Il libro nero del comunismo

 


INDICE DEL VOLUME.

Parte seconda.
RIVOLUZIONE MONDIALE, GUERRA CIVILE E TERRORE

1. Il Comintern in azione (di Stéphane Courtois e Jean-Louis Panné)

2. L'ombra dell'N.K.V.D. in Spagna (di Stéphane Courtois e Jean-Louis Panné)
La linea generale dei comunisti
«Consulenti» e agenti
«Dopo le calunnie... le pallottole alla nuca»
Il maggio 1937 e l'eliminazione del POUM
L'N.K.V.D. all'opera
Un «processo di Mosca» a Barcellona
Nelle Brigate internazionali
L'esilio e la morte nella «patria dei proletari»

3. Comunismo e terrorismo (di Rémi Kauffer)

2. L'OMBRA DELL'N.K.V.D. IN SPAGNA di Stéphane Courtois e Jean-Louis Panné

Il 17 luglio 1936 i militari spagnoli del Marocco, guidati dal generale Franco, insorsero contro il governo repubblicano. Il giorno dopo la ribellione si estese al continente. Il 19 fu fermata in numerose città (Madrid, Barcellona, Valencia, Bilbao) dallo sciopero generale e dalla mobilitazione popolare. Da mesi il paese era sull'orlo della guerra civile. Il 16 febbraio di quell'anno il Fronte popolare aveva vinto le elezioni con un margine molto ristretto: la destra aveva raccolto 3 milioni 997 mila voti (132 deputati), il centro 449 mila e il Fronte popolare 4 milioni 700 mila (267 deputati). I socialisti avevano 89 deputati, la Sinistra repubblicana 84, l'Unione repubblicana 37, il Partito comunista spagnolo (P.C.E.) 16, il POUM (Partito operaio di unificazione marxista, nato nel 1935 dalla fusione del Blocco operaio e contadino di Joaquìn Maurin e della Sinistra comunista di Andrés Nin) uno solo. Una delle forze più importanti di Spagna non era rappresentata: gli anarchici della Confederazione nazionale del lavoro (C.N.T.) e della Federazione anarchica iberica (FAI) (un milione 577547 iscritti contro 1 milione 444474 del Partito socialista e dell'Unione generale del lavoro), coerentemente con i loro principi, non avevano presentato candidati, ma il Fronte popolare non avrebbe potuto vincere senza i voti loro e dei loro simpatizzanti. I 16 eletti del P.C.E. costituivano una rappresentanza molto superiore alle reali forze del Partito, che aveva 40 mila iscritti ufficiali, ma in realtà contava probabilmente su poco più di 10 mila militanti alla guida di una serie di organizzazioni satellite con un totale di oltre 100 mila iscritti.

Una sinistra divisa e composita, una destra potente e un'estrema destra decisa (la Falange), fermenti nelle città (scioperi) e nelle campagne (occupazione delle terre), un esercito forte delle sue prerogative, un governo debole, il susseguirsi di vari complotti, una violenza politica in continuo aumento: tutto concorreva allo scoppio di una guerra civile vivamente auspicata da molti. Fin dall'inizio il conflitto assunse una dimensione particolare: su scala europea divenne il simbolo dello scontro tra Stati fascisti e democrazie e, con l'entrata in lizza dell'Unione Sovietica, la polarizzazione tra destra e sinistra si fece più decisa.

- La linea generale dei comunisti

Il Comintern si era occupato poco della situazione spagnola, che cominciù ad attirare la sua attenzione solo dopo la caduta della monarchia nel 1931 e, soprattutto, con l'insurrezione operaia delle Asturie nel 1934. Neppure lo Stato sovietico se ne interessava molto, perché il riconoscimento reciproco tra i due paesi ebbe luogo solo nell'agosto 1936, dopo l'inizio della guerra civile, quando l'URSS aderì al patto di non intervento concluso in luglio dall'Inghilterra e dalla Francia
[1] nella speranza di impedire che il conflitto da interno diventasse internazionale. L'ambasciatore sovietico Marcel Izrailevic Rosenberg entrò in carica il 27 agosto.

Per accrescere la propria influenza, i comunisti avevano proposto una fusione con il Partito socialista. Questa tattica riscosse un primo successo solo a livello delle organizzazioni giovanili, con la costituzione della Gioventò socialista unificata il primo aprile 1936, e un secondo con la creazione del Partito socialista unificato di Catalogna (PSUC) il 26 giugno successivo.

Nel governo Largo Caballero, insediatosi nel settembre 1936, il P.C.E. aveva solo due ministri: Jes£s Hern ndez alla Pubblica istruzione e Vicente Uribe all'Agricoltura. Ben presto i sovietici acquisirono una grande influenza su quest'ultimo. Grazie alle simpatie di cui godeva fra i membri del governo (Alvarez del Vayo, Juan Negrin), Rosenberg riuscì a imporsi come una specie di vice primo ministro e a partecipare ai consigli dei ministri, favorito dal fatto che l'URSS era disposta a fornire armi ai repubblicani.

Questo intervento del Partito-Stato sovietico al di fuori del consueto campo di azione assume un'importanza particolare; si colloca in un momento di svolta, a quasi vent'anni dall'ascesa al potere dei bolscevichi, in un contesto internazionale che in breve tempo avrebbe reso possibile l'allargamento del potere sovietico nell'Europa centrale e orientale in due fasi successive (1939-1941 e 1944-1945). In Spagna il combinarsi di un profondo movimento sociale, che ricorda quelli sorti dal primo conflitto mondiale, e della guerra civile russa crea un terreno particolarmente favorevole all'intervento. La Spagna degli anni 1936-1939 è una sorta di laboratorio per i sovietici che, forti dell'esperienza accumulata, dispiegano l'intero arsenale politico di cui dispongono e sperimentano tecniche che saranno poi riprese all'inizio della seconda guerra mondiale e generalizzate alla fine del conflitto. Gli obiettivi sovietici sono molti, ma il più urgente è fare in modo che il Partito comunista spagnolo (sotto la supervisione dei servizi del Comintern e dell'N.K.V.D.) acquisisca il controllo sullo Stato in modo che la Repubblica si adegui il più possibile ai desiderata di Mosca. Un obiettivo del genere richiede l'adozione dei metodi sovietici, primo fra tutti l'onnipresenza della polizia e l'eliminazione di tutte le forze non comuniste.

Nel 1936 Ercoli (pseudonimo di Palmiro Togliatti), uno dei membri della direzione del Comintern, precisò le caratteristiche originali della guerra civile, definendola «guerra nazionale rivoluzionaria». Egli riteneva che la rivoluzione spagnola, popolare, nazionale e antifascista, imponesse nuovi doveri ai comunisti: «Il popolo spagnolo risolve i problemi della rivoluzione borghese democratica in maniera nuova». Ben presto individuò i nemici di questa concezione della rivoluzione spagnola: i dirigenti repubblicani e «anche quelli del Partito socialista», gli «elementi che, con il pretesto dei principi dell'anarchia, minano la coesione e l'unità del Fronte popolare con prematuri progetti di "collettivizzazione" forzata». Fissò un obiettivo: l'egemonia comunista realizzabile grazie a «un fronte unico tra i Partiti socialista e comunista, la creazione di un'organizzazione unica della gioventò lavoratrice, la creazione di un partito unico del proletariato in Catalogna [il PSUC], la trasformazione dello stesso Partito comunista in un grande partito di massa». Nel giugno 1937 Dolores Ib rruri, la comunista spagnola detta «Pasionaria» e famosa per i suoi appelli alla resistenza, propose un nuovo obiettivo: «una repubblica democratica e parlamentare di un "tipo nuovo"».

Subito dopo il "pronunciamiento" franchista, Stalin si mostrò relativamente indifferente alla situazione spagnola, come ricordato da Jef Last, che accompagnava André Gide a Mosca nell'estate del 1936:

    "Rimanemmo molto indignati nel trovarvi un'assoluta mancanza di interesse per quegli avvenimenti. Non se ne parlava in nessuna riunione e quando, durante una conversazione privata, affrontavamo l'argomento, tutti sembravano evitare con cura di esprimere un'opinione personale".

Tuttavia dopo due mesi, a causa anche della piega presa dagli avvenimenti, Stalin capì tutto il vantaggio che poteva trarre da quella situazione sul piano sia della diplomazia sia della propaganda. Aderendo alla politica del non intervento, l'URSS si integrava ulteriormente nel complesso delle nazioni e poteva, quindi, tentare di favorire una maggiore autonomia della Francia rispetto alla Gran Bretagna. Parallelamente, l'URSS si impegnava in segreto a fornire armi e aiuti militari alla Repubblica spagnola e sperava di sfruttare le possibilità offerte dal governo del Fronte popolare in Francia, che era disposto a collaborare con i servizi sovietici per organizzare gli aiuti materiali ai repubblicani spagnoli. Dietro istruzioni di Léon Blum, Gaston Cusin, vicecapo di gabinetto al ministero delle Finanze, incontrò le autorità e gli inviati sovietici stabilitisi a Parigi, da dove organizzavano il trasporto di armi e il reclutamento di volontari per la Spagna. Se lo Stato sovietico dichiarava di volersi tenere fuori dal gioco, il Comintern mobilitò tutte le proprie sezioni a favore della Spagna repubblicana facendo della sua lotta uno straordinario strumento di propaganda antifascista, particolarmente vantaggioso per il movimento comunista.

Anche in Spagna la tattica comunista consistette nell'occupare il maggior numero di posizioni per «orientare» la politica del governo repubblicano nel senso di quella del Partito-Stato sovietico, interessato a sfruttare al massimo la situazione di guerra. Julièn Gorkin, uno dei dirigenti del POUM, fu il primo a stabilire il nesso tra la politica sovietica nella Spagna repubblicana e l'instaurazione delle democrazie popolari in un saggio intitolato "Espa¤a, primer ensayo de democracia popular", pubblicato a Buenos Aires nel 1961. Laddove Gorkin vede l'applicazione di una strategia politica ben precisa, lo storico spagnolo Antonio Elorza considera la politica comunista in Spagna piuttosto come la conseguenza della «concezione monolitica, e non pluralista, dei rapporti politici nel Fronte popolare e del ruolo del Partito [che] porta naturalmente a trasformare l'alleanza in piattaforma per la conquista dell'egemonia». Antonio Elorza insiste, però, su quella che diventerà una costante della politica comunista: imporre l'egemonia del P.C.E. a tutti gli antifascisti, «non solo contro il nemico fascista esterno, ma anche contro l'opposizione interna». Aggiunge: «In questo il progetto costituisce un precedente diretto della strategia di ascesa al potere nelle sedicenti democrazie popolari».

