Corso mondiale e lotta in Italia

Arrigo Cervetto (ottobre 1974)

 


Scritto nell’ottobre 1974
Pubblicato per la prima volta su Lotta Comunista, N°53-34
Trascritto per internet da Antonio Maggio (Primo Maggio), marzo 2002

 

Il corso delle lotte delle classi e delle frazioni di classe che caratterizza la crisi politica della società borghese italiana per essere adeguatamente esaminato, deve essere collocate in un contesto più generale cioè in un contesto internazionale.

E' proprio partendo dal corso attuale dell'imperialismo e delle lotte interimperialistiche che si possono decifrare, al di là della scena politica italiana le motivazioni di fondo che la agitano.

Non si tratta, certamente, di rimanere in una generalizzazione di analisi che, in fondo, nulla definisce; si tratta, invece, di cogliere i tratti generali per meglio poter individuare i particolari italiani di un quadro mondiale.

L 'integrazione crescente dell'imperialismo italiano nel mercato mondiale impone alla scienza la necessità di valutare il peso dei fattori internazionali nell'analisi della contingenza politica italiana.

Il forte ritmo di inflazione che colpisce tutti i paesi del mondo è l'elemento che caratterizza visivamente tutta l'economia mondiale.

Gli economisti borghesi cercano di spiegarsi l'inflazione attuale in vari modi: alcuni sostengono che deriva dall'aumento del prezzo delle materie prime che ha raggiunto livelli mai visti, altri dall'aumento della massa monetaria e in modo particolare dal dollaro, altri ancora fanno risalire tutto alla crisi del sistema monetario internazionale. Tutti questi modi di vedere non spiegano l'inflazione in quanto si limitano a descrivere i nessi apparenti tra i vari processi economici ma non individuano i nessi reali. Se l'inflazione fosse prevalentemente determinata dall'aumento del prezzo delle materie prime, quello che deve essere spiegato è da che cosa è determinato questo aumento di prezzo. Così come deve essere spiegato da cosa è stata determinata la crisi del sistema monetario o l'aumento della massa monetaria. Gli economisti borghesi di fronte a questi processi non riescono a spiega re quello che attualmente sta avvenendo. La scienza marxista ci permette, invece, di usare il criterio di indagine per cui la spiegazione dei fenomeni monetari si trova nel ciclo de capitale produttivo.

E' infatti l'attuale ciclo espansivo del capitale produttivo che determina contemporanea mente sia l'aumento dei prezzi delle materie prime che l'aumento della massa monetaria e la crisi del sistema monetario internazionale. Marx ci permette di individuare il filo di un processo estremamente complesso come è quello che avviene nell'attuale ciclo di diffusione capitalistica su scala mai raggiunta. Marx parla di "trasformazione sproporzionata del capitale nei suoi differenti elementi".

Ebbene questo fenomeno di "sproporzione" nella riproduzione allargata del capitale avviene, oggi, su scala gigantesca, cioè con una dimensione mai conosciuta e, quindi, mai sperimentata. E' la stessa dimensione della "sproporzione" a rendere nevrotica la logica formale di tutte le scuole economiche borghesi che sono, oggi, costrette a confessare la loro impotenza non solo ad agire ma perlomeno a capire. Una logica che, in definitiva, si basa su un concetto di equilibrio economico è incapace di seguire una realtà obiettiva che la logica dialettica di Marx ha concepito come uno squilibrio crescente.

Scrive Marx: "Ma questa insufficienza di materie prime può anche verificarsi senza l'influenza delle raccolte o della produttività naturale del lavoro che fornisce le materie prime. Cioè se una parte eccessiva del plusvalore (accumulato) del sovracapitale viene speso in macchinari ecc., in una branca della produzione le materie prime, sebbene fossero sufficienti per l'antico livello della produzione, non lo saranno più per il nuovo. Ciò deriva dunque da una trasformazione sproporzionata del sovracapitale nei suoi differenti elementi. E' un caso di sovrapproduzione di capitale fisso." (Marx, Storia delle teorie economiche).

Non è quindi di per sè l'aumento del prezzo delle materie prime che crea l'inflazione, ma sia questo aumento che l'inflazione sono il risultato del forte ritmo di sviluppo del capitale produttivo nell'attuale ciclo mondiale.

