Voltaire

Dizionario Filosofico

 

P

 

 

 

 

PADRONE
PAOLO
QUESITI SU
S.PAOLO
PAPISMO
PATRIA
PECCATO
ORIGINALE

PERSECUZIONE
PIETRO
PRETE
PREGIUDIZI
PROFETI

 

 

 

 

PADRONE

 

Come poté un uomo diventare padrone di un altro, e per quale specie d'incomprensibile magia poté diventare padrone di molti altri uomini? Su questo fenomeno sono stati scritti parecchi buoni libri, ma io do la preferenza a una favola indiana, perché è breve e perché le favole hanno detto tutto.

«Adimo, padre di tutti gli indiani, ebbe due figli e due figlie da sua moglie Procriti. Il primogenito era un gigante vigoroso, il minore era un gobbetto, e le due ragazze erano belle. Non appena il gigante si rese conto della sua forza, giacque con le due sorelle e si fece servire dal piccolo gobbo. Delle due sorelle, una fu la sua cuoca, l'altra la sua giardiniera. Quando il gigante voleva dormire, cominciava con l'incatenare a una pianta il suo fratellino gobbo; e quando questi riusciva a scappare, lo riacchiappava in quattro salti e gli dava venti vergate.

«Così il gobbo divenne sottomesso e il migliore suddito che si possa desiderare. Il gigante, soddisfatto di vederlo compiere i suoi doveri di suddito, gli permise di giacere con una delle sue sorelle di cui era stufo. I figli che vennero al mondo da tale unione non furono proprio gobbi, ma nemmeno ben fatti. Essi crebbero nel timore di Dio e del gigante. Ricevettero un'ottima educazione: fu insegnato loro che il grande zio era gigante per diritto divino, che egli poteva fare di tutta la sua famiglia quel che a lui piaceva; che se qualche nipote o pronipote fosse cresciuta graziosa, essa era destinata a lui solo; nessuno avrebbe potuto giacere con lei se non dopo che egli ne avesse avuto abbastanza.

«Morto il gigante, suo figlio, che non era certo né così forte né grande come lui, credette tuttavia di essere, come suo padre, gigante per diritto divino. Pretese di far lavorare per sé tutti gli uomini e di giacere con tutte le ragazze. La famiglia fece lega contro di lui, egli fu ammazzato e ci si costituì in repubblica.»

I siamesi, invece, pretendono che la famiglia abbia cominciato con l'essere repubblicana e che il gigante non sia comparso che dopo un gran numero di anni e di discordie; ma tutti gli autori di Benares e del Siam convengono che gli uomini vissero una infinità di secoli prima che la loro intelligenza fosse capace di fare delle leggi; e lo provano con un argomento convincentissimo: oggi, che tutti si credono intelligenti, non si è ancora trovato il mezzo di fare una ventina di leggi passabili.

In India, per esempio, resta tuttora un problema insolubile: se le repubbliche siano state istituite prima o dopo le monarchie, se il disordine sia sembrato agli uomini più orribile del dispotismo. Ignoro quel che è accaduto nell'ordine dei tempi; ma in quello della natura, dobbiamo credere che, nascendo gli uomini tutti eguali, la violenza e l'astuzia abbiano prodotto i primi padroni; le leggi, gli ultimi.

 

PAOLO. QUESITI SU SAN PAOLO

 

Paolo era davvero cittadino romano, come si vanta? Se era di Tarso, in Cilicia, Tarso non divenne colonia romana che cent'anni dopo di lui; tutti gli storici sono d'accordo. Se era invece della cittadina o borgata di Gishala, come credeva san Girolamo, questa si trovava in Galilea, e certamente i galilei non erano cittadini romani.

È vero che Paolo entrò nella nascente comunità dei cristiani, che erano allora semiebrei, perché Gamaliele, di cui era stato discepolo, gli rifiutò sua figlia in sposa? Mi sembra che quest'accusa si trovi solo negli Atti degli Apostoli accolti dagli ebioniti, atti riferiti e confutati dal vescovo Epifanio, nel suo trentesimo capitolo.

È vero che santa Tecla venne a visitare san Paolo travestita da uomo? E gli Atti di santa Tecla sono degni di fede? Tertulliano, nel suo libro sul battesimo, capitolo XVII, sostiene che essi furono scritti da un prete legato a Paolo; Girolamo e Cipriano, confutando la favola del leone battezzato da santa Tecla, affermano la verità di tali Atti. È qui che si trova un ritratto di san Paolo abbastanza singolare: «Egli era grosso, basso, largo di spalle: le sue sopracciglia nere si congiungevano sul suo naso aquilino, le gambe storte, la testa calva, ed era pieno della grazia di Dio.»

Press'a poco a questo modo viene dipinto nel Filopatride di Luciano, eccettuata la grazia di Dio,di cui Luciano non aveva sfortunatamente cognizione alcuna.

Possiamo scusare Paolo di aver rimproverato Pietro che giudaizzava, quando lui stesso andò a giudaizzare nel tempio di Gerusalemme?

Quando Paolo fu tradotto dagli ebrei davanti al governatore della Giudea, per aver fatto entrare degli stranieri nel tempio, fece bene a dire a quel governatore che era «per la resurrezione dei morti che gli si faceva quel processo», mentre non si trattava affatto della resurrezione dei morti?

