Dichiarazione al Congresso contro la guerra di Amsterdam

Trotsky (1932)

 


Dichiarazione 25 luglio 1932
pubblicato per la prima volta in lingua italiana dalla GiovaneTalpa. Messo a disposizione per il MIA dal sito La Giovane Talpa, Novembre 2003
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Il pericolo di una nuova guerra mondiale sta diventando sempre più evidente ogni giorno che passa. Le cause di questo pericolo sono state esposte in modo irrefutabile dal marxismo.

Le forze produttive dell’umanità hanno da lungo tempo superato i limiti della proprietà privata e i confini degli Stati-nazione. La salvezza dell’umanità è legata a un’economia socialista basata sulla divisione internazionale del lavoro. Sotto l’influenza di una leadership conservatrice, il proletariato ha fallito nel portare avanti i suoi compiti rivoluzionari. La guerra mondiale del 1914-1918 fu la ricompensa. I campioni democratici dello “sviluppo pacifico”, gli oppositori dei metodi rivoluzionari, hanno le maggiori responsabilità per le decine di milioni di persone ferite e uccise nel massacro imperialista.

Il mondo imperialista non ha imparato nulla e non ha dimenticato nulla nei quindici anni che ci separano da quegli eventi. Le sue contraddizioni interne sono diventate ancora più acute. La crisi attuale rivela uno spaventoso quadro della disintegrazione sociale della civiltà capitalista, con chiari segni di cancrena avanzante.

La salvezza dell’umanità è possibile solo attraverso l’operazione chirurgica della rivoluzione proletaria.

Le classi dominanti si dibattono in una situazione senza via d’uscita. Le loro difficoltà finanziarie e il loro timore del popolo le impone a cercare una soluzione in accordi di limitazione degli armamenti. D’altra parte, con l’innalzamento di barriere tariffarie e con le crescenti restrizioni alle importazioni, i governanti sono ancora più soffocati dal mercato mondiale, dall’approfondirsi della crisi, dall’acutizzazione degli antagonismi nazionali, e dalla preparazione di nuove guerre I partiti riformisti, oggi come ieri si oppongono a una soluzione rivoluzionaria socialista, ancora una volta si assumono la piena responsabilità per la miseria che produce la crisi e la guerra incombente.

La contraddizione tra forze produttive e confini degli stati nazionali ha assunto le forme più acute e più insopportabili nella culla del capitalismo: l’Europa. Dentro i suoi labirinti di frontiere e di barriere tariffarie, di eserciti giganteschi e mostruosi deficit nazionali, l’Europa di Versailles è una costante fonte di pericoli militari e di provocazioni belliche. Essa non potrà ora essere unificata dalla borghesia, e cioè da quella classe che l’ha svenata e balcanizzata. Per un simile compito sono necessarie altre forze e altri mezzi.

Solo nella Russia zarista il potere fu strappato dalle mani della borghesia. Grazie alla sua leadership rivoluzionaria, il giovane proletariato russo fu in grado, per la prima volta nella storia mondiale, di mostrare concretamente quali inesauribili possibilità sono insite in un sistema di dittatura proletaria e di economia pianificata. I giganteschi risultati economici e culturali di un paese arretrato, che è stato trasformato in un paese di operai e contadini, indica la via a una soluzione per tutta l’umanità.

Stiamo ora attendendo che il governo sovietico completi il suo secondo piano quinquennale, con un piano di estesa collaborazione economica con i paesi capitalisti avanzati, che aprirà gigantesche prospettive alle possibilità umane delle masse, che soffrono sotto il fardello della crisi e della disoccupazione. Quali che siano i risultati immediati pratici di tale piano, la sua forza di attrazione su milioni e milioni di lavoratori di tutto il mondo sarà immensa.

Il sistema sociale dell’Unione Sovietica oggi è certamente lungi dall’essere socialista. Ma la sua inestimabile importanza è collegata al fatto che esso si sia messo sulla strada del socialismo. Esso procederà rapidamente e sicuramente verso il socialismo quanto prima il proletariato dei paesi avanzati toglierà il potere dalle mani della propria borghesia e creerà le definitive premesse per una nuova società, che può essere raggiunta solo su base internazionale.