Tale progetto stava per compiersi quando, nel settembre 1937, Mosca ebbe l'idea di una consultazione elettorale: le liste uniche avrebbero dovuto consentire al P.C.E. di trarre vantaggio da un «plebiscito nazionale». Il piano, ispirato e seguito attentamente da Stalin, mirava all'avvento di una «repubblica democratica di tipo nuovo» e prevedeva l'eliminazione dei ministri contrari alla politica comunista. Ma il tentativo non portò a nulla, a causa dell'opposizione incontrata fra gli alleati del P.C.E. e dell'inquietante evoluzione della situazione per i repubblicani dopo il fallimento dell'offensiva su Teruel il 15 dicembre 1937.

- «Consulenti» e agenti

Appena Stalin ebbe deciso che il terreno spagnolo offriva buone possibilità all'URSS e che era utile intervenirvi, Mosca mandò in Spagna un nutrito contingente di quadri alle dipendenze di organismi assai diversi. Prima di tutto i consulenti militari, il cui numero oscillò sempre tra 700 e 800, per un totale di 2044 (secondo una fonte sovietica): fra loro c'erano i futuri marescialli Konev e Zukov, o il generale V. E. Gor'ev, addetto militare a Madrid. Mosca mobilitò anche una serie di inviati ufficiali o ufficiosi di un altro tipo, gli uomini del Comintern. Alcuni erano permanenti, come l'argentino Vittorio Codovilla, che svolse un ruolo di rilievo nel P.C.E. fin dai primi anni Trenta e lo diresse effettivamente; l'ungherese Erno Gero (detto «Pedro»), che dopo la guerra sarebbe diventato uno dei padroni dell'Ungheria comunista; l'italiano Vittorio Vidali (sospettato di avere partecipato all'uccisione del leader comunista e studente cubano Julio Antonio Mella nel 1929), che sarebbe poi diventato il primo commissario politico del Quinto reggimento organizzato dai comunisti nel gennaio 1937; il bulgaro Minev-Stepanov, che aveva lavorato nella segreteria di Stalin dal 1927 al 1929, e un altro italiano, Palmiro Togliatti, arrivato nel luglio 1937 in qualità di rappresentante del Comintern. Altri, come il comunista francese Jacques Duclos, fecero in Spagna dei giri di ispezione.

Parallelamente Mosca inviò in Spagna anche un folto contingente di agenti dei servizi segreti: V. A. Antonov-Ovseenko [2], che aveva guidato l'assalto contro il Palazzo d'inverno a Pietrogrado nell'ottobre 1917, sbarcò a Barcellona il primo ottobre 1936; Aleksandr Orlov (che in realtà si chiamava L. Feldbin), responsabile dell'N.K.V.D. in Spagna; il polacco Arthur Stachevsky, ex ufficiale dell'Armata rossa diventato addetto commerciale; il generale Jan Berzin, capo dei servizi segreti dell'Armata rossa; Mihail Kol'cov, redattore della «Pravda» e portavoce occulto di Stalin, che prese alloggio al ministero della Guerra. Anche Leonid Ejtingon, comandante delle forze della Sicurezza di Stato (N.K.V.D.) e Pavel Sudoplatov, suo sottoposto, andarono a Barcellona; Ejtingon fu responsabile delle operazioni terroristiche dal 1936, perché Sudoplatov arrivò solo nel 1938. In breve, non appena decise di intervenire in Spagna, Stalin vi concentrò un intero Stato maggiore in grado di agire in modo concertato in molti campi diversi. Pare che nella notte del 14 settembre 1936 Jagoda, capo dell'N.K.V.D., avesse indetto alla Lubjanka, a Mosca, una riunione di coordinamento di tutti gli interventi comunisti in Spagna. Gli obiettivi erano sia combattere i franchisti e gli agenti tedeschi o italiani sia sorvegliare, controllare e mettere in condizioni di non nuocere gli avversari dei comunisti e dell'URSS all'interno del fronte repubblicano. L'intervento sovietico doveva essere il più segreto e il più mascherato possibile per non compromettere il governo. Stando al generale Krivitskij, che era il capo dei servizi esterni dell'N.K.V.D. nell'Europa occidentale, solo una quarantina dei circa 3000 sovietici presenti in Spagna avrebbe effettivamente combattuto, mentre gli altri erano consulenti militari, politici o agenti segreti.

Inizialmente i sovietici concentrarono i loro sforzi sulla Catalogna. Nel settembre 1936 il commissariato generale per l'Ordine pubblico della Generalidad di Catalogna, già infiltrato dai comunisti, istituì per decreto un Grupo de informaciòn diretto da un certo Mariano Gòmez Emperador nell'ambito dei servizi segreti catalani; questo servizio ufficiale, che in poco tempo arrivò a comprendere una cinquantina di persone, in realtà era una copertura dell'N.K.V.D. Parallelamente il Partito socialista unificato di Catalogna - nome scelto dai comunisti - si dotò di un Servicio extranjero con sede nella stanza 340 dell'hotel Colòn, in plaza de Catalunya, cui fu affidato l'incarico di controllare tutti i comunisti stranieri desiderosi di combattere in Spagna che passavano per Barcellona; anche in questo caso si trattava di un servizio tenuto sotto stretto controllo dall'N.K.V.D., cui faceva da copertura.

C'era un uomo che apparteneva a questi due organismi e che risultò poi essere il responsabile dell'N.K.V.D. in loco, alle dirette dipendenze di Orlov e Gero: Alfredo Hertz. Comunista tedesco la cui vera identità non è ancora del tutto nota, Hertz si era introdotto nel Cuerpo de investigaciòn y vigilancia del governo della Generalidad e controllava il servizio passaporti, e pertanto chiunque entrasse e uscisse dalla Spagna; era autorizzato a servirsi delle Guardie d'assalto, le truppe scelte della polizia. Grazie alla rete che aveva avviato presso il commissariato per l'Ordine pubblico della Generalidad, Hertz riceveva informazioni provenienti dagli altri partiti comunisti - liste nere di antifascisti, denunce di comunisti critici, dati biografici forniti dai servizi dei quadri dei vari P.C. - e le trasmetteva al Departamento de Estado diretto dal comunista Victorio Sala. Hertz creù un proprio servizio, il Servicio Alfredo Hertz, che sotto una copertura legale era una polizia politica parallela composta da comunisti stranieri e spagnoli. Sotto la sua direzione fu creato un archivio contenente i dati di tutti gli stranieri residenti in Catalogna e poi in Spagna e liste nere di individui da eliminare. In un primo tempo, da settembre a dicembre 1936, la persecuzione degli oppositori non fu sistematica. Solo a poco a poco l'N.K.V.D. stabilì dei veri e propri piani di repressione contro le altre forze politiche della Repubblica. Fra i primi a essere presi di mira ci furono i socialdemocratici, gli anarco-sindacalisti, i trotzkisti, i comunisti eterodossi o che manifestavano opinioni politiche dissidenti. Molti di questi «nemici» erano effettivamente critici nei confronti dei comunisti, di cui contestavano le mire egemoniche e l'allineamento con l'URSS. Ovviamente, come sempre succede nelle situazioni di questo tipo, alla repressione si mescolarono talvolta vendette personali.

***

Agenti dalla doppia o tripla identità applicarono metodi di polizia che andavano da quelli più banali a quelli più sofisticati. Il primo compito di questi poliziotti molto politici fu la «colonizzazione» di tutti gli ingranaggi della macchina dell'amministrazione repubblicana, dell'esercito e della polizia. La progressiva conquista dei posti chiave e l'infiltrazione di agenti si resero possibili grazie al fatto che l'URSS forniva armi ai repubblicani privi di mezzi e pretendeva in cambio contropartite politiche. Contrariamente a quel che fecero Hitler e Mussolini con i nazionalisti, l'URSS non faceva credito ai repubblicani e le armi dovevano essere pagate anticipatamente con le riserve in oro della banca centrale spagnola, che gli agenti riuscirono a fare arrivare fino nell'URSS; ciascun carico di armi costituiva una possibilità di ricatto che i comunisti non mancavano di sfruttare.

Julièn Gorkin dà un esempio molto significativo di questo intrico di guerra e politica: all'inizio del 1937 Largo Caballero, capo del governo spagnolo, appoggiato da Manuel Aza¤a (presidente della Repubblica), aveva autorizzato Luis Araquistain (ambasciatore a Parigi) a intavolare trattative segrete con l'ambasciatore italiano a Londra, Dino Grandi, e con Hjalmar Schacht, il finanziere di Hitler, sotto la supervisione di Léon Blum e Anthony Eden, per porre fine alla guerra. Avvertiti da Alvarez del Vayo, ministro filocomunista degli Affari esteri, i comunisti spagnoli decisero, d'accordo con i principali responsabili dei servizi sovietici, di estromettere Caballero, impedendo così qualsiasi soluzione negoziale del conflitto basata sul ritiro dei soldati italiani e tedeschi.

- «Dopo le calunnie... le pallottole alla nuca»

Queste le parole pronunciate da Victor Serge, lo scrittore russo-belga liberato dall'URSS nell'aprile 1936, durante il suo incontro con Julièn Gorkin nel 1937; parole con le quali egli avvertiva il militante del POUM del fatale andamento della politica comunista. Una politica che pure incontrava seri ostacoli: il consistente gruppo anarco-sindacalista della C.N.T. sfuggiva all'influenza dei comunisti e il POUM era contrario alla loro politica. Quest'ultimo era una vittima designata a causa della sua debolezza e della sua posizione marginale nello scacchiere politico. Ai comunisti questa configurazione politica risultò particolarmente utile. Il POUM aveva tra l'altro fama di essere legato a Trotsky: nel corso del 1935 i suoi capi Andrés Nin e Julièn Gorkin avevano compiuto alcuni passi presso le autorità catalane affinché Trotsky, espulso dalla Francia, potesse stabilirsi a Barcellona. Nel contesto della caccia ai trotzkisti in corso all'epoca nell'URSS, non c'è da stupirsi che la segreteria del Comintern riunitasi il 21 febbraio 1936, cioè cinque giorni dopo la vittoria elettorale del Fronte popolare spagnolo, abbia dato al P.C.E. l'ordine di condurre «una lotta energica contro la setta trotzkista controrivoluzionaria». Per di più durante l'estate del 1936 il POUM ebbe l'audacia di prendere le difese delle vittime del primo dei processi di Mosca.

