Il libro nero del comunismo

 


INTRODUZIONE: Parte prima.
UNO STATO CONTRO IL SUO POPOLO

Violenze, repressioni, terrori nell'Unione Sovietica (di Nicolas Werth).
1. Paradossi e malintesi dell'Ottobre
2. Il «braccio armato della dittatura del proletariato»
3. Il Terrore rosso
4. La «sporca guerra»
5. Da Tambov alla grande carestia
6. Dalla tregua alla «grande svolta»
7. Collettivizzazione forzata e dekulakizzazione
8. La grande carestia
9. «Elementi estranei alla società» e cicli di repressione
10. Il Grande terrore (1936-1938)
11. L'impero dei campi
12. L'altra faccia della vittoria
13. Apogeo e crisi del gulag
14. L'ultimo complotto
15. L'uscita dallo stalinismo
In conclusione

10. IL GRANDE TERRORE. (1936-1938)
Molto è stato scritto sul «Grande terrore» che i sovietici chiamano anche "ezovscina", «l'epoca di Ezov». Infatti, proprio nei due anni in cui l'N.K.V.D. era diretto da Nikolaj Ezov (dal settembre del 1936 al novembre del 1938) la repressione acquisì un'ampiezza senza precedenti, coinvolgendo tutte le componenti della popolazione sovietica, dai dirigenti dell'Ufficio politico ai semplici cittadini arrestati per strada all'unico scopo di completare le quote di «elementi controrivoluzionari da reprimere». Per decenni non si è fatta parola sulla tragedia del Grande terrore. In Occidente quel periodo veniva rammentato solo per i tre spettacolari processi pubblici svoltisi a Mosca nell'agosto del 1936, nel gennaio del 1937 e nel marzo del 1938, in cui i più prestigiosi compagni di Lenin (Zinov'ev, Kamenev, Krestinskij, Rykov, Pjatakov, Radek, Buharin e altri) confessarono misfatti infami: di aver organizzato «nuclei terroristici» di fede «trotzkista-zinovievista» o «trotzkista- destrorsa» allo scopo di rovesciare il governo sovietico, assassinarne i dirigenti, restaurare il capitalismo, eseguire atti di sabotaggio, scalzare il potere militare dell'URSS, smembrare l'Unione Sovietica e separarne l'Ucraina, la Bielorussia, la Georgia, l'Armenia, i paesi sovietici dell'Estremo Oriente eccetera, per favorire le potenze straniere.

I processi di Mosca furono un evento spettacolare d'eccezione, un richiamo per distrarre l'attenzione degli osservatori stranieri invitati alla rappresentazione da tutto quello che accadeva intorno: la repressione di massa di tutte le categorie sociali. Per questi osservatori, che avevano già taciuto riguardo la dekulakizzazione, la carestia e l'espandersi della rete dei campi, gli anni 1936-1938 costituirono soltanto l'ultimo atto della lotta politica che, per oltre un decennio, aveva contrapposto Stalin ai suoi principali avversari: erano l'epilogo dello scontro fra la «burocrazia del Termidoro staliniano» e la «vecchia guardia leninista» rimasta fedele all'impegno rivoluzionario.

Il 27 luglio 1936 l'editorialista del prestigioso quotidiano francese «Le Temps», riprendendo i temi principali della "Rivoluzione tradita", l'opera di Trockij uscita nel 1936, scriveva: «La Rivoluzione russa vive il suo Termidoro. Stalin ha compreso quanto siano vuoti la pura ideologia marxista e il mito della rivoluzione mondiale. Essendo sì un buon socialista, ma innanzi tutto un patriota, si rende conto che si tratta di un'ideologia e di un mito pericolosi per il suo paese. Probabilmente sogna un dispotismo illuminato, una specie di paternalismo certo lontano dal capitalismo, ma lontano anche dalle chimere del comunismo.»

E il 30 gennaio 1937 l'«Echo de Paris» esprimeva la stessa idea in termini più coloriti e meno rispettosi:

«Il georgiano con la fronte bassa si affianca senza volerlo a Ivan il Terribile, Pietro il Grande e Caterina Seconda. Gli altri, quelli che fa massacrare, sono i rivoluzionari rimasti fedeli al loro credo diabolico, nevrotici perennemente in preda a una furia distruttrice».

Si è dovuto aspettare il «Rapporto segreto» di Hruscov al Ventesimo Congresso del P.C.U.S., il 25 febbraio 1956, perché finalmente fossero rivelati i «numerosi atti di violazione della legalità socialista commessi negli anni 1936-1938 contro i dirigenti e i quadri del Partito». Negli anni seguenti sono stati riabilitati diversi responsabili, soprattutto militari. Ma non si è fatta parola delle vittime «comuni». Certo, al Ventiduesimo Congresso del P.C.U.S., nell'ottobre del 1961, Hruscov ammise pubblicamente che la «repressione di massa» aveva «colpito dei comuni e onesti cittadini sovietici», ma non disse nulla riguardo l'ampiezza della repressione, di cui era stato direttamente responsabile come molti altri dirigenti della sua generazione.

Comunque alla fine degli anni Sessanta uno storico della levatura di Robert Conquest è riuscito a ricostruire per sommi capi la trama generale del Grande terrore, basandosi sulle testimonianze dei sovietici fuggiti in Occidente e sulle pubblicazioni uscite negli ambienti dell'emigrazione e in Unione Sovietica nel periodo del «disgelo cruscioviano», anche se le sue deduzioni sui meccanismi decisionali talvolta sono azzardate e va rilevata una significativa sopravvalutazione del numero delle vittime.

L'opera di Robert Conquest ha suscitato molte discussioni, soprattutto sul grado di centralizzazione del terrore, sui rispettivi ruoli di Stalin e di Ezov, e sul numero delle vittime. Per esempio, alcuni storici della scuola revisionista americana hanno contestato la tesi secondo cui Stalin avrebbe pianificato con precisione il corso degli avvenimenti dal 1936 al 1938, sottolineando invece quanto fossero aumentati gli attriti fra le autorità centrali e gli apparati locali sempre più potenti, nonché gli «sconfinamenti» di una repressione in larga misura priva di controlli; hanno quindi attribuito l'eccezionale portata della repressione negli anni 1936-1938 agli apparati locali che, desiderando sviare il colpo destinato a loro, avevano usato l'arma del terrore contro innumerevoli «capri espiatori», per dimostrare al Centro quanto fossero vigili e intransigenti nella lotta contro i «nemici» di tutti gli schieramenti.

Un altro punto di divergenza riguarda il numero delle vittime. Per Conquest e i suoi discepoli il bilancio del Grande terrore si chiuse con almeno 6 milioni di arresti, 3 milioni di esecuzioni e 2 milioni di morti nei campi. Per gli storici revisionisti queste cifre sono decisamente eccessive.

Oggi l'apertura degli archivi sovietici, sebbene ancora parziale, ci consente di rifare il punto sul Grande terrore. Non si tratta di ripercorrere in queste poche pagine, come altri hanno già fatto, la storia straordinariamente complessa e tragica degli anni più cruenti del regime sovietico, ma di cercare di far luce su alcune questioni dibattute negli ultimi anni, in particolare il grado di centralizzazione del terrore, le categorie e il numero delle vittime. Per quanto riguarda la prima questione, i documenti dell'Ufficio politico oggi accessibili (4) confermano che la repressione di massa è stata effettivamente il risultato di una iniziativa assunta dall'organo supremo del Partito, l'Ufficio politico, e in particolare da Stalin. Il modo in cui fu organizzata e poi attuata la più cruenta fra le grandi operazioni di repressione, la «liquidazione di ex kulak, criminali e altri elementi antisovietici» che si svolse dall'agosto 1937 al maggio 1938, getta una luce davvero rivelatrice sul ruolo esercitato nella repressione dal potere centrale e da quello locale, ma anche sulla logica di questa operazione, che, almeno all'inizio, era destinata a risolvere definitivamente un problema cui non era stato possibile ovviare negli anni precedenti.

Nel 1936-1937, la questione del destino futuro degli ex kulak deportati era all'ordine del giorno. Sempre più «coloni speciali» si confondevano nella massa dei lavoratori liberi, nonostante venisse ricordato loro di continuo che era proibito lasciare il luogo di domicilio coatto. In un rapporto dell'agosto 1936 Rudol'f Berman, capo del gulag, scriveva: «Numerosi coloni speciali, che lavorano da tempo in squadre miste con gli operai liberi, hanno lasciato il luogo di residenza approfittando di un regime di sorveglianza abbastanza lassista. E' sempre più difficile recuperarli. Infatti hanno acquisito una specializzazione, l'amministrazione delle imprese ci tiene a non perderli, e talvolta sono riusciti anche a ottenere un passaporto, si sono sposati con colleghe libere, spesso hanno una casa».

Molti coloni speciali con domicilio coatto presso gli insediamenti industriali avevano la tendenza a fondersi con la classe operaia locale, ma altri fuggivano più lontano. Un gran numero di questi «fuggiaschi», senza documenti e senza tetto, si univa alle bande di emarginati sociali e di piccoli delinquenti che erano sempre più numerose alle periferie delle città. Le ispezioni condotte nell'autunno del 1936 nella giurisdizione di certi comandi rivelarono una situazione «intollerabile» agli occhi delle autorità: per esempio, nella regione di Arcangelo erano rimasti sul posto solo 37 mila degli 87900 coloni speciali che in teoria vi erano assegnati a domicilio coatto.

L'ossessione del «kulak sabotatore infiltrato nelle imprese» e del «kulak bandito che si aggira per le città» spiega perché questa categoria sia diventata il principale capro espiatorio nella grande operazione di repressione decisa da Stalin all'inizio del luglio del 1937.

Il 2 luglio l'Ufficio politico inviò un telegramma alle autorità locali con l'ordine di «arrestare immediatamente tutti i kulak e i criminali ... di fucilare i più ostili previa disamina amministrativa del loro caso da parte di una trojka e di deportare gli elementi meno attivi, ma comunque ostili al regime». E proseguiva: «Il Comitato centrale chiede che gli vengano segnalati entro cinque giorni la composizione delle trojka, il numero degli individui da fucilare e di quelli da deportare».

Perciò nelle settimane successive le autorità centrali ricevettero le «cifre indicative» fornite dalle autorità locali; su quella base Ezov preparò l'Ordine operativo n. 00447, datato 30 luglio 1937, e lo stesso giorno lo sottopose per ratifica all'Ufficio politico. Nel quadro di questa «operazione» furono arrestate 259450 persone, di cui 72950 vennero fucilate. In realtà queste cifre erano incomplete, perché nella lista stabilita mancava una serie di regioni che, a quanto pare, non avevano ancora fatto pervenire a Mosca le loro «valutazioni». Come all'epoca della dekulakizzazione, a ciascuna regione furono assegnate delle quote per le due categorie (prima categoria: da giustiziare; seconda categoria: da deportare). Si deve notare che gli elementi presi di mira dall'operazione appartenevano a una fascia sociopolitica assai più vasta rispetto alle categorie enumerate all'inizio: accanto agli «ex kulak» e ai «criminali» figuravano gli «elementi pericolosi per la società», i «membri dei partiti antisovietici», gli «ex funzionari zaristi» le «Guardie bianche» eccetera. Naturalmente questi appellativi erano attribuiti a qualsiasi sospetto, sia che appartenesse al Partito, all'intellighenzia o alla «gente comune». Quanto alle liste dei sospetti, per anni i servizi competenti della G.P.U., e poi dell'N.K.V.D., avevano avuto tutto il tempo per prepararle, tenerle aggiornate e servirsene.

L'Ordine operativo del 30 luglio 1937 conferiva ai dirigenti locali la facoltà di chiedere a Mosca elenchi complementari di individui da assoggettare a repressioni. Le famiglie dei condannati all'internamento nei campi o dei giustiziati potevano essere arrestate «in eccedenza alle quote».

A partire dalla fine di agosto l'Ufficio politico ricevette da ogni parte la richiesta di aumentare le quote. Dal 28 agosto al 15 dicembre 1937 ratificò un gran numero di proposte, per un totale di 22500 individui da giustiziare e di 16800 da internare nei campi. Il 31 gennaio 1938 su iniziativa dell'N.K.V.D. approvò un'altra «aggiunta» di 57200 persone, 48 mila delle quali dovevano essere giustiziate. Tutte le operazioni si dovevano concludere entro il 15 marzo 1938. Ma anche questa volta le istituzioni locali, che dall'anno precedente erano state «epurate» e rinnovate diverse volte, ritennero opportuno fare sfoggio di zelo. Fra il primo febbraio e il 29 agosto 1938 l'Ufficio politico ratificò altri provvedimenti di repressione destinati a colpire contingenti supplementari di individui per un totale di 90 mila unità.

Insomma l'operazione, che in origine doveva durare quattro mesi, si prolungò per oltre un anno, e coinvolse almeno 200 mila persone in più rispetto alle quote approvate all'inizio. Chiunque fosse sospettato di avere «cattive» origini sociali diventava una vittima potenziale. Inoltre erano particolarmente vulnerabili tutti coloro che abitavano nelle zone di confine, o che, in un modo o nell'altro, avevano avuto contatti con l'estero: ex prigionieri di guerra o persone con parenti, anche lontani, fuori dall'URSS. Queste persone avevano forti probabilità di essere accusate di spionaggio; altrettanto valeva per i radioamatori, i filatelici o gli esperantisti. Dal 6 agosto al 21 dicembre 1937 l'Ufficio politico e l'N.K.V.D., che lo affiancava in questa attività, vararono almeno dieci operazioni analoghe a quella inaugurata con l'Ordine operativo n. 00447, per liquidare, una nazionalità dopo l'altra, tutti i gruppi sospettati di «spionaggio» e «separatismo»: tedeschi, polacchi, giapponesi, romeni, finlandesi, lituani, estoni, lettoni, greci, turchi. Durante queste operazioni «antispie», nel giro di quindici mesi, fra l'agosto del 1937 e il novembre del 1938, furono arrestate diverse centinaia di migliaia di persone.

Su altre operazioni disponiamo oggi di informazioni molto lacunose, dato che gli archivi dell'ex K.G.B. e gli archivi presidenziali in cui sono conservati i documenti più confidenziali non sono ancora accessibili ai ricercatori; fra esse citiamo:

- l'operazione di «liquidazione dei contingenti tedeschi impiegati presso le imprese della Difesa nazionale», cominciata il 20 luglio 1937;
- l'operazione di «liquidazione delle attività terroristiche, di diversione e di spionaggio della rete giapponese dei rimpatriati di Harbin», cominciata il 19 settembre 1937;
- l'operazione di «liquidazione dell'organizzazione nipponico-militare di destra dei cosacchi», cominciata il 4 agosto 1937; fra settembre e dicembre del 1937 nel quadro di questa operazione furono colpite oltre 19 mila persone;
- l'operazione di «repressione delle famiglie dei nemici del popolo arrestati» decretata con l'Ordine operativo dell'N.K.V.D. n. 00486 del 15 agosto 1937.

Questo breve elenco di una piccola parte delle operazioni decise dall'Ufficio politico e messe in atto dall'N.K.V.D., sebbene assai incompleto, è sufficiente a dimostrare il carattere centralista delle repressioni di massa degli anni 1937-1938. Certo, come tutte le grandi azioni repressive condotte dai funzionari locali su ordine del potere centrale - la dekulakizzazione, l'epurazione delle città o la caccia agli specialisti - erano soggette a sconfinamenti o eccessi. Dopo il Grande terrore una sola commissione fu inviata a indagare in loco sugli eccessi della "ezovscina", in Turkmenistan. In questa piccola repubblica di un milione 300 mila abitanti (lo 0,7 per cento della popolazione sovietica) fra l'agosto del 1937 e il settembre del 1938 le trojka dell'N.K.V.D. avevano condannato 13259 persone nel quadro della sola operazione di «liquidazione degli ex kulak, criminali e altri elementi antisovietici»; 4037 di esse erano state fucilate. Le quote fissate da Mosca erano rispettivamente di 6277 (numero totale delle condanne) e di 3225 (numero totale delle esecuzioni). Si può supporre che anche in altre regioni del paese si siano verificati eccessi e sconfinamenti analoghi. Erano una conseguenza del principio stesso delle quote, degli ordini pianificati emanati dal Centro e dei riflessi burocratici inculcati da anni e ormai ben assimilati, che consistevano nell'anticipare i desideri dei superiori in linea gerarchica e le direttive di Mosca.

Il carattere centralistico di questi massacri ordinati e ratificati da Stalin e dall'Ufficio politico è confermato da un'altra serie di documenti. Si tratta delle liste di personalità da condannare compilate dalla Commissione per gli affari giudiziari dell'Ufficio politico. Tutti costoro dovevano essere processati dal collegio militare della Corte suprema, dai tribunali militari o dal Consiglio speciale dell'N.K.V.D., ma le pene erano predeterminate dalla Commissione degli affari giudiziari dell'Ufficio politico. Tale commissione, di cui faceva parte Ezov, sottopose alla firma di Stalin e dei membri dell'Ufficio politico almeno 383 liste, che contenevano oltre 44 mila nomi di dirigenti e di quadri del Partito, dell'esercito e del settore economico. Oltre 39 mila di essi furono condannati alla pena di morte. La firma di Stalin compare in calce a 362 liste, quella di Molotov a 373, quella di Voroscilov a 195, quella di Kaganovic 191, quella di Zdanov a 177, quella di Mikojan a 62 liste.

A partire dall'estate del 1937 tutti questi dirigenti si recarono personalmente in loco per condurre le epurazioni delle organizzazioni di partito locali: per esempio Kaganovic fu inviato a epurare il Donbass, le regioni di Celjabinsk, Jaroslavl', Ivanovo e Smolensk. Zdanov, dopo aver epurato la propria regione, quella di Leningrado, partì per proseguire l'opera a Orenburg, nella Repubblica dei Baschiri e in quella dei Tatari. Andreev si recò nel Caucaso settentrionale, in Uzbekistan e in Tagikistan. Mikojan in Armenia, Hruscov in Ucraina. Benché moltissime direttive sulla repressione di massa siano state ratificate come risoluzioni collettive dell'Ufficio politico, alla luce dei documenti d'archivio oggi accessibili risulta che l'autore e il propugnatore della maggior parte delle decisioni di questo tipo a tutti i livelli fu Stalin in persona. Facciamo soltanto un esempio: il 27 agosto 1937, alle 17, quando la segreteria del Comitato centrale ricevette una comunicazione di Mihail Korocenko, segretario del Comitato regionale del partito della Siberia orientale, circa lo svolgimento di un processo ad agronomi «colpevoli di atti di sabotaggio», alle 17.10 fu Stalin stesso a telegrafare: «Le consiglio di condannare i sabotatori del distretto di Andreev alla pena di morte e di far pubblicare sulla stampa la notizia dell'esecuzione».

