parole del Lanson, «l’eroismo di Corneille non è altro che l’esaltazione della volontà, riconosciuta come incondizionatamente libera e potente». L’eroe corneliano è anzitutto un uomo dotato di una volontà straordinariamente forte, e che è ben cosciente di questa facoltà distintiva del proprio carattere: «Sono padrone di me come dell’universo», dice Augusto nel Cinna. Anche gli altri eroi di Corneille appaiono altrettanto padroni di se stessi, e ciò non si riferisce soltanto agli uomini: le sue donne si distinguono per un’energia non meno orgogliosa e per una forza di autoaccusa non meno notevole. Ci si domanda come si può spiegare questo interessante fenomeno letterario. «Con l’influenza dell’ambiente sociale, — risponde lo stesso Lanson. — Noi riscontriamo uno straordinario accordo tra i soggetti psicologici di Corneille e l’autentica vita psicologica di quel tempo: perfino nelle donne c’era allora poca femminilità, esse vivevano più con la testa che col cuore» (pag. 554). Ma come mai le cose stavano così? E’ noto che la seconda metà del XVI secolo fu contraddistinta in Francia da dei disordini sociali straordinariamente violenti e da una durissima lotta tra fazioni opposte. Questa lotta e questi disordini determinarono una forte tensione della volontà e forgiarono i caratteri. In letteratura ciò trovò un riflesso nell’aumentato interesse per quelle dottrine morali in cui alla volontà viene riservato il posto principale: Du Vair traduce Epitteto, mentre Du Plessis-Mornay, d’Urfé e altri parafrasano Seneca, e così via. «Questo risveglio dell’energia morale prepara la teoria cartesiana della volontà e la corneliana teoria dell’eroismo, e lì va trovata la spiegazione del favore che incontrerà il giansenismo, che rappresenta una forma forte del cattolicesimo». Nello stesso senso si manifesta l’influenza della vita sociale della prima metà del XVII secolo: «La generazione che era cresciuta tra i ricordi del terribile passato e tra le scosse di un presente ancora inquietante, questi uomini delle cospirazioni contro Richelieu e della guerra dei trent’anni, sono delle nature forti e perfino rudi, poco disposte a trastullarsi con le bambinate della vita sentimentale... le passioni sono più brutali che raffinate... Questa gente non ha nulla, assolutamente nulla, di femminile: essi si lasciano governare dalla ragione e dalla volontà... Il loro romantico eroismo risponde a un imperioso bisogno di impegno e di azione» (pag. 512). La letteratura continua a riflettere queste salienti caratteristiche della psicologia sociale: «I romanzi e i poemi epici di quel tempo non sono altro che delle caricature di quel tipo vigoroso di cui Corneille ci dà il ritratto e Descartes la definizione». Nella seconda metà del secolo XVII, quando i disordini cessarono e quando il pieno trionfo della monarchia assoluta chiuse per un pezzo la via per cui s’indirizzava prima l’energia delle singole personalità (appartenenti a classi e ceti più o meno privilegiati), ecco che tanto nella vita quanto nella letteratura emergono in primo piano dei tipi diversi. Noi non tenteremo qui di darne la caratteristica; ci occorreva soltanto rilevare il fatto per noi straordinariamente importante che — per ammissione dello stesso Lanson — la psicologia degli eroi corneliani[1] è un fedele riflesso delle caratteristiche psichiche dell’ambiente sociale contemporaneo. E adesso riprendiamo a seguire il nostro autore ed ascoltiamo ciò che egli dice sulla «forma del dramma corneliano».

«Il principio fondamentale delle opere di Corneille, — dice il Lanson, — è la verità, la fedeltà alla vita. In un primo tempo egli avanzava a tentoni, giacché era cresciuto in un’epoca in cui non sarebbe venuto in mente a nessuno di volgere la poesia drammatica a un tale scopo; egli indirizzò la sua fantasia in varie direzioni... Ma fin da questi primi tempi egli si era creato una forma di commedia sobria, seria, vera... Quindi creò la vera tragedia, a cui si attenne».