Il 13 dicembre 1936 i comunisti riuscirono a estromettere dal Consiglio della Generalidad catalana Andrés Nin. Pretesero che venisse allontanato con la scusa che si era reso colpevole di calunnia nei confronti dell'URSS e sfruttarono il ricatto delle consegne di armi per ottenere il loro scopo. Il 16 dicembre la «Pravda» lanciù una campagna internazionale contro gli oppositori della politica sovietica: «In Catalogna è cominciata l'eliminazione dei trotzkisti e degli anarco-sindacalisti; verrà portata a termine con la stessa energia con cui è stata portata a termine nell'URSS». Qualsiasi divergenza politica equivaleva, secondo la mentalità comunista, a un tradimento che richiedeva sempre e dovunque lo stesso trattamento immediato o differito. Il POUM era bersaglio di calunnie e menzogne e i suoi uomini al fronte si videro accusati di avere abbandonato le posizioni, quando invece erano le unità comuniste a rifiutare loro qualsiasi appoggio. Il quotidiano del Partito comunista francese, «L'Humanité», si distinse particolarmente in quest'opera pubblicando gli articoli di Mihail Kol'cov, grande amico della coppia Aragon-Triolet. Il tema centrale di questa campagna si riassumeva in un'affermazione continuamente ripetuta: il POUM è complice di Franco, tradisce a vantaggio del fascismo. I comunisti presero la precauzione di infiltrare nei suoi ranghi degli agenti che, al momento opportuno, avrebbero dovuto identificare i militanti arrestati. Un caso è noto: quello di Léon Narvich che, entrato in contatto con Nin, fu smascherato e giustiziato da un gruppo di autodifesa del POUM dopo la scomparsa di Nin e l'arresto dei dirigenti del Partito.

- Il maggio 1937 e l'eliminazione del POUM

Il 3 maggio le unità delle Guardie d'assalto dirette dai comunisti attaccarono la centrale telefonica di Barcellona, controllata dagli operai della C.N.T. e dell'U.G.T. L'operazione, condotta da Rodrìguez Salas, capo della polizia e membro del PSUC, era stata preceduta da un'intensificazione della propaganda e delle persecuzioni (chiusura della radio del POUM e sospensione della pubblicazione dell'organo del partito, «La Batalla»). Il 6 maggio 5000 agenti di polizia inquadrati da capi comunisti arrivarono a Barcellona. Ci furono violenti scontri tra forze comuniste e non comuniste, con quasi 500 morti e più di 1000 feriti.

Approfittando della confusione, gli agenti dei servizi comunisti non si lasciarono sfuggire occasione per eliminare gli oppositori. Il filosofo anarchico italiano Camillo Berneri e il suo compagno Barbieri furono sequestrati e giustiziati da un commando di 12 uomini; i loro cadaveri crivellati di colpi furono ritrovati il giorno dopo. Camillo Berneri pagò, così, per il suo coraggio politico, dopo avere scritto sul suo giornale «Guerra di classe»: «Oggi combattiamo contro Burgos, domani dovremo lottare contro Mosca per difendere le nostre libertà». Anche Alfredo Martìnez, segretario della Gioventò libertaria di Catalogna, il militante trotzkista Hans Freund e l'ex segretario di Trotsky, Erwin Wolf, subirono la stessa sorte.

Austriaco e comunista di opposizione, Kurt Landau aveva militato in Germania, in Austria e in Francia prima di arrivare a Barcellona e aderire al POUM. Fu arrestato il 23 settembre e scomparve in circostanze analoghe. La moglie Katia, anche lei in prigione, ha lasciato una testimonianza su queste epurazioni:

    "Le case del Partito, come per esempio la Pedrera, Paseo de Gracia, le caserme Carlos Marx e Voroscilov erano delle vere trappole, degli scannatoi. Nella Pedrera alcuni testimoni hanno visto per l'ultima volta i due compagni «scomparsi» di Radio POUM. I giovani anarchici vennero portati nelle caserme comuniste per essere torturati in modo orribile, mutilati e infine assassinati. I loro cadaveri sono stati trovati per caso". Cita un articolo dell'organo anarco-sindacalista «Solidaredad obrera»: "E' stato constatato che prima di morire sono stati torturati in modo barbaro, come dimostrato dal fatto che i corpi presentano gravi contusioni ed ematomi sul ventre, che è gonfio e deforme ... Uno dei cadaveri è stato evidentemente appeso per i piedi; la testa e il collo sono spaventosamente viola. La testa di un altro di questi sfortunati giovani compagni reca segni evidenti di colpi dati con il calcio di un fucile".

Di alcuni militanti, tra i quali Guido Picelli, si persero completamente le tracce. George Orwell - che si arruolò volontario in una colonna del POUM, visse quelle giornate paragonabili alla strage della notte di San Bartolomeo e dovette poi nascondersi e fuggire - descrisse, nelle pagine conclusive del celebre "Omaggio alla Catalogna", l'atmosfera da caccia all'uomo che regnava a Barcellona. Gli omicidi pianificati dalle polizie comuniste non vennero commessi solo a Barcellona. A Tortosa il 6 maggio 20 militanti della C.N.T., arrestati dalle forze governative di Valencia, furono portati fuori dalle segrete del municipio e abbattuti da una banda di uomini armati. Il giorno dopo a Tarragona furono freddamente giustiziati 15 militanti libertari.

Quel che i comunisti non erano riusciti a ottenere pienamente sul campo lo ottennero sul piano politico. Largo Caballero, capo del governo, rifiutava di cedere alle esortazioni dei comunisti che chiedevano lo scioglimento del POUM. José Dìaz, segretario generale del P.C.E., aveva dichiarato in maggio: «Il POUM deve essere eliminato dalla vita politica del paese». Dopo gli scontri di Barcellona, il 15 maggio Caballero fu costretto a dare le dimissioni. Gli succedette il governo di Juan Negrin, un socialista moderato ligio ai dettami dei comunisti: tutti gli ostacoli al raggiungimento dei loro scopi erano stati abbattuti. Negrin non solo si allineù con i comunisti - in seguito scrisse al giornalista del «Times» Herbert L. Matthews che il POUM «era controllato da elementi molto allergici ... a tutto ciù che significava direzione unica e suprema della lotta, sotto una disciplina comune» - ma approvò il regime di terrore riservato al POUM. Julièn Gorkin notò il radicale cambiamento avvenuto:

    "Qualche giorno dopo la formazione del governo presieduto da Juan Negrin, Orlov si comportava già come se considerasse la Spagna un paese satellite. Si presentò alla direzione generale della Sicurezza e chiese al colonnello Ortega, che trattava come un suo subordinato, dei mandati di arresto contro alcuni membri del Comitato esecutivo del POUM".
Il 16 giugno 1937 Negrin mise fuori legge il POUM, il cui Comitato esecutivo fu arrestato. Questa decisione ufficiale permise agli agenti comunisti di agire con una parvenza di legalità, per quanto limitata. Il giorno stesso, alle 13.00, Andrés Nin fu fermato da alcuni poliziotti. Nessuno dei suoi compagni lo rivide mai più, né vivo né morto.

I poliziotti venuti da Madrid, più sicuri perché nella capitale la polizia era completamente nelle mani dei comunisti, diedero l'assalto alla redazione della «Batalla» e a vari locali del POUM. Duecento militanti, tra cui Julièn Gorkin, Jordi Arquer, Juan Andrade, Pedro Bonet, furono arrestati. Per giustificare a posteriori l'eliminazione del POUM, i comunisti inventarono un presunto tradimento e accusarono il Partito operaio di spionaggio a favore dei franchisti. Il 22 giugno fu istituito un tribunale speciale e si scatenò la propaganda: durante le perquisizioni la polizia scoprì molto opportunamente alcuni documenti che avvaloravano la falsa tesi dello spionaggio. Max Rieger, giornalista allineato o pseudonimo collettivo, raccolse queste invenzioni in un suo libro sullo spionaggio in Spagna, che fu diffuso in tutte le lingue.

Diretti da Orlov e protetti da Vidali, Ricardo Burillo e Gero, gli sgherri che tenevano Andrés Nin lo torturarono senza riuscire né a strappargli la confessione necessaria per dimostrare la validità delle accuse rivolte contro il suo partito né a fargli firmare la benché minima dichiarazione. A quel punto non restava che eliminarlo e utilizzare la sua scomparsa per screditarlo, affermando che era passato dalla parte dei franchisti: assassinio e propaganda andavano di pari passo, ma l'apertura degli archivi a Mosca ha permesso di confermare quel che gli amici di Nin supponevano fin dal 1937.

***

La caccia all'uomo sistematica contro i traditori, trotzkisti o altro, cominciù soltanto dopo l'attacco al POUM, il 16 e il 17 giugno. Per condurre le operazioni gli agenti sovietici disponevano delle informazioni della polizia. Organizzarono delle prigioni illegali e parallele, dette "cekas", con una significativa trasposizione del vecchio nome della polizia politica sovietica, la Ceka. I nomi di questi luoghi sono giunti fino a noi: la "ceka" centrale di Barcellona era al 24 dell'avenida Puerta del Angel, con una succursale all'hotel Colòn in plaza de Catalunya, poi c'erano l'ex convento di Atocha a Madrid, Santa Ursula a Valencia, Alcal de Henares. Anche molte case private requisite ai proprietari venivano usate per la detenzione, gli interrogatori e l'esecuzione dei prigionieri.

All'inizio del 1938 c'erano 200 antifascisti e antistalinisti nella "ceka" Santa Ursula, da allora soprannominata la Dachau della Spagna repubblicana con riferimento al primo campo di concentramento aperto dai nazisti per sterminare gli avversari politici. Una vittima racconta:

    "Quando gli stalinisti decisero di farne una 'ceka', erano in corso i lavori di pulizia del piccolo cimitero. I cekisti ebbero un'idea diabolica: lasciarono il cimitero com'era, con le tombe aperte, gli scheletri e i cadaveri più recenti in decomposizione. E vi chiusero per notti e notti i detenuti più recalcitranti. Usavano anche altri supplizi particolarmente brutali: molti prigionieri venivano appesi per i piedi, a testa in giù, per giorni interi. Altri venivano chiusi dentro piccoli armadi con pochi buchi praticati all'altezza del viso per permettere loro di respirare... C'era anche un supplizio ancora più brutale: quello del cassetto. Si costringevano i prigionieri a rannicchiarsi dentro casse quadrate e a rimanervi per parecchi giorni; alcuni vi rimasero per otto o dieci giorni senza potersi muovere..."