Il ritmo di sviluppo del capitale produttivo aumentando la domanda di capitali crea l'aumento del capitale fittizio (aumento della circolazione monetaria) e quindi un generale aumento dei prezzi. Questo processo è intrecciato a quello dell'aumento dei prezzi delle materie prime derivante dall'attuale livello del capitale fisso.

In questa situazione le metropoli imperialistiche si trovano in una contraddizione irrisolvibile: da una parte la necessità di sviluppare il credito per poter utilizzare pienamente il capitale fisso accumulato e per portare a termine gli investimenti fatti, e ciò crea i forti ritmi di inflazione; dall'altra, la necessità di contenere il credito e l'emissione di capitale fittizio per le contraddizioni che l'inflazione crea. Ciò, però, significa necessità di non utilizzare pienamente il capitale fisso accumulato con la conseguente riduzione dell'occupazione, diminuzione dei saggi di incremento della produzione e quindi della massa di plusvalore estratto dalla classe operaia.

L 'inflazione aggrava il caos della produzione e l'anarchia del mercato mondiale, inceppa i normali canali del credito, crea forti spostamenti incontrollabili del capitale liquido, mette in moto meccanismi di speculazione, aggrava le contraddizioni del sistema imperialistico mondiale.

La crisi del sistema monetario internazionale, derivante dallo sviluppo ineguale del capitalismo che ha modificato i rapporti di forza fra i paesi imperialisti creatosi dopo la fine della seconda guerra mondiale, non fa che aggravare questa situazione. La fine dei sistema dei cambi fissi crea intralci alla circolazione mondiale dei capitali e delle merci. Il mercato mondiale dei capitali finanziari diventa incontrollabile dalle banche centrali e dai governi nazionali e le possibilità di crisi bancarie e finanziarie aumentano. E ' lo sviluppo del capitalismo che crea le contraddizioni e le crisi, e non la sua stagnazione.

L'analisi di Marx sulla impossibilità da parte del capitalismo di risolvere le sue contraddizioni dall'interno trova nell'attuale situazione internazionale la sua conferma. La via rivoluzionaria che si basa sulla necessità storica dell'abbattimento e distruzione del sistema capitalistico oggi più che mai diventa attuale. Di fronte a questa situazione tutte le teorie riformistiche sul neo-capitalismo, sul capitalismo organizzato, sulla capacità del capitalismo di controllare le contraddizioni vengono smentite.

E' in questo processo internazionale che è inserita l'economia italiana.

Se l'inflazione è determinata dalla situazione internazionale ne consegue che su questo fattore il capitalismo italiano non può incidere.

Qualunque politica faccia la Banca d'Italia o il governo, l'inflazione italiana seguirà il tasso mondiale.

Il fallimento del blocco dei prezzi e della politica di restrizione portata avanti dalla Banca d'Italia lo conferma.

L'accentuarsi delle contraddizioni all'interno del sistema imperialistico mondiale ha aggravato la crisi di squilibrio del capitalismo italiano.

Proprio nel momento in cui la crisi del sistema monetario internazionale, i diversi ritmi di inflazione fra i vari paesi capitalistici, l'accentuarsi della concorrenza sui mercati mondiali richiedevano al sistema capitalistico italiano uno Stato efficiente in grado di affrontare questi problemi, il capitalismo italiano si è trovato un apparato statale non funzionale all'attuale livello di scontro mondiale.

Questo ha portato ad un indebolimento dell'imperialismo italiano che ha perso peso rispetto ad altri paesi come la Germania o gli U.S.A. i quali hanno strumenti statuali più adeguati. Questa diminuzione del peso dell'imperialismo italiano è visibile nel suo tasso d'inflazione superiore agli altri paesi e nel forte deficit della bilancia dei pagamenti.

Indebolendosi l'imperialismo italiano, gli altri paesi imperialisti sono intervenuti nel tentativo di usare l'Italia al fine di modificare i rapporti di forza tra di loro. Il prestito della Germania all'Italia deve essere analizzato da questa visuale. La tendenza storica alla unificazione dell'Europa per la formazione di un imperialismo europeo in grado di contrastare l'imperialismo americano e quello russo si manifesta attualmente in una supremazia della Germania che cerca di unificare l'Europa sotto la sua egemonia.