Il pericolo di una guerra mondiale è un percolo che minaccia l’esistenza del primo Stato operaio. Quali saranno le cause della guerra, quale sarà il luogo in cui scoppierà, essa, nel suo stadio finale, si volgerà contro l’URSS. La borghesia europea e mondiale non abbandonerà la scena senza tentare una trasfusione di sangue dalle arterie del giovane Stato operaio a quelle dell’imperialismo in agonia mortale.

Solo nell’ultimo anno, le fiamme della guerra hanno divampato alle frontiere dell’Unione Sovietica sia in Estremo Oriente che a Occidente. Allo stesso tempo si sta strangolando l’indipendenza della Cina, il Giappone sta costruendo una fortezza in Manciuria dalla quale potrà colpire l’Unione Sovietica. Gli antagonismi tra Giappone e Stati Uniti non possono dissuadere i militaristi di Tokyo da una guerra contro l’Unione Sovietica in un futuro in cui si essi si considereranno l’avanguardia dell’imperialismo mondiale. D’altra parte il colpo di Stato realizzato da Hindenburg su ordine di Hitler non solo spiana la strada a un regime fascista in Germania ma apre anche la strada a una lotta mortale tra una Germania fascista e l’Unione Sovietica. Avvenimenti giganteschi si stanno approssimando in Europa e nel mondo.

In queste condizioni la lotta contro la guerra è una lotta per salvare la vita di milioni di operai e di contadini della nuova generazione che sono cresciuti dopo il grande massacro, per preservare tutte le conquiste del lavoro e attraverso ciò salvare il primo Stato operaio e il futuro dell’umanità.

Quanto più grandi sono i compiti, quindi, e tanto più è necessaria chiarezza sui metodi della sua soluzione. La condanna della guerra è facile; vincerla però è difficile. La lotta contro la guerra è una lotta contro le classi che dominano la società e che tengono nelle loro mani sia le forze produttive che le armi di distruzione. Non è possibile impedire la guerra attraverso l’indignazione morale, attraverso le manifestazioni, le risoluzioni, gli articoli sui giornali, e i congressi. Fino a quando la borghesia controllerà le banche, le fabbriche, la stampa, la terra e l’apparato dello Stato, essa sarà sempre in grado di condurre la gente a combattere quando i suoi interessi lo richiederanno. Ma le classi proprietarie non hanno mai ceduto il potere senza combattere. Si veda la Germania. Quando i fondamentali interessi delle classi proprietarie sono minacciati, la democrazia lascia il posto alla violenza. Il rovesciamento della borghesia è possibile solo con le armi alla mano; la guerra imperialista può essere fermata solo dalla guerra civile.

Noi bolscevico-leninisti rigettiamo e denunciamo completamente l’ingannevole distinzione tra guerra “difensiva” e guerra “offensiva”. In una guerra tra Stati capitalisti una tale differenziazione rappresenta solo una copertura diplomatica per raggirare la gente. I briganti capitalisti hanno sempre condotto guerre “difensive”, anche quando il Giappone marcia su Shangai e la Francia combatte contro il Marocco o la Siria. Il proletariato rivoluzionario distingue solo tra guerre di oppressione e guerre di liberazione. Il carattere di una guerra è definito non dalle falsificazioni diplomatiche, ma dalle classi che le portano avanti, dagli scopi obiettivi che esse perseguono in queste guerre. Le guerre degli Stati imperialisti, se non si tiene conto della retorica politica, sono di carattere oppressivo, reazionario e ostile ai popoli. Solo le guerre del proletariato e delle nazioni oppresse possono essere caratterizzate come guerre di liberazione. Dopo la vittoria dell’insurrezione armata del proletariato contro gli i suoi oppressori, inevitabilmente esploderà una guerra rivoluzionaria dello Stato proletario per il consolidamento e l’estensione della sua vittoria. La politica del socialismo non ha e non può avere un carattere puramente “difensivo”. L’obiettivo del socialismo è la conquista del mondo.