Per queste mansioni gli agenti sovietici si servivano di depravati che si sentivano giustificati dalle parole della Pasionaria. La Ib rruri non aveva forse detto a una manifestazione comunista a Valencia: «Meglio condannare cento innocenti che assolvere un solo colpevole»? Il ricorso alla tortura era sistematico, per esempio con il supplizio della vasca da bagno piena di acqua insaponata che costringeva a vomitare. Certe tecniche erano tipicamente sovietiche, come la privazione del sonno e soprattutto il metodo di chiudere il prigioniero in un armadio strettissimo detto "celda-armario" (cella- armadio), in cui questi non poteva stare né in piedi né seduto e non poteva muoversi; riusciva appena a respirare ed era costantemente abbagliato da una lampadina. Aleksandr Solzenicyn ha descritto molto bene queste celle nella scena di "Arcipelago Gulag" in cui racconta il proprio arrivo alla Lubjanka.

Anche le esecuzioni sommarie erano all'ordine del giorno:

"Il tenente Astorga Vayo, che fa parte del Servicio de investigaciòn militar e del l'N.K.V.D., ha trovato un mezzo per impedire le evasioni: dal momento che i prigionieri sono riuniti in file di cinque, per ogni detenuto che manca fa fucilare gli altri quattro e minaccia anche la fila davanti e quella dietro. Questo comportamento suscitava indignazione persino in alcuni dei suoi stessi commilitoni, ma Vayo, esonerato dalle sue funzioni, fu promosso e divenne comandante di uno dei principali campi di concentramento della Catalogna, quello di Onell de Nagaya, nella provincia di Lérida. Il numero di arresti è stato stimato più o meno nello stesso modo da vari autori. Secondo Katia Landau furono circa 15 mila, di cui 1000 appartenenti al POUM, le persone che finirono nelle prigioni ufficiali e clandestine. Yves Lévy, che indagò sul posto, parla di «circa 10 mila rivoluzionari, civili o soldati, prigionieri» iscritti al POUM, alla C.N.T. e alla FAI. Alcuni morirono in seguito ai maltrattamenti, come Bob Smilie, il corrispondente dell'Independent Labour Party presso il POUM, o Manuel Maurin, fratello di Joaquìn che era stato fatto prigioniero dai franchisti ma si era salvato, nella "c rcel modelo" (prigione modello) di Barcellona. Alla fine del 1937, secondo Julièn Gorkin, c'erano 62 condannati a morte nella prigione di Santa Clara.

Annientato il POUM, allontanati o neutralizzati i socialisti, rimanevano gli anarchici. Sotto la loro influenza, nei primi mesi della controffensiva repubblicana al "pronunciamiento" dei militari, le collettività agrarie si erano moltiplicate, soprattutto in Aragona. Alcune settimane dopo il maggio 1937 città e paesi d'Aragona furono attaccati dalle Guardie d'assalto. Il congresso delle collettività fu rimandato e l'11 agosto fu pubblicato il decreto di scioglimento del Consiglio d'Aragona che le controllava. Il presidente Joaquìn Ascaso fu accusato di avere rubato dei gioielli, arrestato e sostituito da un governatore generale di nome José Ignacio Mantecon, membro della Sinistra repubblicana e in realtà infiltrato comunista. Si trattava di un attacco diretto alla C.N.T. destinato a minare le basi della sua influenza.

L'Undicesima divisione comandata dal comunista Enrique Lister, che aveva già al suo attivo numerosi soprusi in Castiglia (esecuzioni di libertari, violenze contro i contadini collettivisti), la Ventisettesima (detta Karl Marx, del PSUC) e la Trentesima dispersero con la forza le collettività. Centinaia di libertari furono arrestati, espulsi dai consigli comunali e sostituiti con comunisti, mentre le terre coltivate in regime di collettivizzazione furono restituite agli ex proprietari. L'operazione coincise con l'annuncio di un'offensiva di vasta portata contro Saragozza, in modo da giustificare un rastrellamento nelle retrovie in previsione dell'offensiva. Nonostante il massacro di centinaia di uomini, i contadini ricostituirono le collettività. In Castiglia il famoso generale comunista «el Campesino» (Valentin Gonz lez) guidò le operazioni contro i contadini. Secondo César M. Lorenzo la sua crudeltà superò quella di Lister. Di nuovo furono sterminate centinaia di contadini e furono incendiati interi villaggi, ma la C.N.T. rispose militarmente all'attacco e pose fine alla spedizione del Campesino.

- L'N.K.V.D. all'opera

Nella Spagna del 1937 l'N.K.V.D. era diventata una sorta di sezione distaccata del ministero dell'Interno, con il nome di Grupo de informaciòn, e gli agenti comunisti controllavano la direzione della Sicurezza. Durante la primavera e l'estate del 1937 il Servicio Alfredo Hertz conobbe il massimo dell'attività. Lo stesso Hertz fu definito da Julièn Gorkin «uno dei grandi maestri degli interrogatori e delle esecuzioni». Insieme con lui lavorava Hubert von Ranke, ingaggiato da Erno Gero nel 1930, che per un certo periodo fu commissario politico del battaglione Th„lmann delle Brigate internazionali e venne poi incaricato della sorveglianza degli stranieri di lingua tedesca. Fu probabilmente in questa veste che egli arrestò Erwin Wolf, il quale, poco tempo dopo essere stato rilasciato, sparì.

Arrestata l'11 settembre 1937 da due rappresentanti di quell'organismo ufficiale che era il Grupo de informaciòn, Katia Landau ha lasciato una testimonianza sui metodi di von Ranke:

    "Uno degli agenti più ignobili della G.P.U., Moritz Bressler, alias von Ranke, ha ridotto al minimo la procedura di accusa. Lui e la moglie, Seppl Kapalanz, hanno fatto arrestare un compagno, sospettando che sapesse dove si trovava Kurt Landau. «Se non ci dà il suo indirizzo» gli dicevano «non uscirà mai più di prigione. E' un nemico del Fronte popolare e di Stalin. Appena sapremo dove abita, andremo ad ammazzarlo»" [3].
Nella notte tra il 9 e il 10 aprile 1937 un giovane sconosciuto, Marc Rejn, impegnato nei movimenti di estrema sinistra norvegese e tedesco, scomparve dalla sua camera d'albergo a Barcellona. Qualche giorno dopo, gli amici se ne accorsero e avvertirono l'opinione pubblica. Marc Rejn era figlio di Rafail Abramovic, un esule russo dirigente della Seconda Internazionale. La posizione della vittima e l'accanimento con cui gli amici e la famiglia cercarono di scoprire la verità sulla sua sorte causarono grande emozione all'estero e non poco imbarazzo nella Spagna repubblicana. Il governo spagnolo fu costretto ad affidare a uno dei suoi agenti segreti un'indagine che, com'era logico, portò a individuare nel Servicio Alfredo Hertz il responsabile della scomparsa. Il braccio di ferro tra la polizia dell'N.K.V.D. e il governo fu tale che, il 9 luglio 1937, il segretario di Stato presso il ministero dell'Interno provocò davanti a testimoni un confronto tra il suo informatore (agente S.S.I. 29) e i due compari Hertz e Gòmez Emperador. L'agente S.S.I. 29 fu arrestato il giorno dopo dal servizio di Hertz, ma il servizio segreto per cui lavorava era ancora abbastanza potente da riuscire a liberarlo. S.S.I. 29, che in realtà si chiamava Laurencic, nel 1938 fu localizzato e arrestato dai franchisti, deferito a un tribunale militare e giustiziato in quanto agente dell'N.K.V.D.!

La vicenda di Rejn, pur non essendo stata del tutto risolta visto che ancora oggi non si sa che fine fece, ebbe però l'effetto di costringere Alfredo Hertz e Gòmez Emperador, dal luglio 1937 in poi, a rinunciare alle azioni troppo scoperte: i loro servizi furono sciolti e ricostituiti sotto la direzione di Victorio Sala. Il 15 agosto il ministro della Difesa, il socialista Indalecio Prieto, istituì il Servicio de investigaciòn militar (SIM) che doveva riunire tutti i servizi di sorveglianza politica e di controspionaggio. In breve tempo il SIM arrivò ad avere 6000 agenti, fra cui molti «tecnici» del Servicio Hertz. Nel 1939 Prieto testimoniò che il SIM, in teoria destinato al controspionaggio, era stato istituito sotto la spinta dei sovietici e che ben presto, nonostante le precauzioni prese (all'inizio era diretto da un amico del ministro), i comunisti se ne impadronirono e lo utilizzarono per i loro scopi. Dietro pressioni sovietiche e comuniste, Prieto fu estromesso dal governo il 5 aprile 1938.

Julièn Gorkin ha descritto le attività del SIM:

    "Arresta a caso, per capriccio, cioè per ubbidire al piano di rappresaglie politiche dell'N.K.V.D. Il «sospetto» viene messo in prigione e si istruisce un processo ... Il SIM conserva i dossier per mesi e mesi, con la scusa di un eventuale supplemento di indagine. E il SIM, terrore dei magistrati e degli avvocati, si intromette se il giudice è convinto dell'innocenza del prigioniero".

Il comunista svizzero Rudolf Frei, ex meccanico, che aveva frequentato i corsi della Scuola leninista internazionale a Mosca nel 1931-1932, era stato incaricato di organizzare da Basilea il trasferimento dei volontari in Spagna. Alla fine del 1937 chiese di partire per la Spagna e andò a dirigere il servizio di controllo del SIM, con il compito di «seguire» in particolare gli svizzeri. A partire dalla primavera del 1938 molti degli antifascisti chiusi nelle prigioni controllate dai comunisti furono portati al fronte e costretti, insieme con i prigionieri franchisti, a eseguire lavori forzati di sterro e altro, in condizioni durissime, senza cibo, senza cure e sotto la minaccia continua delle armi comuniste.

Uno dei sopravvissuti, che era riuscito a evadere, Karl Brauning, membro di un gruppo comunista tedesco dissidente, raccontò ad alcuni amici personali nel dicembre 1939, più di sei mesi dopo la fine del suo calvario:

    "Quel che abbiamo passato da luglio in poi è spaventoso e crudele al tempo stesso. Le 'Memorie da una casa di morti' di Dostoevskij non sono che pallide copie al confronto ... A questo si aggiungeva la fame continua, al limite del delirio. Sono la metà di quello che ero una volta. Pelle e ossa. Sono anche malato e completamente privo di forze. A questo stadio il confine tra uomo e animale svanisce, si raggiunge il primo grado della barbarie. Oh! Il fascismo ha ancora molto da imparare da questi banditi e può persino permettersi il lusso di presentarsi come portatore di cultura. Senza dubbio sui nostri dossier doveva essere scritto: «Da annientare fisicamente con mezzi legali». E' questo che hanno cercato di fare fino all'ultimo".