Paolo fece bene a circoncidere il suo discepolo Timoteo, dopo avere scritto ai galati: «Se vi farete circoncidere, Gesù non vi servirà a nulla?»

Fece bene a scrivere ai corinzi, cap. IX: «Non abbiamo forse noi il diritto di vivere a vostre spese e di condurre con noi una donna ecc»? Fece bene a scrivere ai corinzi, nella sua seconda epistola: «Io non perdonerò a nessuno di coloro che hanno peccato, né agli altri»? Cosa si penserebbe, oggi, di un uomo che pretendesse di vivere a nostre spese, lui e sua moglie, di giudicarci, di punirci, e di confondere il colpevole con l'innocente?

Che cosa s'intende con il rapimento di Paolo al terzo cielo? Cos'è un terzo cielo?

E che cos'è, infine, più verosimile (umanamente parlando): che Paolo si sia fatto cristiario per essere stato rovesciato dal suo cavallo da un gran bagliore apparsogli in pieno mezzogiorno, mentre una voce dal cielo gli gridava: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?», oppure che Paolo fosse irritato contro i farisei, sia per il rifiuto di Gamaliele di concedergli sua figlia, sia per qualche altra ragione?

In qualsiasi altra storia, il rifiuto di Gamaliele non sembrerebbe più naturale di una voce che scende dal cielo, se peraltro non fossimo obbligati a credere a questo miracolo?

Io pongo tutti questi quesiti al solo scopo di istruirmi; ed esigo che chiunque vorrà istruirmi, parli in modo ragionevole.

 

PAPISMO (SUL). DIALOGO

 

IL PAPISTA: Monsignore ha già nel suo principato luterani, calvinisti, quaccheri, anabattisti, e finanche ebrei; e voi vorreste ch'egli ammettesse anche degli unitari?

IL TESORIERE: Se costoro ci portano lavoro e denaro, che male potranno farci? Sarete pagato meglio anche voi.

IL PAPISTA: Confesso che la riduzione del mio stipendio mi sarebbe più dolorosa dell'ammissione di quei signori; ma insomma, essi non credono che Gesù Cristo sia figlio di Dio.

IL TESORIERE: E cosa ve ne importa, purché a voi sia permesso di crederlo e siate ben nutrito, ben vestito e ben alloggiato? Anche gli ebrei non credono affatto che Gesù sia figlio di Dio; e tuttavia voi siete ben felice di trovar qui degli ebrei cui affidate il vostro denaro al sei per cento. Lo stesso san Paolo non ha mai parlato della divinità di Gesù Cristo, che chiama semplicemente «un uomo»: «La morte,» dice, «ha regnato per il peccato di un solo uomo; i giusti regneranno per un solo uomo, che è Gesù... Voi siete di Gesù, e Gesù è di Dio...» Tutti i primi Padri della Chiesa hanno pensato come san Paolo; è evidente che, per trecento anni, Gesù si è accontentato della sua umanità; figuratevi d'essere un cristiano dei primi tre secoli.

IL PAPISTA: Ma, signore, gli unitari non credono nell'eternità delle pene.

IL TESORIERE: E io neppure. Siate dannato per sempre, se vi fa piacere; quanto a me, non conto affatto d'esserlo.

IL PAPISTA: Ah, signore, è ben duro non poter dannare a proprio piacere tutti gli eretici di questo mondo! Ma la smania furiosa degli unitari nel volere che un giorno tutte le anime siano beate non è il mio solo cruccio. Voi sapete che quei mostri non credono più dei sadducei alla resurrezione dei corpi; dicono che siamo tutti antropofagi, che le particelle che componevano il vostro nonno o il vostro bisavolo, essendo state necessariamente disperse nell'atmosfera, sono diventate carote o asparagi, e che è impossibile che voi non abbiate mangiato qualche particella dei vostri antenati.

IL TESORIERE: E sia. I miei nipoti faranno altrettanto con me: mi sarà reso quel che ho fatto; e lo stesso capiterà ai papisti. Ma non è una ragione perché mi si cacci dagli Stati di Monsignore, o perché ne vengano banditi gli unitari. Risuscitate come meglio potrete. A me importa assai poco che gli unitari risuscitino o no, purché ci siano utili quando sono vivi.

IL PAPISTA: E che direte, signore, del peccato originale che essi negano sfrontatamente? Non vi scandalizzate quando asseriscono che il Pentateuco non ne fa parola? che il vescovo d'Ippona, sant'Agostino, fu il primo ad insegnare in modo esplicito quel dogma, sebbene esso sia molto chiaramente indicato da san Paolo?

IL TESORIERE: In fede mia, se il Pentateuco non ne ha parlato, io non ne ho colpa. Perché non aggiungete voi nell'Antico Testamento qualche parolina sul peccato originale, come vi avete aggiunto, si dice, tante altre cose? Io non m'intendo di queste sottigliezze. Il mio mestiere è quello di pagarvi regolarmente lo stipendio, quando ho denaro...

 

PATRIA

 

Una patria è un insieme di tante famiglie; e, come si sostiene normalmente la propria famiglia per amor proprio, quando non si abbia un interesse contrario, per lo stesso amor proprio si sostiene la propria città o il proprio villaggio, che chiamiamo nostra patria.

Più questa patria si ingrandisce, meno la si ama, perché l'amore suddiviso s'affievolisce. È impossibile amare teneramente una famiglia troppo numerosa che si conosce appena.