Indipendentemente da quello che sarà la politica estera dell'Italia nei prossimi mesi o anni, cosa che non è dato a noi di prevedere in quanto una tendenza non si realizza mai in maniera lineare ma mediante un processo contraddittorio, il prestito del la Germania all'Italia risulta chiaro: è un tentativo della Germania di utilizzare l'indebolimento dell'imperialismo italiano per egemonizzare l'Europa.

Questi fattori internazionali hanno determinato in Italia l'apertura della "questione comunista". L'imperialismo tedesco ha interesse a che tutte le frazioni della borghesia italiana siano d'accordo sul ruolo che esso svolge in Europa. Il prestito tedesco ha imposto quindi alle forze politiche italiane il problema della corresponsabilità del P.C.I., sia a livello governativo sia come opposizione parlamentare.

La "questione del P.C.I." formalmente è stata posta a livello di responsabilità governativa, ma posta in questi termini é una falsa questione perché diventa inevitabilmente una campagna ideologica che confonde i reali motivi che la compongono .

La questione del P.C.I. è, invece posta realmente come riflesso italiano dei rapporti interimperialistici, cioè come effetto dell'indebolimento dell'imperialismo italiano, da un lato, e dello scontro tra centrale americana e centrale tedesca dall'altro.

Posta, quindi, in termini prettamente nazionali la "questione del P.C.I." appare completamente deformata.

Infatti l'inflazione galoppante che riduce il reddito reale anche di strati sociali organizzati dalla D.C., crea difficoltà a questo partito nel controllo della sua base elettorale: una apertura governativa al P.C.I. vedrebbe la possibilità di un ridimensionamento elettorale della D.C.. In un sistema politico come quello italiano basato sul parlamentarismo questo non è accettabile dal partito che per 30 anni ha governato l'Italia. Perciò nonostante che alcuni gruppi della D.C. abbiano aperto la "questione comunista" e che il P.C.I. con il "compromesso storico" si dichiari disponibile, per il momento questa operazione politica non trova la possibilità di realizzarsi.

Inoltre la riduzione della quota del plusvalore mondiale che va al capitale acuisce la crisi politica.

I partiti politici parlamentari per mantenere il consenso delle classi e strati sociali che organizzano e di fendono, devono impedire che i redditi reali delle loro basi sociali di massa si ridimensionino. In una situazione in cui l'aumento del reddito nazionale corrispondeva ad un aumento della quota di plusvalore mondiale che andava alla borghesia italiana le possibilità di mediazione degli interessi delle varie classi erano superiori. Attualmente la mediazione politica fra le varie classi e partiti che le esprimono diventa più difficile. Per questo motivo la necessità di una omogeneizzazione sulla politica estera da parte dei vari partiti non riesce oggi a diventare possibilità reale. Scaricare il ridimensionamento dell'imperialismo italiano solamente sugli strati medi e inferiori del proletariato oggi non è più sufficiente. Anche settori di piccola borghesia e ceti medi devono essere colpiti. La natura interclassista di tutti i partiti parlamentari li obbliga a cercare di scaricare sugli altri partiti questo ridimensionamento per salvare la propria base sociale. Le lotte fra le varie frazioni borghesi si acuiscono.

Del resto la crescente determinazione dei fattori internazionali sulla situazione sociale e politica dell'Italia rende più complessa la lotta politica.

L'accentuazione delle lotte fra i paesi imperialisti, la rottura degli equilibri instaurati dopo la 20 guerra mondiale, un aumento della fluidità della situazione internazionale, la crisi del sistema monetario, l'aumento del prezzo delle materie prime, la crisi della C.E.E., la lotta al suo interno fra i vari paesi europei nel tentativo di svolgere una funzione di egemonia aumentano le variabili che determinano la politica italiana.