- Un «processo di Mosca» a Barcellona

Nonostante queste ristrutturazioni e queste operazioni di infiltrazione e camuffamento, l'N.K.V.D. incontrò alcuni ostacoli: dopo la feroce repressione di cui era stato oggetto, il POUM ebbe il sostegno di vari gruppi che in Francia formarono un Cartello di difesa dei rivoluzionari detenuti nella Spagna repubblicana. Una campagna di opinione si contrapponeva così alle manovre oscure e criminali dei sovietici. Tre delegazioni in tutto si recarono a indagare sul posto. Nel novembre 1937 la terza, guidata da John MacGovern dell'Independent Labour Party e dal professor Félicien Challaye, poté visitare le prigioni di Barcellona, in particolare la "c rcel modelo" in cui erano internati 500 antifascisti, e raccogliere le loro testimonianze sulle sevizie subite. MacGovern e Challaye ottennero la liberazione di una dozzina di prigionieri. Tentarono anche invano di entrare nella prigione segreta dell'N.K.V.D., che si trovava in plaza Junta. Malgrado l'appoggio del ministro della Giustizia Manuel de Irujo, non ci riuscirono. MacGovern concluse: «La maschera è caduta. Avevamo sollevato il velo e rivelato dove si trovava il vero potere. I ministri volevano, ma non potevano».

Dall'11 al 22 ottobre 1938 i membri del Comitato esecutivo del POUM - Gorkin, Andrade, Gironella, Rovira, Arquer, Rebull, Bonet, Escuder - furono convocati dal tribunale speciale per un processo ispirato a quelli di Mosca e volto tra l'altro a dare maggior credibilità alle accuse avanzate nell'URSS contro gli oppositori, riuniti nella categoria generica dei trotzkisti. Ma gli imputati respinsero tutti i capi d'accusa. André Gide, Georges Duhamel, Roger Martin du Gard, Fran‡ois Mauriac e Paul Rivet mandarono un messaggio telegrafico a Juan Negrin perché gli imputati beneficiassero di tutte le garanzie giuridiche. Dal momento che l'accusa si basava tra l'altro su confessioni estorte, al processo gli accusatori caddero in contraddizione. Non fu emessa nessuna delle condanne a morte chieste dalla stampa comunista [4], ma il 2 novembre i militanti del POUM furono condannati a quindici anni di prigione (tranne Jordi Arquer, condannato a undici, e David Rey, che fu assolto) per avere «falsamente affermato sul giornale "La Batalla" che il governo della Repubblica è agli ordini di Mosca e perseguita tutti coloro che a tali ordini non si piegano», una motivazione che suona come una confessione!

Quando nel marzo 1939 la Repubblica fu sconfitta, l'ultimo responsabile del SIM cercò di consegnare i condannati a Franco perché li facesse fucilare, affidando così ai nemici della Repubblica il compito di portare a termine l'opera sinistra che gli agenti dell'N.K.V.D. non avevano potuto completare. Fortunatamente i superstiti del Comitato esecutivo del POUM riuscirono a fuggire.

- Nelle Brigate internazionali

L'eco suscitata nel mondo dalla lotta dei repubblicani era stata tale che molti volontari decisero spontaneamente di andare in Spagna a combattere i nazionalisti, arruolandosi nelle milizie o nelle colonne delle organizzazioni di cui erano simpatizzanti. Ma le Brigate internazionali in sé e per sé furono create per iniziativa di Mosca e costituirono un vero e proprio esercito comunista
[5], anche se non comprendevano solo comunisti. Del resto bisogna distinguere tra i veri combattenti che arrivarono al fronte e gli uomini di apparato che, sia pur appartenendo formalmente alle Brigate, rimasero lontani dai campi di battaglia. Perché la storia delle Brigate internazionali non si esaurisce con i combattimenti eroici dei loro membri.

Le Brigate ampliarono moltissimo le loro file durante l'autunno e l'inverno 1936. Dal mondo intero affluirono decine di migliaia di volontari, che i comunisti non potevano certo accogliere senza controlli, perché volevano prima di tutto evitare l'infiltrazione di agenti, franchisti, nazisti o altro, che facessero il doppio gioco. Ma ben presto, quando nell'URSS si scatenò il Grande terrore, i comunisti cominciarono a controllare l'ortodossia di questi volontari. I servizi dei quadri dei vari partiti comunisti furono incaricati di condurre «la lotta contro la provocazione», di stanare cioè tutti gli elementi dissidenti, critici, indisciplinati e si sforzarono addirittura di controllare il reclutamento a monte, fuori della Spagna: la polizia di Zurigo sequestrò in casa del comunista tedesco Alfred Adolph una lista che denunciava agli agenti sovietici in Spagna i volontari indesiderabili. In un documento del Comitato esecutivo del Comintern risalente all'autunno 1937 si legge che bisognava liberare le Brigate dagli elementi politicamente ambigui, «sorvegliare la selezione dei volontari per evitare che si insinuino nelle Brigate agenti dei servizi segreti e spie fasciste e trotzkiste». E' sintomatico che i dossier personali di tutti i membri delle Brigate, contenenti annotazioni politiche, si trovino negli archivi del Comintern a Mosca. Decine di migliaia di dossier...

Arrivato in Spagna nell'agosto 1936 come delegato del Comintern presso il governo repubblicano, il francese André Marty, membro dell'Ufficio politico del P.C.F. e segretario del Comintern, fu il «capo» ufficiale della base di Albacete, dove venivano organizzate le Brigate internazionali. Parallelamente alle Brigate, i comunisti crearono il Quinto reggimento comandato da Enrique Lister, che era stato in Russia dal 1932 in poi ed era stato addestrato all'Accademia militare Frunze. Naturalmente il SIM era presente anche ad Albacete.

Il numero di persone eliminate all'interno delle Brigate è ancora oggi controverso. Alcuni si limitano a negare la responsabilità di Marty nonostante testimonianze inoppugnabili, altri giustificano le esecuzioni. El Campesino avrebbe poi spiegato: «Senza dubbio fu spinto a sbarazzarsi degli elementi pericolosi. Che ne abbia fatti giustiziare alcuni è "innegabile", ma si trattava di individui che avevano disertato, assassinato o tradito»! La testimonianza di Gustav Regler, che fu vicecommissario della Dodicesima brigata, conferma l'uso di questi metodi: durante una battaglia nei pressi dell'Escorial, due volontari anarchici avevano ceduto; Regler li fece arrestare e propose di mandarli in sanatorio. Ne informò Marty, che decise di inviarli ad Alcal de Henares. Solo molto tempo dopo Regler venne a sapere che non si trattava di un sanatorio, ma di una casa che ospitava un distaccamento sovietico incaricato delle esecuzioni. In una nota firmata di suo pugno, ritrovata negli archivi moscoviti, Marty spiegava al Comitato centrale del P.C.E.: «Mi dispiace anche che si mandino ad Albacete le spie e i fascisti che erano stati mandati a Valencia per essere eliminati. Sapete benissimo che le Brigate internazionali non possono farlo loro stesse qui». Non ci vuole molto per immaginare che non era affatto semplice giustiziare delle spie o dei fascisti nel bel mezzo di una base militare; benché non si sappia a chi si riferisse Marty con questa definizione, in ogni caso preferiva che il lavoro sporco venisse fatto altrove da altri, il che non diminuisce affatto la sua responsabilità morale.

In un film recente si parla, tra l'altro, dell'esecuzione, nel novembre 1937, di Erich Frommelt, membro del battaglione Th„lmann della Dodicesima brigata, condannato a morte per diserzione alle 23.15 e giustiziato il giorno seguente alle 16.45. Ufficialmente Frommelt fu dato per morto durante la battaglia di Teruel. Una tale dissimulazione induce a porsi degli interrogativi su questa categoria di disertori. Il francese Roger Codou, membro delle Brigate internazionali, che ebbe occasione di consultare i dossier della prigione delle Brigate, vi trovò numerosi «decessi per congestione» che, secondo lui, nascondono esecuzioni sommarie. Le prigioni riservate agli uomini delle Brigate erano due: una nel quartiere di Horta a Barcellona (nel 1937 ve ne erano internati 265) e l'altra a Castellòn de la Plana. E' difficile valutare il numero degli appartenenti alle Brigate che furono eliminati. Julièn Gorkin ritiene André Marty personalmente responsabile di circa 500 esecuzioni di «membri indisciplinati o semplicemente sospettati di "opposizionismo"».

Robert Martin di Glasgow testimonia della frequenza degli arresti ad Albacete. Arrestato a propria volta, in cella trovò altri 70 combattenti delle Brigate, fra cui alcuni feriti. Le condizioni di detenzione particolarmente dure li spinsero a fare uno sciopero della fame. Benché fosse stata annunciata la loro liberazione, furono trasferiti tutti a Barcellona in piccoli gruppi. Robert Martin e i suoi compagni furono portati all'hotel Falcon, ex sede del POUM trasformata in prigione, e poi nella calle Corsiga, dove furono fotografati e gli furono prese le impronte digitali. Evaso per miracolo, Martin arrivò in Francia ignorando completamente la sorte dei suoi compagni di prigionia.

Il socialdemocratico Max Reventlow riferisce che, durante la ritirata dei repubblicani che seguì allo sfondamento del fronte verso il Mediterraneo da parte dei nazionalisti, le Brigate portarono con sé almeno 650 prigionieri. Giunti in Catalogna, furono internati a Horta e Castellòn, due prigioni comandate dal croato Ciopic, che fece fucilare 16 dei prigionieri appena arrivati. In queste carceri una commissione emise delle sentenze di morte senza alcun intervento della giustizia: in seguito all'evasione di 50 detenuti, ne furono fucilati altri 50. Il ricorso alla tortura era frequente; il tenente tedesco Hans Rudolph fu torturato per sei giorni: con le braccia e le gambe spezzate e le unghie strappate, il 14 giugno 1938 fu ucciso insieme con altri sei detenuti con un colpo di fucile alla nuca. Ciopic, in seguito chiamato in giudizio per spionaggio, si salvò grazie agli interventi del fratello, il colonnello Vladimir Ciopic, di Luigi Longo e di André Marty.