Chi arde dell'ambizione d'essere edile, tribuno, pretore, console, dittatore, grida di amare la patria, ma in realtà non ama che se stesso. Ognuno vuol essere sicuro di poter dormire in casa propria senza che un altro si arroghi il potere di mandarlo a dormire altrove; ognuno vuol essere sicuro dei propri beni e della propria vita. E poiché tutti formulano così gli stessi desideri, l'interesse particolare finisce col diventare l'interesse generale: si fanno voti per la repubblica, mentre se ne fanno soltanto per sé.

È impossibile che esista sulla terra uno Stato che da principio non si sia retto a repubblica: è il processo naturale della natura umana. Prima di tutto alcune famiglie si riuniscono contro gli orsi e i lupi; quella che ha del grano ne fornisce in cambio a quella che ha soltanto legna.

Quando scoprimmo l'America, trovammo tutte le popolazioni divise in repubbliche; in tutta quella parte del mondo c'erano appena due regni. Di mille nazioni, ne trovammo soltanto due soggiogate.

E così andavano le cose nel mondo antico; tutto era repubblica in Europa, prima dei piccoli re d'Etruria e di Roma. Ancor oggi si vedono varie repubbliche in Africa. Tripoli, Tunisi, Algeri, nella parte settentrionale, sono repubbliche di briganti. Gli ottentotti, in quella meridionale, vivono ancora come è fama che si vivesse nelle prime età del mondo, liberi, eguali tra loro, senza padroni, senza sudditi, senza denaro, e quasi senza bisogni. Li nutre la carne delle loro pecore, li vestono le loro pelli, i loro ripari sono capanne di legno e di terra; sono i più puzzolenti degli uomini, ma non se ne accorgono; vivono e muoiono più tranquillamente di noi.

Restano nella nostra Europa otto repubbliche senza monarchi: Venezia, l'Olanda, la Svizzera, Genova, Lucca, Ragusa, Ginevra e San Marino. La Polonia, la Svezia, l'Inghilterra si possono considerare repubbliche sotto un re; ma la Polonia è la sola che si proclami repubblica.

Ora, cosa è meglio, adesso, che la vostra patria sia uno Stato monarchico o uno Stato repubblicano? Sono quattromila anni che la questione viene dibattuta. Chiedete la soluzione ai ricchi, preferiscono tutti l'aristocrazia; interrogate il popolo, vuole la democrazia: soltanto i re preferiscono la monarchia. Com'è possibile dunque che tutta la terra sia governata da monarchi? Domandatelo ai topi che proposero d'appendere un campanello al collo del gatto. Ma in realtà, la vera ragione è che gli uomini, come si è detto, sono di rado degni di governarsi da sé.

È triste che spesso, per essere un buon patriota, si sia nemici del resto degli uomini. Catone il Vecchio, quel buon cittadino, ripeteva sempre in Senato: «Questo è il mio parere, che si distrugga Cartagine.» Essere buon patriota è desiderare che la propria città si arricchisca col commercio e sia potente con le armi. È chiaro che un paese non può vincere senza che un altro perda, e che non può vincere senza fare degli infelici.

Tale è dunque la condizione umana, che desiderare la grandezza del proprio paese è desiderare il male dei propri vicini. Chi volesse che la propria patria non fosse mai né più grande né più piccola, né più ricca né più povera, sarebbe cittadino dell'universo.

 

PECCATO ORIGINALE

 

È qui il preteso trionfo dei sociniani o unitari. Essi chiamano questo fondamento della religione cristiana il suo «peccato originale». È oltraggiare Dio - dicono - è accusarlo della più assurda barbarie, osar dire che egli creò tutte le generazioni degli uomini per tormentarle con supplizi eterni, con il pretesto che il loro primo padre mangiò un frutto in un giardino.

Tale sacrilega imputazione è tanto più imperdonabile, presso i cristiani, in quanto su questa invenzione del peccato originale non c'è una sola parola né nel Pentateuco, né nei Profeti, né nei Vangeli, sia apocrifi, sia canonici, né in nessuno di quegli scrittori che si chiamano «i primi Padri della Chiesa».

Non è neppure raccontato nel Genesi che Dio abbia condannato Adamo a morte per aver mangiato una mela. Dio gli disse, è vero: «Tu per certo morrai, il giorno che ne mangerai»; ma lo stesso libro fa vivere Adamo novecentotrent'anni dopo quella criminosa colazione. Gli animali, le piante, che non avevano mangiato quel frutto, morirono nel giorno prescritto dalla natura. L'uomo è nato per morire, come tutto il resto.

Infine, la punizione di Adamo non cadeva in nessun modo sotto la legge ebraica. Adamo non era ebreo più di quanto non fosse persiano o caldeo. I primi capitoli del Genesi (in qualsiasi tempo siano stati composti) furono considerati da tutti i dotti ebrei come un'allegoria ed anche come una favola molto pericolosa; e infatti fu proibito leggerla prima dell'età di venticinque anni.

In breve, gli ebrei non conobbero il peccato originale più che le cerimonie cinesi; e, sebbene i teologi riescano a trovare tutto quel che vogliono nella Scrittura, sia totidem verbis sia totidem litteris, possiamo essere sicuri che nessun teologo ragionevole vi troverà mai questo straordinario mistero.

