[ Archivio di Cervetto ]

L'involucro politico

Capitolo ottavo

LA CRITICA REVISIONISTA DI CUNOW

L'invariante carattere dello Stato
Lo Stato popolare del capitalismo
Lo Stato capitalistico moderatore
Lo Stato capitalista ambivalente
Lo Stato burocratico parassitario
La burocrazia statale e la politica
Burocrazia ed amministrazione

 

L'invariante carattere dello Stato

Nel 1920 il revisionista Heinrich Cunow pubblica la sua opera principale riguardante la teoria dello Stato. Mentre Lenin aveva, in "Stato e rivoluzione", restaurato la teoria di Marx ed Engels, Cunow la vuole riseppellire: "Marx ed Engels sono talmente presi dalla loro teoria del dissolvimento dello Stato e del passaggio delle funzioni statali alla società, da non vedere che già nel tempo loro, negli anni '60 e '70 del secolo scorso, lo Stato comincia ad assumere nuove funzioni e nuovi compiti, con questo viene ad aggiungersi alle fasi precedenti dello sviluppo dello Stato una fase nuova e più alta. Eppure uno spostamento e accrescimento delle funzioni dello Stato, che ne modificano il carattere, ha inizio sulla base dell'enorme sviluppo economico, già verso la metà del secolo scorso, prima con ritmo lento ed esitante, poi sempre piú rapido".

Heinrich Cunow sostiene che è il forte sviluppo economico ad accrescere le funzioni dello Stato. è vero; lo ha già visto Engels e proprio negli anni indicati da Cunow come quelli di inizio di una nuova fase dello sviluppo dello Stato. Ma lo sviluppo dello Stato accentua o supera il suo originario carattere capitalistico? Il confronto sul quesito storico appartiene ormai ad una tappa fondamentale della scienza politica marxista. Essa si è misurata sulla profonda natura dello Stato e ha dato una risposta che vale per tutta un'epoca. Il resto è pedanteria.

Seguiamo, quindi, Cunow nel suo tentativo revisionista: "Le piccole manifatture capitalistiche sono state sostituite da aziende giganti, e il posto del libero produttore di merci che è anche direttore della sua azienda - come lo aveva presente Marx - è stato preso da grandi società per azioni e concentrazioni di capitali. Così la direzione dell'azienda è stata in molti casi separata dalla proprietà. Nello stesso tempo, allo scopo di eliminare la libera concorrenza, che è il fondamento della "società di liberi produttori di merci", e di rendere possibile una guida comune dell'economia e di regolare l'offerta, sono sorte cooperative d'ogni genere, leghe di interessi, konzerne, cartelli, sindacati degli industriali, trusts".

La concentrazione, secondo Cunow, non accentua l'ineguale sviluppo dell'economia e il suo andamento caotico ma ne rende possibile una "guida comune". La conclusione politica che ne trae è scontata: "A questa riorganizzazione della vita economica si è accompagnato un cambiamento del carattere e delle funzioni dello Stato per il semplice motivo che tutto questo sviluppo economico ha potuto compiersi solo nel quadro di una legislazione ed amministrazione statale concretamente determinata e che si è reso necessario regolare e inserire in modo nuovo le forme di vita economica appena sorte nel sistema di guida fornito dallo Stato".

Ciò ha, inoltre, posto nuovi compiti alla burocrazia statale la quale ha dovuto creare nuove istanze amministrative e ha portato lo Stato alla conduzione diretta di grandi aziende e servizi di utilità pubblica e all'acquisto di partecipazioni in imprese private. H. Cunow ne conclude che lo Stato ha cessato di essere "una mera organizzazione di difesa e di dominio"; "lo Stato autoritario si trasforma in misura crescente in uno Stato amministrativo, in una grossa comunità economica che ha legami molteplici con gli interessi vitali e culturali del singolo cittadino". Lo "Stato amministrativo" diventerà, ad un livello superiore, lo "Stato economico ed amministrativo del socialismo". Siamo arrivati al nocciolo del quesito storico: al capitalismo di Stato.