Questa volta abbiamo evidentemente a che fare con ciò che costituisce il «residuo personale» delle opere di Corneille. In effetti, se egli assunse la verità a principio fondamentale delle sue opere drammatiche sebbene fosse cresciuto in un’epoca in cui nessuno pensava ad essa, sembra chiaro che il tratto distintivo più importante delle sue opere egli lo doveva a se stesso, e non all’ambiente sociale che lo circondava. Tuttavia anche qui dobbiamo osservare che una tale conclusione è esatta soltanto a prima vista. La verità della tragedia corneliana sta nell’assenza di quella romantica confusione che predominava nelle opere drammatiche dei suoi predecessori, per colpa della quale l’azione era determinata non dai caratteri o dalle condizioni proprie dei personaggi, bensì dalle fortuite combinazioni di cause parimenti fortuite. Lanson afferma che Corneille non fece mai ricorso a dei procedimenti romantici. C’est trop dire. Già Lessing nella sua Drammaturgia d’Amburgo dimostrò che non pochi elementi intenzionalmente innaturali e intricati s’incontrano anche nelle migliori opere di Corneille, per esempio in Rodogune[2] . Cionondimeno è indiscutibile che in tali opere vi era incomparabilmente più verità che non in quelle di Hardy, Scudéry, ecc. Pertanto è indispensabile riconoscere in Corneille il primo rappresentante, in ordine di tempo, dell’aspirazione alla verità nella poesia drammatica francese. Ma una tale circostanza non sta affatto a testimoniare a favore delle tesi del Lanson in letteratura. Il fatto è che l’aspirazione di Corneille alla verità nella poesia drammatica era semplicemente un’espressione di quelle tendenze razionalistiche che erano proprie a tutta la società di quel tempo e che costituivano di per sé una naturale reazione alla mentalità dominante nel periodo storico precedente. Ecco cosa dice lo stesso Lanson di tale reazione, passando in rivista le risultanze generali del XVI secolo: «Mediante la restaurazione della monarchia assoluta e della religione cattolica, lo spirito francese ha evaso le questioni spinose e pericolose... E’ vero che Montaigne ha delimitato la sfera dell’inconoscibile, ma se egli si trova a suo agio nel suo positivismo, al contrario tutti gli spiriti che non possono fare a meno di una qualche certezza chiedono alla fede di parlare quando la ragione non può che tacere... Dopo essersi assicurata da questo lato, la ragione, maturata nelle agitazioni del secolo e nello studio degli antichi, si riconosce giudice sovrano della verità che possiamo conoscere, e la letteratura s’impregna di un razionalismo positivo e scientifico. Il dominio della fede è riservato; al di fuori di esso tutto viene deciso dalla ragione... La letteratura — dove la ragione tende a dominare — si orienta verso l’universale; essa riconosce come suo oggetto ciò di cui chiunque può trovare in sé la verità e l’utilità». In tali condizioni, l’aspirazione di Corneille alla verità non rappresenta assolutamente nulla che non sia possibile spiegare per mezzo di cause sociali, e ci si può soltanto meravigliare che la verità non abbia trionfato nella poesia drammatica ancora prima dell’apparizione di Corneille.

Pertanto Corneille costituisce nella poesia drammatica francese il primo geniale rappresentante delle aspirazioni razionalistiche che erano generalmente proprie alla sua epoca e che si espressero, in parte anche prima di lui e in parte contemporaneamente, in altri campi della letteratura, per esempio in filosofia. Se non andiamo errati, i «residui personali» di questo genere non possono essere d’ostacolo a una spiegazione scientifica dell’evoluzione della letteratura universale.

Passiamo a considerare la scelta degli argomenti. Corneille «ha pensato a degli argomenti di vita privata e borghese, a ciò che noi chiamiamo il dramma: egli ne ha dato la formula, ma non l’ha applicata egli stesso» dice il Lanson. Ma perché? Non costituisce forse una tale circostanza un certo «residuo personale» nell’attività letteraria di Corneille? Lanson pensa che ciò sia stato determinato da molte cause. In primo luogo perché «il potere rivela l’uomo», come dicevano gli antichi greci: il potere libera l’uomo dalle molte limitazioni proprie della vita privata, e ci dà la possibilità di studiare meglio la natura delle sue passioni. Questa è una cattiva spiegazione. Essa infatti non dà nessuna risposta alla domanda del perché un simile argomento del potere come rivelatore dell’uomo si dimostrò assolutamente convincente per tutti i maggiori scrittori del XVII secolo, mentre non fu più tale nel XVIII secolo, quando Nivelle de la Chaussée, Diderot e Beaumarchais cominciarono a mettere in scena nelle loro opere drammatiche dei semplici mortali invece dei consueti re ed eroi. Vediamo se la seconda delle motivazioni addotte dal Lanson non spieghi meglio la faccenda: «In secondo luogo, — prosegue il Lanson, — al tempo di Corneille il destino degli uomini famosi interessava il pubblico più del destino dei semplici borghesi, e offriva delle motivazioni più adeguate alla grandezza delle passioni». Qui la faccenda cambia. Se al tempo di Corneille il destino dei semplici borghesi era poco interessante per il pubblico teatrale, era comprensibile che gli scrittori non facessero di questi borghesi gli eroi delle loro opere drammatiche. Diremo di più: la vita borghese di quel tempo era realmente priva d’interesse dal punto di vista dell’azione drammatica. E se nel secolo seguente il destino degli eroi borghesi poté destare un enorme interesse negli spettatori, per spiegare ciò è perfettamente sufficiente la motivazione contenuta nella posizione sociale che in parte occupava, e in parte tendeva ad occupare, la borghesia francese. «E poi anche perché — conclude il Lanson — gl’interessi storici conferiscono alle passioni una base più universalmente intelligibile che non gl’interessi professionali o finanziari da cui hanno origine le passioni borghesi». Questo è vero e non è vero. L’origine delle passioni borghesi non è sempre e soltanto da ricercarsi negli interessi professionali e finanziari: per esempio, alla fine del secolo scorso la borghesia era commossa anche da grandi «interessi storici». Ma naturalmente tali interessi potevano in essa manifestarsi soltanto in presenza di determinate condizioni che erano assenti all’epoca di Corneille. Ciò significa... significa che per spiegare la scelta da parte di un determinato scrittore di certi soggetti piuttosto che di altri, è assolutamente sufficiente la motivazione sociale.