Tutti i documenti oggi disponibili (protocolli dell'Ufficio politico, agenda di Stalin ed elenco dei visitatori ricevuti da Stalin al Cremlino) dimostrano come Stalin stesso controllasse e dirigesse nei minimi dettagli l'attività di Ezov. Correggeva le principali direttive dell'N.K.V.D. e seguiva lo svolgimento dell'istruttoria dei grandi processi politici, stabilendone addirittura il copione. Durante l'istruttoria del caso del «complotto militare» in cui furono processati il maresciallo Tuhacevskij e altri alti dirigenti dell'Armata rossa, Stalin riceveva Ezov tutti i giorni. Stalin mantenne il controllo politico degli avvenimenti in tutte le fasi della "ezovscina". Fu lui a decidere la nomina di Ezov alla carica di commissario del popolo per gli Interni, inviando da Soci all'Ufficio politico il famoso telegramma del 25 settembre 1936: «E' assolutamente necessario e urgente che il compagno Ezov sia nominato alla carica di commissario del popolo per gli Interni. Jagoda ha dimostrato chiaramente di non essere all'altezza del compito di smascherare il blocco trotzkista-zinovievista. Su questo caso la G.P.U. ha quattro anni di ritardo». Fu ancora Stalin a decidere di porre fine agli «eccessi dell'N.K.V.D.». Il 17 novembre 1938 un decreto del Comitato centrale interruppe (temporaneamente) l'organizzazione delle «operazioni di arresto e deportazione in massa». Una settimana dopo Ezov fu destituito dalla carica di commissario del popolo per gli Interni, e sostituito da Berija. Il Grande terrore si concluse come era incominciato: per ordine di Stalin.

Si può stilare un bilancio documentato sul numero e le categorie delle vittime della "ezovscina"? Attualmente disponiamo di alcuni documenti ultraconfidenziali approntati durante la destalinizzazione da Nikita Hruscov e dai principali dirigenti del Partito; in particolare, di un lungo studio sulle «repressioni esercitate all'epoca del culto della personalità» realizzato da una commissione presieduta da Nikolaj Shvernik, che era stata istituita alla conclusione del Ventiduesimo Congresso del P.C.U.S. I ricercatori possono confrontare questi dati con molte altre fonti statistiche ora disponibili, dell'amministrazione del gulag, del commissariato del popolo per la Giustizia, dell'Ufficio della pubblica accusa.

Risulta così che, nel solo periodo 1937-1938, l'N.K.V.D. arrestò un milione 575 mila persone; che un milione 345 mila (ovvero l'85,4 per cento) furono condannate nel corso degli stessi anni; che 681692 (cioè il 51 per cento delle persone condannate) furono giustiziate. Le persone arrestate venivano condannate seguendo svariate procedure. I «quadri» politici, economici e militari erano processati dai tribunali militari e dai Consigli speciali dell'N.K.V.D., come pure gli intellettuali, la categoria più individuabile e meglio conosciuta. Le operazioni avevano una tale portata che a fine luglio del 1937 il governo istituì delle trojka a livello regionale, composte dal procuratore, dal direttore dell'N.K.V.D. e dal capo della polizia. Queste trojka adottavano procedure estremamente sbrigative, poiché rispondevano a quote fissate in anticipo dal potere centrale. Era sufficiente «riattivare» le liste degli individui già schedati dai servizi. L'istruttoria era ridotta ai minimi termini: le trojka esaminavano molte centinaia di casi al giorno, come conferma per esempio la recente pubblicazione del "Leningradskij Martirolog" (Martirologio di Leningrado), un annuario in cui, a partire dall'agosto del 1937, sono enumerati mese per mese i leningradesi arrestati e condannati a morte ai sensi dell'articolo 58 del Codice penale. Il lasso di tempo che intercorreva abitualmente fra l'arresto e la sentenza capitale andava da qualche giorno a qualche settimana. La condanna, senza appello, era eseguita nel giro di pochi giorni. Nel quadro delle operazioni specifiche di «liquidazione delle spie e dei separatisti» e delle grandi campagne di repressione, come la «liquidazione dei kulak» lanciata il 30 luglio 1937, la «liquidazione degli elementi criminali» lanciata il 12 settembre 1937, la «repressione delle famiglie di nemici del popolo» eccetera, le possibilità di essere arrestati all'unico scopo di completare la quota dipendevano da una serie di fattori fortuiti: casualità «geografiche» (le persone che vivevano nei territori di frontiera erano molto più esposte), trascorsi individuali (avere un qualche rapporto con un paese straniero o essere di origine straniera), omonimia. Se la lista delle persone schedate era insufficiente per «raggiungere gli standard», le autorità locali «si arrangiavano». Così, solo per fare un esempio, l'N.K.V.D. della Turkmenia, dovendo completare la categoria dei «sabotatori», colse l'occasione di un incendio scoppiato in una fabbrica per arrestare tutti quelli che si trovavano sul posto, costringendoli a indicare dei «complici». Il terrore, che era programmato dall'alto e stabiliva arbitrariamente le categorie dei nemici «politici», generava per sua stessa natura sconfinamenti molto indicativi riguardo la cultura di violenza da cui erano animati gli apparati repressivi di base.

Questi dati, da cui tra l'altro si deduce che i quadri comunisti rappresentavano soltanto una piccola percentuale dei 681692 giustiziati, non sono certo esaurienti. Non riguardano le deportazioni effettuate nel corso di questi anni (come per esempio l'operazione di deportazione dall'Estremo Oriente sovietico di 172 mila coreani, trasferiti nel Kazakistan e nell'Uzbekistan fra maggio e ottobre del 1937), non tengono conto né delle persone arrestate morte sotto tortura durante il soggiorno in prigione o il trasferimento verso i campi (cifra sconosciuta) né dei detenuti morti nei campi (25 mila circa nel 1937 oltre 90 mila nel 1938). Anche se ridotte rispetto a quanto si può dedurre dalle testimonianze dei sopravvissuti, queste cifre rivelano la spaventosa entità delle stragi di centinaia di migliaia di persone, che colpivano l'intera società.

Allo stato attuale è possibile analizzare più a fondo le categorie a cui appartenevano le vittime di questi massacri? Disponiamo di alcuni dati statistici, di cui parleremo più avanti, sui detenuti nei campi alla fine degli anni Trenta. Queste informazioni riguardano l'insieme dei reclusi (e non solo quelli arrestati durante il Grande terrore) e forniscono soltanto dati assai parziali sulle vittime condannate all'internamento nei campi durante la "ezovscina". Per esempio, si osserva un forte incremento proporzionale dei detenuti con un'istruzione superiore (oltre il 70 per cento fra il 1936 e il 1939), a conferma che alla fine degli anni Trenta il terrore veniva esercitato in particolare contro le élite colte, indipendentemente dalla loro appartenenza al Partito.

La repressione dei quadri del Partito è uno degli aspetti più conosciuti del Grande terrore, poiché fu la prima a essere denunciata (al Ventesimo Congresso). Nel suo «Rapporto segreto» Hruscov si dilungò ampiamente su questo aspetto della repressione, che colpì cinque membri dell'Ufficio politico, tutti fedeli a Stalin (Postyscev, Rudzutak, Eihe, Kosior, Ciubar), 98 membri del Comitato centrale su 139, 1108 delegati del Diciassettesimo Congresso del Partito (1934) su 1966. Esso interessò anche i quadri dirigenti del Komsomol: furono arrestati 72 membri del Comitato centrale su 93, 319 segretari regionali su 385, e 2210 segretari di distretto su 2750. In generale, furono totalmente rinnovati gli apparati regionali e locali del Partito e del Komsomol, sospettati dal Centro di «sabotare» le decisioni di Mosca, che erano per forza «corrette», e di ostacolare ogni controllo efficace da parte delle autorità centrali su quanto accadeva nel paese. A Leningrado, città sospetta per eccellenza, in cui il Partito era stato diretto da Zinov'ev e in cui Kirov era stato assassinato, Zdanov e Zakovskij, capo dell'N.K.V.D. regionale, arrestarono oltre il 90 per cento dei quadri di partito. Costoro costituivano però soltanto una piccola parte degli abitanti di Leningrado arrestati fra il 1936 e il 1939. Per accelerare le epurazioni, il potere centrale inviò nelle province degli emissari accompagnati da truppe dell'N.K.V.D.: la loro missione, per usare l'espressione colorita della «Pravda», era di «affumicare e distruggere i nidi delle cimici trotzkiste-fasciste».

Alcune regioni, per cui disponiamo di dati statistici parziali, furono «epurate», con maggior cura: al primo posto figura anche questa volta l'Ucraina. Durante il solo 1938, dopo la nomina di Hruscov alla guida del Partito comunista ucraino, nella repubblica furono arrestate oltre 106 mila persone (per la grande maggioranza giustiziate). Su 200 membri del Comitato centrale del Partito comunista ucraino sopravvissero soltanto in tre. Lo stesso copione fu replicato in tutti gli organismi regionali e locali del Partito, dove vennero organizzate decine di processi pubblici di dirigenti comunisti.

A differenza dei processi a porte chiuse o delle sessioni segrete delle trojka, in cui si decideva nel giro di pochi minuti il destino degli accusati, i processi pubblici dei dirigenti avevano una forte colorazione populista e svolgevano un'importante funzione di propaganda. Avevano lo scopo di rinsaldare l'alleanza fra il «popolo minuto, il piccolo militante, che ha la soluzione giusta» e la Guida, denunciando i dirigenti locali, i «nuovi signori sempre soddisfatti di se stessi ... che con il loro atteggiamento inumano producono artificialmente molti insoddisfatti e irritati, creando in questo modo un esercito di riserve per i trotzkisti» (Stalin, discorso del 3 marzo 1937). Come i grandi processi di Mosca, ma questa volta su scala di distretto, questi processi pubblici, le cui udienze erano riportate ampiamente dalla stampa locale, davano luogo a una straordinaria mobilitazione ideologica, popolare e populista. Smascherando il complotto, immagine fondamentale dell'ideologia, e assumendo una funzione di inversione carnevalesca (i potenti diventati cattivi, le «persone normali» divenute depositarie della «soluzione giusta») i processi pubblici costituivano, per riprendere l'espressione di Annie Kriegel, «un formidabile meccanismo di prevenzione sociale».

Naturalmente le azioni repressive dirette contro i responsabili locali del Partito rappresentavano soltanto la punta dell'iceberg. Prendiamo l'esempio di Orenburg: per questa provincia disponiamo di un rapporto dettagliato del dipartimento regionale dell'N.K.V.D., in cui sono descritti i «provvedimenti operativi di liquidazione di gruppi clandestini trotzkisti e bucariniani, oltre che di altre formazioni controrivoluzionarie, messi in atto fra il primo aprile e il 18 settembre 1937», cioè prima della missione di Zdanov, destinata ad «accelerare» le epurazioni.

Nella provincia di Orenburg nel giro di cinque mesi erano stati arrestati:

- 420 «trotzkisti», tutti quadri politici ed economici di primo piano;
- 120 «destrorsi», tutti importanti dirigenti locali.

Questi 540 quadri del Partito rappresentavano quasi il 45 per cento della nomenklatura locale. In seguito alla missione di Zdanov a Orenburg furono arrestati e giustiziati altri 598 quadri. In questa provincia, come altrove, nell'autunno del 1937 la quasi totalità dei dirigenti politici ed economici fu eliminata e sostituita da una nuova generazione, quella dei «promossi» del primo piano quinquennale, Breznev, Kosygin, Ustinov, Gromyko, insomma l'Ufficio politico degli anni Settanta.

Tuttavia, accanto a queste migliaia di quadri veniva arrestata una massa di persone comuni: membri del Partito, ex comunisti, e quindi particolarmente vulnerabili, o semplici cittadini schedati da anni, che costituirono il grosso delle vittime del Grande terrore. Riprendiamo il rapporto dell'N.K.V.D. di Orenburg:

    "- un po' più di 2000 membri dell'organizzazione nipponico-militare di destra dei cosacchi [1500 dei quali furono fucilati];
    - oltre 1500 ufficiali e funzionari zaristi esiliati nel 1935 da Leningrado a Orenburg [si trattava di «elementi estranei alla società» esiliati in varie regioni del paese dopo l'assassinio di Kirov];
    - circa 250 persone arrestate nell'ambito del processo ai polacchi;
    - circa 95 persone arrestate ... nell'ambito del processo agli individui originari di Harbin;
    - 3290 persone nel quadro dell'operazione di liquidazione degli ex kulak;
    - 1399 persone ... durante l'operazione di liquidazione degli elementi criminali".

Insomma, contando anche la trentina di membri del Komsomol e la cinquantina di cadetti della Scuola di istruzione militare locale, nella provincia in cinque mesi erano state arrestate dall'N.K.V.D. oltre 7500 persone, prima ancora che la repressione si intensificasse in conseguenza della missione di Andrej Zdanov. L'arresto del 90 per cento dei quadri della nomenklatura locale, anche se fu molto spettacolare, rappresentava soltanto una percentuale trascurabile rispetto al numero totale delle persone colpite dalla repressione, quasi tutte classificate in una delle categorie prese di mira nel corso di operazioni specifiche decise e approvate dall'Ufficio politico, e da Stalin in particolare.

Furono decimate soprattutto alcune categorie di quadri e di dirigenti: i diplomatici e il personale del commissariato del popolo per gli Affari esteri, vittime naturali dell'accusa di spionaggio, o anche i funzionari dei ministeri economici e i dirigenti di fabbrica, sospettati di «sabotaggio». Fra i diplomatici di rango arrestati, e per la maggior parte giustiziati, figuravano Krestinskij, Sokol'nikov, Bogomolov, Jurenev, Ostrovskij, Antonov-Ovseenko, rispettivamente in carica a Berlino, Londra, Pechino, Tokyo, Bucarest e Madrid.

In alcuni ministeri fu colpita dalla repressione la totalità dei funzionari, quasi senza eccezioni. Per esempio, nell'oscuro commissariato del popolo per le Macchine utensili fu rinnovata l'intera amministrazione; vennero arrestati anche tutti i dirigenti di fabbrica che dipendevano da questo settore (eccetto due), e la quasi totalità degli ingegneri e dei tecnici. Accadde lo stesso negli altri settori industriali, in particolare quello aeronautico e navale, nella metallurgia, come pure nei trasporti, tutti comparti su cui disponiamo di studi frammentari. Dopo la fine del Grande terrore, al Diciottesimo Congresso (marzo 1939), Kaganovic ammise: «Nel 1937 e nel 1938 il personale dirigente dell'industria pesante è stato rinnovato totalmente; migliaia di uomini nuovi sono stati nominati alle cariche dirigenziali al posto dei sabotatori smascherati. In certi settori si sono dovute rimuovere diverse fasce di sabotatori e di spie ... Ora abbiamo dei quadri capaci di accettare qualsiasi compito che il compagno Stalin assegnerà loro».

Fra i quadri del Partito colpiti più duramente durante la "ezovscina" figuravano i dirigenti dei partiti comunisti stranieri e i quadri dell'Internazionale comunista che vivevano a Mosca, all'hotel Lux. Fra gli arrestati di spicco molti appartenenti al Partito comunista tedesco: Heinz Neumann, Hermann Remmele, Fritz Schulte, Hermann Schubert, tutti ex membri dell'Ufficio politico; Leo Flieg, segretario del Comitato centrale, Heinrich Susskind e Werner Hirsch, direttori del giornale «Rote Fahne», Hugo Eberlein, delegato tedesco alla conferenza di fondazione dell'Internazionale comunista. Nel febbraio del 1940, qualche mese dopo la stipula del patto tedesco- sovietico, 570 comunisti tedeschi incarcerati nelle prigioni di Mosca furono consegnati alla Gestapo sul ponte di confine di Brest-Litovsk. L'epurazione compì la sua opera devastante anche fra i comunisti ungheresi. Béla Kun, istigatore della rivoluzione ungherese del 1919, fu arrestato e giustiziato, come altri 12 commissari del popolo dell'effimero governo comunista di Budapest, tutti rifugiati a Mosca. Furono arrestati quasi 200 comunisti italiani (fra cui Paolo Robotti, cognato di Togliatti) e un centinaio di comunisti iugoslavi (fra cui Gorkic, segretario generale del Partito, Vlada Ciopic, segretario dell'organizzazione e dirigente delle Brigate internazionali, oltre a tre quarti dei membri del Comitato centrale).

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[Box: Fra le vittime del Grande terrore, una schiacciante maggioranza di anonimi. Estratti di un fascicolo «normale» del 1938.

Fascicolo n. 24260.
1. Cognome: Sidorov
2. Nome: Vasilij Klementovic
3. Luogo e data di nascita: Sycevo, regione di Mosca, 1893.
4. Indirizzo: Sycevo, distretto Kolomenskij, regione di Mosca.
5. Professione: dipendente di una cooperativa.
6. Affiliazione sindacale: sindacato dei dipendenti delle cooperative.
7. Patrimonio al momento dell'arresto (descrizione dettagliata): una casa di legno di 8 metri per 8 con tetto di latta, un cortile in parte coperto di 20 metri per 7, una mucca, 4 pecore, 2 maiali, pollame.
8. Patrimonio nel 1929: lo stesso, più un cavallo.
9. Patrimonio nel 1917: una casa di legno 8 metri per 8; un cortile in parte coperto di 30 metri per 20; 2 granai, 2 magazzini, 2 cavalli, 2 mucche, 7 pecore.
10. Situazione sociale al momento dell'arresto: dipendente.
11. Stato di servizio nell'esercito zarista: nel 1915-1916 fantaccino
di seconda classe nel Sesto Reggimento fanteria del Turkestan.
12. Stato di servizio nell'Armata bianca: nessuno.
13. Stato di servizio nell'Armata rossa: nessuno.
14. Origine sociale: Mi considero figlio di un contadino medio.
15. Passato politico: non iscritto ad alcun partito.
16: Nazionalità, cittadinanza: russo, cittadino dell'URSS.
17. Appartenenza al R.K.P.(b): no.
18. Livello di istruzione: elementare.
19. Stato militare attuale: riservista.
20. Condanne pregresse: nessuna.
21. Stato di salute: ernia.
22. Situazione familiare: coniugato. Moglie: Anastasija Fodorovna, 43 anni, colcosiana; figlia: Nina, 24 anni.
Arrestato il 13 febbraio 1938 dalla direzione distrettuale dell'N.K.V.D.

Estratti del verbale di interrogatorio.
Domanda: Ci fornisca ragguagli sulla sua origine sociale, e sulla sua situazione sociale e patrimoniale prima e dopo il 1917.
Risposta: Sono nato in una famiglia di commercianti. Fino al 1904 circa mio padre possedeva una botteguccia a Mosca, in via Zolotorozskaja dove, a quanto mi ha detto, esercitava il commercio senza avere nessun dipendente. Dopo il 1904 mio padre ha dovuto chiudere bottega, perché non riusciva a competere con i grandi commercianti. E' tornato in campagna, a Sycevo, e ha preso in affitto sei ettari di terra arabile e due ettari di prato. Aveva un dipendente, un certo Gorjacev, che ha lavorato con mio padre per molti anni, fino al 1916. Dopo il 1917 abbiamo conservato i nostri campi, ma abbiamo perso i cavalli. Ho lavorato con mio padre fino al 1925, poi dopo la sua morte mio fratello e io abbiamo diviso la terra. Non mi riconosco colpevole per nessun addebito.