Negli anni '60 l'impetuoso ritmo di sviluppo del capitalismo mondiale favorisce la maturazione dell'imperialismo italiano e il suo inserimento nella scena mondiale con un ruolo attivo. Lo sviluppo ineguale del capitalismo, i forti ritmi italiani, paragonabili a quelli tedeschi e giapponesi, i bassi ritmi di sviluppo della Gran Bretagna e i medi degli U.S.A. favoriscono l'aumento relativo della forza imperialistica italiana. Sono gli anni di Mattei, dell'E.N.I. dell'offensiva commerciale nel Medio Oriente e nel Nord-Africa, dell'apertura all'U.R.S.S., della costruzione di Togliattigrad, sono gli anni in cui l'imperialismo italiano agisce ed interviene nelle contraddizioni fra gli altri imperialismi al fine di trovare il suo spazio ed i suoi vantaggi.

Questa situazione si è ora modificata. A differenza degli anni '60 che vedevano un aumento del peso relativo dell'Italia, oggi i fattori internazionali agiscono come elementi di ridimensionamento di questo peso: aumenta la passività dell'imperialismo italiano, il suo ruolo attivo si sta trasformando in ruolo passivo. Nel periodo che va dal dopoguerra al 1968/70 assistiamo ad un progressivo ridimensionamento del peso che gli U.S.A. hanno sul mercato mondiale. Gli U.S.A. non sono più egemoni come nel 1945/48 e all'area del dollaro si va affiancando l'area dello Yen e del Marco. Il sistema monetario internazionale nato dagli accordi di Bretton-Woods non risponde più alla nuova situazione. Con la crisi del sistema monetario internazionale le tendenze di fondo del periodo precedente si manifestano, le lotte fra i vari imperialismi diventano esplicite e ci appaiono come guerre monetarie: in realtà sono guerre per la spartizione del mercato mondiale, e la guerra sul fronte monetario e commerciale non è che l'anticipazione di future guerre sul campo militare.

Però l'imperialismo U.S.A., pur essendo ridimensionato, è ancora la potenza più forte: di conseguenza l'unificazione europea diventa per la Germania una necessità oggettiva. La svalutazione del dollaro, la sua non convertibilità aurea decretata da Nixon nell'agosto del 1971, il ridimensionamento della "moneta mondiale" senza che un'altra moneta abbia preso il suo posto, vede per tutto il periodo 1971/74 una situazione di mobilità, di offensive e ritirate, di cambiamento dei rapporti di forza, di colpi e contraccolpi tra i vari paesi. La C.E.E. non è in grado di sostenere la offensiva del dollaro l'unità monetaria europea entra in crisi, il processo di integrazione economica si arresta e di conseguenza si arresta anche il processo di unificazione politica. Rispetto alla crisi del sistema monetario internazionale gli imperialismi europei non si presentano uniti e ciò favorisce un rafforzamento relativo dell'imperialismo statunitense. In Europa, però, l'indebolimento dell'Italia e della Gran Bretagna permette a sua volta un rafforzamento relativo della Germania. La Germania si presenta come l'unico paese in grado di egemonizzare e quindi unificare l'Europa. La sua forza industriale, commerciale e finanziaria le dà questa possibilità.

Gli altri paesi come la Francia, la Gran Bretagna, l'Italia possono più o meno giostrare nelle contraddizioni mondiali per rallentare questo processo.

Gli U.S.A. hanno relativamente riconquistato posizioni: l'apertura alla Cina, la soluzione del Vietnam, la gestione della guerra nel Medio Oriente. sono da inquadrare in questo senso. Il Giappone e la Germania hanno sostanzialmente tenuto le loro posizioni a scapito delle altre metropoli. In questo contesto di caos finanziario internazionale si pone il problema dell'inflazione e di probabili recessioni.

L'inflazione di per sè non è un fattore che ferma la produzione industriale e il meccanismo di funzionamento del capitalismo. Esiste però il pericolo di recessione determinato dai diversi tassi di inflazione fra i vari paesi che hanno ormai le economie integrate.