Engels lo aveva già affrontato, nel 1878, nell’ "Anti-Dühring": "In un modo o nell'altro, con trust o senza trust, una cosa è certa: che il rappresentante ufficiale della società capitalistica, lo Stato, deve alla fine assumere la direzione. Ma né la trasformazione in società anonime, né la trasformazione in proprietà statale, sopprime il carattere di capitale delle forze produttive. Nelle società anonime questo carattere è evidente. E a sua volta lo Stato moderno è l'organizzazione che la società capitalistica si dà per mantenere il modo di produzione di fronte agli attacchi sia degli operai che dei singoli capitalisti. Lo Stato moderno, qualunque ne sia la forma, è una macchina essenzialmente capitalistica, uno Stato dei capitalisti, il capitalista collettivo ideale".

Lo sviluppo dell'economia non modifica il carattere capitalistico dello Stato ma lo accentua in una delle sue forme di dominio. L’alternativa è definitivamente posta tra il superamento comunista dello Stato e la difesa del capitalismo di Stato. La concezione materialistica della politica ha da tempo stabilito scientificamente che la società non può evitare tale alternativa.

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Lo Stato popolare del capitalismo

In un libro del 1910, dedicato al movimento operaio, Eduard Bernstein sviluppa la sua versione della concezione revisionista che presume un mutamento del carattere dello Stato capitalista.

Per H. Cunow è lo sviluppo economico e l'accresciuta funzione dello Stato a determinarne il mutamento, per E. Bernstein è l'ascesa del movimento operaio: "In questo modo viene pure a trasformarsi il rapporto fra il movimento operaio e lo Stato. Il movimento operaio appare oggi come uno Stato nello Stato, che mina le condizioni di funzionamento di quest'ultimo e minaccia un giorno di bloccare in permanenza l'intero organismo statale. Ma il movimento operaio, una volta che abbia acquistato questa forza, non minaccia più in effetti lo Stato, ma al massimo una determinata forma di Stato o un determinato regime.

Per lo Stato come corpo politico-amministrativo della società esso è invece già diventato un fattore della sua forza, e lo protegge e lo appoggia all'interno contro gli interessi particolari di influenti gruppi economici o di altre coalizioni sociali sfruttatrici, e ne rafforza la sicurezza esterna sia indirettamente, grazie al carattere internazionale del movimento operaio stesso, sia direttamente, neutralizzando l'influenza di quegli elementi che all'interno dei singoli Stati cercano di provocare complicazioni internazionali".

L’estesa citazione di E. Bernstein ci permette di avere in chiara sintesi la tematica costante dell'opportunismo e del riformismo nei confronti dello Stato. A differenza di H. Cunow, il quale riprende il filone tedesco statalistico e lo conclude nello "Stato amministrativo" che anticipa il capitalismo di Stato, E. Bernstein esprime il filone liberaldemocratico, con particolare influenza inglese.

La sua tesi appartiene al più tipico democraticismo. Egli sostiene che il movimento operaio, una volta raggiunta una determinata forza, trasforma il suo rapporto con lo Stato. Da fattore che minaccia il funzionamento dello Stato ne diventa la condizione del funzionamento stesso, perché lo protegge dagli interessi particolari delle frazioni borghesi e perché lo rafforza nella sicurezza esterna neutralizzando l'influenza di quelle frazioni che, per i loro interessi particolari, cercano di utilizzare lo Stato in una politica estera che non corrisponde agli interessi generali.

Investendo il movimento operaio, il quale non ha interessi particolari nell'economia e non ha interessi nazionalistici in quanto è internazionale, degli interessi generali dello Stato, Bernstein condanna per sempre, senza averne consapevolezza, la illusione democraticistica. è vero, come dice, che il movimento operaio, in quanto è costituito da partiti e organizzazioni inserite nelle istituzioni statali, non minaccia più lo Stato ma si limita a minacciare una forma o un determinato regime, ma questo nuovo rapporto tra il movimento operaio e lo Stato è il classico rapporto che intercorre tra le frazioni borghesi, sempre in lotta per affermare i loro interessi particolari, e lo Stato nella sua funzione di rappresentante degli interessi generali del capitalismo, quindi di rappresentante degli interessi che accomunano le frazioni della classe dominante al di sopra degli interessi parziali e contingenti che le diversificano.