Il deputato comunista Hans Beimler era evaso da Dachau uccidendo un S.S. e, raggiunta la Spagna, aveva partecipato all'organizzazione del battaglione Th„lmann. Fu ucciso il primo dicembre 1936 a Palacete. Secondo Gustav Regler, Beimler era stato colpito da un proiettile franchista. Questa versione dei fatti è smentita dall'amica di Beimler, Antonia Stern, che fu privata di tutti i documenti ed espulsa dalla Spagna e che sosteneva che Beimler aveva criticato il primo processo di Mosca e per di più era entrato in contatto con gli ex dirigenti del K.P.D., Arkadij Maslow e Ruth Fischer, animatori di un gruppo di opposizione a Parigi. Sulla base di un rapporto del Servicio secreto inteligente, dipartimento speciale della polizia catalana che disponeva di informatori nelle file comuniste, Pierre Broué propende per l'assassinio.

Le Brigate internazionali attirarono molti uomini e donne mossi da un ideale, da uno slancio di solidarietà e di generosità per il quale erano pronti a sacrificarsi. Ancora una volta Stalin e i suoi servizi sfruttarono cinicamente questo slancio, prima di abbandonare al suo triste destino la Spagna (e le Brigate): Stalin stava già preparando l'avvicinamento a Hitler.

- L'esilio e la morte nella «patria dei proletari»

A Parigi, dopo la sconfitta repubblicana, nel marzo 1939 fu creato un comitato presieduto da Togliatti per selezionare gli spagnoli autorizzati a recarsi nella «patria dei proletari». El Campesino ha lasciato una testimonianza sulle condizioni in cui avvenne la partenza per l'URSS. Imbarcatosi a Le Havre il 14 maggio 1939 sul piroscafo "Siberia" insieme con altre 350 persone, fra cui i membri dell'Ufficio politico e del Comitato centrale del P.C.E., alcuni deputati comunisti, i comandanti del Quinto reggimento e una trentina di capi delle Brigate, el Campesino assistette alla ricostituzione del Comitato sotto l'egida dell'N.K.V.D. Il nuovo Comitato aveva la funzione di controllare i 3961 profughi spagnoli che furono subito divisi in 18 gruppi e mandati in città diverse. In esilio quasi tutti i responsabili spiavano e denunciavano i loro compatrioti, come l'ex segretario del Comitato del P.C.E. di Jaén che fece arrestare metà del gruppo spagnolo di Har'kov, oppure Cortina che fece deportare in Siberia numerosi invalidi. Espulso dall'Accademia militare Frunze per trotzkismo, nel marzo 1941 el Campesino fu mandato a lavorare nella metropolitana di Mosca. In seguito fu deportato in Uzbekistan e poi in Siberia, da dove nel 1948 riuscì a fuggire in Iran.

A Tbilisi, il 19 marzo 1942, il segretario generale del P.C.E. José Dìaz trovò la morte cadendo dal quarto piano del palazzo in cui abitava in un momento in cui la moglie e la figlia non erano in casa. Come molti suoi compatrioti, el Campesino era convinto che si trattasse di un assassinio. Prima di morire Dìaz lavorava a un libro sulla sua esperienza, sembrava avere perso ogni illusione e, poco tempo prima, aveva scritto alle autorità varie lettere di protesta contro il trattamento inflitto ai bambini della colonia di Tbilisi. Durante la guerra civile, migliaia di bambini spagnoli di età compresa tra i 5 e i 12 anni erano stati mandati nell'URSS. Le loro condizioni di vita cambiarono dopo la sconfitta dei repubblicani. Nel 1939 gli insegnanti spagnoli furono accusati di trotzkismo e, secondo el Campesino, il 60 per cento fu arrestato e rinchiuso alla Lubjanka, mentre gli altri vennero mandati a lavorare in fabbrica. Una giovane maestra fu torturata per quasi venti mesi prima di essere fucilata. I bambini andarono incontro a un destino poco invidiabile, perché le colonie passarono sotto la direzione dei sovietici. Quelli di Kaluga, particolarmente indisciplinati, furono affidati al potentissimo Juan Modesto, un generale che si era formato nel Quinto reggimento, e a Lister. Nel 1941, secondo Jes£s Hern ndez, il 50 per cento aveva la tubercolosi e 750 (pari al 15 per cento) morirono prima dell'esodo del 1941. Gli adolescenti andarono a finire negli Urali e nella Siberia centrale, soprattutto a Kokand. Formarono delle bande che rubavano, mentre le ragazze si prostituivano. Alcuni si suicidarono. Sempre secondo Jes£s Hern ndez, su 5000 bambini, ne morirono 2000. Nel 1947, in occasione del decimo anniversario del loro arrivo nell'URSS, furono radunati per una cerimonia al teatro Stanislavskij di Mosca 2000 giovani spagnoli; 534 tornarono in Spagna nel settembre 1956. Alla fine furono solo 1500 quelli che rientrarono.

Altri spagnoli conobbero la vita e la morte nell'URSS. Si tratta dei marinai e degli aviatori non comunisti che si erano recati là volontariamente per un periodo di formazione. El Campesino venne a sapere della sorte di 218 giovani aviatori arrivati nel 1938 per uno stage di formazione di sei-sette mesi a Kirvabad. Alla fine del 1939 il colonnello Martìnez Carton, membro dell'Ufficio politico del P.C.E. e agente dell'N.K.V.D., impose loro di scegliere se restare nell'URSS oppure partire per l'estero. Quelli che scelsero di andarsene furono mandati in fabbrica. Il primo settembre 1939 furono arrestati tutti e venne istruito un processo contro di loro. Alcuni furono torturati, altri giustiziati alla Lubjanka, mentre la maggior parte fu condannata a dieci o quindici anni di campo di prigionia. Del gruppo finito a Pecioraliev non sopravvisse nessuno. In definitiva, su 218 aviatori, i superstiti furono una mezza dozzina.

Nel 1947 alcuni profughi riuscirono a lasciare l'URSS. Quelli che restavano vennero invitati a sottoscrivere una dichiarazione con cui si impegnavano a rimanere nell'URSS. Nell'aprile 1948 José Ester (deportato politico a Mauthausen, matricola 64553) e José Domenech (deportato politico a Neuengamme, matricola 40202) tennero una conferenza stampa a Parigi a nome della Federaciòn espanola de deportados y internados polìticos per rendere pubbliche le informazioni raccolte sui detenuti del campo n. 99 di Karaganda in Kazakistan, a nordest del lago Balhash. Comunicarono i nomi di 59 deportati, di cui 24 piloti aviatori e 33 marinai. In un manifesto datato primo marzo 1948 i due ex deportati giustificarono così la propria iniziativa:

    "E' un dovere imperioso per noi e imperativo per tutti coloro che hanno conosciuto la fame, il freddo e la desolazione sotto il regime inquisitorio della Gestapo e delle S.S., ed è una funzione di ogni cittadino, per il quale le parole libertà e diritto hanno un senso ben definito dalle leggi, reclamare e pretendere, per solidarietà, la liberazione di questi uomini sui quali incombe il pericolo di una morte certa".

Dopo la seconda guerra mondiale i comunisti e i loro servizi speciali continuarono a eliminare gli oppositori: Joan Farré Gasso, ex dirigente del POUM di Lérida, partecipò alla Resistenza in Francia. Arrestato e messo in prigione a Moissac dal regime di Vichy, alla sua liberazione volle raggiungere la moglie in un paesino della Catalogna francese. Durante il viaggio per Montauban fu intercettato da alcuni partigiani comunisti - i "guerrilleros espa¤oles" - che lo giustiziarono sommariamente. Questo assassinio continuava la guerra civile di Spagna nel suo aspetto più sinistro: il ricorso agli omicidi o alle eliminazioni di cui furono vittime migliaia di antifascisti fra i più decisi e coraggiosi. Il caso spagnolo dimostra come sia impossibile dissociare le imprese criminali e poliziesche dei comunisti dal perseguimento dei loro obiettivi politici. E, se è vero che la violenza politica e sociale era costante nella Spagna del periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale e che la guerra civile offrì a tale violenza l'opportunità di manifestarsi liberamente, non per questo è meno vero che i sovietici vi aggiunsero lo strapotere del Partito-Stato, a sua volta nato nella guerra e nella violenza, per raggiungere obiettivi determinati dagli interessi dell'URSS con il pretesto dell'antifascismo.

E' chiaro che, per Stalin e per i suoi uomini di fiducia, lo scopo essenziale era quello di assumere il controllo del destino della Repubblica. Per conseguirlo, l'eliminazione delle opposizioni «di sinistra» - socialisti, anarco-sindacalisti, membri del POUM, trotzkisti - era importante quanto la sconfitta militare di Franco.

3. COMUNISMO E TERRORISMO di Rémi Kauffer

Negli anni Venti e Trenta il movimento comunista internazionale si è impegnato nella preparazione di insurrezioni armate che sono fallite tutte. Ha, perciù, abbandonato questa strategia approfittando, negli anni Quaranta, delle guerre di liberazione nazionale contro il nazismo o il militarismo giapponese e, negli anni Cinquanta e Sessanta, delle guerre di decolonizzazione per creare delle vere e proprie formazioni militari, gruppi di partigiani e di guerriglieri trasformatisi a poco a poco in truppe regolari, in vere armate rosse. In Iugoslavia, in Cina, nella Corea del Nord e poi in Vietnam e in Cambogia questa strategia ha permesso al Partito comunista di salire al potere. Tuttavia il fallimento della guerriglia in America Latina, duramente contrastata da corpi speciali addestrati dagli americani, ha spinto i comunisti a tornare ad azioni di tipo terroristico di cui fino a quel momento si erano serviti, per esempio nel caso eccezionale dell'attentato del 1924 nella cattedrale di Sofia. La distinzione tra terrorismo puro e semplice e preparazione a un'eventuale insurrezione armata, in realtà, è relativa: spesso sul terreno agiscono gli stessi uomini, anche se si tratta di due compiti diversi. Queste strategie, inoltre, non si escludono a vicenda Numerosi movimenti di liberazione nazionale, per usare la terminologia corrente, come per esempio il Fronte di liberazione nazionale, l'F.L.N., e l'Armata di liberazione nazionale in Algeria, hanno spesso combinato terrorismo e guerriglia nei loro interventi armati.

Il caso algerino è interessante, in quanto i sostenitori dell'Algeria francese erano convinti che l'insurrezione nazionalista fosse guidata direttamente da Mosca, trovando un'ulteriore conferma a questa tesi nel fatto, debitamente provato, che all'epoca della battaglia di Algeri (1956-1957) il Partito comunista algerino aveva fornito al capo dell'F.L.N. della capitale, Yacef Saadi, l'aiuto dei suoi migliori esperti in esplosivi.