Da ciò ne deriva la nostra posizione nei confronti di tutte le forme di pacifismo; il pacifismo puramente imperialista (Kellogg, Briand, Herriot, ecc.) e il pacifismo piccolo-borghese (Rolland, Briand, Herriot, e gli altri loro partigiani in tutto il mondo). L’essenza del pacifismo è la condanna, non importa se ipocrita o sincera, dell’uso della forza in generale. Questa condanna indebolendo la forza di volontà degli oppressi, serve la causa degli oppressori. Il pacifismo idealistico fronteggia la guerra con l’indignazione morale come la pecora affronta il coltello del macellaio con malinconici belati. Il problema invece è quello di far incrociare il coltello della borghesia con quello del proletariato.

La forza pacifista più influente è la socialdemocrazia. In periodi di pace essa non manca di profondere tirate a poco prezzo contro la guerra. Ma essa rimane legata alla “difesa nazionale”. Ciò è decisivo. Ogni guerra, comunque ne sia il prologo, minaccia ognuna delle nazioni coinvolte. Gli imperialisti sanno in anticipo che il pacifismo della socialdemocrazia al primo colpo di cannone si trasformerà nel più servile patriottismo e diventerà la più importante riserva del militarismo. Ecco perché la più intransigente lotta contro il pacifismo, lo smascheramento del suo carattere infido, è il primo passo sulla strada di una lotta rivoluzionaria contro la guerra.

La Lega delle Nazioni è la cittadella del pacifismo imperialista. Essa rappresenta una combinazione storica transitoria degli Stati capitalisti in cui il più forte e il più ricco corrompe il più debole, sia che strisci o resista all’America, una Lega in cui tutti – nessuno escluso - sono nemici dell’Unione Sovietica, e sono pronti a coprire ogni crimine del più potente e rapace tra di loro. Solo coloro i quali sono ciechi politicamente, solo coloro i quali hanno già perso tutte le speranze o che deliberatamente corrompono la coscienza della gente, possono considerare la Lega delle Nazioni – direttamente o indirettamente – uno strumento di pace.

Le richieste di “disarmo” non hanno nulla a che vedere con la prevenzione della guerra. I programmi di “disarmo” rappresentano solo un tentativo fatto sulla carta di ridurre le spese di questo di quel tipo di armamento. È soprattutto una questione di tecnica militare e di forzieri imperialisti. Gli arsenali, le fabbriche di munizioni, i laboratori, e prima di tutto, l’industria capitalista in quanto tale preserverà le proprie forze durante qualsiasi “programma di disarmo”. Gli Stati non combattono perché sono armati. Al contrario, forgiano armi quando hanno necessità di combattere. In caso di guerra tutte i limiti dei tempi di pace, cadranno come foglie in autunno. Già nel 1914-1918, gli Stati non combatterono più con gli armamenti di cui si erano muniti in tempo di pace, ma con quelli forgiati durante la guerra. Non sono gli arsenali ma la capacità produttiva di un paese a essere decisivi. Per gli Stati Uniti una limitazione degli armamenti in Europa in tempi di pace è molto vantaggiosa perché gli permette di imporre il suo dominio industriale ancora più nettamente nei periodi di guerra. La borghesia tedesca è incline a una riduzione degli armamenti al fine di livellare lo svantaggio in caso di un nuovo sanguinoso conflitto. Il “disarmo” generale ha lo stesso significato per la Germania quanto lo ha la parità navale per l’Italia nei confronti della Francia. Il valore di questi piani dipenderà dalla combinazione delle forze imperialiste, dallo stato dei loro budget, dai loro accordi finanziari, ecc. La questione del disarmo è una delle leve dell’imperialismo in cui le guerre vengono preparate. Solo dei ciarlatani possono tentare di distinguere tra macchine belliche, aeroplani, carri armati offensivi e difensivi. La politica americana è dettata anche da questo punto di vista dai particolari interessi del militarismo americano, il più terribile di tutti. La guerra non è un gioco che è condotto secondo le norme convenzionali. La guerra richiede che si producano armi che possano annichilire con successo il nemico. I pacifisti piccolo-borghesi che vedono in un 10%, 33% o 50% di proposte di disarmo il “primo passo” verso la prevenzione della guerra, sono più pericolosi di tutti gli esplosivi e gas asfissianti. Melinite e iprite possono svolgere la loro funzione solo perché la massa della popolazione in tempi di pace è avvelenata dai fumi del pacifismo.