Se lo Stato non svolgesse questo ruolo non potrebbe neppure esistere; anzi, secondo Engels, non sarebbe sorto. Se lo Stato diventasse organicamente incapace di rappresentare gli interessi generali della classe dominante, nessuna forza riformista potrebbe riformarlo poiché, prima che lo Stato, sarebbe entrata in disgregazione la classe dominante. Il proletariato, invece di inserirsi nello Stato per rappresentare gli interessi generali di fronte agli interessi particolari di singole frazioni di una classe dominante in disgregazione e non più dominante, dovrebbe abbattere lo Stato ed instaurare la sua dittatura per liquidare i resti del capitalismo.

Una tale occasione non si è mai presentata nella storia. Si sono presentate spesso contingenze nelle quali lo scontro tra le frazioni capitalistiche ha portato alla lotta contro "una forma di Stato o un determinato regime". A questo scontro Bernstein offre l'apporto del movimento operaio il quale, in questo senso e in questo esclusivo ruolo, rafforza lo Stato. Ma per revisionare la teoria marxista dello Stato deve mutilarla.

In uno scritto del 1922, E. Bernstein ritorna sull'argomento: "Lo Stato non è solo organo dell'oppressione e amministratore delegato dei proprietari. Presentarlo solo in questa luce è l'unica via d'uscita di tutti gli elucubratori di sistemi anarchici". Sotto l'influenza della lotta del movimento operaio è avanzata l'idea di "uno Stato popolare, non più strumento delle classi e dei ceti superiori, il cui carattere viene determinato dalla grande maggioranza del popolo per mezzo del suffragio universale ed eguale per tutti".

In definitiva è Bernstein a presentare lo Stato esclusivamente come organo di repressione. Il marxismo non lo ha mai fatto, tanto è vero che ha criticato lo "Stato popolare" in anticipo.

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Lo Stato capitalistico moderatore

La capacità organica dello Stato capitalistico di rappresentare gli interessi generali della classe dominante deriva dalla natura stessa dello Stato. La rappresentanza degli interessi generali della classe dominante è necessaria perché lo Stato è il prodotto degli antagonismi inconciliabili fra le classi; il rapporto fra la classe dominante nell'economia e la classe dominata è un rapporto inconciliabile.

La rappresentanza degli interessi generali della classe dominante è, quindi, la rappresentanza di tale inconciliabilità. Oltre che necessaria, è possibile perché gli interessi parziali e contingenti delle frazioni della classe dominante non esprimono simultaneamente e con pari intensità l'antagonismo inconciliabile con la classe dominata.

Scrive Engels, ne "L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato": "Esso è piuttosto un prodotto della società giunta a un determinato stadio di sviluppo, è la confessione che questa società si è avvolta in una contraddizione insolubile con se stessa, che si è scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente a eliminare. Ma perché questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto, non distruggano se stessi e la società in una sterile lotta, sorge la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell' "ordine". è questa potenza che emana dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estrania sempre più da essa, è lo Stato".

Lo Stato, per Engels, deve fare quello che la società non è in grado di fare: deve attenuare il conflitto fra le classi. Se lo Stato non avesse questa capacità, la società avrebbe distrutto se stessa nell'antagonismo sociale. Lenin, in "Stato e rivoluzione", riprende la teoria di Engels: "Lo Stato appare là, nel momento e in quanto, dove, quando e nella misura in cui gli antagonismi di classe non possono essere oggettivamente conciliati. E, per converso, l'esistenza dello Stato prova che gli antagonismi di classe sono inconciliabili".

La teoria di Engels è una scoperta scientifica che va contro la logica formale del pensiero piccolo-borghese e filisteo, per il quale l'esistenza dello Stato è la prova che I"'ordine" ha conciliato l'inconciliabile. Ecco come Lenin critica questo modo di pensare: "è precisamente su questo punto di capitale e fondamentale importanza che comincia la deformazione del marxismo, deformazione che segue due linee principali".