Estratti dell'atto di accusa.
... Sidorov, maldisposto verso il potere sovietico in generale e il Partito in particolare, conduceva una sistematica propaganda antisovietica diffondendo le seguenti affermazioni: «Stalin e la sua banda non vogliono mollare il potere, Stalin ha ucciso un sacco di gente ma non vuole andarsene. I bolscevichi stanno al potere, arrestano le persone oneste, e non se ne può nemmeno parlare, perché se no ti internano in un campo per venticinque anni».
L'imputato Sidorov si è dichiarato non colpevole, ma è stato smascherato da diverse testimonianze. L'incartamento è stato inviato a una trojka per il processo.
Firmato: Salahaev, sottotenente della milizia distrettuale di Kolomenskoe.
Per assenso: Galkin, tenente della Sicurezza di Stato, capo del distaccamento della Sicurezza di Stato del distretto di Kolomenskoe.

Estratti del processo verbale di sentenza della trojka, 15 luglio 1938.
... Caso Sidorov, V. K. Ex commerciante, sfruttava una bottega insieme al padre. Accusato di aver diffuso la propaganda controrivoluzionaria fra i colcosiani, caratterizzata da affermazioni disfattiste, accompagnate da minacce contro i comunisti, critiche contro la politica del Partito e del governo.
Verdetto: FUCILARE Sidorov Vasilij Klementovic, confiscarne tutti i beni.
La sentenza è stata eseguita il 3 agosto 1938.

Riabilitazione postuma: 24 gennaio 1989.
(«Volja», 2-3, 1994, p.p. 45-46).]

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Ma furono i polacchi a pagare il tributo più pesante. I comunisti polacchi si trovarono in una situazione assai particolare: il Partito comunista polacco era nato dal Partito socialdemocratico dei regni di Polonia e Lituania, che nel 1906 era stato ammesso in seno al Partito operaio socialdemocratico della Russia con statuto autonomo. Il Partito comunista polacco, che prima del 1917 annoverava tra i propri dirigenti Feliks Dzerzinskij, aveva legami molto stretti con il Partito russo. Molti socialdemocratici polacchi avevano fatto carriera nel Partito bolscevico: Dzerzinskij, Menzinskij, Unshliht (tutti dirigenti della G.P.U.), Radek, per citare soltanto i più noti.

Fra il 1937 e il 1938 il Partito comunista polacco fu completamente liquidato. I dodici membri polacchi del Comitato centrale presenti in URSS furono giustiziati, così come tutti i rappresentanti polacchi negli organismi dell'Internazionale comunista. Il 28 novembre 1937 Stalin firmò un documento in cui proponeva la «ripulitura» del Partito comunista polacco. In generale, dopo aver fatto epurare un partito Stalin sceglieva nuovo personale dirigente appartenente a una delle fazioni rivali emerse durante l'epurazione. Nel caso del Partito comunista polacco tutte le fazioni furono accusate di «seguire le direttive dei servizi segreti controrivoluzionari polacchi». Il 16 agosto 1938 il Comitato esecutivo dell'Internazionale votò lo scioglimento del Partito comunista polacco. Come spiegò Manuil'skij, «gli agenti del fascismo polacco avevano manovrato in modo da occupare tutti i posti chiave del Partito comunista polacco».

Naturalmente i responsabili sovietici dell'Internazionale comunista, che si erano lasciati «ingannare» e avevano mancato di «vigilanza», in seguito furono colpiti dall'epurazione. Quasi tutti i quadri sovietici dell'Internazionale (fra cui Knorin, membro del Comitato esecutivo, Mirov-Abramov, capo del Dipartimento comunicazioni con l'estero, Alihanov, capo del Dipartimento quadri) furono liquidati: si trattava di diverse centinaia di persone. Sopravvissero all'epurazione dell'Internazionale pochissimi dirigenti, totalmente ligi a Stalin, come Manuil'skij o Kuusinen.

***

Fra le altre categorie duramente colpite negli anni 1937-1938 per le quali disponiamo di dati precisi figurano i militari. L'11 giugno 1937 la stampa annunciò che in seguito a un processo a porte chiuse per tradimento e spionaggio un tribunale militare aveva condannato a morte il maresciallo Tuhacevskij, vicecommissario per la Difesa e principale artefice della modernizzazione dell'Armata rossa - il quale dopo la campagna di Polonia del 1920 aveva avuto svariati dissidi con Stalin e Voroscilov -, e sette generali d'armata, Jakir (comandante della regione militare di Kiev), Uborevic (comandante della regione militare della Bielorussia), Ejdeman, Kork, Putna, Fel'dman, Primakov. Nei dieci giorni seguenti furono arrestati 980 ufficiali superiori, fra cui 21 generali di corpo d'armata e 37 generali di divisione. Il caso del «complotto militare» attribuito a Tuhacevskij e ai suoi «complici» era stato preparato da molti mesi. I principali accusati furono arrestati nel corso del maggio 1937. Gli imputati furono sottoposti a interrogatori «energici» (molte pagine della deposizione del maresciallo Tuhacevskij, esaminate all'epoca della sua riabilitazione, avvenuta vent'anni dopo, recavano tracce di sangue) diretti da Ezov in persona, e poco prima del processo confessarono. Stalin sovrintese direttamente a tutta l'istruttoria. Verso il 15 maggio l'ambasciatore sovietico a Praga gli aveva trasmesso un incartamento falsificato, costruito dai servizi segreti nazisti, che conteneva false lettere scambiate fra Tuhacevskij e membri del Comando supremo tedesco. L'N.K.V.D. aveva raggirato anche i servizi tedeschi...

Nel giro di due anni l'epurazione dell'Armata rossa eliminò:

- 3 marescialli su 5 (Tuhacevskij, Egorov e Bljuher; gli ultimi due furono eliminati rispettivamente nel febbraio e nell'ottobre del 1938);
- 13 generali d'armata su 15;
- 8 ammiragli su 9;
- 50 generali di corpo d'armata su 57;
- 154 generali di divisione su 186;
- 16 commissari d'armata su 16;
- 25 commissari di corpo d'armata su 28.

Fra il maggio del 1937 e il settembre del 1938 furono arrestati o congedati dall'esercito 35020 ufficiali. Non si sa ancora quanti ne furono giustiziati. Circa 11 mila (fra cui i generali Rokossovskij e Gorbatov) furono richiamati fra il 1939 e il 1941. Ma dopo il settembre del 1938 avvennero altre epurazioni, e quindi secondo le valutazioni più attendibili il numero totale degli arresti nell'esercito durante il Grande terrore fu di 30 mila quadri su un totale di 178 mila. L'«epurazione» dell'Armata rossa, soprattutto ai massimi gradi, fu relativamente meno pesante di quanto in generale si pensasse; si fece comunque sentire durante la guerra russo- finlandese del 1940 e all'inizio della guerra tedesco-sovietica, e costituì un handicap pesantissimo per l'Armata rossa.

Stalin, secondo il quale la minaccia hitleriana era molto meno temibile di quanto pensassero altri dirigenti bolscevichi, come Buharin o Litvinov, commissario del popolo per gli Affari esteri fino all'aprile del 1939, non esitò a sacrificare la maggior parte dei migliori ufficiali dell'Armata rossa: li sostituì con effettivi totalmente nuovi, che non avevano memoria alcuna degli episodi discutibili in cui lo stesso Stalin era stato coinvolto come «capo militare» durante la guerra civile. Nessuno dei neopromossi si sarebbe inoltre azzardato a contestare una serie di decisioni militari e politiche prese da Stalin alla fine degli anni Trenta (in particolare il riavvicinamento alla Germania nazista), come avrebbe potuto fare invece un uomo con il prestigio del maresciallo Tuhacevskij.

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L'intellighenzia è un'altra categoria di vittime del Grande terrore per la quale disponiamo di informazioni relativamente abbondanti. Dalla metà del diciannovesimo secolo, epoca in cui era diventata un gruppo sociale riconosciuto, l'intellighenzia russa era sempre stata il fulcro della resistenza contro il dispotismo e l'asservimento del pensiero. Era naturale che venisse colpita dall'epurazione in modo particolarmente cruento rispetto alle ondate di repressione che si erano susseguite nel 1922 e nel 1928-1931. Fra il marzo e l'aprile del 1937 una campagna di stampa stigmatizzò il «deviazionismo» in ambito economico, storico, letterario. In realtà venivano prese di mira tutte le branche dell'attività scientifica e letteraria: i pretesti dottrinali e politici spesso servivano a coprire rivalità e ambizioni.

In ambito storico, per esempio, furono arrestati tutti i discepoli di Pokrovskij, morto nel 1932. Dovendo continuare a tenere lezioni pubbliche, e avendo quindi la possibilità di influenzare un ampio uditorio di studenti, i professori erano particolarmente vulnerabili, perché qualsiasi loro affermazione poteva essere riportata alle autorità da informatori zelanti. Università, istituti e accademie furono decimati, soprattutto in Bielorussia (dove 87 accademici su 105 vennero arrestati come «spie polacche») e in Ucraina. In questa repubblica nel 1933 si era svolta una prima epurazione contro i «nazionalisti borghesi»; molte migliaia di intellettuali ucraini furono arrestati per aver «trasformato l'Accademia ucraina delle scienze, l'Istituto Sevcenko, l'Accademia agricola, l'Istituto ucraino del marxismo-leninismo, oltre ai commissariati del popolo per l'Istruzione, l'Agricoltura e la Giustizia, in altrettanti asili per nazionalisti borghesi e controrivoluzionari» (discorso di Postyscev, 22 giugno 1933). In questo caso la grande epurazione del 1937-1938 completò una operazione incominciata quattro anni prima.

Furono colpiti anche gli ambienti scientifici che avevano un qualche rapporto, seppure alla lontana, con la politica, l'ideologia, l'economia o la difesa. I personaggi più autorevoli dell'industria aeronautica, come Tupolev (costruttore del famoso aereo) o Korolev (all'origine del primo programma spaziale sovietico), furono arrestati e inviati in una di quelle unità di ricerca dell'N.K.V.D. descritte da Solzenicyn nel "Primo cerchio". Furono arrestati anche: la quasi totalità (27 su 29) degli astronomi del grande osservatorio di Pulkovo; la quasi totalità degli statistici della Direzione centrale dell'economia nazionale, che aveva appena realizzato il censimento del gennaio 1937, annullato per «grave violazione dei fondamenti elementari della scienza statistica e delle direttive del governo»; numerosi linguisti che si opponevano alla teoria del «linguista» marxista Marr, che aveva l'approvazione ufficiale dello stesso Stalin; parecchie centinaia di biologi, che respingevano la ciarlataneria del «biologo ufficiale» Lysenko. Fra le vittime più note comparivano il professor Levit, direttore dell'Istituto medico-genetico, Tulajkov, direttore dell'Istituto dei cereali, il botanico Janata e l'accademico Vavilov, presidente dell'Accademia Lenin delle scienze agrarie, arrestato il 6 agosto 1940 e morto in prigione il 26 gennaio 1943.

Scrittori, pubblicisti, uomini di teatro, giornalisti furono accusati di difendere opinioni «straniere» o «ostili» e di deviare dalle norme del «realismo socialista»; pagarono quindi un pesante tributo alla "ezovscina". Furono arrestati e deportati in campo di concentramento o giustiziati circa 2000 membri dell'Unione degli scrittori. Fra le vittime più famose comparivano Isaak Babel', autore dei "Racconti di Odessa" e dell'"Armata a cavallo" (fucilato il 27 gennaio 1940), gli scrittori Boris Pil'njak, Jurij Olescia, Pantelejmon Romanov, i poeti Nikolaj Kljuev, Nikolaj Zabolockij, Osip Mandel'shtam (morto in un campo di transito siberiano il 26 dicembre 1938), Gurdzen Maari, Tician Tabidze. Furono arrestati anche dei musicisti (il compositore Zeljaev, il direttore d'orchestra Mikoladze) e degli artisti di teatro, primo fra tutti il grande attore e regista Vsevolod Mejerhol'd. All'inizio del 1938 il teatro Mejerhol'd fu chiuso in quanto «estraneo all'arte sovietica». Essendosi rifiutato di fare pubblica autocritica, nel giugno del 1939 Mejerhol'd venne arrestato e torturato, quindi giustiziato il 2 febbraio 1940.

Durante questi anni le autorità tentarono di «liquidare definitivamente gli ultimi residui del clero», per riprendere un'espressione in voga all'epoca. Il censimento annullato del gennaio del 1937 aveva rivelato che nonostante le numerose pressioni di vario genere un'ampia maggioranza della popolazione - il 70 per cento circa - aveva dato risposta positiva alla domanda: «Lei è credente?»; perciò i dirigenti sovietici decisero di sferrare il terzo e ultimo attacco contro la Chiesa. Nell'aprile del 1935 Malenkov inviò un dispaccio a Stalin in cui dichiarava superata la legislazione sul culto e proponeva l'abrogazione del Decreto dell'8 aprile 1929. Spiegava: «[Tale decreto] aveva creato una base legale per l'istituzione, da parte dei membri più attivi del clero e delle sette, di una organizzazione ramificata di 600 mila individui ostili al potere sovietico». E concludeva: «E' tempo di finirla con le organizzazioni clericali e la gerarchia ecclesiastica». Migliaia di preti e la stragrande maggioranza dei vescovi ripresero la via dei campi, ma questa volta furono giustiziati quasi tutti. All'inizio del 1941 meno di 1000 chiese e moschee delle 20 mila ancora in attività nel 1936 erano rimaste aperte al culto. Quanto al numero dei sacerdoti ufficialmente censiti, all'inizio del 1941 era di 5665 (di cui oltre la metà provenienti dai territori baltici, polacchi, ucraini, moldavi incorporati nel 1939-1941), mentre nel 1936 era ancora superiore a 24 mila.

***

Il Grande terrore fu un'operazione politica iniziata e messa in atto dall'inizio alla fine dai massimi organismi del Partito, cioè da Stalin, che all'epoca dominava completamente i colleghi dell'Ufficio politico, e realizzò i suoi due obiettivi principali.

Il primo era di organizzare una burocrazia civile e militare obbediente, costituita di quadri giovani formatisi nello spirito staliniano degli anni Trenta, che - secondo quanto disse Kaganovic al Diciottesimo Congresso - avrebbero accettato «qualsiasi compito assegnato loro dal compagno Stalin». Fino ad allora le varie amministrazioni, una compagine eterogenea di «specialisti borghesi» cresciuti professionalmente sotto il vecchio regime e di quadri bolscevichi, spesso poco competenti, formatisi «sul campo» durante la guerra civile, avevano tentato di conservare la propria professionalità, le proprie logiche amministrative, o semplicemente la propria autonomia e le proprie reti clientelari, senza piegarsi ciecamente al volontarismo ideologico e agli ordini del potere centrale. La difficoltà della campagna di «verifica delle tessere di partito» del 1935, che si era scontrata con la resistenza passiva dei dirigenti comunisti locali, e il rifiuto, espresso dalla maggioranza degli statistici, di «abbellire» i risultati del censimento del gennaio 1937 adeguandoli ai desideri di Stalin, costituiscono due esempi significativi: sono problemi che fecero riflettere i dirigenti staliniani sulla natura dell'amministrazione di cui disponevano per governare il paese. Appariva evidente che moltissimi quadri, comunisti e non, erano restii a eseguire indiscriminatamente gli ordini emanati dal potere centrale. Perciò Stalin aveva necessità di sostituirli con persone più «efficienti», cioè più disposte a obbedire.

Il secondo obiettivo del Grande terrore era portare a termine l'eliminazione radicale di tutti gli «elementi pericolosi per la società», un concetto dai limiti molto vaghi. Secondo il Codice penale era considerato un pericolo per la società qualsiasi individuo che avesse «commesso un atto pericoloso per la società, o i cui rapporti con un ambiente criminale o la cui attività passata» rappresentassero una minaccia. In base a questi principi era pericolosa per la società la vasta schiera degli «ex», che per la maggior parte erano già stati oggetto di misure repressive nel passato: ex kulak, ex criminali, ex funzionari zaristi, ex membri del Partito menscevico, socialista rivoluzionario eccetera. Durante il Grande terrore tutti questi «ex» furono eliminati, in conformità alla teoria staliniana esposta al plenum del Comitato centrale del febbraio-marzo 1937, secondo la quale «più si avanza verso il socialismo, più diventa accanita la lotta ai sopravvissuti delle classi moribonde».

Nell'intervento al plenum del Comitato centrale del febbraio-marzo 1937, Stalin insistette particolarmente sull'idea che le potenze nemiche avevano accerchiato l'URSS, l'unico paese in cui era stato «edificato il socialismo». Tali potenze limitrofe (Finlandia, paesi baltici, Polonia, Romania, Turchia, Giappone), con l'aiuto della Francia e della Gran Bretagna, inviavano in URSS «eserciti di diversionisti e di spie», incaricati di sabotare l'edificazione del socialismo. L'URSS, Stato unico e sacralizzato, aveva «sacri confini» che rappresentavano il fronte contro l'onnipresente nemico esterno. Dato il contesto, non stupisce che l'essenza del Grande terrore consistesse nella caccia alle spie, cioè a tutti quelli che avevano avuto qualche contatto, per quanto vago, con l'«altro mondo», e nell'eliminazione di una mitica «quinta colonna» potenziale. Così, partendo dalla suddivisione delle vittime in grandi categorie - quadri e specialisti, elementi pericolosi per la società (gli «ex»), spie - si possono individuare i caratteri principali di questa furia parossistica che ebbe come conseguenza l'eliminazione fisica di quasi 700 mila persone in due anni.

10. IL GRANDE TERRORE. (1936-1938)
Molto è stato scritto sul «Grande terrore» che i sovietici chiamano anche "ezovscina", «l'epoca di Ezov». Infatti, proprio nei due anni in cui l'N.K.V.D. era diretto da Nikolaj Ezov (dal settembre del 1936 al novembre del 1938) la repressione acquisì un'ampiezza senza precedenti, coinvolgendo tutte le componenti della popolazione sovietica, dai dirigenti dell'Ufficio politico ai semplici cittadini arrestati per strada all'unico scopo di completare le quote di «elementi controrivoluzionari da reprimere». Per decenni non si è fatta parola sulla tragedia del Grande terrore. In Occidente quel periodo veniva rammentato solo per i tre spettacolari processi pubblici svoltisi a Mosca nell'agosto del 1936, nel gennaio del 1937 e nel marzo del 1938, in cui i più prestigiosi compagni di Lenin (Zinov'ev, Kamenev, Krestinskij, Rykov, Pjatakov, Radek, Buharin e altri) confessarono misfatti infami: di aver organizzato «nuclei terroristici» di fede «trotzkista-zinovievista» o «trotzkista- destrorsa» allo scopo di rovesciare il governo sovietico, assassinarne i dirigenti, restaurare il capitalismo, eseguire atti di sabotaggio, scalzare il potere militare dell'URSS, smembrare l'Unione Sovietica e separarne l'Ucraina, la Bielorussia, la Georgia, l'Armenia, i paesi sovietici dell'Estremo Oriente eccetera, per favorire le potenze straniere.