Riconosciamo che fu sant'Agostino ad accreditare per primo questa incredibile idea, degna della testa calda e romanzesca di un africano dissoluto e pentito, manicheo e cristiano, tollerante e persecutore, che passò la vita a contraddire se stesso.

«Che orrore!» esclamano gli unitari rigidi, «il calunniare l'autore della natura fino ad imputargli continui miracoli per condannare in eterno uomini che egli fa nascere per così poco tempo! O egli ha creato la anime fin dall'eternità e, in questo caso, essendo infinitamente più antiche del peccato di Adamo, non hanno alcun rapporto con lui; o le anime vengono create ogni volta che un uomo giace con una donna, e in questo caso Dio sta continuamente a spiare tutti gli incontri amorosi dell'universo, per creare spiriti che renderà eternamente infelici; o Dio è lui stesso l'anima di tutti gli uomini, e in questo caso si danna da sé. Qual è la più orribile e la più folle di queste tre supposizioni? Non ce n'è una quarta: perché l'opinione che Dio attenda sei settimane per creare un'anima dannata in un feto, si unisce a quella che la crede creata nel momento della copulazione: che cosa importano sei settimane di più o di meno?»

Ho riferito il parere degli unitari; gli uomini sono giunti a un tal grado di superstizione, che, nel riferirlo, ho tremato.

(Questo articolo è del defunto signor Boulanger)

 

PERSECUZIONE

 

Non dirò certo che Diocleziano fu un persecutore, lui che protesse i cristiani per diciotto anni; e se, negli ultimi tempi del suo impero, non li salvò dai risentimenti di Galerio, in ciò non fu che un principe sedotto e trascinato dagli intrighi contro il suo buon carattere, come tanti altri.

Ancor meno darò il nome di persecutori a Traiano o agli Antonini: mi sembrerebbe di bestemmiare.

Chi è un persecutore? È un uomo il cui orgoglio ferito e il cui furibondo fanatismo istigano il principe o i magistrati contro gente innocente, che non ha altra colpa che quella di non pensare come lui. «Impudente, tu adori un Dio, predichi la virtù e la pratichi; hai servito gli uomini e li hai consolati, hai protetto l'orfana, soccorso il povero, hai mutato i deserti, dove pochi schiavi trascinavano un'esistenza miserabile, in fertili campagne popolate da famiglie felici; ma ho scoperto che mi disprezzi, che non hai mai letto il mio libro di controversia; sai che sono un mascalzone, che ho falsificato la firma del tale e derubato il tal'altro, e potresti riferirlo a qualcuno: bisogna ch'io ti prevenga. Andrò dunque dal confessore del primo ministro, o dal podestà; dimostrerò loro, piegando il collo e storcendo la bocca, che tu hai un'opinione erronea sulle celle in cui furon rinchiusi i Settanta; che dieci anni fa parlasti con poco rispetto del cane di Tobia, sostenendo che era un can barbone, mentre io dimostrai che era un levriero; ti denuncerò come nemico di Dio e degli uomini.» Tale è il linguaggio del persecutore; e se dalla sua bocca non escono precisamente queste parole, esse sono incise nel suo cuore, con il bulino del fanatismo immerso nel miele dell'invidia.

Così il gesuita Le Tellier osò perseguitare il cardinale Noailles, così Jurieu perseguitò Bayle.

Quando in Francia cominciò la persecuzione dei protestanti, non furono né Francesco I, né Enrico II, né Francesco II a spiare quegli sventurati, ad armarsi contro di loro di un meditato furore e a consegnarli al rogo per esercitare su di essi le loro vendette. Francesco I era troppo occupato con la duchessa d'Étampes, Enrico II con la sua vecchia Diana, e Francesco II era ancora ragazzo. Chi dette inizio alle persecuzioni? I preti gelosi che armarono i pregiudizi dei magistrati e la politica dei ministri.

Se quei re non fossero stati ingannati, se avessero previsto che la persecuzione avrebbe prodotto cinquant'anni di guerre civili, e che metà della nazione sarebbe stata sterminata dall'altra, essi avrebbero spento con le loro lacrime i primi roghi che lasciarono accendere.

O Dio di misericordia! Se qualche uomo può somigliare a quell'essere malefico che, come ci vien dipinto, si dà da fare senza posa per distruggere le tue opere, non è appunto il persecutore?

 

PIETRO

 

In francese, Pierre; in spagnolo, Pedro; in latino, Petrus; in greco, Πέτρος ; in ebraico, Cefa.

Perché i successori di Pietro hanno avuto tanto potere in Occidente e nessuno in Oriente? È come chiedere perché i vescovi di Wurzburg e di Salisburgo si sono attribuiti diritti sovrani in tempi d'anarchia, mentre i vescovi greci sono sempre rimasti sudditi. Il tempo, l'occasione, l'ambizione degli uni e la debolezza degli altri hanno fatto e faranno sempre tutto in questo mondo.

A quest'anarchia si è aggiunta l'opinione, e l'opinione è regina degli uomini. Non che in effetti essi abbiano opinioni ben precise; ma le parole ne tengono il luogo.