Senza avere la più tenue fiducia nei programmi capitalisti di disarmo o di limitazione degli armamenti, i proletari rivoluzionari si pongono una singola domanda: in quali mani sono le armi? Ogni arma in mano agli imperialisti è un’arma diretta contro la classe operaia, contro le nazioni deboli, contro il socialismo, contro l’umanità. Le armi nelle mani degli operai e delle nazioni oppresse sono i soli strumenti per liberare il nostro pianeta dall’oppressione e dalla guerra.

La lotta per l’autodeterminazione delle nazioni, per tutti i popoli, per tutto coloro i quali sono oppressi e che aspirano all’indipendenza, è uno degli aspetti più importanti della lotta contro la guerra. Chiunque direttamente o indirettamente sostenga il sistema di coloniale e quello dei protettorati, la dominazione del capitale in India, la dominazione del Giappone in Corea o in Manciuria, della Francia in Indocina o in Africa, chiunque non combatta contro il sistema coloniale, chiunque non sostenga le sollevazioni delle nazioni oppresse e la loro indipendenza, chiunque difenda o idealizzi il ghandismo, che rappresenta la politica della resistenza passiva in una questione che può essere risolta solo dalla forza delle armi, a dispetto delle proprie buone o cattive intenzioni, è un lacchè, un servo, un’apologeta dell’imperialismo, degli schiavisti, dei militaristi, e li aiuta a preparare nuove guerre per perseguire i loro vecchi i nuovi scopi.

La forza principale contro la guerra è il proletariato. È solo attraverso il suo esempio e la sua direzione che i contadini e gli altri strati popolari potranno sollevarsi contro la guerra. All’interno del proletariato, due partiti lottano per l’egemonia: la socialdemocrazia e i partiti comunisti. I gruppi intermedi (la SAP in Germania, il PUP in Francia, l'Independent Labour Party in Gran Bretagna, ecc.) non potranno giocare alcun ruolo storico indipendente. Sulla questione della guerra, che è l’altra faccia della medaglia della questione della rivoluzione proletaria, l’inconciliabile opposizione tra comunismo e socialpatriottismo, raggiungerà una più acuta espressione.

Chiunque tenti di coagulare tutti i programmi, tutti i partiti, tutte le bandiere in un unico blocco in nome del pacifismo, e cioè l’unione in una lotta superficiale contro la guerra a chiacchiere, fornisce il miglior servizio all’imperialismo. Sulla questione della guerra, non meno che su altre questioni, il Partito Comunista, deve cercare di liberare le masse dei lavoratori dalla disintegrante e demoralizzante influenza del pacifismo.

Le Monde , la rivista di Barbuse, di Gorkij e degli altri organizzatori del Congresso contro la guerra, sta continuando a sostenere la necessità della fusione dell’Internazionale Comunista con la Seconda Internazionale. Per la lotta contro la guerra, Barbusse si appella sia a Lenin che a Vandervelde. Ciò serve solo a falsificare Lenin e riabilitare Vandervelde. Noi rigettiamo la politica di Barbuse e dei suoi seguaci e la condanniamo come il più pericoloso veleno politico. Crediamo che l’Internazionale Comunista e l’Internazionale Rossa dei Sindacati commettano un grave errore lasciando l’iniziativa dell’indizione dell’iniziativa ai pacifisti impotenti e senza principi.

Noi pensiamo che l’URSS abbia preso una posizione corretta sia dal punto di vista tattico che dei principi non entrando nella Lega delle Nazioni. Ma è del tutto deplorevole che l’Unione Sovietica abbia fornito copertura al Patto Kellogg, il quale è una completa frode che ha solo il proposito di “giustificare” quelle guerre che corrispondono agli interessi americani.