I processi di Mosca furono un evento spettacolare d'eccezione, un richiamo per distrarre l'attenzione degli osservatori stranieri invitati alla rappresentazione da tutto quello che accadeva intorno: la repressione di massa di tutte le categorie sociali. Per questi osservatori, che avevano già taciuto riguardo la dekulakizzazione, la carestia e l'espandersi della rete dei campi, gli anni 1936-1938 costituirono soltanto l'ultimo atto della lotta politica che, per oltre un decennio, aveva contrapposto Stalin ai suoi principali avversari: erano l'epilogo dello scontro fra la «burocrazia del Termidoro staliniano» e la «vecchia guardia leninista» rimasta fedele all'impegno rivoluzionario.

Il 27 luglio 1936 l'editorialista del prestigioso quotidiano francese «Le Temps», riprendendo i temi principali della "Rivoluzione tradita", l'opera di Trockij uscita nel 1936, scriveva:

    «La Rivoluzione russa vive il suo Termidoro. Stalin ha compreso quanto siano vuoti la pura ideologia marxista e il mito della rivoluzione mondiale. Essendo sì un buon socialista, ma innanzi tutto un patriota, si rende conto che si tratta di un'ideologia e di un mito pericolosi per il suo paese. Probabilmente sogna un dispotismo illuminato, una specie di paternalismo certo lontano dal capitalismo, ma lontano anche dalle chimere del comunismo.»
E il 30 gennaio 1937 l'«Echo de Paris» esprimeva la stessa idea in termini più coloriti e meno rispettosi:

    «Il georgiano con la fronte bassa si affianca senza volerlo a Ivan il Terribile, Pietro il Grande e Caterina Seconda. Gli altri, quelli che fa massacrare, sono i rivoluzionari rimasti fedeli al loro credo diabolico, nevrotici perennemente in preda a una furia distruttrice».

Si è dovuto aspettare il «Rapporto segreto» di Hruscov al Ventesimo Congresso del P.C.U.S., il 25 febbraio 1956, perché finalmente fossero rivelati i «numerosi atti di violazione della legalità socialista commessi negli anni 1936-1938 contro i dirigenti e i quadri del Partito». Negli anni seguenti sono stati riabilitati diversi responsabili, soprattutto militari. Ma non si è fatta parola delle vittime «comuni». Certo, al Ventiduesimo Congresso del P.C.U.S., nell'ottobre del 1961, Hruscov ammise pubblicamente che la «repressione di massa» aveva «colpito dei comuni e onesti cittadini sovietici», ma non disse nulla riguardo l'ampiezza della repressione, di cui era stato direttamente responsabile come molti altri dirigenti della sua generazione.

Comunque alla fine degli anni Sessanta uno storico della levatura di Robert Conquest è riuscito a ricostruire per sommi capi la trama generale del Grande terrore, basandosi sulle testimonianze dei sovietici fuggiti in Occidente e sulle pubblicazioni uscite negli ambienti dell'emigrazione e in Unione Sovietica nel periodo del «disgelo cruscioviano», anche se le sue deduzioni sui meccanismi decisionali talvolta sono azzardate e va rilevata una significativa sopravvalutazione del numero delle vittime.

L'opera di Robert Conquest ha suscitato molte discussioni, soprattutto sul grado di centralizzazione del terrore, sui rispettivi ruoli di Stalin e di Ezov, e sul numero delle vittime. Per esempio, alcuni storici della scuola revisionista americana hanno contestato la tesi secondo cui Stalin avrebbe pianificato con precisione il corso degli avvenimenti dal 1936 al 1938, sottolineando invece quanto fossero aumentati gli attriti fra le autorità centrali e gli apparati locali sempre più potenti, nonché gli «sconfinamenti» di una repressione in larga misura priva di controlli; hanno quindi attribuito l'eccezionale portata della repressione negli anni 1936-1938 agli apparati locali che, desiderando sviare il colpo destinato a loro, avevano usato l'arma del terrore contro innumerevoli «capri espiatori», per dimostrare al Centro quanto fossero vigili e intransigenti nella lotta contro i «nemici» di tutti gli schieramenti.

Un altro punto di divergenza riguarda il numero delle vittime. Per Conquest e i suoi discepoli il bilancio del Grande terrore si chiuse con almeno 6 milioni di arresti, 3 milioni di esecuzioni e 2 milioni di morti nei campi. Per gli storici revisionisti queste cifre sono decisamente eccessive.

Oggi l'apertura degli archivi sovietici, sebbene ancora parziale, ci consente di rifare il punto sul Grande terrore. Non si tratta di ripercorrere in queste poche pagine, come altri hanno già fatto, la storia straordinariamente complessa e tragica degli anni più cruenti del regime sovietico, ma di cercare di far luce su alcune questioni dibattute negli ultimi anni, in particolare il grado di centralizzazione del terrore, le categorie e il numero delle vittime. Per quanto riguarda la prima questione, i documenti dell'Ufficio politico oggi accessibili confermano che la repressione di massa è stata effettivamente il risultato di una iniziativa assunta dall'organo supremo del Partito, l'Ufficio politico, e in particolare da Stalin. Il modo in cui fu organizzata e poi attuata la più cruenta fra le grandi operazioni di repressione, la «liquidazione di ex kulak, criminali e altri elementi antisovietici» che si svolse dall'agosto 1937 al maggio 1938, getta una luce davvero rivelatrice sul ruolo esercitato nella repressione dal potere centrale e da quello locale, ma anche sulla logica di questa operazione, che, almeno all'inizio, era destinata a risolvere definitivamente un problema cui non era stato possibile ovviare negli anni precedenti.

Nel 1936-1937, la questione del destino futuro degli ex kulak deportati era all'ordine del giorno. Sempre più «coloni speciali» si confondevano nella massa dei lavoratori liberi, nonostante venisse ricordato loro di continuo che era proibito lasciare il luogo di domicilio coatto. In un rapporto dell'agosto 1936 Rudol'f Berman, capo del gulag, scriveva: «Numerosi coloni speciali, che lavorano da tempo in squadre miste con gli operai liberi, hanno lasciato il luogo di residenza approfittando di un regime di sorveglianza abbastanza lassista. E' sempre più difficile recuperarli. Infatti hanno acquisito una specializzazione, l'amministrazione delle imprese ci tiene a non perderli, e talvolta sono riusciti anche a ottenere un passaporto, si sono sposati con colleghe libere, spesso hanno una casa».

Molti coloni speciali con domicilio coatto presso gli insediamenti industriali avevano la tendenza a fondersi con la classe operaia locale, ma altri fuggivano più lontano. Un gran numero di questi «fuggiaschi», senza documenti e senza tetto, si univa alle bande di emarginati sociali e di piccoli delinquenti che erano sempre più numerose alle periferie delle città. Le ispezioni condotte nell'autunno del 1936 nella giurisdizione di certi comandi rivelarono una situazione «intollerabile» agli occhi delle autorità: per esempio, nella regione di Arcangelo erano rimasti sul posto solo 37 mila degli 87900 coloni speciali che in teoria vi erano assegnati a domicilio coatto.

L'ossessione del «kulak sabotatore infiltrato nelle imprese» e del «kulak bandito che si aggira per le città» spiega perché questa categoria sia diventata il principale capro espiatorio nella grande operazione di repressione decisa da Stalin all'inizio del luglio del 1937.

Il 2 luglio l'Ufficio politico inviò un telegramma alle autorità locali con l'ordine di «arrestare immediatamente tutti i kulak e i criminali ... di fucilare i più ostili previa disamina amministrativa del loro caso da parte di una trojka e di deportare gli elementi meno attivi, ma comunque ostili al regime». E proseguiva: «Il Comitato centrale chiede che gli vengano segnalati entro cinque giorni la composizione delle trojka, il numero degli individui da fucilare e di quelli da deportare».

Perciò nelle settimane successive le autorità centrali ricevettero le «cifre indicative» fornite dalle autorità locali; su quella base Ezov preparò l'Ordine operativo n. 00447, datato 30 luglio 1937, e lo stesso giorno lo sottopose per ratifica all'Ufficio politico. Nel quadro di questa «operazione» furono arrestate 259450 persone, di cui 72950 vennero fucilate (7). In realtà queste cifre erano incomplete, perché nella lista stabilita mancava una serie di regioni che, a quanto pare, non avevano ancora fatto pervenire a Mosca le loro «valutazioni». Come all'epoca della dekulakizzazione, a ciascuna regione furono assegnate delle quote per le due categorie (prima categoria: da giustiziare; seconda categoria: da deportare).

Si deve notare che gli elementi presi di mira dall'operazione appartenevano a una fascia sociopolitica assai più vasta rispetto alle categorie enumerate all'inizio: accanto agli «ex kulak» e ai «criminali» figuravano gli «elementi pericolosi per la società», i «membri dei partiti antisovietici», gli «ex funzionari zaristi» le «Guardie bianche» eccetera. Naturalmente questi appellativi erano attribuiti a qualsiasi sospetto, sia che appartenesse al Partito, all'intellighenzia o alla «gente comune». Quanto alle liste dei sospetti, per anni i servizi competenti della G.P.U., e poi dell'N.K.V.D., avevano avuto tutto il tempo per prepararle, tenerle aggiornate e servirsene.

L'Ordine operativo del 30 luglio 1937 conferiva ai dirigenti locali la facoltà di chiedere a Mosca elenchi complementari di individui da assoggettare a repressioni. Le famiglie dei condannati all'internamento nei campi o dei giustiziati potevano essere arrestate «in eccedenza alle quote».

A partire dalla fine di agosto l'Ufficio politico ricevette da ogni parte la richiesta di aumentare le quote. Dal 28 agosto al 15 dicembre 1937 ratificò un gran numero di proposte, per un totale di 22500 individui da giustiziare e di 16800 da internare nei campi. Il 31 gennaio 1938 su iniziativa dell'N.K.V.D. approvò un'altra «aggiunta» di 57200 persone, 48 mila delle quali dovevano essere giustiziate. Tutte le operazioni si dovevano concludere entro il 15 marzo 1938. Ma anche questa volta le istituzioni locali, che dall'anno precedente erano state «epurate» e rinnovate diverse volte, ritennero opportuno fare sfoggio di zelo. Fra il primo febbraio e il 29 agosto 1938 l'Ufficio politico ratificò altri provvedimenti di repressione destinati a colpire contingenti supplementari di individui per un totale di 90 mila unità.

Insomma l'operazione, che in origine doveva durare quattro mesi, si prolungò per oltre un anno, e coinvolse almeno 200 mila persone in più rispetto alle quote approvate all'inizio. Chiunque fosse sospettato di avere «cattive» origini sociali diventava una vittima potenziale. Inoltre erano particolarmente vulnerabili tutti coloro che abitavano nelle zone di confine, o che, in un modo o nell'altro, avevano avuto contatti con l'estero: ex prigionieri di guerra o persone con parenti, anche lontani, fuori dall'URSS. Queste persone avevano forti probabilità di essere accusate di spionaggio; altrettanto valeva per i radioamatori, i filatelici o gli esperantisti. Dal 6 agosto al 21 dicembre 1937 l'Ufficio politico e l'N.K.V.D., che lo affiancava in questa attività, vararono almeno dieci operazioni analoghe a quella inaugurata con l'Ordine operativo n. 00447, per liquidare, una nazionalità dopo l'altra, tutti i gruppi sospettati di «spionaggio» e «separatismo»: tedeschi, polacchi, giapponesi, romeni, finlandesi, lituani, estoni, lettoni, greci, turchi. Durante queste operazioni «antispie», nel giro di quindici mesi, fra l'agosto del 1937 e il novembre del 1938, furono arrestate diverse centinaia di migliaia di persone.

Su altre operazioni disponiamo oggi di informazioni molto lacunose, dato che gli archivi dell'ex K.G.B. e gli archivi presidenziali in cui sono conservati i documenti più confidenziali non sono ancora accessibili ai ricercatori; fra esse citiamo:

- l'operazione di «liquidazione dei contingenti tedeschi impiegati presso le imprese della Difesa nazionale», cominciata il 20 luglio 1937;
- l'operazione di «liquidazione delle attività terroristiche, di diversione e di spionaggio della rete giapponese dei rimpatriati di Harbin», cominciata il 19 settembre 1937;
- l'operazione di «liquidazione dell'organizzazione nipponico-militare di destra dei cosacchi», cominciata il 4 agosto 1937; fra settembre e dicembre del 1937 nel quadro di questa operazione furono colpite oltre 19 mila persone;
- l'operazione di «repressione delle famiglie dei nemici del popolo arrestati» decretata con l'Ordine operativo dell'N.K.V.D. n. 00486 del 15 agosto 1937.

Questo breve elenco di una piccola parte delle operazioni decise dall'Ufficio politico e messe in atto dall'N.K.V.D., sebbene assai incompleto, è sufficiente a dimostrare il carattere centralista delle repressioni di massa degli anni 1937-1938. Certo, come tutte le grandi azioni repressive condotte dai funzionari locali su ordine del potere centrale - la dekulakizzazione, l'epurazione delle città o la caccia agli specialisti - erano soggette a sconfinamenti o eccessi. Dopo il Grande terrore una sola commissione fu inviata a indagare in loco sugli eccessi della "ezovscina", in Turkmenistan. In questa piccola repubblica di un milione 300 mila abitanti (lo 0,7 per cento della popolazione sovietica) fra l'agosto del 1937 e il settembre del 1938 le trojka dell'N.K.V.D. avevano condannato 13259 persone nel quadro della sola operazione di «liquidazione degli ex kulak, criminali e altri elementi antisovietici»; 4037 di esse erano state fucilate. Le quote fissate da Mosca erano rispettivamente di 6277 (numero totale delle condanne) e di 3225 (numero totale delle esecuzioni). Si può supporre che anche in altre regioni del paese si siano verificati eccessi e sconfinamenti analoghi. Erano una conseguenza del principio stesso delle quote, degli ordini pianificati emanati dal Centro e dei riflessi burocratici inculcati da anni e ormai ben assimilati, che consistevano nell'anticipare i desideri dei superiori in linea gerarchica e le direttive di Mosca.

Il carattere centralistico di questi massacri ordinati e ratificati da Stalin e dall'Ufficio politico è confermato da un'altra serie di documenti. Si tratta delle liste di personalità da condannare compilate dalla Commissione per gli affari giudiziari dell'Ufficio politico. Tutti costoro dovevano essere processati dal collegio militare della Corte suprema, dai tribunali militari o dal Consiglio speciale dell'N.K.V.D., ma le pene erano predeterminate dalla Commissione degli affari giudiziari dell'Ufficio politico. Tale commissione, di cui faceva parte Ezov, sottopose alla firma di Stalin e dei membri dell'Ufficio politico almeno 383 liste, che contenevano oltre 44 mila nomi di dirigenti e di quadri del Partito, dell'esercito e del settore economico. Oltre 39 mila di essi furono condannati alla pena di morte. La firma di Stalin compare in calce a 362 liste, quella di Molotov a 373, quella di Voroscilov a 195, quella di Kaganovic 191, quella di Zdanov a 177, quella di Mikojan a 62 liste.

A partire dall'estate del 1937 tutti questi dirigenti si recarono personalmente in loco per condurre le epurazioni delle organizzazioni di partito locali: per esempio Kaganovic fu inviato a epurare il Donbass, le regioni di Celjabinsk, Jaroslavl', Ivanovo e Smolensk. Zdanov, dopo aver epurato la propria regione, quella di Leningrado, partì per proseguire l'opera a Orenburg, nella Repubblica dei Baschiri e in quella dei Tatari. Andreev si recò nel Caucaso settentrionale, in Uzbekistan e in Tagikistan. Mikojan in Armenia, Hruscov in Ucraina. Benché moltissime direttive sulla repressione di massa siano state ratificate come risoluzioni collettive dell'Ufficio politico, alla luce dei documenti d'archivio oggi accessibili risulta che l'autore e il propugnatore della maggior parte delle decisioni di questo tipo a tutti i livelli fu Stalin in persona. Facciamo soltanto un esempio: il 27 agosto 1937, alle 17, quando la segreteria del Comitato centrale ricevette una comunicazione di Mihail Korocenko, segretario del Comitato regionale del partito della Siberia orientale, circa lo svolgimento di un processo ad agronomi «colpevoli di atti di sabotaggio», alle 17.10 fu Stalin stesso a telegrafare: «Le consiglio di condannare i sabotatori del distretto di Andreev alla pena di morte e di far pubblicare sulla stampa la notizia dell'esecuzione».

Tutti i documenti oggi disponibili (protocolli dell'Ufficio politico, agenda di Stalin ed elenco dei visitatori ricevuti da Stalin al Cremlino) dimostrano come Stalin stesso controllasse e dirigesse nei minimi dettagli l'attività di Ezov. Correggeva le principali direttive dell'N.K.V.D. e seguiva lo svolgimento dell'istruttoria dei grandi processi politici, stabilendone addirittura il copione. Durante l'istruttoria del caso del «complotto militare» in cui furono processati il maresciallo Tuhacevskij e altri alti dirigenti dell'Armata rossa, Stalin riceveva Ezov tutti i giorni. Stalin mantenne il controllo politico degli avvenimenti in tutte le fasi della "ezovscina". Fu lui a decidere la nomina di Ezov alla carica di commissario del popolo per gli Interni, inviando da Soci all'Ufficio politico il famoso telegramma del 25 settembre 1936: «E' assolutamente necessario e urgente che il compagno Ezov sia nominato alla carica di commissario del popolo per gli Interni. Jagoda ha dimostrato chiaramente di non essere all'altezza del compito di smascherare il blocco trotzkista-zinovievista. Su questo caso la G.P.U. ha quattro anni di ritardo». Fu ancora Stalin a decidere di porre fine agli «eccessi dell'N.K.V.D.». Il 17 novembre 1938 un decreto del Comitato centrale interruppe (temporaneamente) l'organizzazione delle «operazioni di arresto e deportazione in massa». Una settimana dopo Ezov fu destituito dalla carica di commissario del popolo per gli Interni, e sostituito da Berija. Il Grande terrore si concluse come era incominciato: per ordine di Stalin.