Si racconta nel Vangelo che Gesù dicesse a Pietro: «Ti darò le chiavi del regno dei Cieli» I partigiani del vescovo di Roma sostennero, verso l'XI secolo, che chi dà il più dà anche il meno; che i cieli circondano la terra, e che Pietro, avendo le chiavi del contenente, aveva anche le chiavi del contenuto. Se per cieli s'intendono tutte le stelle e tutti i pianeti, è evidente, secondo Thomasius, che le chiavi date a Simone figlio di Giona, soprannominato Pietro, erano buone per aprire tutto. Se s'intendono per cieli le nubi, l'atmosfera, l'etere, lo spazio in cui ruotano i pianeti, non ci sono fabbri, secondo Meursio, che possano fare una chiave per quelle porte.

Le chiavi in Palestina erano un perno di legno che veniva legato con una cinghia. Gesù disse a Simone: «Ciò che tu avrai legato in terra sarà legato in cielo» I teologi del papa ne hanno concluso che i papi avevano ricevuto il diritto di legare e sciogliere i popoli dal giuramento di fedeltà fatto ai loro re, e di disporre a loro piacimento di tutti i regni. Magnifica conclusione. Nel 1302, alla riunione degli stati generali di Francia, i comuni dicono nella loro petizione al re che «Bonifacio VIII era un c... il quale credeva che Dio legasse e imprigionasse in cielo ciò che Bonifacio legava sulla terra». Un famoso luterano tedesco (era, penso, Melantone), stentava a digerire che Gesù avesse detto a Simone figlio di Giona, Cefa o Cephas: «Sei Pietro, e su questa pietra costruirò la mia assemblea, la mia Chiesa.» Non poteva concepire che Dio si fosse abbassato a usare un simile gioco di parole, un'arguzia così d'effetto, e che la potenza del papa fosse fondata su una facezia.

Pietro ha fama di essere stato vescovo di Roma; ma è abbastanza noto che in quei tempi e per molto tempo dopo non ci furono vescovati. La società cristiana prese forma appena verso la fine del secondo secolo.

Può darsi che Pietro abbia fatto il viaggio a Roma; può darsi perfino che sia stato crocifisso a testa in giù, sebbene questo non fosse affatto nell'uso; ma non ne abbiamo alcuna prova Abbiamo una sua lettera, nella quale dice di trovarsi a Babilonia: certi giudiziosi canonici hanno preteso che per Babilonia si dovesse intendere Roma. Così, supposto che avesse datato la lettera da Roma, si sarebbe potuto concludere che essa era stata scritta a Babilonia. Si è andati avanti per molto tempo con questo genere di deduzioni, ed è in tal modo che il mondo è andato avanti.

Ci fu un giorno un sant'uomo cui fecero pagare a carissimo prezzo un beneficio a Roma, il che si chiama simonia; qualcuno gli domandò se credesse che Simon Pietro fosse stato laggiù; rispose: «Non mi risulta che Pietro ci sia stato, ma di Simone sono sicuro.»

Quanto alla persona di Pietro, bisogna riconoscere che Paolo non fu il solo ad essere scandalizzato dalla sua condotta; ci fu spesso chi gli tenne testa, a lui e ai suoi successori. Questo Paolo lo rimproverava aspramente di mangiare carni proibite, e cioè maiale, sanguinaccio, lepre, anguille, issione e grifone; Pietro si difendeva dicendo d'aver veduto, verso l'ora sesta, spalancarsi il cielo, e dai quattro angoli del cielo scendere una tovaglia piena d'anguille, di quadrupedi e d'uccelli, e che la voce di un angelo aveva gridato: «Uccidete e mangiate.» Fu senza dubbio la stessa voce che gridò poi a tanti pontefici: «Uccidete e mangiate le midolla del popolo,» dice Wollaston.

Casaubon non poteva approvare la maniera in cui Pietro aveva trattato quel brav'uomo di Anania e sua moglie Safira. Con quale diritto, dice Casaubon, un ebreo schiavo dei romani ordinava o tollerava che tutti coloro che credevano in Gesù vendessero i loro beni e ne portassero il ricavato ai suoi piedi? Se qualche anabattista a Londra facesse deporre ai suoi piedi tutto il denaro dei suoi confratelli, non lo arresterebbero come un seduttore sedizioso, come un ladrone? Non sarebbe immancabilmente spedito a Tyburn? Non è orribile far morire Anania perché, venduto il suo fondo e portato a Pietro il denaro, s'era tenuto, senza dirlo, qualche scudo per sovvenire alle necessità sue e di sua moglie? Appena morto Anania, arriva sua moglie. Pietro, invece di avvertirla caritatevolmente che ha fatto morire suo marito d'apoplessia perché s'era tenuto qualche obolo, invece di dirle di badare a se stessa, la fa cadere nel tranello. Le chiede se il marito abbia dato tutto il suo denaro ai santi. La brava donna risponde di sì, e muore di colpo. Questa è dura.

Coringius si chiede perché Pietro, che ammazzava tanto tranquillamente quelli che gli avevano fatto l'elemosina, non era andato piuttosto ad ammazzare i dottori che avevano fatto morire Gesù Cristo, e che più di una volta avevano fatto frustare anche lui. O Pietro! fai morire due cristiani che ti han fatto l'elemosina, e lasci vivere quelli che hanno crocifisso il tuo Dio!

Evidentemente Coringius non si trovava in paese d'inquisizione quando faceva queste ardite domande. Erasmo notava, a proposito di Pietro, una cosa molto singolare: e cioè che il capo della religione cristiana cominciò il suo apostolato col rinnegare Gesù Cristo, e che il primo pontefice degli ebrei aveva cominciato il suo ministero col fare un vitello d'oro, e adorarlo.