Una è quella kautskiana, la quale non contesta che gli antagonismi di classe siano inconciliabili e che lo Stato sia l'organo del dominio di classe, ma trascura di concludere che la liberazione della classe dominata è impossibile senza la distruzione dell'apparato del potere statale della classe dominante. L’altra, sulla quale è necessario soffermarsi perché è meno nota, parte dal concetto dello Stato come "ordine" per giungere a confondere "moderazione" con "conciliazione".

Riprendiamo il passo di Lenin: "Per Marx, se la conciliazione delle classi fosse possibile, lo Stato non potrebbe né sorgere né sussistere. Secondo i professori e pubblicisti piccolo-borghesi e filistei - che molto spesso si riferiscono compiacentemente a Marx - lo Stato concilia precisamente le classi. Per Marx lo Stato è l'organo del dominio di classe, un organo di oppressione di una classe da parte di un'altra; è la creazione di un "ordine" che legalizza e consolida questa oppressione, moderando il conflitto fra le classi".

Per i piccolo-borghesi moderare significa conciliare il conflitto fra le classi, per Lenin vuol dire togliere gli strumenti di lotta alle classi oppresse. Lo Stato è, appunto, l'"ordine" della classe dominante.

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Lo Stato capitalista ambivalente

Scrive Karl Kautsky, nel libro "La concezione materialistica della storia", del 1927, che a poco a poco gli sorsero molti dubbi sulla teoria di Engels secondo la quale lo Stato nasce dai contrasti di classe, e che riuscì a risolverli quando depurò la sua ipotesi della "formazione degli Stati per conquista" dal "carattere di mera teoria della violenza". Kautsky ritiene che la sua ipotesi della "formazione degli Stati per conquista" possa "inquadrarsi senza contraddizioni nella concezione materialistica della storia", una volta che sia stato messo "in chiaro il condizionamento economico della violenza mediante la quale vennero fondati Stato e classi".

Che basti affermare "il condizionamento economico della violenza" per rimanere all'interno di una concezione materialistica della storia è una pretesa eccessiva. Tanto più che la violenza, pur condizionata dall'economia, è ritenuta da Kautsky fondatrice non solo di Stati ma anche di classi.

L’ipotesi della "formazione degli Stati per conquista", malgrado il disdegno del suo autore, appartiene alla "teoria della violenza", ossia a quella concezione soggettivistica della storia e della politica che Engels critica in Dühring. Sennonché vi appartiene in una versione tanto singolare da risparmiare a Kautsky la non gradita compagnia di Dühring. Non ne ricava alcun vantaggio, dato che il suo errore teorico è ancor più grave nell'epoca della democrazia imperialista.

Tra i tanti giudizi, anche negativi, che Lenin diede di Bukharin ve n'è uno che fa al caso nostro: "Tra le numerose e preziosissime qualità del compagno Bukharin vi è la sua capacità di teorico e il suo interesse per la ricerca delle radici teoriche di qualsiasi questione. è una qualità preziosa perché non ci si può spiegare pienamente nessun errore, compreso un errore politico, se non si scoprono le radici teoriche dell'errore di colui che lo commette, muovendo da idee ben determinate che egli accetta consapevolmente". è proprio il caso di Kautsky, il quale, come abbiamo visto, muove consapevolmente dall'idea della "formazione degli Stati per conquista" ed approda all'errore politico nell'atteggiamento di fronte allo Stato democratico imperialista.

"L'eguaglianza giuridica di tutti i cittadini, il riconoscimento di diritti e doveri civili e politici eguali per tutti, segnano una cesura rispetto allo Stato quale era fin dai suoi inizi, lo Stato, cioè, che si fondava sulla conquista e l'assoggettamento violento, da parte di una minoranza vittoriosa, della maggioranza dei popoli e dei gruppi etnici in esso raggruppati". Come si vede, Kautsky applica la sua tesi della "formazione degli Stati per conquista" proprio per caratterizzare lo Stato democratico come uno Stato formato non per conquista ma "con l'ascesa del capitale industriale e portato avanti dalla lotta di classe del proletariato".