Non che questo comportasse la sottomissione del movimento nazionalista al comunismo: sul campo era vero semmai il contrario, con il Partito comunista algerino costretto a passare sotto le forche caudine dell'F.L.N. All'estero quest'ultimo godeva dell'appoggio politico aperto dell'URSS. Pure, a parte alcune operazioni molto limitate dei servizi speciali, Mosca è stata bene attenta a non rimanere coinvolta direttamente nel conflitto con la Francia. Le forniture di armi all'F.L.N. venivano dall'Egitto di Nasser, dalla Iugoslavia di Tito e, per il blocco dell'Est, dalla Cecoslovacchia che agiva per delega (un certo numero di quadri dell'F.L.N. è stato addestrato a Praga nelle tecniche più avanzate di lotta in clandestinità). I sovietici preferivano tenersi in disparte, forse intuendo che l'Algeria futura sarebbe stata politicamente loro vicina, ma anche molto attenta alla propria indipendenza. Fatto sta che i servizi speciali di Mosca non hanno mai avuto sul sancta sanctorum del nuovo regime, la Sicurezza militare, lo stesso controllo che avevano sul suo equivalente cubano. Un altro esempio di prudenza sovietica di fronte ai movimenti nazionalisti più indipendenti è quello irlandese. Appannaggio dell'IRA (Irish Republican Army, l'esercito repubblicano irlandese fondato a Dublino in occasione della mancata insurrezione di Pasqua nel 1916), il «repubblicanismo» rimaneva un modo di pensare specificamente irlandese. Senza trascurare la questione sociale, dava priorità assoluta al problema nazionale (dopo il 1921, anno della riunificazione dell'isola, in cui le sei contee del Nord furono strappate alla corona britannica). I filosovietici ufficiali, che nel 1933 avrebbero fondato il Communist Party of Ireland, si allontanavano sempre più dalle considerazioni di ordine puramente nazionalista per mettere al primo posto soltanto la lotta di classe.

L'IRA voleva armi per combattere gli inglesi. Nel periodo tra le due guerre mondiali tentò di ottenerle dall'URSS. Più volte Mosca eluse le sue insistenti richieste: non sembrava prudente armare questi gruppi troppo indipendenti, con il rischio di entrare in conflitto aperto con la Gran Bretagna. Il fatto che varie centinaia di membri dell'organizzazione clandestina si fossero arruolate nelle Brigate internazionali in Spagna non cambiù nulla. Nel 1939-1940, quando 1'IRA intraprese una nuova campagna di attentati dinamitardi in Inghilterra, nella sua unità più segreta, composta da un piccolo gruppo di militanti nazionalisti di confessione protestante e quindi meno sospettabili, si era infiltrato l'apparato comunista nella persona di Betty Sinclair. In tutta l'Europa gruppi di sabotatori, come la rete di Ernst Wollweber, erano pronti ad attaccare sia le navi tedesche sia quelle britanniche o francesi. All'occorrenza Mosca prevedeva di sfruttare l'IRA: sabotando le navi da guerra di Sua Maestà, l'organizzazione clandestina avrebbe potuto nascondere al tempo stesso le operazioni sovietiche contro gli inglesi. La cosa, tuttavia, non andò in porto. Tutto quello che Mosca ne ricavò fu una certa diffidenza nei confronti di questi irlandesi pronti a qualsiasi alleanza pur di procurarsi le armi, ma che rifiutavano categoricamente di pagarne il prezzo politico subordinando la propria strategia a quella altrui. Nei primissimi anni Settanta l'IRA riprese le armi (e spesso le bombe) contro gli inglesi in seguito alla rivolta dei ghetti cattolici dell'Irlanda del Nord. Contrariamente a una leggenda dura a morire, queste armi e questi esplosivi non venivano né direttamente né indirettamente dall'URSS. Di fatto i principali sostenitori dell'IRA si trovavano e tuttora si trovano al di là dell'Atlantico, all'interno della comunità irlandese americana, più che a Est.

La «mano di Mosca», quindi, non è onnipresente. Ha tuttavia appoggiato attivamente certe forme di terrorismo mediorientale. Partendo dal ragionamento che le organizzazioni palestinesi rappresentavano un movimento di liberazione nazionale paragonabile all'F.L.N. algerino, i sovietici sono stati tra i primi a riconoscere pubblicamente l'O.L.P. di Yasser Arafat e la sua componente principale, al-Fatah. Ma nello stesso tempo il K.G.B. teneva d'occhio un'altra corrente del nazionalismo palestinese, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, l'F.P.L.P. del dottor Habbash. Rifacendosi a un marxismo radicale, questo movimento piuttosto ben strutturato organizzava e rivendicava senza il minimo scrupolo attentati terroristici e spettacolari dirottamenti aerei. Inaugurata nel luglio 1968 con il dirottamento di un Boeing della El Al e in dicembre con l'attentato all'aeroporto di Atene, questa strategia ebbe il suo culmine nel 1970, poco prima che i palestinesi fossero sconfitti dal re Hussein di Giordania. Sulla pista di atterraggio di fortuna di Zarka, dove erano stati dirottati con i passeggeri in ostaggio, l'F.P.L.P. fece saltare un Boeing della T.W.A., un D.C.-8 della Swissair e un Viscount V.C.-10 della BOAC.

Preoccupato per questa svolta ultraterroristica, uno dei quadri dell'organizzazione, Nayef Hawatmeh, nel 1970-1971 optò per la scissione e fondò il Fronte democratico e popolare per la liberazione della Palestina, l'F.D.P.L.P. In nome dell'indispensabile «lavoro di massa» e dell'«internazionalismo proletario», questa organizzazione, sempre più allineata su posizioni comuniste ortodosse, rinnegò pubblicamente il terrorismo di cui una volta si serviva regolarmente. Così, in teoria, l'F.D.P.L.P. passava per il miglior alleato palestinese dei comunisti. In modo solo apparentemente paradossale, nello stesso tempo il K.G.B. intensificò il proprio sostegno all'F.P.L.P. E siccome all'estremismo non c'è fine, il dottor Habbash si vide ben presto superato dal suo braccio destro e «direttore delle operazioni» Waddi Haddad, un ex dentista laureato all'università americana di Beirut.

Uomo di grande esperienza, il dottor Haddad: secondo Pierre Marion, ex capo della Direzione dei servizi di spionaggio e controspionaggio, Haddad è il vero inventore del terrorismo moderno: «E' stato lui a idearne le strutture, lui ad addestrarne i principali responsabili, lui a perfezionarne i metodi di reclutamento e addestramento, lui ad affinarne le tattiche e le tecniche». Tra la fine del 1973 e l'inizio del 1974 si staccò dall'F.P.L.P. per creare una propria struttura, l'F.P.L.P.-Cose (F.P.L.P.-Comando delle operazioni esterne), specializzata esclusivamente in terrorismo internazionale, mentre l'organizzazione di Habash si sforzava di svolgere contemporaneamente altre attività, quali le operazioni di guerriglia contro l'esercito israeliano e il lavoro di massa nei campi profughi palestinesi.

Eppure il K.G.B. decise di appoggiarlo, come dimostra questo messaggio assai esplicito del 23 aprile 1974, rif. 1071-1/05, indirizzato dal K.G.B. a Leonid Breznev in persona:

    "Il Comitato per la Sicurezza dello Stato intrattiene dal 1968 contatti clandestini effettivi con Waddi Haddad, membro dell'Ufficio politico dell'F.P.L.P., capo delle operazioni esterne dell'F.P.L.P. Durante l'incontro avuto con il capo della rete del K.G.B. in Libano nell'aprile scorso, Waddi Haddad ha esposto confidenzialmente il programma delle attività di sovversione e terrorismo previste dall'F.P.L.P., i cui punti essenziali sono riportati qui di seguito".
Seguiva una lista di obiettivi, atti terroristici e sovversivi nel territorio di Israele, attacchi contro i trust dei commercianti di diamanti, attentati contro diplomatici israeliani, sabotaggi di impianti petroliferi e di superpetroliere in Arabia Saudita, nel Golfo e persino a Hong Kong.

Il K.G.B. precisava quindi:

    "W. Haddad ci chiede di aiutare la sua organizzazione a ottenere alcuni tipi di materiale speciale indispensabili per determinati atti sovversivi. Collaborando con noi e chiedendo il nostro aiuto, il signor Haddad sa per certo che in linea di principio noi disapproviamo il terrore e non ci fa domande riguardo a questo aspetto delle attività dell'F.P.L.P. La natura dei nostri rapporti con W. Haddad ci permette in una certa misura di controllare le attività del servizio operazioni esterne dell'F.P.L.P., di esercitare su di esso un'influenza vantaggiosa per l'Unione Sovietica e, tramite le forze di questa organizzazione, di intervenire nel nostro interesse senza mancare agli impegni presi".
Un bell'esempio di doppiezza. La morale era ovvia: al diavolo i principi, dal momento che si colpisce l'avversario senza farsi prendere. Trasmesso a Suslov, Podgornyj, Kosygin e Gromyko, il documento fu approvato il 26 aprile.

Il miglior allievo di Waddi Haddad era un giovane venezuelano, Il'ic Ramirez Sanchez, più noto con il soprannome di Carlos. I due si erano trovati a lavorare con i superstiti di un gruppo terrorista asiatico, l'Armata rossa giapponese, il cui iter è molto istruttivo. Fondata alla fine degli anni Sessanta al momento della svolta radicale del movimento studentesco nipponico e al culmine del maoismo, l'Armata rossa giapponese entrò rapidamente in contatto con alcuni agenti nordcoreani (nell'arcipelago giapponese c'è una comunità coreana molto nutrita). Questi ultimi istruirono i quadri giapponesi e fornirono loro materiale, ma non riuscirono a impedire una serie di sanguinose vendette tra «deviazionisti» e «ortodossi» nei primissimi anni Settanta. Risultato: la scissione. Una parte dei quadri dell'Armata rossa giapponese prese armi e bagagli e passò al servizio dei nordcoreani; oggi, profughi a Pyeongyang, sono diventati uomini d'affari e intermediari con l'Occidente. L'altra parte del movimento decise di internazionalizzare ancora di più l'attività e si schierò con Waddi Haddad. Così furono tre membri dell'Armata rossa giapponese a mettere in atto, per conto dell'F.P.L.P., la strage dell'aeroporto di Lod a Tel Aviv nel maggio 1972: 28 morti.

Il fatto che l'F.P.L.P. avesse collaborato da vicino con il banchiere nazista svizzero Fran‡ois Genoud, come ha rivelato Pierre Péan nell'"Extrémiste" sulla base delle confessioni dello stesso Genoud, non turbava affatto il K.G.B. Né fu considerato un inconveniente lo spettacolare sviluppo delle attività di Carlos per conto dapprima dell'F.P.L.P.-Cose e poi della sua organizzazione.