Comunque, Pietro ci viene dipinto come un povero che catechizza i poveri. Somiglia a quei fondatori d'ordine che vivevano nell'indigenza, e i cui successori sono diventati dei gran signori.

Il papa, successore di Pietro, ora ha guadagnato, ora ha perduto; ma gli restano ancora circa cinquanta milioni d'uomini sulla terra sottomessi in vari punti alle sue leggi, oltre ai suoi sudditi diretti.

Darsi un padrone che vive a tre o quattrocento leghe di distanza; aspettare per pensare che quell'uomo abbia avuto l'aria di pensare; non osar giudicare in ultima istanza un processo tra propri concittadini se non per mezzo di commissari nominati da quello straniero; non osar prendere possesso dei campi e dei vigneti ottenuti dal proprio re senza pagare una grossa somma a quel padrone straniero; violare le leggi del proprio paese che proibiscono di sposare la propria nipote, e sposarla legittimamente dando a quel padrone straniero una somma ancora più grossa; non osar coltivare il proprio campo il giorno in cui quello straniero vuole che si celebri la memoria di uno sconosciuto che egli ha messo in cielo di propria privata autorità: ecco in parte che cosa sia ammettere un papa; sono queste le libertà della Chiesa gallicana.

Ci sono altri popoli ancor più duramente sottomessi. Abbiamo visto ai giorni nostri un sovrano chiedere al papa il permesso di far giudicare dal proprio regio tribunale certi gesuiti accusati di regicidio, non poter ottenere quel permesso, e non osare giudicarli.

È abbastanza noto come in passato i diritti dei papi andassero ben oltre i limiti leciti; erano ancor più sublimi degli dei dell'antichità; perché quegli dei avevan solo fama di disporre degli imperi, e i papi invece ne disponevano di fatto.

Sturbinus dice che si può perdonare a quelli che dubitano della divinità e dell'infallibilità del papa, quando si riflette:

Che quaranta scismi hanno profanato la cattedra di san Pietro, e ventisette l'hanno insanguinata;

Che Stefano VII, figlio di un prete, disseppellì il corpo di papa Formoso, suo predecessore, e fece tagliare la testa a quel cadavere;

Che Sergio III, reo di vari omicidi, ebbe da Marozia un figlio che ereditò il papato;

Che Giovanni X, amante di Teodora, fu strangolato nel suo letto;

Che Giovanni XI, figlio di Sergio III, fu noto soltanto per la sua dissolutezza;

Che Giovanni XII fu assassinato in casa della sua amante;

Che Benedetto IX comperò e rivendette il pontificato;

Che Gregorio VII fu il responsabile di cinquecent'anni di guerre civili sostenute dai suoi successori;

Che infine, tra tanti papi ambiziosi, sanguinari e dissoluti, c'è stato un Alessandro VI il cui nome è pronunciato con altrettanto orrore che quelli dei Neroni e dei Caligola.

È una prova, si dice, della divinità del loro carattere, che questa sia riuscita a sussistere malgrado tanti delitti; ma, se i califfi avessero tenuto una condotta ancora più scellerata, sarebbero dunque stati ancora più divini. Così ragiona Dermius; ma i gesuiti gli hanno risposto.

 

PREGIUDIZI

 

Il pregiudizio è un'opinione senza giudizio. Così su tutta la terra si istillano nei bambini tutte le opinioni che si vuole prima che essi siano in grado di giudicare.

Ci sono pregiudizi universali, necessari, che sono la virtù stessa. In ogni paese s'insegna ai bambini a riconoscere un Dio remuneratore e vendicatore; ad amare, a rispettare il padre e la madre; a considerare il furto un crimine, la menzogna interessata un vizio, prima ancora che essi possano indovinare che cosa siano vizio e virtù.

Esistono dunque ottimi pregiudizi: sono quelli che il giudizio ratifica quando si ragiona.

Il sentimento non è un semplice pregiudizio, è qualcosa di molto più forte. Una madre non ama il proprio figlio perché le hanno detto che si deve amarlo: le è caro, per fortuna, suo malgrado. Non è per pregiudizio che correte in soccorso di un bambino ignoto che sta per cadere in un precipizio o per essere divorato da una belva.

Ma per pregiudizio rispetterete un uomo rivestito di certi abiti, che cammina e parla con gravità. I vostri genitori vi hanno detto che dovete inchinarvi di fronte a quell'uomo: lo rispettate prima di sapere se merita il vostro rispetto; crescete in età e in conoscenza, vi accorgete che quell'uomo è un ciarlatano impastato d'orgoglio, d'interesse e di artificio; disprezzate colui che avevate riverito, e il pregiudizio cede al giudizio. Avete creduto per pregiudizio alle favole con cui è stata cullata la vostra infanzia: vi hanno detto che i Titani hanno fatto guerra agli dei, e che Venere fu innamorata di Adone; a dodici anni prendete queste favole per verità, a venti le considerate ingegnose allegorie.

Esaminiamo in breve le diverse specie di pregiudizi, per mettere un po' d'ordine nei fatti nostri. Ci ritroveremo forse come coloro che, al tempo del sistema di Law, s'accorsero di aver fatto calcolo su ricchezze immaginarie.