Noi consideriamo inoltre sbagliata la tendenza della diplomazia sovietica a imbellettare la politica dell’imperialismo americano e il particolare le sue iniziative sul disarmo. Noi riconosciamo completamente l’importanza per l’URSS di normali relazioni politiche ed economiche con gli USA. Ma ciò non può essere ottenuto dalla capitolazioni verbali alle manovre dell’imperialismo americano, il più forte e rapace di tutti. Noi ci attendiamo dalla diplomazia sovietica una dichiarazione pubblica e chiara sul pericolo della guerra e della lotta contro di essa. È necessario allertare con forza la gente. Meno la diplomazia sovietica si adatta alle manovre degli imperialisti sulle questioni più “calde”, più coraggiosamente essa alza la voce, e più ardentemente risponderanno le masse lavoratrici del mondo intero, più strettamente esse si allineeranno all’URSS, e decisamente la difenderanno contro i pericoli crescenti.

Allo stesso tempo noi consideriamo nostro compito dichiarare qui apertamente: ora, di fronte al pericolo terribile che sta diventando sempre più reale, è necessario por fine ai crimini della burocrazia stalinista contro la rivoluzione e il comunismo; è necessario liberare migliaia di bolscevico-leninisti, gli organizzatori della rivoluzione d’Ottobre, i creatori dell’Armata Rossa, i partecipanti alla guerra civile, dalle prigioni e dall’esilio. Per la dittatura del proletariato e della rivoluzione mondiale, contro la guerra imperialista, essi vogliono combattere e combatteranno con energia incomparabilmente più intensa che tutti i chiacchieroni pacifisti e gli innumerevoli burocrati stalinisti.

La politica del fronte unico nella lotta contro la guerra richiede speciale attenzione e perseveranza rivoluzionaria. Il Partito Comunista può e deve proporre apertamente, senza dubbiosi intermediari, che tutte le organizzazioni della classe operaia coordinino i loro sforzi nella lotta contro la guerra. Da parte nostra i bolscevico-leninisti propongono i seguenti punti come base per un accordo possibile, mantenendo allo stesso tempo la più completa indipendenza delle proprie organizzazioni e delle proprie bandiere:

    1. rinuncia a tutte le illusioni nella Lega delle Nazioni e a tutte le altre illusioni pacifiste

    2. denuncia dei programmi capitalisti di “disarmo”, che servono a imbrogliare la gente

    3. rifiuto di votare i crediti di guerra e le chiamate alla coscrizione dei governi capitalisti: non un uomo, non un soldo

    4. denuncia della frode della “difesa nazionale”, perché le nazioni capitaliste difendono se stesse opprimendo e dividendo le nazioni più deboli

    5. una campagna per la collaborazione economica con l’URSS sulla base di un programma ampio, che coinvolga nella sua elaborazione ed esecuzione le organizzazioni di massa della classe operaia

    6. costante e continua denuncia degli intrighi imperialisti contro il primo e solo Stato operaio

    7. agitazione contro la guerra nelle fabbriche belliche, tra i soldati e i marinai. Preparazione dei punti rivoluzionari di sostegno nelle fabbriche belliche, nell’esercito, nella marina

    8. La preparazione dell’Armata Rossa non solo allo spirito della coraggiosa difesa della patria socialista ma anche allo spirito della costante prontezza a venire in aiuto alla rivoluzione proletaria e alle insurrezioni dei popoli oppressi in altre nazioni

    9. L’educazione sistematica delle masse lavoratrici dell’intero mondo allo spirito della più grande devozione al primo Stato operaio. Malgrado gli indiscutibili errori nella politica della fazione oggi al potere, l’URSS rimane la patria genuina del proletariato internazionale. La sua difesa è un dovere risoluto di ogni operaio onesto.

    10. l’instancabile spiegazione agli operai di tutto il mondo che la società socialista può essere instaurata solo su scala internazionale, e che il sostegno reale dell’URSS è legato all’estensione della rivoluzione proletaria mondiale.

     


    Ultima modifica 23.12.2003