La fine dei cambi fissi e della convertibilità aurea del dollaro crea fluttuazioni di quantità enormi di capitali tra un paese e l'altro, alla ricerca di tassi di interesse migliori. La non garanzia dei depositi determinata da un ritmo di inflazione mai visto dopo il 1945 crea la rincorsa alla ricerca di investimenti a breve termine, di carattere speculativo, con la possibilità di mancanza di capitali per investimenti industriali a lungo termine. Il problema del "riciclaggio" dei "petrol-dollari" è questo: da una parte una massa crescente di capitali nella forma liquida che è investita a breve termine, dall'altra la necessità dei paesi consumatori di petrolio di avere questi capitali per investimenti a lungo termine e scongiurare il pericolo di una recessione mondiale. L'integrazione tra banche e industrie nella fase imperialista, la crescente dipendenza delle industrie dalle banche, rende più delicato il meccanismo di funzionamento della società capitalistica: l'anarchia dei mercati finanziari e il crollo delle banche derivato da questo possono anche portare ad una crisi industriale.

Tutti i paesi imperialisti sono quindi interessati a trovare accordi per controllare questi mercati finanziari.

Gli incontri tra i "5" (Francia, Germania, U.S.A., Giappone e Gran Bretagna) hanno questo scopo. La situazione appare contraddittoria perché alle forze disgregatrici del sistema capitalistico mondiale (lo sviluppo ineguale, l'anarchia della produzione, la concorrenza imperialista), si contrappongono le forze aggregatrici: la tendenza cioè di tutti gli Stati imperialisti nazionali a cercare di risolvere queste contraddizioni mediante accordi e cartelli mondiali. Difficile è prevedere attualmente quali fattori siano predominanti in questo momento, ma quello che si può dire con certezza è che se anche vengono trovate soluzioni all'attuale situazione, le contraddizioni non possono essere negate ed esploderanno in futuro e più forti.

Il capitalismo non può evitare le crisi e il superamento di una crisi non è altro che la preparazione ad una di dimensioni superiori.

Abbiamo contemporaneamente l'espansione del mercato mondiale e il caos finanziario, anzi possiamo dire che è proprio l'espansione del sistema capitalistico che ha creato il caos, pur rimanendo, quindi, invariata l'espansione del mercato mondiale, non sono da escludere improvvisi e non previsti capovolgimenti della situazione, con crolli parziali di alcuni paesi. Comunque acutizzandosi lo scontro i paesi imperialisti più deboli ne pagano le conseguenze.

La diminuzione relativa della forza dell'imperialismo italiano è data dalla quota di R.N.L. (tra il 3% e il 6%) che l'Italia deve cedere agli altri paesi. Come questo ridimensionamento si rifletterà politicamente in Italia è impossibile, a priori, determinarlo perchè è dato dal risultato della lotta delle classi. Compito dei marxisti è quello di individuare il movimento delle varie classi e del proletariato e, in base a questo, di agire nell'interesse dell'unica classe rivoluzionaria: la classe operaia.

Il deficit della bilancia dei pagamenti italiana non è che un aspetto della lotta interimperialista in corso.

Nell'attuale situazione un pareggio della bilancia dei pagamenti significa che una quota superiore di merci italiane vengono date per la stessa quota di importazioni: significa quindi un ridimensionamento del prodotto reale di cui la borghesia italiana si appropria.

Se consideriamo che il deficit deriva dal peggioramento delle ragioni di scambio con gli altri paesi, peggioramento avvenuto non solo rispetto al petrolio ma anche ai paesi industriali, tale deficit diventa cumulativo per ogni anno.

Il cumulo poi dei prestiti esteri per pagare questo significa pagamento di interessi e resa futura di questi debiti: può salvare la situazione nel presente, ma l'aggraverà nel futuro. Si pone quindi la necessità di una ripartizione dei redditi tra le classi determinata dalla nuova situazione internazionale. Si possono fissare alcuni punti.

1°. L'attuale modello di ripartizione del reddito è stato determinato dalla situazione internazionale; quote crescenti di mercati permettevano una espansione del processo produttivo ed un aumento della massa degli sfruttati e della massa di plusvalore estratto. Senza l'espansione del mercato mondiale non ci sarebbe quindi stato l'attuale tasso di parassitismo. Il parassitismo è un prodotto del capitalismo nella fase imperialista e più si rafforza l'imperialismo più si sviluppa il parassitismo. L'imperialismo italiano però si è trovato nella situazione specifica di avere un ritmo di sviluppo del parassitismo non adeguato ai suoi ritmi di inserimento nel mercato mondiale.