Si può stilare un bilancio documentato sul numero e le categorie delle vittime della "ezovscina"? Attualmente disponiamo di alcuni documenti ultraconfidenziali approntati durante la destalinizzazione da Nikita Hruscov e dai principali dirigenti del Partito; in particolare, di un lungo studio sulle «repressioni esercitate all'epoca del culto della personalità» realizzato da una commissione presieduta da Nikolaj Shvernik, che era stata istituita alla conclusione del Ventiduesimo Congresso del P.C.U.S. I ricercatori possono confrontare questi dati con molte altre fonti statistiche ora disponibili, dell'amministrazione del gulag, del commissariato del popolo per la Giustizia, dell'Ufficio della pubblica accusa.

Risulta così che, nel solo periodo 1937-1938, l'N.K.V.D. arrestò un milione 575 mila persone; che un milione 345 mila (ovvero l'85,4 per cento) furono condannate nel corso degli stessi anni; che 681692 (cioè il 51 per cento delle persone condannate) furono giustiziate. Le persone arrestate venivano condannate seguendo svariate procedure. I «quadri» politici, economici e militari erano processati dai tribunali militari e dai Consigli speciali dell'N.K.V.D., come pure gli intellettuali, la categoria più individuabile e meglio conosciuta. Le operazioni avevano una tale portata che a fine luglio del 1937 il governo istituì delle trojka a livello regionale, composte dal procuratore, dal direttore dell'N.K.V.D. e dal capo della polizia. Queste trojka adottavano procedure estremamente sbrigative, poiché rispondevano a quote fissate in anticipo dal potere centrale. Era sufficiente «riattivare» le liste degli individui già schedati dai servizi. L'istruttoria era ridotta ai minimi termini: le trojka esaminavano molte centinaia di casi al giorno, come conferma per esempio la recente pubblicazione del "Leningradskij Martirolog" (Martirologio di Leningrado), un annuario in cui, a partire dall'agosto del 1937, sono enumerati mese per mese i leningradesi arrestati e condannati a morte ai sensi dell'articolo 58 del Codice penale. Il lasso di tempo che intercorreva abitualmente fra l'arresto e la sentenza capitale andava da qualche giorno a qualche settimana. La condanna, senza appello, era eseguita nel giro di pochi giorni. Nel quadro delle operazioni specifiche di «liquidazione delle spie e dei separatisti» e delle grandi campagne di repressione, come la «liquidazione dei kulak» lanciata il 30 luglio 1937, la «liquidazione degli elementi criminali» lanciata il 12 settembre 1937, la «repressione delle famiglie di nemici del popolo» eccetera, le possibilità di essere arrestati all'unico scopo di completare la quota dipendevano da una serie di fattori fortuiti: casualità «geografiche» (le persone che vivevano nei territori di frontiera erano molto più esposte), trascorsi individuali (avere un qualche rapporto con un paese straniero o essere di origine straniera), omonimia. Se la lista delle persone schedate era insufficiente per «raggiungere gli standard», le autorità locali «si arrangiavano». Così, solo per fare un esempio, l'N.K.V.D. della Turkmenia, dovendo completare la categoria dei «sabotatori», colse l'occasione di un incendio scoppiato in una fabbrica per arrestare tutti quelli che si trovavano sul posto, costringendoli a indicare dei «complici». Il terrore, che era programmato dall'alto e stabiliva arbitrariamente le categorie dei nemici «politici», generava per sua stessa natura sconfinamenti molto indicativi riguardo la cultura di violenza da cui erano animati gli apparati repressivi di base.

Questi dati, da cui tra l'altro si deduce che i quadri comunisti rappresentavano soltanto una piccola percentuale dei 681692 giustiziati, non sono certo esaurienti. Non riguardano le deportazioni effettuate nel corso di questi anni (come per esempio l'operazione di deportazione dall'Estremo Oriente sovietico di 172 mila coreani, trasferiti nel Kazakistan e nell'Uzbekistan fra maggio e ottobre del 1937), non tengono conto né delle persone arrestate morte sotto tortura durante il soggiorno in prigione o il trasferimento verso i campi (cifra sconosciuta) né dei detenuti morti nei campi (25 mila circa nel 1937 oltre 90 mila nel 1938). Anche se ridotte rispetto a quanto si può dedurre dalle testimonianze dei sopravvissuti, queste cifre rivelano la spaventosa entità delle stragi di centinaia di migliaia di persone, che colpivano l'intera società.

Allo stato attuale è possibile analizzare più a fondo le categorie a cui appartenevano le vittime di questi massacri? Disponiamo di alcuni dati statistici, di cui parleremo più avanti, sui detenuti nei campi alla fine degli anni Trenta. Queste informazioni riguardano l'insieme dei reclusi (e non solo quelli arrestati durante il Grande terrore) e forniscono soltanto dati assai parziali sulle vittime condannate all'internamento nei campi durante la "ezovscina". Per esempio, si osserva un forte incremento proporzionale dei detenuti con un'istruzione superiore (oltre il 70 per cento fra il 1936 e il 1939), a conferma che alla fine degli anni Trenta il terrore veniva esercitato in particolare contro le élite colte, indipendentemente dalla loro appartenenza al Partito.

La repressione dei quadri del Partito è uno degli aspetti più conosciuti del Grande terrore, poiché fu la prima a essere denunciata (al Ventesimo Congresso). Nel suo «Rapporto segreto» Hruscov si dilungò ampiamente su questo aspetto della repressione, che colpì cinque membri dell'Ufficio politico, tutti fedeli a Stalin (Postyscev, Rudzutak, Eihe, Kosior, Ciubar), 98 membri del Comitato centrale su 139, 1108 delegati del Diciassettesimo Congresso del Partito (1934) su 1966. Esso interessò anche i quadri dirigenti del Komsomol: furono arrestati 72 membri del Comitato centrale su 93, 319 segretari regionali su 385, e 2210 segretari di distretto su 2750. In generale, furono totalmente rinnovati gli apparati regionali e locali del Partito e del Komsomol, sospettati dal Centro di «sabotare» le decisioni di Mosca, che erano per forza «corrette», e di ostacolare ogni controllo efficace da parte delle autorità centrali su quanto accadeva nel paese. A Leningrado, città sospetta per eccellenza, in cui il Partito era stato diretto da Zinov'ev e in cui Kirov era stato assassinato, Zdanov e Zakovskij, capo dell'N.K.V.D. regionale, arrestarono oltre il 90 per cento dei quadri di partito. Costoro costituivano però soltanto una piccola parte degli abitanti di Leningrado arrestati fra il 1936 e il 1939. Per accelerare le epurazioni, il potere centrale inviò nelle province degli emissari accompagnati da truppe dell'N.K.V.D.: la loro missione, per usare l'espressione colorita della «Pravda», era di «affumicare e distruggere i nidi delle cimici trotzkiste-fasciste».

Alcune regioni, per cui disponiamo di dati statistici parziali, furono «epurate», con maggior cura: al primo posto figura anche questa volta l'Ucraina. Durante il solo 1938, dopo la nomina di Hruscov alla guida del Partito comunista ucraino, nella repubblica furono arrestate oltre 106 mila persone (per la grande maggioranza giustiziate). Su 200 membri del Comitato centrale del Partito comunista ucraino sopravvissero soltanto in tre. Lo stesso copione fu replicato in tutti gli organismi regionali e locali del Partito, dove vennero organizzate decine di processi pubblici di dirigenti comunisti.

A differenza dei processi a porte chiuse o delle sessioni segrete delle trojka, in cui si decideva nel giro di pochi minuti il destino degli accusati, i processi pubblici dei dirigenti avevano una forte colorazione populista e svolgevano un'importante funzione di propaganda. Avevano lo scopo di rinsaldare l'alleanza fra il «popolo minuto, il piccolo militante, che ha la soluzione giusta» e la Guida, denunciando i dirigenti locali, i «nuovi signori sempre soddisfatti di se stessi ... che con il loro atteggiamento inumano producono artificialmente molti insoddisfatti e irritati, creando in questo modo un esercito di riserve per i trotzkisti» (Stalin, discorso del 3 marzo 1937). Come i grandi processi di Mosca, ma questa volta su scala di distretto, questi processi pubblici, le cui udienze erano riportate ampiamente dalla stampa locale, davano luogo a una straordinaria mobilitazione ideologica, popolare e populista. Smascherando il complotto, immagine fondamentale dell'ideologia, e assumendo una funzione di inversione carnevalesca (i potenti diventati cattivi, le «persone normali» divenute depositarie della «soluzione giusta») i processi pubblici costituivano, per riprendere l'espressione di Annie Kriegel, «un formidabile meccanismo di prevenzione sociale». Naturalmente le azioni repressive dirette contro i responsabili locali del Partito rappresentavano soltanto la punta dell'iceberg. Prendiamo l'esempio di Orenburg: per questa provincia disponiamo di un rapporto dettagliato del dipartimento regionale dell'N.K.V.D., in cui sono descritti i «provvedimenti operativi di liquidazione di gruppi clandestini trotzkisti e bucariniani, oltre che di altre formazioni controrivoluzionarie, messi in atto fra il primo aprile e il 18 settembre 1937», cioè prima della missione di Zdanov, destinata ad «accelerare» le epurazioni.

Nella provincia di Orenburg nel giro di cinque mesi erano stati arrestati:

- 420 «trotzkisti», tutti quadri politici ed economici di primo piano;
- 120 «destrorsi», tutti importanti dirigenti locali.

Questi 540 quadri del Partito rappresentavano quasi il 45 per cento della nomenklatura locale. In seguito alla missione di Zdanov a Orenburg furono arrestati e giustiziati altri 598 quadri. In questa provincia, come altrove, nell'autunno del 1937 la quasi totalità dei dirigenti politici ed economici fu eliminata e sostituita da una nuova generazione, quella dei «promossi» del primo piano quinquennale, Breznev, Kosygin, Ustinov, Gromyko, insomma l'Ufficio politico degli anni Settanta.

Tuttavia, accanto a queste migliaia di quadri veniva arrestata una massa di persone comuni: membri del Partito, ex comunisti, e quindi particolarmente vulnerabili, o semplici cittadini schedati da anni, che costituirono il grosso delle vittime del Grande terrore. Riprendiamo il rapporto dell'N.K.V.D. di Orenburg:

"- un po' più di 2000 membri dell'organizzazione nipponico-militare di destra dei cosacchi [1500 dei quali furono fucilati];
- oltre 1500 ufficiali e funzionari zaristi esiliati nel 1935 da Leningrado a Orenburg [si trattava di «elementi estranei alla società» esiliati in varie regioni del paese dopo l'assassinio di Kirov];
- circa 250 persone arrestate nell'ambito del processo ai polacchi;
- circa 95 persone arrestate ... nell'ambito del processo agli individui originari di Harbin;
- 3290 persone nel quadro dell'operazione di liquidazione degli ex kulak;
- 1399 persone ... durante l'operazione di liquidazione degli elementi criminali".

Insomma, contando anche la trentina di membri del Komsomol e la cinquantina di cadetti della Scuola di istruzione militare locale, nella provincia in cinque mesi erano state arrestate dall'N.K.V.D. oltre 7500 persone, prima ancora che la repressione si intensificasse in conseguenza della missione di Andrej Zdanov. L'arresto del 90 per cento dei quadri della nomenklatura locale, anche se fu molto spettacolare, rappresentava soltanto una percentuale trascurabile rispetto al numero totale delle persone colpite dalla repressione, quasi tutte classificate in una delle categorie prese di mira nel corso di operazioni specifiche decise e approvate dall'Ufficio politico, e da Stalin in particolare.

Furono decimate soprattutto alcune categorie di quadri e di dirigenti: i diplomatici e il personale del commissariato del popolo per gli Affari esteri, vittime naturali dell'accusa di spionaggio, o anche i funzionari dei ministeri economici e i dirigenti di fabbrica, sospettati di «sabotaggio». Fra i diplomatici di rango arrestati, e per la maggior parte giustiziati, figuravano Krestinskij, Sokol'nikov, Bogomolov, Jurenev, Ostrovskij, Antonov-Ovseenko, rispettivamente in carica a Berlino, Londra, Pechino, Tokyo, Bucarest e Madrid.

In alcuni ministeri fu colpita dalla repressione la totalità dei funzionari, quasi senza eccezioni. Per esempio, nell'oscuro commissariato del popolo per le Macchine utensili fu rinnovata l'intera amministrazione; vennero arrestati anche tutti i dirigenti di fabbrica che dipendevano da questo settore (eccetto due), e la quasi totalità degli ingegneri e dei tecnici. Accadde lo stesso negli altri settori industriali, in particolare quello aeronautico e navale, nella metallurgia, come pure nei trasporti, tutti comparti su cui disponiamo di studi frammentari. Dopo la fine del Grande terrore, al Diciottesimo Congresso (marzo 1939), Kaganovic ammise: «Nel 1937 e nel 1938 il personale dirigente dell'industria pesante è stato rinnovato totalmente; migliaia di uomini nuovi sono stati nominati alle cariche dirigenziali al posto dei sabotatori smascherati. In certi settori si sono dovute rimuovere diverse fasce di sabotatori e di spie ... Ora abbiamo dei quadri capaci di accettare qualsiasi compito che il compagno Stalin assegnerà loro».

Fra i quadri del Partito colpiti più duramente durante la "ezovscina" figuravano i dirigenti dei partiti comunisti stranieri e i quadri dell'Internazionale comunista che vivevano a Mosca, all'hotel Lux. Fra gli arrestati di spicco molti appartenenti al Partito comunista tedesco: Heinz Neumann, Hermann Remmele, Fritz Schulte, Hermann Schubert, tutti ex membri dell'Ufficio politico; Leo Flieg, segretario del Comitato centrale, Heinrich Susskind e Werner Hirsch, direttori del giornale «Rote Fahne», Hugo Eberlein, delegato tedesco alla conferenza di fondazione dell'Internazionale comunista. Nel febbraio del 1940, qualche mese dopo la stipula del patto tedesco- sovietico, 570 comunisti tedeschi incarcerati nelle prigioni di Mosca furono consegnati alla Gestapo sul ponte di confine di Brest-Litovsk. L'epurazione compì la sua opera devastante anche fra i comunisti ungheresi. Béla Kun, istigatore della rivoluzione ungherese del 1919, fu arrestato e giustiziato, come altri 12 commissari del popolo dell'effimero governo comunista di Budapest, tutti rifugiati a Mosca. Furono arrestati quasi 200 comunisti italiani (fra cui Paolo Robotti, cognato di Togliatti) e un centinaio di comunisti iugoslavi (fra cui Gorkic, segretario generale del Partito, Vlada Ciopic, segretario dell'organizzazione e dirigente delle Brigate internazionali, oltre a tre quarti dei membri del Comitato centrale).

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[Box: Fra le vittime del Grande terrore, una schiacciante maggioranza di anonimi. Estratti di un fascicolo «normale» del 1938.

Fascicolo n. 24260.
1. Cognome: Sidorov
2. Nome: Vasilij Klementovic
3. Luogo e data di nascita: Sycevo, regione di Mosca, 1893.
4. Indirizzo: Sycevo, distretto Kolomenskij, regione di Mosca.
5. Professione: dipendente di una cooperativa.
6. Affiliazione sindacale: sindacato dei dipendenti delle cooperative.
7. Patrimonio al momento dell'arresto (descrizione dettagliata): una casa di legno di 8 metri per 8 con tetto di latta, un cortile in parte coperto di 20 metri per 7, una mucca, 4 pecore, 2 maiali, pollame.
8. Patrimonio nel 1929: lo stesso, più un cavallo.
9. Patrimonio nel 1917: una casa di legno 8 metri per 8; un cortile in parte coperto di 30 metri per 20; 2 granai, 2 magazzini, 2 cavalli, 2 mucche, 7 pecore.
10. Situazione sociale al momento dell'arresto: dipendente.
11. Stato di servizio nell'esercito zarista: nel 1915-1916 fantaccino di seconda classe nel Sesto Reggimento fanteria del Turkestan.
12. Stato di servizio nell'Armata bianca: nessuno.
13. Stato di servizio nell'Armata rossa: nessuno.
14. Origine sociale: Mi considero figlio di un contadino medio.
15. Passato politico: non iscritto ad alcun partito.
16: Nazionalità, cittadinanza: russo, cittadino dell'URSS.
17. Appartenenza al R.K.P.(b): no.
18. Livello di istruzione: elementare.
19. Stato militare attuale: riservista.
20. Condanne pregresse: nessuna.
21. Stato di salute: ernia.
22. Situazione familiare: coniugato. Moglie: Anastasija Fodorovna, 43 anni, colcosiana; figlia: Nina, 24 anni.
Arrestato il 13 febbraio 1938 dalla direzione distrettuale dell'N.K.V.D.

Estratti del verbale di interrogatorio.
Domanda: Ci fornisca ragguagli sulla sua origine sociale, e sulla sua situazione sociale e patrimoniale prima e dopo il 1917.
Risposta: Sono nato in una famiglia di commercianti. Fino al 1904 circa mio padre possedeva una botteguccia a Mosca, in via Zolotorozskaja dove, a quanto mi ha detto, esercitava il commercio senza avere nessun dipendente. Dopo il 1904 mio padre ha dovuto chiudere bottega, perché non riusciva a competere con i grandi commercianti. E' tornato in campagna, a Sycevo, e ha preso in affitto sei ettari di terra arabile e due ettari di prato. Aveva un dipendente, un certo Gorjacev, che ha lavorato con mio padre per molti anni, fino al 1916. Dopo il 1917 abbiamo conservato i nostri campi, ma abbiamo perso i cavalli. Ho lavorato con mio padre fino al 1925, poi dopo la sua morte mio fratello e io abbiamo diviso la terra. Non mi riconosco colpevole per nessun addebito.

Estratti dell'atto di accusa.
... Sidorov, maldisposto verso il potere sovietico in generale e il Partito in particolare, conduceva una sistematica propaganda antisovietica diffondendo le seguenti affermazioni: «Stalin e la sua banda non vogliono mollare il potere, Stalin ha ucciso un sacco di gente ma non vuole andarsene. I bolscevichi stanno al potere, arrestano le persone oneste, e non se ne può nemmeno parlare, perché se no ti internano in un campo per venticinque anni».
L'imputato Sidorov si è dichiarato non colpevole, ma è stato smascherato da diverse testimonianze. L'incartamento è stato inviato a una trojka per il processo.
Firmato: Salahaev, sottotenente della milizia distrettuale di Kolomenskoe.
Per assenso: Galkin, tenente della Sicurezza di Stato, capo del distaccamento della Sicurezza di Stato del distretto di Kolomenskoe.

Estratti del processo verbale di sentenza della trojka, 15 luglio 1938.
... Caso Sidorov, V. K. Ex commerciante, sfruttava una bottega insieme al padre. Accusato di aver diffuso la propaganda controrivoluzionaria fra i colcosiani, caratterizzata da affermazioni disfattiste, accompagnate da minacce contro i comunisti, critiche contro la politica del Partito e del governo.
Verdetto: FUCILARE Sidorov Vasilij Klementovic, confiscarne tutti i beni.
La sentenza è stata eseguita il 3 agosto 1938.

Riabilitazione postuma: 24 gennaio 1989.
(«Volja», 2-3, 1994, p.p. 45-46).]