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[Box: CARLOS: in contatto con una quindicina di servizi segreti dei paesi arabi e dell'Est.

Secondo quanto confessò egli stesso al giudice Bruguière, fu nel 1969 che Il'ic Ramirez Sanchez, figlio di un avvocato venezuelano grande ammiratore di Lenin (al punto da chiamare i propri tre figli nell'ordine Vladimir, Il'ic e Ul'janov), conobbe un membro dell'F.P.L.P., Rifaat Aboul Aoun. L'incontro avvenne a Mosca, dove il futuro Carlos si annoiava non poco a studiare all'università marxismo- leninismo, fisica e chimica. Deluso dallo scarso attivismo dei partiti comunisti latinoamericani, Carlos si sentiva pronto a un'avventura violenta e radicale, quella che avrebbe trovato appena arrivato in Giordania nell'F.P.L.P.-Cose. Dopo un periodo di addestramento, all'inizio del 1971 era diventato operativo e si muoveva con disinvoltura nei paesi dell'Europa occidentale grazie al suo savoir- faire di figlio di famiglia benestante, mettendo a segno attentati spettacolari e micidiali.
Il 27 giugno 1975 a Parigi Carlos uccide due poliziotti della D.S.T. (l'antiterrorismo francese) e ne ferisce gravemente un terzo. In dicembre guida un commando all'assalto della sede viennese dell'Organizzazione dei paesi produttori di petrolio (OPEC, Organization of Petroleum Exporting Countries). Bilancio: tre morti e un biglietto aereo per Algeri. Insieme con i compagni di squadra, tedeschi provenienti dalle Cellule rivoluzionarie, un movimento extraparlamentare di sinistra diretto da Johannes Weinrich, si sposta in Libia, nello Yemen, in Iraq e anche in Iugoslavia. Ma soprattutto nella Repubblica democratica tedesca, dove i servizi dell'M.f.S (Ministerium fr Staatssicherheit, cioè il ministero della Sicurezza di Stato, più comunemente detto Stasi) seguono con particolare attenzione questo estremista capace dei colpi più audaci. «Separat» è il nome in codice dato alla sua organizzazione all'interno della Stasi. Nel 1980 perviene al generale Erich Mielke, capo della Stasi, un dossier top secret intitolato semplicemente: "Progetto sul modo di agire dell'M.f.S. riguardo al trattamento e al controllo del gruppo di Carlos". Secondo Bernard Violet, autore di una biografia molto ben documentata, «Weinrich e Kopp [rispettivamente il vice e la compagna di Carlos] non sono esattamente agenti della Stasi. Non compiono missioni per conto di questa e non sono remunerati per fare spionaggio a favore della Repubblica democratica tedesca. Sono, però, gli intermediari obbligati tra i servizi della Germania orientale e gli altri membri del gruppo». E dopo avere elencato i vari agenti dei servizi tedesco-orientali venuti in contatto con lui, i colonnelli Harry Dahl, H”rst Franz, Gnther Jackel e Helmut Voigt, Violet aggiunge che «Carlos non ignora nulla dei rapporti che i suoi due amici intrattengono con questi stessi servizi».
Questo non impedisce all'interessato di allacciare stretti rapporti con i romeni né di irritare la Sicurezza di Stato ungherese con la propria tendenza a usare Budapest come base d'appoggio. Il suo gruppo, ribattezzato Organizzazione della lotta armata della liberazione araba (o braccio armato), moltiplica gli attentati mortali. Così il colonnello Voigt della Stasi attribuisce a Separat gran parte della responsabilità dell'attentato del 25 luglio 1983 contro la Maison de France a Berlino Ovest (due morti), commesso, secondo lui, da un altro gruppo terrorista legato al blocco sovietico e avente sede a Beirut, l'Armata segreta per la liberazione dell'Armenia.
Può sembrare stupefacente che l'M.f.S. si sia mostrato tanto indulgente verso le operazioni del suo protetto senza un tornaconto; la decisione era stata presa al vertice della piramide della Stasi. C'è chi ha detto - ma si tratta di un'interpretazione psicologica tutt'altro che dimostrata - che Erich Mielke, a sua volta capo di gruppi di lotta del K.P.D. prima della guerra e accusato dell'omicidio di due poliziotti a Berlino, si fosse riconosciuto nella personalità del terrorista venezuelano, nonché in quella dei membri della Baader- Meinhof. Senza dubbio occorre approfondire la questione cercando una convergenza più obiettiva tra i gruppi legati al terrorismo internazionale e l'M.f.S. Né Mielke né i dirigenti tedesco-orientali ci hanno abituato a una sensibilità romantico-rivoluzionaria. Se il gruppo di Carlos ha avuto rapporti continuativi con una quindicina di servizi segreti dei paesi socialisti e del mondo arabo, non è stato certo per caso.]

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L'indulgenza dei paesi comunisti nei confronti degli estremisti dello scacchiere mediorientale non fu riservata solo a Carlos. Ne beneficiarono anche, ma in misura minore perché considerati meno controllabili, Abu Nidal e il suo Consiglio rivoluzionario Fatah, fortemente ostili a Yasser Arafat e all'O.L.P., prima al servizio degli iracheni e poi dei siriani. Il loro capo, malato, poté però farsi operare in segreto oltre la cortina di ferro.

Un'altra implicazione diretta dei paesi dell'Est nel terrorismo internazionale moderno è la manipolazione della Rote Armee Fraktion (RAF, detta anche dalla stampa banda Baader-Meinhof) in Germania. Nata dalla contestazione studentesca, questa piccola organizzazione, che disponeva di una cinquantina di iscritti operativi e di una cerchia di un migliaio di simpatizzanti, negli anni Settanta mise a segno una serie di azioni terroristiche dimostrative volte a colpire soprattutto gli interessi americani. Dopo il 1977, con l'assassinio del «padrone dei padroni» tedeschi occidentali Hans Martin Schleyer e la morte in prigione dei due capi Ulrike Meinhof e Andreas Baader, la RAF trovò riparo al di là del Muro di Berlino in cambio di una sempre maggiore subordinazione alla Stasi, di cui era in qualche modo diventata il braccio armato occulto. Dopo il crollo del Muro e la riunificazione tedesca, gli ultimi superstiti rimasti all'Est sono stati arrestati. Manipolare guerriglieri e gruppi terroristi non sempre è facile. Occorrono tatto e un forte senso politico. Forse per questo nel 1969- 1970 il K.G.B., nella persona di uno dei suoi elementi più brillanti, Oleg Maksimovic Neciporenko, decise di creare praticamente dal nulla con l'aiuto dei nordcoreani un movimento ai propri ordini, il Movimiento de acciòn revolucionaria (MAR), che sarebbe poi stato smantellato nel 1971 dalla polizia messicana. Certamente l'obiettivo di una manovra tanto rischiosa era cautelarsi dall'incremento di violenza, dall'indisciplina e dalle iniziative temerarie dei gruppi castristi e paramaoisti, alcuni dei quali erano sfuggiti ai loro presunti mentori. Il Fronte rivoluzionario antifascista e patriottico spagnolo per un certo periodo si avvicinò ai cinesi, quindi all'inizio degli anni Settanta agli albanesi nella speranza, poi rivelatasi vana, di ottenere armi; in seguito se ne allontanò per dare origine ai Gruppi di resistenza antifascista del primo ottobre. Quanto al Sendero luminoso peruviano di Abimael Guzm n, se inizialmente predicava un maoismo puro e duro e in particolare la «guerra popolare prolungata», in compenso detestava profondamente Deng Xiaoping e i nuovi dirigenti di Pechino. Nel dicembre 1983 tentò addirittura di colpire l'ambasciata cinese di Lima.

In rari casi, perché in epoca moderna il rischio era troppo alto, i paesi comunisti ricorsero direttamente ad attentati terroristici compiuti dai loro servizi segreti. Nel novembre 1987, per esempio, un commando composto da due agenti nordcoreani, un vecchio quadro esperto, Kim Seung Il, e una giovane donna, Kim Hyuon Hee, addestrata per tre anni all'Accademia militare di Keumsung, abbandonò all'aeroporto di Abu Dhabi un transistor contenente un ordigno esplosivo a bordo di un apparecchio della Korean Air (la compagnia sudcoreana) in partenza per Bangkok. L'esplosione provocò la morte di 115 persone. Scoperto, Kim Seung Il si suicidò, mentre Kim Hyuonhee, dopo l'arresto, rendeva una piena confessione, scrivendo addirittura un libro in cui è troppo presto per distinguere tra verità e menzogna. Comunque, resta il fatto che la Corea del Nord è, nel 1997, l'unico paese comunista che pratichi in maniera sistematica il terrorismo di Stato.

NOTE

1. Léon Blum vi aveva aderito a malincuore in seguito alla duplice pressione dell'lnghilterra e dei radicali che temevano la guerra con la Germania. Blum fu sul punto di dare le dimissioni, ma ne fu dissuaso dall'ambasciatore spagnolo, il socialista Fernando Los Rìos.

2. Il figlio di Antonov-Ovseenko, storico, ha dichiarato alla televisione catalana: «La maggior parte della gente inviata in Spagna, militari, generali, consiglieri, piloti, erano agenti dell'N.K.V.D.»; confronta il film di L. Ferri e D. Genovès, "Opération Nikolaj", 1992. N. 8. Nei suoi ricordi Sudoplatov definisce la Spagna il «giardino d'infanzia» in cui presero forma le successive operazioni di spionaggio.

3. Trovandosi di fronte a militanti la cui sincerità era indubitabile, Hubert von Ranke, colto dal dubbio, decise di rompere con il Servicio Alfredo Hertz; rifugiatosi in Francia, visse in clandestinità per sfuggire ai suoi ex colleghi e partecipò alla Resistenza.

4. L'8 febbraio, sull'«Humanité», Marcel Cachin dà notizia dell'apertura del processo a Nikolaj Buharin e agli altri suoi coimputati: «E se il reato verrà provato, se verrà confessato, che non ci si stupisca della fermezza dei giudici! Che si pensi piuttosto a imitare la vigilanza dei magistrati sovietici contro i sabotatori e i traditori della patria. I nostri amici spagnoli capiscono bene quel che vogliamo dire».

5. Nel febbraio 1938 J. Last, scrive: «Il Partito comunista aveva la sua posizione di maggior forza nella Brigata internazionale, dove controllava quasi tutti gli ufficiali e i commissari politici». Gli studi condotti recentemente dagli storici confermano questo punto di vista.


Ultima modifica 11.12.2003