La differenza tra i due tipi di Stato la formula nel seguente modo: "Lo Stato democratico non impedisce che le classi sfruttatrici requisiscano il potere statale e lo usino nel proprio interesse contro le classi sfruttate. La differenza fra il moderno Stato democratico e le forme statali precedenti consiste nel fatto che lo sfruttamento dell'apparato statale ai fini delle classi sfruttatrici non ne costituisce l'essenza e non è indissolubilmente legato ad esso".

Kautsky non nega che lo Stato democratico funzioni come organo della borghesia. Nega che lo sia per natura e in questa distinzione da sofista rivela il suo eclettismo revisionista.

"Al contrario, lo Stato democratico tende per la sua stessa struttura a essere non l'organo di una minoranza come gli Stati precedenti, bensì l'organo della maggioranza della popolazione e quindi delle classi lavoratrici. Se esso diviene l'organo di una minoranza sfruttatrice, ciò non dipende dalla sua natura, bensì dalla situazione delle classi lavoratrici, dalla loro ignoranza, dalla mancanza di unità, di indipendenza, dalla loro incapacità di lottare, il che, a sua volta, è il risultato delle condizioni in cui vivono". Dopo aver separato il contenuto classista dalla forma ideologica dello Stato democratico, Kautsky può concludere dicendo che: "Da strumento di oppressione esso tende a trasformarsi in uno strumento di liberazione degli sfruttati". Dalla sua concezione è ormai sparita la storia.

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Lo Stato burocratico parassitario

Scrive Lenin in "Stato e rivoluzione": "Questo apparato burocratico e militare si sviluppa, si perfeziona e si rafforza attraverso le numerose rivoluzioni borghesi di cui l'Europa è stata teatro dalla caduta del feudalesimo in poi. Tra l'altro, la piccola borghesia si lascia attrarre dalla parte della grande borghesia, ed è sottomessa a quest'ultima, in misura notevole proprio per mezzo di questo apparato che dà agli strati superiori dei contadini, dei piccoli artigiani, dei commercianti, ecc. impieghi relativamente comodi, tranquilli ed onorifici e che pongono i loro titolari al di sopra del popolo".

Nell'analisi dello Stato moderno sono state poco considerate le specifiche osservazioni di Lenin. Eppure esse trovano conferma piena nella enorme crescita che lo Stato ha avuto nel nostro secolo, crescita che ha accentuato la tendenza emersa dalla caduta del feudalesimo.

Dice Lenin che la piccola borghesia agraria, artigiana e commerciale è attirata dalla parte della grande borghesia tramite l'impiego burocratico. è una tesi sullo sviluppo della burocrazia che ha avuto scarsa attenzione da parte della scuola marxista anche quando si è trovata a dover contestare le teorie elitarie, tipo quella di Max Weber, che dalla crescita della burocratizzazione moderna affermavano che la società è divisa in "dirigenti" e "diretti" e non in "dominanti" e "dominati" come sostiene Marx.

Il mutamento, potremmo dire genetico, di strati piccolo borghesi in strati burocratici è un processo riscontrabile, ad esempio, in tutta la storia delle società capitalistiche maturate imperialisticamente. è un processo sociale oggettivo. Scrive Lenin: "La burocrazia e l'esercito permanente sono dei 'parassiti' sul corpo della società borghese, parassiti generati dalle contraddizioni interne che dilaniano questa società, ma parassiti appunto che ne "ostruiscono" i pori vitali". Lenin attacca come opportunistica la posizione kautskiana la quale ritiene anarchico il considerare lo Stato un "organismo parassitario". Dice Lenin che è il corso reale degli avvenimenti e non la deduzione logica a far scoprire al marxismo il carattere parassitario dello Stato. è il frutto di una scoperta scientifica e non una semplice ripulsa morale.