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Ma furono i polacchi a pagare il tributo più pesante. I comunisti polacchi si trovarono in una situazione assai particolare: il Partito comunista polacco era nato dal Partito socialdemocratico dei regni di Polonia e Lituania, che nel 1906 era stato ammesso in seno al Partito operaio socialdemocratico della Russia con statuto autonomo. Il Partito comunista polacco, che prima del 1917 annoverava tra i propri dirigenti Feliks Dzerzinskij, aveva legami molto stretti con il Partito russo. Molti socialdemocratici polacchi avevano fatto carriera nel Partito bolscevico: Dzerzinskij, Menzinskij, Unshliht (tutti dirigenti della G.P.U.), Radek, per citare soltanto i più noti.

Fra il 1937 e il 1938 il Partito comunista polacco fu completamente liquidato. I dodici membri polacchi del Comitato centrale presenti in URSS furono giustiziati, così come tutti i rappresentanti polacchi negli organismi dell'Internazionale comunista. Il 28 novembre 1937 Stalin firmò un documento in cui proponeva la «ripulitura» del Partito comunista polacco. In generale, dopo aver fatto epurare un partito Stalin sceglieva nuovo personale dirigente appartenente a una delle fazioni rivali emerse durante l'epurazione. Nel caso del Partito comunista polacco tutte le fazioni furono accusate di «seguire le direttive dei servizi segreti controrivoluzionari polacchi». Il 16 agosto 1938 il Comitato esecutivo dell'Internazionale votò lo scioglimento del Partito comunista polacco. Come spiegò Manuil'skij, «gli agenti del fascismo polacco avevano manovrato in modo da occupare tutti i posti chiave del Partito comunista polacco».

Naturalmente i responsabili sovietici dell'Internazionale comunista, che si erano lasciati «ingannare» e avevano mancato di «vigilanza», in seguito furono colpiti dall'epurazione. Quasi tutti i quadri sovietici dell'Internazionale (fra cui Knorin, membro del Comitato esecutivo, Mirov-Abramov, capo del Dipartimento comunicazioni con l'estero, Alihanov, capo del Dipartimento quadri) furono liquidati: si trattava di diverse centinaia di persone. Sopravvissero all'epurazione dell'Internazionale pochissimi dirigenti, totalmente ligi a Stalin, come Manuil'skij o Kuusinen.

***

Fra le altre categorie duramente colpite negli anni 1937-1938 per le quali disponiamo di dati precisi figurano i militari. L'11 giugno 1937 la stampa annunciò che in seguito a un processo a porte chiuse per tradimento e spionaggio un tribunale militare aveva condannato a morte il maresciallo Tuhacevskij, vicecommissario per la Difesa e principale artefice della modernizzazione dell'Armata rossa - il quale dopo la campagna di Polonia del 1920 aveva avuto svariati dissidi con Stalin e Voroscilov -, e sette generali d'armata, Jakir (comandante della regione militare di Kiev), Uborevic (comandante della regione militare della Bielorussia), Ejdeman, Kork, Putna, Fel'dman, Primakov. Nei dieci giorni seguenti furono arrestati 980 ufficiali superiori, fra cui 21 generali di corpo d'armata e 37 generali di divisione. Il caso del «complotto militare» attribuito a Tuhacevskij e ai suoi «complici» era stato preparato da molti mesi. I principali accusati furono arrestati nel corso del maggio 1937. Gli imputati furono sottoposti a interrogatori «energici» (molte pagine della deposizione del maresciallo Tuhacevskij, esaminate all'epoca della sua riabilitazione, avvenuta vent'anni dopo, recavano tracce di sangue) diretti da Ezov in persona, e poco prima del processo confessarono.

Stalin sovrintese direttamente a tutta l'istruttoria. Verso il 15 maggio l'ambasciatore sovietico a Praga gli aveva trasmesso un incartamento falsificato, costruito dai servizi segreti nazisti, che conteneva false lettere scambiate fra Tuhacevskij e membri del Comando supremo tedesco. L'N.K.V.D. aveva raggirato anche i servizi tedeschi...

Nel giro di due anni l'epurazione dell'Armata rossa eliminò:

- 3 marescialli su 5 (Tuhacevskij, Egorov e Bljuher; gli ultimi due furono eliminati rispettivamente nel febbraio e nell'ottobre del 1938);
- 13 generali d'armata su 15;
- 8 ammiragli su 9;
- 50 generali di corpo d'armata su 57;
- 154 generali di divisione su 186;
- 16 commissari d'armata su 16;
- 25 commissari di corpo d'armata su 28.

Fra il maggio del 1937 e il settembre del 1938 furono arrestati o congedati dall'esercito 35020 ufficiali. Non si sa ancora quanti ne furono giustiziati. Circa 11 mila (fra cui i generali Rokossovskij e Gorbatov) furono richiamati fra il 1939 e il 1941. Ma dopo il settembre del 1938 avvennero altre epurazioni, e quindi secondo le valutazioni più attendibili il numero totale degli arresti nell'esercito durante il Grande terrore fu di 30 mila quadri su un totale di 178 mila. L'«epurazione» dell'Armata rossa, soprattutto ai massimi gradi, fu relativamente meno pesante di quanto in generale si pensasse; si fece comunque sentire durante la guerra russo- finlandese del 1940 e all'inizio della guerra tedesco-sovietica, e costituì un handicap pesantissimo per l'Armata rossa.

Stalin, secondo il quale la minaccia hitleriana era molto meno temibile di quanto pensassero altri dirigenti bolscevichi, come Buharin o Litvinov, commissario del popolo per gli Affari esteri fino all'aprile del 1939, non esitò a sacrificare la maggior parte dei migliori ufficiali dell'Armata rossa: li sostituì con effettivi totalmente nuovi, che non avevano memoria alcuna degli episodi discutibili in cui lo stesso Stalin era stato coinvolto come «capo militare» durante la guerra civile. Nessuno dei neopromossi si sarebbe inoltre azzardato a contestare una serie di decisioni militari e politiche prese da Stalin alla fine degli anni Trenta (in particolare il riavvicinamento alla Germania nazista), come avrebbe potuto fare invece un uomo con il prestigio del maresciallo Tuhacevskij.

L'intellighenzia è un'altra categoria di vittime del Grande terrore per la quale disponiamo di informazioni relativamente abbondanti. Dalla metà del diciannovesimo secolo, epoca in cui era diventata un gruppo sociale riconosciuto, l'intellighenzia russa era sempre stata il fulcro della resistenza contro il dispotismo e l'asservimento del pensiero. Era naturale che venisse colpita dall'epurazione in modo particolarmente cruento rispetto alle ondate di repressione che si erano susseguite nel 1922 e nel 1928-1931. Fra il marzo e l'aprile del 1937 una campagna di stampa stigmatizzò il «deviazionismo» in ambito economico, storico, letterario. In realtà venivano prese di mira tutte le branche dell'attività scientifica e letteraria: i pretesti dottrinali e politici spesso servivano a coprire rivalità e ambizioni.

In ambito storico, per esempio, furono arrestati tutti i discepoli di Pokrovskij, morto nel 1932. Dovendo continuare a tenere lezioni pubbliche, e avendo quindi la possibilità di influenzare un ampio uditorio di studenti, i professori erano particolarmente vulnerabili, perché qualsiasi loro affermazione poteva essere riportata alle autorità da informatori zelanti. Università, istituti e accademie furono decimati, soprattutto in Bielorussia (dove 87 accademici su 105 vennero arrestati come «spie polacche») e in Ucraina. In questa repubblica nel 1933 si era svolta una prima epurazione contro i «nazionalisti borghesi»; molte migliaia di intellettuali ucraini furono arrestati per aver «trasformato l'Accademia ucraina delle scienze, l'Istituto Sevcenko, l'Accademia agricola, l'Istituto ucraino del marxismo-leninismo, oltre ai commissariati del popolo per l'Istruzione, l'Agricoltura e la Giustizia, in altrettanti asili per nazionalisti borghesi e controrivoluzionari» (discorso di Postyscev, 22 giugno 1933). In questo caso la grande epurazione del 1937-1938 completò una operazione incominciata quattro anni prima.

Furono colpiti anche gli ambienti scientifici che avevano un qualche rapporto, seppure alla lontana, con la politica, l'ideologia, l'economia o la difesa. I personaggi più autorevoli dell'industria aeronautica, come Tupolev (costruttore del famoso aereo) o Korolev (all'origine del primo programma spaziale sovietico), furono arrestati e inviati in una di quelle unità di ricerca dell'N.K.V.D. descritte da Solzenicyn nel "Primo cerchio". Furono arrestati anche: la quasi totalità (27 su 29) degli astronomi del grande osservatorio di Pulkovo; la quasi totalità degli statistici della Direzione centrale dell'economia nazionale, che aveva appena realizzato il censimento del gennaio 1937, annullato per «grave violazione dei fondamenti elementari della scienza statistica e delle direttive del governo»; numerosi linguisti che si opponevano alla teoria del «linguista» marxista Marr, che aveva l'approvazione ufficiale dello stesso Stalin; parecchie centinaia di biologi, che respingevano la ciarlataneria del «biologo ufficiale» Lysenko. Fra le vittime più note comparivano il professor Levit, direttore dell'Istituto medico-genetico, Tulajkov, direttore dell'Istituto dei cereali, il botanico Janata e l'accademico Vavilov, presidente dell'Accademia Lenin delle scienze agrarie, arrestato il 6 agosto 1940 e morto in prigione il 26 gennaio 1943.

Scrittori, pubblicisti, uomini di teatro, giornalisti furono accusati di difendere opinioni «straniere» o «ostili» e di deviare dalle norme del «realismo socialista»; pagarono quindi un pesante tributo alla "ezovscina". Furono arrestati e deportati in campo di concentramento o giustiziati circa 2000 membri dell'Unione degli scrittori. Fra le vittime più famose comparivano Isaak Babel', autore dei "Racconti di Odessa" e dell'"Armata a cavallo" (fucilato il 27 gennaio 1940), gli scrittori Boris Pil'njak, Jurij Olescia, Pantelejmon Romanov, i poeti Nikolaj Kljuev, Nikolaj Zabolockij, Osip Mandel'shtam (morto in un campo di transito siberiano il 26 dicembre 1938), Gurdzen Maari, Tician Tabidze. Furono arrestati anche dei musicisti (il compositore Zeljaev, il direttore d'orchestra Mikoladze) e degli artisti di teatro, primo fra tutti il grande attore e regista Vsevolod Mejerhol'd. All'inizio del 1938 il teatro Mejerhol'd fu chiuso in quanto «estraneo all'arte sovietica». Essendosi rifiutato di fare pubblica autocritica, nel giugno del 1939 Mejerhol'd venne arrestato e torturato, quindi giustiziato il 2 febbraio 1940.

Durante questi anni le autorità tentarono di «liquidare definitivamente gli ultimi residui del clero», per riprendere un'espressione in voga all'epoca. Il censimento annullato del gennaio del 1937 aveva rivelato che nonostante le numerose pressioni di vario genere un'ampia maggioranza della popolazione - il 70 per cento circa - aveva dato risposta positiva alla domanda: «Lei è credente?»; perciò i dirigenti sovietici decisero di sferrare il terzo e ultimo attacco contro la Chiesa. Nell'aprile del 1935 Malenkov inviò un dispaccio a Stalin in cui dichiarava superata la legislazione sul culto e proponeva l'abrogazione del Decreto dell'8 aprile 1929. Spiegava: «[Tale decreto] aveva creato una base legale per l'istituzione, da parte dei membri più attivi del clero e delle sette, di una organizzazione ramificata di 600 mila individui ostili al potere sovietico». E concludeva: «E' tempo di finirla con le organizzazioni clericali e la gerarchia ecclesiastica». Migliaia di preti e la stragrande maggioranza dei vescovi ripresero la via dei campi, ma questa volta furono giustiziati quasi tutti. All'inizio del 1941 meno di 1000 chiese e moschee delle 20 mila ancora in attività nel 1936 erano rimaste aperte al culto. Quanto al numero dei sacerdoti ufficialmente censiti, all'inizio del 1941 era di 5665 (di cui oltre la metà provenienti dai territori baltici, polacchi, ucraini, moldavi incorporati nel 1939-1941), mentre nel 1936 era ancora superiore a 24 mila.

Il Grande terrore fu un'operazione politica iniziata e messa in atto dall'inizio alla fine dai massimi organismi del Partito, cioè da Stalin, che all'epoca dominava completamente i colleghi dell'Ufficio politico, e realizzò i suoi due obiettivi principali.

Il primo era di organizzare una burocrazia civile e militare obbediente, costituita di quadri giovani formatisi nello spirito staliniano degli anni Trenta, che - secondo quanto disse Kaganovic al Diciottesimo Congresso - avrebbero accettato «qualsiasi compito assegnato loro dal compagno Stalin». Fino ad allora le varie amministrazioni, una compagine eterogenea di «specialisti borghesi» cresciuti professionalmente sotto il vecchio regime e di quadri bolscevichi, spesso poco competenti, formatisi «sul campo» durante la guerra civile, avevano tentato di conservare la propria professionalità, le proprie logiche amministrative, o semplicemente la propria autonomia e le proprie reti clientelari, senza piegarsi ciecamente al volontarismo ideologico e agli ordini del potere centrale. La difficoltà della campagna di «verifica delle tessere di partito» del 1935, che si era scontrata con la resistenza passiva dei dirigenti comunisti locali, e il rifiuto, espresso dalla maggioranza degli statistici, di «abbellire» i risultati del censimento del gennaio 1937 adeguandoli ai desideri di Stalin, costituiscono due esempi significativi: sono problemi che fecero riflettere i dirigenti staliniani sulla natura dell'amministrazione di cui disponevano per governare il paese. Appariva evidente che moltissimi quadri, comunisti e non, erano restii a eseguire indiscriminatamente gli ordini emanati dal potere centrale. Perciò Stalin aveva necessità di sostituirli con persone più «efficienti», cioè più disposte a obbedire.

Il secondo obiettivo del Grande terrore era portare a termine l'eliminazione radicale di tutti gli «elementi pericolosi per la società», un concetto dai limiti molto vaghi. Secondo il Codice penale era considerato un pericolo per la società qualsiasi individuo che avesse «commesso un atto pericoloso per la società, o i cui rapporti con un ambiente criminale o la cui attività passata» rappresentassero una minaccia. In base a questi principi era pericolosa per la società la vasta schiera degli «ex», che per la maggior parte erano già stati oggetto di misure repressive nel passato: ex kulak, ex criminali, ex funzionari zaristi, ex membri del Partito menscevico, socialista rivoluzionario eccetera. Durante il Grande terrore tutti questi «ex» furono eliminati, in conformità alla teoria staliniana esposta al plenum del Comitato centrale del febbraio-marzo 1937, secondo la quale «più si avanza verso il socialismo, più diventa accanita la lotta ai sopravvissuti delle classi moribonde».

Nell'intervento al plenum del Comitato centrale del febbraio-marzo 1937, Stalin insistette particolarmente sull'idea che le potenze nemiche avevano accerchiato l'URSS, l'unico paese in cui era stato «edificato il socialismo». Tali potenze limitrofe (Finlandia, paesi baltici, Polonia, Romania, Turchia, Giappone), con l'aiuto della Francia e della Gran Bretagna, inviavano in URSS «eserciti di diversionisti e di spie», incaricati di sabotare l'edificazione del socialismo. L'URSS, Stato unico e sacralizzato, aveva «sacri confini» che rappresentavano il fronte contro l'onnipresente nemico esterno. Dato il contesto, non stupisce che l'essenza del Grande terrore consistesse nella caccia alle spie, cioè a tutti quelli che avevano avuto qualche contatto, per quanto vago, con l'«altro mondo», e nell'eliminazione di una mitica «quinta colonna» potenziale. Così, partendo dalla suddivisione delle vittime in grandi categorie - quadri e specialisti, elementi pericolosi per la società (gli «ex»), spie - si possono individuare i caratteri principali di questa furia parossistica che ebbe come conseguenza l'eliminazione fisica di quasi 700 mila persone in due anni.

11. L'IMPERO DEI CAMPI.
Negli anni Trenta l'attività repressiva contro la società ebbe uno sviluppo senza precedenti, accompagnato dalla formidabile espansione del sistema dei campi di concentramento. Gli archivi del gulag, oggi accessibili, permettono di scorgerne con precisione l'andamento nel corso di quegli anni, le varie riorganizzazioni, e i dati relativi ai detenuti: il flusso e il numero di questi ultimi, le loro condizioni economiche, la loro ripartizione in base alla condanna, al sesso, all'età, alla nazionalità, al livello d'istruzione. Certo rimangono ancora delle zone d'ombra: la burocrazia del gulag funzionava bene quando si trattava di tenere la contabilità degli ospiti permanenti, quelli che arrivavano a destinazione. Ma in termini statistici non si sa quasi nulla di tutti coloro che non sono mai arrivati, morti in carcere oppure durante le interminabili operazioni di trasferimento, sebbene non manchino le descrizioni della via crucis che intercorreva fra il momento dell'arresto e la condanna. A metà del 1930 nei campi gestiti dalla G.P.U. lavoravano già circa 140 mila detenuti. Lo sterminato cantiere del canale tra il Baltico e il Mar Bianco, che assorbiva da solo un contingente di manodopera servile di 120 mila unità, accelerò il trasferimento di migliaia di detenuti dalle prigioni ai campi di lavoro, mentre le condanne continuavano ad aumentare: nel 1929 nei processi seguiti dalla G.P.U. furono pronunciate 56 mila sentenze di condanna, oltre 208 mila nel 1930 (contro un milione 178 mila condannati nel 1929 in processi non dipendenti dalla G.P.U. e un milione 238 mila nel 1931).

All'inizio del 1932 erano più di 300 mila i detenuti che tribolavano nei grandi cantieri della G.P.U., dove il tasso di mortalità annuale poteva arrivare al 10 per cento, come accadde in quello per il canale Baltico-Mar Bianco.

Nel luglio del 1934, quando la G.P.U. fu trasformata nell'N.K.V.D., nel gulag furono inglobate 780 colonie penitenziarie minori (per un totale di circa 212 mila detenuti) considerate scarsamente produttive e mal gestite, che fino a quel momento dipendevano dal commissariato del popolo per la Giustizia. Per essere produttivo e rispecchiare l'immagine del resto del paese, il campo di lavoro doveva essere grande e specializzato: nell'economia dell'URSS staliniana gli immensi complessi penitenziari, comprendenti ciascuno decine di migliaia di detenuti, erano destinati ad avere un ruolo di primaria importanza. Al primo gennaio 1935 il sistema del gulag, ormai unificato, comprendeva oltre 965 mila detenuti, 725 mila dei quali erano reclusi nei «campi di lavoro» e 240 mila nelle «colonie di lavoro», unità di ridotte dimensioni a cui erano assegnati gli individui aventi «minore pericolosità sociale», di solito condannati a pene inferiori ai tre anni.