Sarebbe facile dimostrare — e, notate bene, sul fondamento di fatti e considerazioni citate dallo stesso Lanson — che la «forma del dramma corneliano» in tutte le sue particolarità si spiega benissimo con la psicologia e le abitudini del ceto dominante, che all’epoca di Corneille costituiva appunto il «pubblico» teatrale. Ma dov’è questo «residuo personale» che dovrebbe assolutamente ritrovarsi nelle opere di Corneille se fosse vera la teoria del Lanson? Un tale residuo noi non lo vediamo. E ciò non ci stupisce. Ogni opera letteraria è espressione del proprio tempo. Il suo contenuto e la sua forma sono determinati dai gusti, dalle abitudini e dalle aspirazioni di quel tempo, e quanto è più grande lo scrittore, tanto più forte e più evidente appare la dipendenza del carattere delle sue opere dal carattere del suo tempo, e cioè, per dirla in altre parole, tanto minore appare nelle sue opere quel «residuo» che si potrebbe chiamare «personale». L’essenziale peculiarità, «l’originalità superiore» (il lettore ricorderà questa espressione del Lanson) del grande poeta si rileva nel fatto che egli nel proprio campo ha espresso prima o meglio o più pienamente degli altri i bisogni e le aspirazioni sociali o spirituali della propria epoca. In confronto a una tale peculiarità, che costituisce la sua «individualità storica», spariscono tutte le altre, così come scompaiono le stelle alla luce del sole. E una tale individualità storica può essere nella sua pienezza oggetto di una sottile analisi.

«Io non comprendo dunque — dice il Lanson — che si possa studiare la letteratura per altra finalità che per coltivarsi, o per un motivo diverso dal piacere che se ne può trarre». Ciò è pienamente comprensibile se si tien conto della sua teoria dei «residui personali». E’ anche comprensibile il fatto che non saranno d’accordo con lui tutti coloro — come noi — che considerano questa teoria infondata. Si può e si deve studiare la letteratura con la stessa finalità con cui il biologo studia la vita organica. E’ appena necessario aggiungere che un tale studio non può trovarsi in contrasto con il fine di coltivarsi, e che il piacere intellettuale che ci si procura con esso non è nel suo genere né minore, né inferiore al piacere estetico che ci procura la lettura delle maggiori opere artistiche.

 


NOTE:


a)Si tratta di due note scritte da Plechanov per due traduzioni in russo de 'La storia della letteratura francese' di Lanson. Sono state pubblicate senza firma per la prima volta nei nn. 9 e 12 della rivista 'Novoe Slovo'. La traduzione italiana che pubblichiamo è quasi integrale, e comunque non toglie nulla alla sostanza del discorso.

1)Ciò si dimostra in maniera ancora più chiara in un'altra opera del nostro autore, e cioè nel libro 'Nivelle de la Chaussée et la comédie larmoyante', Parigi 1887, seconda parte, capitolo primo: 'Origine della Comédie larmoyante'.

2)Nella rappresentazione di tale verità vi era, d'altra parte, molto di convenzionale, in corrispondenza con le abitudini e i gusti della buona società del tempo. Ma ora non è di questo che si tratta.

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Ultima modifica 06.05.2010