 

Pregiudizi dei sensi'

Non è una cosa curiosa che i nostri occhi c'ingannino sempre, anche quando vediamo benissimo, mentre, al contrario, i nostri orecchi non c'ingannano mai? Se il nostro orecchio ben conformato ode: «Voi siete bella, vi amo,» è sicurissimo che non vi hanno detto: «Siete brutta, vi odio.» Ma voi vedete liscio uno specchio: mentre è dimostrato che vi ingannate: esso ha una superficie assai scabra. Voi vedete il sole come se avesse due piedi di diametro: è dimostrato invece che è un milione di volte più grande della terra.

Sembra che Dio vi abbia messo la verità negli orecchi, e l'errore negli occhi; ma studiate l'ottica, e vi accorgerete che Dio non vi ha ingannato, e che è impossibile che gli oggetti vi appaiano diversi da come li vedete nello stato presente delle cose.

 

Pregiudizi fisici

Il sole sorge, la luna anche, la terra è immobile: questi sono pregiudizi fisici naturali. Ma che i gamberi facciano bene al sangue, perché, quando sono cotti, son rossi come lui; che le anguille guariscano la paralisi, perché guizzano; che la luna influisca sulle nostre malattie, perché un giorno si notò che un malato aveva avuto un forte aumento di febbre durante il tramontar della luna: queste idee, e mille altre, sono errori di antichi ciarlatani, che giudicarono senza ragionare e che, essendosi ingannati, a loro volta ingannarono gli altri.

 

Pregiudizi storici

La maggior parte delle storie è stata creduta senza esame, e questa credenza è un pregiudizio. Fabio Pittore racconta che, molti secoli prima di lui, una vestale della città di Alba, andando a prender acqua con la sua brocca, fu violentata, che partorì Romolo e Remo, che questi furono nutriti da una lupa ecc. Il popolo romano credette a quella favola; non si curò di sapere se a quel tempo ci fossero vestali nel Lazio, se fosse verosimile che la figlia di un re uscisse dal suo convento con una brocca, se fosse probabile che una lupa allattasse due bambini invece di mangiarli. Il pregiudizio si radicò.

Un frate scrive che Clodoveo, trovandosi in grande pericolo alla battaglia di Tolbiac, fece voto di farsi cristiano se ne fosse scampato; ma è naturale che in tale occasione ci si rivolga a un dio straniero? Non è proprio in questi momenti che la religione nella quale si è nati agisce più intensamente? Qual è il cristiano che, in una battaglia contro i turchi, non si rivolgerà alla Madonna piuttosto che a Maometto? Si aggiunge che un colombo portò nel becco la santa ampolla per ungere Clodoveo, e che un angelo portò l'orifiamma per guidarlo. Il pregiudizio credette a tutte le storielle del genere. Chi conosce la natura umana sa bene che l'usurpatore Clodoveo, l'usurpatore Rollone o Rollo si fecero cristiani per governare più sicuramente dei cristiani, come gli usurpatori turchi si fecero musulmani per governare più sicuramente i musulmani.

 

Pregiudizi religiosi

Se la vostra nutrice vi ha detto che Cerere presiede alle biade, o che Visnù e Xaca si sono fatti uomini varie volte, o che Sammonocodom è venuto a tagliare una foresta, o che Odino vi aspetta nella sua sala verso lo Jutland, oppure che Maometto o qualcun altro ha fatto un viaggio in cielo; se infine il precettore viene a conficcarvi nel cervello quanto vi ha impresso la nutrice, ne avete per tutta la vita. Se il vostro giudizio vuole ergersi contro quei pregiudizi, i vostri vicini, e soprattutto le vostre vicine, gridano all'empio, e vi terrorizzano; il vostro derviscio, temendo di veder diminuire le sue rendite, vi accusa presso il cadì, e questo cadì, se può, vi fa impalare, perché vuol comandare a degli sciocchi, sicuro com'è che gli sciocchi obbediscono meglio degli altri. E questo durerà fino a che e i vostri vicini, e il derviscio, e il cadì non cominceranno a capire che la stupidità porta a niente, e che la persecuzione è abominevole.

 

PRETE

 

I preti sono, in uno Stato, pressappoco quel che sono i precettori nelle case dei cittadini; obbligati a insegnare, pregare, dare l'esempio; non possono avere nessuna autorità sui padroni di casa, a meno che non si provi che colui che paga un salario deve obbedire a chi lo riceve. Fra tutte le religioni, quella che esclude nel modo più assoluto i preti da ogni autorità civile, è senza dubbio quella di Gesù: «Date a Cesare quel che è di Cesare.» «Non ci sarà, tra voi, né primo né ultimo.» «Il mio regno è di questo mondo.»

Le contese fra l'impero e il clero, che insanguinarono l'Europa per più di sei secoli, non furono quindi, da parte dei preti, che ribellioni contro Dio e gli uomini e un peccato continuo contro lo Spirito Santo.

Da Calcante, che assassinò la figlia di Agamennone, fino a Gregorio XIII e a Sisto V, due vescovi di Roma che vollero privare il grande Enrico IV del regno di Francia, la potenza sacerdotale fu fatale nel mondo.

Preghiera non significa predominio, esortazione non significa dispotismo. Un buon prete dev'essere il medico delle anime. Se Ippocrate avesse ordinato ai suoi malati di prendere dell'elleboro, pena l'impiccagione, sarebbe stato più pazzo e più feroce di Falaride, ed avrebbe avuto pochissimi clienti. Quando un prete dice: «Adorate Dio, siate giusto, indulgente, compassionevole,» è un ottimo medico delle anime. Quando dice: «Credetemi, o sarete bruciato,» è un assassino.