A questa data la mappa del gulag era, a grandi linee, quella che sarebbe stata nel ventennio successivo. Il complesso penitenziario delle isole Soloveckie, con circa 45 mila detenuti, aveva proliferato con sciami di «campi volanti» che si spostavano, in funzione dei cantieri di taglio del legname, di volta in volta in Carelia, sul litorale del Mar Bianco e nella regione di Vologda. Il grande complesso dello Svirlag, con 43 mila detenuti, aveva il compito di rifornire l'agglomerato urbano di Leningrado della quantità necessaria di legname da ardere, mentre quello di Temnikovo, comprendente 35 mila detenuti, svolgeva la stessa funzione per Mosca.

Dal quadrivio strategico di Kotlas partiva una «via del nordest», che con i suoi binari, i suoi cantieri di taglio del legname e le sue miniere si spingeva verso il Vym' occidentale, Uhta, la Peciora e la Vorkuta. In questa regione dell'estremo nord l'Uhtpechlag sfruttava 51 mila detenuti per la costruzione di strade, l'estrazione del carbone e lo sfruttamento dei pozzi petroliferi. Un secondo ramo si dirigeva verso il nord degli Urali e i complessi chimici di Solikamsk e di Berezniki, mentre nel sudest l'agglomerato di campi della Siberia occidentale, con i suoi 63 mila detenuti, forniva manodopera gratuita per il complesso carbonifero di Kuzbassugol'.

Più a sud, nella regione di Karaganda, nel Kazakistan, si trovavano i «campi agricoli» dello Steplag, con 30 mila detenuti, dove si sperimentava una formula nuova per lo sfruttamento agrario delle steppe, e dove, a quanto pare, vigeva un regime meno rigoroso rispetto a quello che era il più vasto dei cantieri funzionanti a metà degli anni Trenta: lo Dmitlag (196 mila detenuti). Questo complesso cantieristico, dopo aver completato nel 1933 il canale fra il Baltico e il Mar Bianco, costruì la seconda grande canalizzazione staliniana, tra la Moscova e il Volga.

Altro cantiere di dimensioni faraoniche era il BAM (iniziali di "Bajkalo-amurskaja magistral'"), la linea ferroviaria che congiungendo il lago Bajkal al fiume Amur avrebbe raddoppiato in quel tratto la Transiberiana. All'inizio del 1935 lavoravano al primo tronco della ferrovia circa 150 mila detenuti appartenenti al complesso concentrazionario del Bamlag, suddivisi in una trentina di «divisioni». Nel 1939, con i suoi 260 mila detenuti, il Bamlag era il settore più vasto dell'universo concentrazionario sovietico. Infine, nel 1932 entro in funzione un altro gruppo di campi (il Sevvostlag, i campi del nordest), con il compito di alimentare un complesso industriale di alto valore strategico, il Dal'stroj. Quest'ultimo doveva produrre l'oro destinato all'esportazione, grazie al quale l'URSS si procurava le apparecchiature occidentali necessarie per industrializzare il paese. Le miniere d'oro si trovavano in una regione particolarmente inospitale e del tutto isolata, dato che la si poteva raggiungere soltanto per mare: la Kolyma, destinata a diventare il luogo simbolo del gulag. Magadan, capoluogo della regione e porto di sbarco dei proscritti, fu costruita dagli stessi detenuti; anche la sua strada più importante, arteria vitale di comunicazione, collegava soltanto lager, nei quali la vita era particolarmente disumana, come sappiamo dalle magistrali descrizioni dei racconti di Varlam Scialamov. Dal 1932 al 1939 la produzione di oro estratto dai detenuti della Kolyma (nel 1939 erano 138 mila) salì da 276 chilogrammi a 48 tonnellate, totalizzando il 35 per cento dell'intera produzione sovietica di quell'ultimo anno.

Nel giugno del 1935 il governo varò un nuovo grande progetto, che non poteva essere realizzato se non con manodopera forzata: la costruzione di un grande complesso per la produzione del nichel a Noril'sk, oltre il Circolo polare. Negli anni Cinquanta, momento del massimo sviluppo del gulag, l'insieme dei campi di concentramento di Noril'sk arrivò a comprendere fino a 70 mila detenuti. Sulle strutture interne del gulag si rifletteva con chiarezza la funzione produttiva del campo detto di «lavoro correzionale». Le direzioni centrali non erano strutturate in base a un criterio geografico o funzionale, bensì rispondevano a esigenze economiche: direzione degli impianti idroelettrici, direzione delle costruzioni ferroviarie, direzione ponti e strade eccetera. Il detenuto o il colono speciale erano una merce, oggetto di contratti stipulati fra queste direzioni penitenziarie e le direzioni dei ministeri industriali.

Nella seconda metà degli anni Trenta la popolazione del gulag raddoppiò: dai 965 mila detenuti presenti all'inizio del 1935 passò a un milione 930 mila al principio del 1941; nel solo 1937 la cifra aumentò di 700 mila unità. In quell'anno l'afflusso in massa di nuovi detenuti ebbe sulla produzione un effetto talmente dissestante da farla diminuire del 13 per cento rispetto al 1936! Anche nel 1938 si ebbe un ristagno della produzione, finché il nuovo commissario del popolo per gli Interni, Lavrentij Berija, non prese energici provvedimenti per «razionalizzare» il lavoro dei detenuti. In una nota presentata il 10 aprile 1939 all'Ufficio politico, Berija espose il proprio «programma di riorganizzazione del gulag». In sostanza, secondo la sua spiegazione, Nikolaj Ezov, che lo aveva preceduto nella carica, aveva privilegiato la «caccia ai nemici» a detrimento della «sana gestione economica»; la razione alimentare dei detenuti, di 1400 calorie giornaliere, era stata calcolata per «chi stava seduto in una cella» (7), e in tal modo, negli anni precedenti, il numero di individui idonei al lavoro era crollato: al primo marzo 1939 250 mila detenuti risultavano inabili, e l'8 per cento del totale dei prigionieri era morto nel solo 1938. Per poter realizzare il piano di produzione affidato all'N.K.V.D., Berija proponeva di accrescere le razioni alimentari, di annullare le scarcerazioni anticipate, di infliggere punizioni esemplari a tutti i lavativi e agli altri «disorganizzatori della produzione», e infine di allungare l'orario di lavoro, da portare a undici ore al giorno con tre giornate di riposo al mese, per «sfruttare in modo razionale e al massimo tutte le risorse fisiche dei detenuti».

In contrasto con una convinzione molto diffusa, gli archivi del gulag rivelano che fra la popolazione concentrazionaria si aveva una notevole rotazione, dato che ogni anno era rilasciato dal 20 al 35 per cento dei detenuti. La rotazione si spiega con il numero relativamente elevato di condannati a meno di cinque anni, che all'inizio del 1940 rappresentavano il 57 per cento di tutti i reclusi nei campi di concentramento. L'amministrazione e la giurisdizione avevano tali caratteri di eccezionalità da poter adottare provvedimenti del tutto arbitrari, per esempio nei confronti dei «politici» che erano stati incarcerati nel 1937-1938: dieci anni dopo la condanna le pene in scadenza furono reiterate senza la minima esitazione. Tuttavia, come regola generale, l'ingresso nei campi non equivaleva a un viaggio senza ritorno, anche se, per il «dopo», era prevista un'intera gamma di «pene accessorie», come il domicilio coatto o l'esilio.

In contrasto con un'altra opinione corrente, non era affatto vero che i reclusi nei campi del gulag fossero per la maggior parte detenuti politici, condannati per «attività controrivoluzionarie» ai sensi di uno dei 14 commi del famigerato articolo 58 del Codice penale. A seconda degli anni, il contingente dei politici oscillava fra un quarto e un terzo degli effettivi del gulag. Ciò nonostante, gli altri detenuti non erano «delinquenti comuni» nel senso consueto dell'espressione: si ritrovavano nel campo per aver trasgredito una delle innumerevoli leggi repressive che regolavano quasi tutti gli ambiti possibili di attività, dalla «dilapidazione della proprietà socialista» alla «contravvenzione alla legge sui passaporti», al «teppismo», alla «speculazione», fino all'«abbandono del posto di lavoro», al «sabotaggio» o anche alla «mancata esecuzione del numero minimo di giornate lavorative» nelle fattorie collettive. Per la maggior parte, i prigionieri dei campi non erano né politici né delinquenti comuni: erano soltanto «normali» cittadini, vittime del fatto che i rapporti di lavoro e un numero sempre crescente di comportamenti sociali venivano a essere regolati dal Codice penale. Era questo l'effetto di un decennio di attività repressiva svolta dal Partito-Stato nei confronti di settori sempre più vasti della società.

Cercheremo di fare un bilancio provvisorio dei vari aspetti di tale attività repressiva, i quali naturalmente non hanno tutti lo stesso peso.

"- 6 milioni di morti in seguito alla carestia del 1932-1933, una catastrofe in larghissima misura imputabile alla politica di collettivizzazione forzata e di rapina dei raccolti colcosiani condotta dallo Stato;
- 720 mila esecuzioni, di cui oltre 680 mila soltanto negli anni 1937- 1938, decise al termine di una parodia di processo da parte di un organismo giuridico speciale della G.P.U.-N.K.V.D.;
- 300 mila decessi attestati nei campi fra il 1934 e il 1940;
calcolando per estrapolazione le cifre relative agli anni 1930-1933, per i quali non abbiamo dati precisi, si può ipotizzare per l'intero decennio un totale di circa 400 mila morti, senza contare il numero, non verificabile, di quanti morivano fra il momento dell'arresto e quello dell'iscrizione nell'elenco degli «ingressi» a opera della burocrazia penitenziaria;
- circa 600 mila decessi attestati fra i deportati, gli «sfollati» e i coloni speciali;
- circa 2 milioni 200 mila deportati, sfollati o coloni speciali;
- fra il 1934 e il 1941 un totale cumulativo di ingressi nei campi e nelle colonie del gulag di 7 milioni di persone (mancano dati sufficientemente precisi per gli anni 1930-1933)".

Al primo gennaio 1940 i 53 complessi di «campi di lavoro correzionale» e le 425 «colonie di lavoro correzionale» totalizzavano un milione 670 mila detenuti; un anno dopo ne avrebbero contati un milione 930 mila. Nelle prigioni erano recluse circa 200 mila persone in attesa della sentenza o del trasferimento in un campo di lavoro. Infine, 1800 comandi dell'N.K.V.D. amministravano oltre un milione 200 mila coloni speciali. Queste poche cifre bastano a dare la misura della repressione di cui nel corso degli anni Trenta furono vittime i più disparati settori della società, anche se i numeri sono stati molto ridotti rispetto a certe valutazioni proposte fino a epoche recenti da storici o da testimoni, i quali spesso confondevano il flusso d'entrata nel gulag con il numero di detenuti presenti in una data specifica.

Dalla fine del 1939 all'estate del 1941 nei campi, nelle colonie e negli insediamenti speciali del gulag si verificò un nuovo afflusso di proscritti, un movimento connesso alla sovietizzazione di nuovi territori e a una criminalizzazione senza precedenti dei comportamenti sociali, in particolare nel mondo del lavoro.

Il 24 agosto 1939 il mondo venne a sapere, con stupore, che il giorno precedente era stato firmato un patto di non aggressione fra l'URSS staliniana e la Germania hitleriana. L'annuncio del patto provocò un vero e proprio trauma nei paesi europei che erano direttamente toccati dalla crisi, e dove l'opinione pubblica era stata colta di sorpresa da un evento che pareva un totale capovolgimento delle alleanze: pochi furono allora in grado di comprendere quel che poteva unire due regimi scaturiti da ideologie in così netto contrasto.

Il 21 agosto 1939 il governo sovietico aveva aggiornato i negoziati che conduceva con la missione anglo-francese, giunta a Mosca l'11 agosto, allo scopo di concludere un patto che impegnasse reciprocamente le tre parti contraenti nel caso in cui la Germania aggredisse una di loro. Dall'inizio del 1939 la diplomazia sovietica, guidata da Vjaceslav Molotov, si era andata sempre più raffreddando all'idea di un accordo con la Francia e la Gran Bretagna, che sospettava di essere sul punto di concludere un nuovo accordo di Monaco a spese dei polacchi: in tal modo i tedeschi avrebbero avuto campo libero a est. Mentre i negoziati fra i sovietici e gli anglo- francesi si arenavano di fronte a problemi insolubili - per esempio, se la Germania avesse aggredito la Francia, l'Armata rossa avrebbe attraversato la Polonia per attaccare la Germania? - i contatti a vari livelli fra rappresentanti sovietici e tedeschi prendevano una piega diversa. Il 14 agosto Ribbentrop, ministro degli Esteri tedesco, chiese di potersi recare a Mosca per concludere un accordo politico di ampia portata con i dirigenti sovietici. Il giorno dopo Stalin accettò.

Il 19 agosto tra sovietici e tedeschi fu firmato un accordo commerciale la cui trattativa era cominciata alla fine del 1938, e che si annunciava molto vantaggioso per l'URSS. Quella stessa sera i sovietici accettarono la venuta di Ribbentrop a Mosca per firmare un patto di non aggressione che da parte sovietica era stato già elaborato e subito trasmesso a Berlino. Il ministro tedesco, investito di «pieni poteri straordinari», giunse a Mosca nel pomeriggio del 23 e il patto di non aggressione, firmato nella notte, fu reso pubblico il 24: entrava in vigore immediatamente e aveva una validità di dieci anni. Beninteso si continuava a tenere segreta la parte più importante dell'accordo, che delimitava le sfere d'influenza e le annessioni dei due paesi nell'Europa dell'Est. Fino al 1989 i dirigenti sovietici hanno negato, contro ogni evidenza, l'esistenza del «protocollo segreto», un vero e proprio «delitto contro la pace» commesso dalle due potenze firmatarie. In base al testo dell'accordo, la Lituania rientrava nella sfera di interessi della Germania, l'Estonia, la Lettonia, la Finlandia, la Bessarabia appartenevano alla sfera sovietica. Rimaneva da decidere se dovesse o no continuare a esistere uno Stato polacco, sia pure di dimensioni ridotte; in ogni caso, dopo l'intervento militare dei tedeschi e dei sovietici contro la Polonia, l'URSS doveva recuperare i territori bielorussi e ucraini ceduti con il trattato di Riga del 1920, oltre a una parte dei territori «polacchi per valori storici ed etnici» nelle province di Lublino e di Varsavia.

Otto giorni dopo la firma del patto le truppe naziste aggredirono la Polonia. Una settimana dopo, il 9 settembre, mentre la resistenza polacca crollava, e in seguito alle pressioni della Germania, il governo sovietico comunicò a Berlino di voler occupare in tempi brevissimi i territori che spettavano all'URSS in base al protocollo segreto del 23 agosto. Il 17 settembre l'Armata rossa penetrò in Polonia con il pretesto di «soccorrere i fratelli di sangue ucraini e bielorussi» minacciati dalla «disgregazione dello Stato polacco». In quel momento, con l'esercito polacco quasi del tutto annientato, l'intervento sovietico trovò poca resistenza: i sovietici catturarono 230 mila prigionieri di guerra, fra i quali 15 mila ufficiali.

L'idea di tenere in piedi una parte della Polonia come Stato cuscinetto, che tedeschi e sovietici avevano ventilato in un primo momento, fu ben presto abbandonata, e ciò rese più delicato il problema di determinare la frontiera fra Germania e Unione Sovietica. Il 22 settembre il confine era stato previsto a Varsavia, sulla Vistola, ma quando Ribbentrop si recò a Mosca il 28 settembre fu invece spostato a est, fino al corso del Bug. In cambio di tale «concessione» elargita dai sovietici rispetto ai termini del protocollo segreto del 23 agosto, la Germania spostava la Lituania nella sfera di interessi dell'Unione Sovietica. La spartizione della Polonia consentì all'URSS di annettere un territorio assai esteso, di 180 mila chilometri quadrati, popolato da 12 milioni di abitanti: bielorussi, ucraini, polacchi. Il primo e 2 novembre, dopo una parvenza di consultazione popolare, queste regioni entrarono a far parte delle repubbliche sovietiche di Ucraina e di Bielorussia. All'epoca l'operazione di «pulizia» compiuta dall'N.K.V.D. era già molto avanzata. Il primo bersaglio erano i polacchi, che furono arrestati e deportati in massa come «elementi ostili»; i più esposti erano i proprietari terrieri, gli industriali, i commercianti, i funzionari, i poliziotti e i «coloni militari» ("osadnicy wojskowi"), che avevano ricevuto dal governo polacco un lotto fondiario nelle zone di frontiera come ricompensa per il servizio militare prestato nella guerra del 1920 tra Polonia e URSS. Secondo le statistiche del dipartimento del gulag relativo ai coloni speciali, tra il febbraio del 1940 e il giugno del 1941 furono deportati come coloni speciali verso la Siberia, il Kazakistan, la regione di Arcangelo e altre zone remote dell'URSS 381 mila civili polacchi, provenienti soltanto dai territori incorporati nel settembre del 1939. Gli storici polacchi fanno riferimento a cifre assai più elevate, intorno al milione di persone. Purtroppo non disponiamo di dati precisi per quanto riguarda gli arresti e le deportazioni di civili compiuti fra il settembre del 1939 e il gennaio del 1940.

Per il periodo successivo, i documenti di archivio oggi resi accessibili agli studiosi parlano di tre grandi «retate-deportazioni», il 9 e 10 febbraio, il 12 e 13 aprile, il 28 e 29 giugno 1940.13 I convogli impiegavano due mesi per andare e tornare dalla frontiera polacca fino alla Siberia, al Kazakistan o all'estremo nord siberiano. Per quanto riguarda i prigionieri di guerra polacchi, su 230 mila soltanto 82 mila sopravvissero fino all'estate del 1941; altrettanto ingenti furono le perdite fra i coloni speciali polacchi. Infatti, nell'agosto del 1941 il potere sovietico, avendo sottoscritto un accordo con il governo polacco in esilio, concesse una «amnistia» ai polacchi deportati dal novembre del 1939 in poi: ma sebbene tra il febbraio del 1940 e il giugno del 1941 fossero stati deportati almeno 381 mila coloni speciali, ne restavano soltanto 243100. I beneficiari dell'amnistia furono in totale 388 mila polacchi fra prigionieri di guerra, profughi internati e deportati civili; nei due anni precedenti ne erano scomparse diverse centinaia di migliaia, in gran parte giustiziati con il pretesto che si trattava di «nemici accaniti e determinati del potere sovietico».

Fra questi ultimi si contavano in particolare i 25700 ufficiali e civili polacchi ai quali si riferisce Berija in una lettera a Stalin del 5 marzo 1940, proponendo di farli fucilare. Nell'aprile del 1943 i tedeschi scoprirono, nella foresta di Katyn', una parte dei luoghi in cui erano stati ammassati i cadaveri degli uccisi: in numerose fosse erano contenuti i resti di 4000 ufficiali polacchi. Le autorità sovietiche cercarono di incolpare del massacro i nazisti, e soltanto nel 1992, in occasione della visita a Varsavia di Boris El'cin, le autorità russe riconobbero che nell'eliminazione dell'élite polacca compiuta nel 1940 la responsabilità era imputabile direttamente a Stalin e ai membri dell'Ufficio politico.