Nelle forme più varie e in un'area molto più estesa si è svolto lo stesso processo di sviluppo di un "potere parlamentare" e di un "potere esecutivo": "la lotta per il potere dei diversi partiti borghesi e piccolo-borghesi che si dividono e si redistribuiscono il "bottino" degli incarichi statali, mentre immutate restano le basi del regime borghese; finalmente un processo di perfezionamento e di rafforzamento del "potere esecutivo", del suo apparato burocratico e militare".

Alla luce di queste tesi leniniane, che riassumono l'analisi del corso reale degli avvenimenti e che illuminano con cristallina capacità previsionale l'attuale patologia "partitocratica" la lotta politica attorno allo Stato trova le sue radici sociali. Il parassitismo dello Stato non è una degenerazione ma una organicità. Lo scontro per il potere non è, come pretende la sociologia, una competizione elitaria tra "dirigenti" per assumere il controllo dei "diretti", ma è una lotta tra correnti borghesi e piccolo borghesi per spartirsi il "bottino" di un apparato che la guerra imperialista alimenta e che la pace imperialista prepara.

è uno scontro per il potere che avviene dentro alla tendenza generale allo sviluppo del capitalismo di Stato. Non è un episodio isolato e contingente se Lenin può giustamente concludere: "Non vi è alcun dubbio che questi sono i caratteri comuni a tutta l'evoluzione moderna degli Stati capitalistici in generale".

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La burocrazia statale e la politica

Il mutamento di strati piccolo borghesi in strati burocratici rientra nel processo di dominio della grande borghesia e di sviluppo dello Stato moderno. La burocratizzazione della società capitalistica è il prodotto della divisione in classi proprio in rapporto alla detenzione dei mezzi di produzione. La divisione sociale del lavoro segue la divisione tra chi detiene i mezzi di produzione e chi non detiene il capitale costante.

Lenin dedica un capitolo di "Stato e rivoluzione" alla analisi di Marx della esperienza della Comune di Parigi: "In Marx non v'è un briciolo di utopismo; egli non inventa, non immagina una società "nuova". No, egli studia, come un processo di storia naturale, la genesi della nuova società che sorge dall'antica, le forme di transizione tra l'una e l'altra. Egli si basa sui fatti, sull'esperienza del movimento proletario di massa e cerca di trarne insegnamenti pratici".

L’analisi che Marx fa della burocrazia è, come dice Lenin, lo studio materialista di un processo oggettivo: "Egli "si mette alla scuola" della Comune, come tutti i grandi pensatori rivoluzionari non esitavano a mettersi alla scuola dei grandi movimenti della classe oppressa...". Marx, però, non cade nell'oggettivismo proprio perché studia "come un processo di storia naturale" la genesi della nuova società e i movimenti del proletariato.

Lenin riassume in questo modo la scoperta di Marx: "Non sarebbe possibile distruggere di punto in bianco, dappertutto, completamente, la burocrazia. Sarebbe utopia. Ma spezzare subito la vecchia macchina amministrativa per cominciare immediatamente a costruirne una nuova, che permetta la graduale soppressione di ogni burocrazia, non è utopia, è l'esperienza della Comune, è il compito primordiale e immediato del proletariato rivoluzionario".

Il graduale superamento della burocrazia è reso possibile dallo stesso sviluppo capitalistico: "Il capitalismo semplifica i metodi d'amministrazione "dello Stato" - permette di eliminare la "gerarchia" e di ridurre tutto a un'organizzazione dei proletari (in quanto classe dominante) che assume, in nome di tutta la società, "operai, sorveglianti e contabili"". La tesi è chiara ed afferma che il capitalismo semplifica i metodi d'amministrazione della burocrazia.

Quella di Lenin non è una tesi semplicistica come ritiene Kelsen senza dimostrarlo. Il ruolo della burocrazia non è, per il marxismo, derivato da esclusivi metodi d'amministrazione, resi possibili dalla divisione sociale del lavoro. è, invece, un ruolo necessario al dominio di classe.

Lenin può indicare: "Si può e si deve subito, dall'oggi al domani, cominciare a sostituire la specifica "gerarchia" dei funzionari statali con le semplici funzioni "di sorveglianti e di contabili", funzioni che sono sin da ora perfettamente accessibili al livello generale di sviluppo degli abitanti delle città e possono facilmente essere compiute per "salari da operai".