Il magistrato deve sostenere e contenere il prete, come il padre di famiglia deve trattar con considerazione il precettore dei suoi figli, e impedire ch'egli ne abusi. «L'accordo tra clero e impero» è il sistema più mostruoso: perché appena si cerca un tale accordo, si presuppone necessariamente la loro divisione. Bisogna dire: «la protezione accordata dall'impero al clero». Ma, nei paesi in cui il clero ha ottenuto l'impero, come a Salem, dove Melchisedec fu prete e re, come in Giappone dove il dairi fu tanto a lungo imperatore, cosa bisogna fare? Rispondo che i successori di Melchisedec e dei dairi furono spodestati.

I turchi, in questo, sono saggi. Fanno, è vero, il pellegrinaggio alla Mecca, ma non permettono allo sceriffo della Mecca di scomunicare il sultano. Non vanno a comperare alla Mecca il permesso di non rispettare il ramadan, o quello di sposare le loro cugine o le loro nipoti; non sono giudicati da iman delegati dallo sceriffo; non pagano mai a costui l'ultima annata del loro reddito. Quante cose da dire su questo argomento. Lettore, ora spetta a te dirle.

 

PROFETI

 

Il profeta Jurieu fu fischiato, i profeti delle Cévennes furono impiccati o arrotati, i profeti che dalla Linguadoca, o dal Delfinato, vennero a Londra, furono messi alla gogna; i profeti anabattisti furono condannati a supplizi vari; il profeta Savonarola fu arso a Firenze; il profeta Giovanni, il battezzatore, o Battista, ebbe il capo mozzato.

Si pretende che Zaccaria sia stato assassinato, ma per fortuna ciò non è provato. Il profeta Ieddo o Addo, inviato a Betel a condizione che non avrebbe toccato né cibo né acqua, avendo sventuratamente mangiato un pezzo di pane, venne mangiato a sua volta da un leone; e si trovarono le sue ossa sulla strada, fra quel leone e il suo asino. Giona fu inghiottito da un pesce; è vero che non restò nel suo ventre che tre giorni e tre notti; ma per settantadue ore non dovette sentirsi molto a suo agio.

Abacuc fu sollevato in aria per i capelli e così trasportato fino a Babilonia: non fu in verità una grande disgrazia, ma fu un modo di viaggiare assai poco piacevole. Si deve soffrire parecchio a restar sospesi per i capelli per un tragitto di trecento miglia. Io avrei preferito un paio d'ali, la giumenta Borac o l'ippogrifo.

Michea, figlio di Iemilla, avendo visto il Signore assiso sul suo trono con le armate celesti a destra e a sinistra, e avendo il Signore chiesto che qualcuno andasse a ingannare il re Achab, ed essendosi presentato al Signore il diavolo, che si incaricò di tale commissione, Michea si affrettò a render conto da parte del Signore, al re Achab, di questa avventura celeste. È vero che, come ricompensa, egli ricevette un gran ceffone dal profeta Sedecia; è vero che fu messo in prigione solo per pochi giorni; ma insomma, è sgradevole, per un uomo ispirato da Dio, venire schiaffeggiato e gettato in fondo a una segreta.

Si crede che il re Amasia fece strappare i denti al profeta Amos per impedirgli di parlare. Non è vero che, senza i denti, sia assolutamente impossibile parlare: si son vedute delle vecchie sdentate ciarlare a più non posso: ma bisogna pronunziare con gran chiarezza una profezia, e un profeta sdentato non è ascoltato col rispetto che gli si deve.

Baruc patì molte persecuzioni. Ezechiele fu lapidato dai suoi compagni di schiavitú. Non si sa se Geremia fu lapidato o segato in due.

Quanto a Isaia, pare sicuro che sia stato segato in due, per ordine di Manasse, regolo di Giuda.

Bisogna convenire che quello del profeta è proprio un brutto mestiere. Per uno che come Elia se ne va a spasso di pianeta in pianeta in una bella carrozza luminosa, tirata da quattro cavalli bianchi, ce ne sono cento che vanno a piedi, obbligati a mendicare un pezzo di pane di porta in porta. Destino simile a quello di Omero, che fu obbligato, si narra, a mendicare nelle sette città che poi si disputarono l'onore di avergli dato i natali. I commentatori di Omero gli hanno attribuito un'infinità di allegorie, cui egli non aveva mai pensato. Si è fatto spesso ai profeti il medesimo onore. Non nego che vi siano stati uomini istruiti del futuro. Basta portare il proprio animo a un certo grado d'esaltazione, come ha benissimo immaginato un bravo filosofo o pazzo dei nostri giorni che voleva scavare un buco fino agli antipodi, e spalmare i malati di resina. Gli ebrei riuscirono talmente bene a esaltare le loro anime, da vedere con perfetta chiarezza tutte le cose future; ma è difficile indovinare se per «Gerusalemme» i profeti intendano sempre la vita eterna; se Babilonia può significare Londra o Parigi; se, quando parlano di un gran banchetto, dobbiamo intenderlo come un digiuno; se vino rosso significhi la fede, e un mantello bianco la carità. L'intelligenza dei profeti indica lo sforzo dello spirito umano. È per questo che non ne dirò di più.

 

 


Ultima modifica 12.01.2009