Subito dopo aver annesso le regioni già appartenenti alla Polonia, e in conformità agli accordi sottoscritti con la Germania nazista, il governo sovietico convocò a Mosca i capi dei governi estone, lettone e lituano, costringendoli ad accettare «trattati di mutua assistenza» in virtù dei quali i loro paesi «concedevano» all'Unione Sovietica l'uso di basi militari. Subito dopo fu insediato in Estonia un contingente di 25 mila soldati sovietici, un secondo in Lettonia di 30 mila, un terzo in Lituania di 20 mila, per un totale di gran lunga superiore al numero di effettivi che componevano le forze armate dei tre paesi baltici, ancora ufficialmente in possesso della loro indipendenza. In realtà la fine di tale indipendenza fu segnata proprio dall'insediamento delle truppe sovietiche, avvenuto nell'ottobre del 1939: dal giorno 11 di quel mese Berija dette ordine di «estirpare [dall'Estonia, dalla Lituania e dalla Lettonia] tutti gli elementi antisovietici e antisociali», e da quel momento in poi la polizia militare sovietica si accanì ad arrestare in numero sempre maggiore gli ufficiali, funzionari e intellettuali considerati poco «fidati» in vista degli ulteriori obiettivi che l'URSS si proponeva.

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[Box: LETTERA A STALIN DI L. BERIJA, commissario del popolo per gli Affari interni, del 5 marzo 1940; segretissimo.

"Al compagno Stalin.
E' attualmente detenuto nei campi per prigionieri di guerra, sotto custodia dell'N.K.V.D. dell'URSS, e in prigioni situate nelle regioni occidentali dell'Ucraina e della Bielorussia, un gran numero di ex ufficiali dell'esercito polacco, di ex funzionari di polizia e dei servizi di informazione polacchi, di membri dei partiti nazionalisti controrivoluzionari, di membri di organizzazioni controrivoluzionarie dell'opposizione, debitamente smascherati, di transfughi e di altri: tutti nemici giurati del potere sovietico e traboccanti di odio contro il sistema sovietico.
Gli ufficiali dell'esercito e della polizia reclusi nei campi di concentramento cercano di proseguire le loro attività controrivoluzionarie e animano la propaganda antisovietica. Ciascuno di loro non aspetta che di essere liberato per intraprendere la vera e propria lotta contro il potere sovietico.
Gli organi dell'N.K.V.D. nelle regioni occidentali dell'Ucraina e della Bielorussia hanno scoperto un numero considerevole di organizzazioni controrivoluzionarie ribelli: gli ex ufficiali dell'esercito e della polizia polacchi svolgono una funzione attiva a capo di tutte queste organizzazioni.
Fra gli ex transfughi e coloro che hanno varcato illegalmente le frontiere dello Stato figura un notevole numero di persone che sono state identificate come affiliate a organismi controrivoluzionari di spionaggio e di resistenza.
Nei campi di concentramento per prigionieri di guerra sono detenuti 14736 fra ufficiali, funzionari, proprietari terrieri, poliziotti, gendarmi, guardie carcerarie, coloni insediati nelle regioni di frontiera (osadnik) e agenti del servizio informazioni (polacchi per il 97 per cento). Da tale cifra sono esclusi sia i soldati semplici sia i sottufficiali.
Nel dettaglio, vi sono compresi:
- generali, colonnelli e tenenti colonnelli: 295
- comandanti e capitani: 2080
- tenenti, sottotenenti e aspiranti: 6049
- ufficiali e sottufficiali della polizia, delle guardie confinarie e della gendarmeria: 1030
- agenti di polizia, gendarmi, guardie carcerarie e agenti del servizio informazioni: 5138
- funzionari, proprietari terrieri, sacerdoti e coloni delle regioni di frontiera: 144

Inoltre, nelle prigioni delle regioni occidentali dell'Ucraina e della Bielorussia sono detenuti 18632 uomini (di cui 10685 polacchi).
Nel dettaglio sono costituiti da:
- ex ufficiali: 1207
- ex agenti del servizio informazioni, della polizia e della gendarmeria: 5141
- spie e sabotatori: 347
- ex proprietari terrieri, proprietari di impianti industriali e funzionari: 465
- membri di diverse organizzazioni controrivoluzionarie di resistenza ed elementi diversi: 5345
- transfughi: 6127

Dal momento che tutti costoro sono nemici accaniti e irriducibili del potere sovietico, l'N.K.V.D. dell'URSS stima necessario:
1. Disporre che l'N.K.V.D. dell'URSS deferisca al giudizio dei tribunali speciali:
a. 14.700 detenuti nei campi di concentramento per prigionieri di guerra, popolati da ex ufficiali, funzionari, proprietari terrieri, agenti di polizia, agenti dei servizi informazioni, gendarmi, coloni delle regioni di frontiera e guardie carcerarie;
b. e inoltre 11 mila individui affiliati alle diverse organizzazioni controrivoluzionarie di spie e sabotatori, ex proprietari terrieri e proprietari di impianti industriali, ex ufficiali dell'esercito polacco, funzionari e transfughi, che sono stati arrestati e sono detenuti nelle prigioni delle regioni occidentali dell'Ucraina e della Bielorussia,

per APPLICARE A TUTTI COSTORO IL CASTIGO SUPREMO: LA PENA DI MORTE PER FUCILAZIONE.
2. Che l'esame dei singoli incartamenti sia compiuto senza convocazione dei detenuti e senza atto di accusa; le conclusioni dell'istruttoria e la sentenza finale saranno presentate nei modi seguenti:
a. per quanto riguarda gli individui detenuti nei campi di concentramento per prigionieri di guerra, sotto forma di certificati presentati dall'amministrazione preposta agli Affari dei prigionieri di guerra dell'N.K.V.D. dell'URSS;
b. per quanto riguarda gli altri arrestati, sotto forma di certificati presentati dall'N.K.V.D. della R.S.S. di Ucraina e dall'N.K.V.D. della R.S.S. di Bielorussia.

3. Che gli incartamenti siano esaminati, e le sentenze emanate, da un tribunale composto da tre persone, i compagni Merkulov, Kobulov e Bashtalov.
Il commissario del popolo per gli Affari interni dell'URSS, L. Berija]

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Nel giugno del 1940, subito dopo la vittoriosa offensiva lampo sferrata in Francia dalle truppe tedesche, il governo sovietico decise di tradurre in atti concreti tutte le clausole del protocollo segreto concordato con Ribbentrop il 23 agosto 1939. Il 14 giugno, prendendo come pretesto alcuni «atti di provocazione contro le guarnigioni sovietiche», inviò un ultimatum ai dirigenti dei paesi baltici, intimando loro di costituire «un governo disposto a garantire l'onesta applicazione del trattato di assistenza e a mettere in condizioni di non nuocere gli avversari del suddetto trattato». Nei giorni che seguirono, varie centinaia di migliaia di soldati sovietici occuparono le repubbliche del Baltico. Stalin mandò i suoi rappresentanti nelle rispettive capitali, con l'incarico di avviare la sovietizzazione dei tre paesi: il procuratore Vyscinskij a Riga, Zdanov a Tallinn, e a Kaunas il dirigente della polizia politica Dekanozov, viceministro per gli Affari esteri dell'URSS. I parlamenti e le istituzioni locali furono sciolti, e quasi tutti i loro membri arrestati; il Partito comunista fu il solo autorizzato a presentare candidati alle «elezioni», che ebbero luogo il 14 e 15 luglio 1940.

Nelle settimane che precedettero queste elezioni farsa, l'N.K.V.D., diretto dal generale Serov, arrestò gli «elementi ostili» per un totale oscillante fra le 15 mila e le 20 mila unità. Nella sola Lettonia ai primi di luglio furono giustiziati senza processo 1480 oppositori. I parlamenti usciti dalle elezioni sollecitarono l'ammissione dei rispettivi paesi nella federazione dell'URSS; beninteso, la richiesta fu senz'altro «accolta» dal Soviet supremo, che ai primi di agosto proclamò la nascita di tre nuove repubbliche socialiste sovietiche. Mentre la «Pravda» dell'8 agosto pubblicava frasi come questa: «Il sole della grande Costituzione staliniana estende ormai i suoi benefici raggi su nuovi territori e nuovi popoli», per le popolazioni baltiche si apriva un'epoca di arresti, di deportazioni e di esecuzioni.

Negli archivi sono custoditi tutti i particolari di una grande operazione di deportazione degli elementi socialmente ostili dai paesi baltici, dalla Moldavia, dalla Bielorussia e dall'Ucraina occidentale, messa in atto nella notte fra il 13 e il 14 giugno 1941 da militari al comando del generale Serov. L'iniziativa era stata pianificata con alcune settimane di anticipo: il 16 maggio 1941 Berija aveva presentato a Stalin il suo ultimo progetto per una «operazione che ha il fine di ripulire le regioni di recente integrate nell'URSS dagli elementi antisovietici, estranei alla società e criminali». Nel giugno del 1941 avrebbero dovuto essere deportate 85716 persone in tutto, fra le quali 25711 provenienti dai paesi baltici. Merkulov, il numero due dell'N.K.V.D., stilò il bilancio dell'operazione per la parte riguardante le repubbliche baltiche in un rapporto datato 17 luglio 1941. Nella notte fra il 13 e il 14 giugno 1941 furono deportate 11038 persone appartenenti a famiglie di «nazionalisti borghesi», 3240 appartenenti a famiglie di ex gendarmi e poliziotti, 7124 appartenenti a famiglie di ex proprietari terrieri, di industriali o di funzionari, 1649 appartenenti a famiglie di ex ufficiali, e infine 2907 «vari»: in base a questo documento è del tutto palese che in via preliminare erano stati arrestati, e probabilmente giustiziati, i capifamiglia. Infatti l'operazione del 13 giugno mirava a colpire soltanto i «membri delle famiglie» giudicate «estranee alla società». Ciascun gruppo familiare aveva diritto a portare con sé cento chili di bagagli, in cui erano comprese riserve alimentari sufficienti per un mese, in quanto l'N.K.V.D. non si assumeva l'onere del vettovagliamento durante il viaggio! Soltanto alla fine di luglio del 1941 i convogli giunsero alla loro meta, che nella maggior parte dei casi si trovava nella provincia di Novosibirsk o nel Kazakistan; e quelli che erano destinati a essere deportati nella regione dell'Altaj non vi giunsero prima della metà di settembre. Quanti deportati morirono, nel corso di un viaggio durato tra le sei e le dodici settimane, compiuto in carri bestiame in cui erano stipati in cinquanta, con le poche cose, tra alimenti ed effetti personali, che avevano potuto prendere con sé la notte dell'arresto? Berija aveva progettato un'altra operazione su vasta scala per la notte tra il 27 e il 28 giugno 1941: la scelta della data conferma che i massimi dirigenti dello Stato sovietico non avevano il minimo sentore dell'attacco sferrato dai tedeschi il 22 giugno. A causa dell'Operazione Barbarossa l'N.K.V.D. dovette posticipare di alcuni anni il proseguimento della sua opera di «ripulitura» delle repubbliche baltiche.

Pochi giorni dopo aver occupato i paesi del Baltico, il governo sovietico con un ultimatum ingiunse alla Romania di «restituire» immediatamente la Bessarabia, a suo tempo facente parte dell'impero zarista e citata nel protocollo segreto sottoscritto da URSS e Germania il 23 agosto 1939. Inoltre l'ultimatum esigeva che fosse annessa all'URSS anche la Bucovina settentrionale, mai appartenuta all'impero zarista. I romeni, abbandonati dai tedeschi, dovettero assoggettarsi; l'Ucraina incorporò nel proprio territorio la Bucovina e parte della Bessarabia: quanto rimaneva del territorio di quest'ultima regione divenne la repubblica socialista sovietica di Moldavia, proclamata il 2 agosto 1940. Nello stesso giorno un assistente di Berija, Kobulov, firmava l'ordine di deportazione riguardante 31699 «elementi antisovietici» che vivevano nei territori della neonata R.S.S. di Moldavia e di altri 12191 «elementi antisovietici» provenienti dalle regioni romene annesse alla R.S.S. d'Ucraina. Tali «elementi» erano stati scrupolosamente schedati nel giro di pochi mesi grazie a una tecnica collaudatissima; e il giorno prima, il primo agosto del 1940, di fronte al Soviet supremo Molotov aveva tracciato un quadro trionfalistico delle acquisizioni scaturite dall'intesa fra tedeschi e sovietici: in un anno erano stati incorporati nell'URSS 23 milioni di abitanti.

Tuttavia, l'anno 1940 è memorabile anche per un altro motivo: perché segna un record nella cifra totale di prigionieri del gulag, di deportati, di detenuti nelle carceri sovietiche, di condannati per reati penali. Il primo gennaio del 1941 risultavano rinchiusi nei campi del gulag un milione 930 mila individui, con un aumento di 270 mila unità rispetto all'anno precedente; nei territori «sovietizzati» erano state deportate oltre 500 mila persone, che si sommavano a un milione 200 mila coloni speciali registrati alla fine del 1939; nelle prigioni sovietiche, in teoria destinate a contenere 234 mila persone, erano rinchiusi oltre 462 mila individui; infine, nel 1940 il totale di condanne pronunciate per reati penali risulta aver subito in un anno un'impennata eccezionale: da circa 700 mila a quasi 2 milioni 300 mila.

Un aumento così spettacolare nasceva dal fatto che i rapporti sociali erano soggetti a una criminalizzazione senza precedenti. Per il mondo del lavoro il 1940 era destinato a rimanere nella memoria collettiva come quello in cui era stato emanato il Decreto del 26 giugno «sull'adozione della giornata di otto ore, della settimana di sette giorni e sul divieto fatto ai lavoratori di abbandonare di propria iniziativa il luogo di lavoro». Ogni assenza ingiustificata, a partire dai ritardi che superassero i venti minuti, era punita in base al Codice penale: il contravventore poteva essere condannato a sei mesi di «lavoro correzionale» senza privazione della libertà e a una trattenuta del 25 per cento sul salario, pena che poteva essere aggravata dalla carcerazione per un periodo da due a quattro mesi. Il 10 agosto 1940 un nuovo decreto comminava la reclusione in campo di lavoro per un periodo da uno a tre anni per gli «atti di teppismo», la produzione di articoli di scarto e i piccoli furti sul lavoro: date le condizioni in cui operava l'industria sovietica, qualunque operaio poteva cadere sotto la mannaia di questa nuova «legge scellerata». Tali decreti, che sarebbero rimasti in vigore fino al 1956, segnavano un ulteriore passo avanti nel processo che accentuava l'ingerenza del Codice penale nel diritto del lavoro. Nei primi sei mesi dalla loro entrata in vigore si ebbe la condanna di oltre un milione e mezzo di persone, a circa 400 mila delle quali fu comminata una pena detentiva: ciò spiega il fortissimo aumento di reclusi nelle carceri dopo l'estate del 1940. Il numero di teppisti condannati a essere rinchiusi nei campi di lavoro passò da 108 mila nel 1939 a 200 mila nel 1940. Quindi alla fine del Grande terrore si ricollegò una nuova offensiva, come non se ne erano viste dal 1932, contro la gente comune, che rifiutava di piegarsi alla disciplina della fabbrica o del kolhoz. A giudicare dai rapporti presentati dagli informatori dell'N.K.V.D., per reazione alle leggi scellerate dell'estate 1940 un notevole numero di operai dette prova di «animo depravato», in particolare durante le prime settimane dell'invasione nazista. Gli operai descritti nei rapporti non esitavano ad auspicare «l'eliminazione di ebrei e comunisti» e, nel caso di un operaio moscovita le cui parole erano state riferite all'N.K.V.D., diffondevano «dicerie da provocatori»: «Quando Hitler prende le nostre città fa attaccare dei manifesti che dicono: io non farò come il vostro governo, che spedisce gli operai davanti al giudice quando arrivano sul lavoro con ventun minuti di ritardo». Affermazioni di questo genere ricevevano le sanzioni più severe, come appare da un rapporto del procuratore generale militare su «crimini e reati commessi sulle ferrovie tra il 22 giugno e il primo settembre 1941», in cui si elencano 2524 sentenze di condanna, fra cui 204 capitali; inoltre, ben 412 di queste condanne riguardano la «diffusione di voci dal contenuto controrivoluzionario»: per tale reato furono condannati a morte 110 ferrovieri.

Di recente è stata pubblicata a Mosca una raccolta di documenti che descrivono lo «stato d'animo del pubblico» di Mosca durante i primi mesi di guerra. vi si sottolinea lo smarrimento della «gente comune» di fronte all'avanzata tedesca dell'estate del 1941. Sembra che i moscoviti fossero stati divisi in tre gruppi: i «patrioti», una «palude» in cui tutte le voci nascevano e si diffondevano, e i «disfattisti», che si auguravano la vittoria dei tedeschi su «bolscevichi ed ebrei», assimilati e detestati. Nell'ottobre del 1941, quando le fabbriche furono smantellate per poter evacuare gli impianti industriali nelle regioni orientali, in alcune imprese tessili della regione di Ivanovo scoppiarono «disordini antisovietici». I discorsi disfattisti di certi operai la dicevano lunga sul senso di disperazione che aveva invaso una parte del mondo operaio, costretto dal 1940 ad assoggettarsi a una legislazione sempre più dura. Tuttavia la barbarie nazista, che non prospettava alcun futuro ai «sottouomini» sovietici, destinati dai nazisti allo sterminio, o nel migliore dei casi alla schiavitù, finì col riconciliare la gente comune con il regime, in un forte slancio di entusiasmo patriottico. Con grande abilità, Stalin seppe riaffermare con forza i valori russi, quelli della nazione e della patria. Nel celebre discorso trasmesso per radio il 3 luglio 1941 si era rivolto al popolo con l'antica invocazione che attraverso i secoli aveva cementato la comunità nazionale: «Fratelli e sorelle, un grave pericolo minaccia la nostra patria». I richiami alla «grande Nazione russa di Plehanov, Lenin, Pushkin, Tolstoj, Ciajkovskij, Cehov, Lermontov, Suvorov e Kutuzov» dovevano servire a sostenere la «guerra santa», la «grande guerra patriottica». Il 7 novembre 1941, nel passare in rassegna i battaglioni di volontari in partenza per il fronte, Stalin li esortò a battersi ispirandosi al «glorioso esempio dei nostri avi, Aleksandr Nevskij e Dmitrij Donskoj»: il primo aveva salvato la Russia del tredicesimo secolo dai cavalieri teutonici, mentre nel secolo successivo il secondo era riuscito a porre fine al giogo tataro.


Ultima modifica 05.12.2003