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Burocrazia ed amministrazione

Se la specifica "gerarchia" burocratica può essere ridotta ad una semplice funzione di "sorveglianza" e di "contabilità" vuol dire che il carattere di "gerarchia" non è dato dalla competenza di "sorveglianza" e di "contabilità" ma dal processo di rafforzamento dell'apparato statale e dell'esecutivo. Una parte della piccola borghesia si trasforma in burocrazia e si mette al servizio della grande borghesia nell'apparato statale, dove privilegi e sicurezza assumono la forma gerarchica.

Gli "strati superiori dei contadini, dei piccoli artigiani, dei commercianti", come scrive Lenin, si trasformano in burocrati statali, sia nell'apparato centrale che nei vari enti, nel corso di un processo sociale che vede la centralizzazione del capitale e la concentrazione dei mezzi di produzione, ossia nel corso di un processo che vede il rafforzamento della grande borghesia ed un conseguente perfezionamento e rafforzamento dello Stato. La piccola borghesia subisce, perciò, un indebolimento relativo e, tendenzialmente, un ridimensionamento della sua quota di capitale sociale, di mezzi di produzione.

La legge di concentrazione del capitale è stata, spesso, interpretata in modo schematico come automatica proletarizzazione degli strati intermedi e ciò ha impedito di analizzare a fondo lo sviluppo dello Stato nella fase imperialistica, cioè nella fase preparata proprio dalla concentrazione del capitale. La concentrazione capitalistica ha significato, da un lato, la proletarizzazione nella grande industria e, dall'altro, la burocratizzazione nello Stato. La piccola borghesia alimenta le due tendenze. Destinata storicamente ad oscillare tra le due classi fondamentali della società moderna, cerca in vari modi di difendere le sue posizioni gravitando attorno alla grande borghesia.

Scrive Lenin nel terzo capitolo di "Stato e rivoluzione": "Organizziamo la grande industria partendo da ciò che il capitalismo ha già creato; organizziamola noi stessi, noi operai, forti della nostra esperienza operaia, imponendo una rigorosa disciplina, una disciplina di ferro, mantenuta per mezzo del potere statale dei lavoratori armati; riduciamo i funzionari dello Stato alla funzione di semplici esecutori dei nostri incarichi, alla funzione di "sorveglianti e di contabili", modestamente retribuiti, responsabili e revocabili (conservando naturalmente i tecnici di ogni specie e di ogni grado); è questo il nostro compito proletario; è da questo che si può e si deve cominciare facendo la rivoluzione proletaria".

Lenin è chiaro nel suo testo. Occorre partire da ciò che la grande industria ha già creato, occorre organizzare il potere statale dei lavoratori come la grande industria, occorre ridurre i burocrati statali al ruolo dei sorveglianti e dei contabili come nella grande industria. 1 critici liberali e democratici di Lenin lo hanno sempre accusato di utopismo e di semplicismo perché ha concepito le funzioni dello Stato in estinzione come semplici funzioni di sorveglianza e di contabilità. Questa critica rivela il feticismo statalista che la anima. Per Lenin le funzioni della burocrazia statale non sono funzioni superiori a quelle necessarie alla gestione produttiva e organizzativa della grande industria.

Anzi, possiamo dire che la gestione dell'apparato statale è più semplice o meno difficile di quella dell'apparato tecnico della grande industria. Se i produttori salariati saranno capaci di dirigere la grande industria, a maggior ragione saranno in grado di dirigere lo Stato in estinzione. La partita storica si gioca al centro della produzione e non nei meandri della burocrazia. I critici del marxismo che credono di invalidarlo ripetendo che manca di una teoria delle istituzioni statali dimostrano di non conoscere il capitalismo. La rivoluzione russa dimostra che il proletariato internazionale, data la sua immaturità, fu sconfitto sul terreno economico dal capitalismo di Stato, ma non sul campo di battaglia dalla burocrazia militare.

 

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Ultima modifica 18.2.2001