Nella fase di espansione, quindi il parassitismo e la crisi di squilibrio erano fattori di freno. Di qui il sorgere dei riformisti che, come espressione dell'imperialismo italiano, predicavano la "strategia delle riforme". Nella fase di indebolimento dell'imperialismo italiano la crisi di squilibrio acuisce l'indebolimento stesso. Il ridimensionamento dell'imperialismo italiano pone oggettivamente il problema di una ripartizione diversa del reddito. La modificazione dovrà quindi riflettersi fra le varie classi con dei diversi rapporti relativi tra salari stipendi, redditi derivati, profitti. Questa nuova ripartizione del prodotto avviene indipendentemente dalle variabili monetarie, poiché è dettata dalla situazione internazionale.

2°. All'interno dei gruppi dominanti della borghesia esiste una unità strategica ma una divergenza tattica. La fase discendente dell'Italia accentua le divergenze. Il compromesso trovato tra le varie frazioni della grande borghesia con il congresso della D.C. dello scorso anno era basato su una ripresa del ciclo di sviluppo industriale, sull'aumento della massa di plusvalore e sul congelamento relativo del parassitismo. Il compromesso era possibile se l'Italia, allineando il suo tasso di inflazione a quello del MEC, avesse potuto continuare ad usufruire della forza espansiva dell'imperialismo tedesco.

L'aggravarsi delle contraddizioni internazionali, la crisi del settore automobilistico, l'aumento del prezzo delle materie prime e il tasso di inflazione superiore a quello mondiale hanno messo in discussione questo compromesso. Perciò le divergenze all'interno dei gruppi del grande capitale si riaprono. Il capitalismo di stato cerca di darsi una base di massa piccolo-borghese a danno del salario.

3°. Si riapre la lotta tra capitale di stato e capitale privato e all'interno dei vari gruppi dello stesso capitalismo di stato.

Il forte peggioramento della bilancia dei pagamenti li indebolisce entrambi. Non è sufficiente trovare un nuovo equilibrio sulla compressione dei salari, ma anche gli altri redditi devono essere compressi.

In questa situazione il sindacato vede fallire la sua strategia. La compressione del salario lo ha portato ad una crisi nel rapporto con gli strati sociali che organizza. Quello che Scheda chiama crisi di "credibilità" del sindacato e crisi del rapporto tra organizzazioni sindacali e massa dei lavoratori non è che il risultato della politica sindacale portata avanti dopo il congresso della D.C.

Gli incontri con il governo non portano a nessun risultato concreto, i nuovi modelli di sviluppo rimangono nella "fantasia" di un Trentin o di un Carniti e non approdano a nulla. Intanto l'inflazione intacca i redditi non solo degli strati disorganizzati della classe operaia ma anche degli operai organizzati e degli impiegati sia privati che statali.

In una situazione di riduzione del reddito disponibile sul mercato interno si acuisce la lotta fra le classi per non pagare questa riduzione: si riapre la spinta salariale.

L'inflazione determina quindi la spinta sia del monte salari che del monte stipendi. Mentre altre classi hanno recuperato dall'inflazione spostando, tesaurizzando i capitali (si parla di 25.000 miliardi di oro tesaurizzato da privati in Italia) o comprando beni immobiliari, il reddito del lavoro dipendente è stato intaccato.

Lo stesso meccanismo che pone il problema del ridimensionamento della quota di reddito mondiale di cui si appropria l'Italia, mette anche in moto le spinte delle classi e categorie sociali per mantenere le loro posizioni.

La lotta di classe si acuisce, così come si acuisce la spinta, salariale. In questa spinta oggettiva che non trova nella contingenza possibilità di mediazione si inserisce l'azione del Partito leninista.

Il Partito leninista inserendosi nel movimento è in grado di aggravare le contraddizioni del parlamentarismo.

L'esperienza accumulata nelle lotte passate apre molte possibilità di utilizzo di queste spinte oggettive della classe. Strati più ampi di classe operaia sono in grado di fare un'esperienza di lotta e di essere organizzati dal partito rivoluzionario.

Nel movimento gli equilibri passati si rompono, più esteso è il movimento e maggiori sono le possibilità di maturazione della coscienza della classe operaia.

In questa situazione favorevole alla prospettiva rivoluzionaria, gli sforzi del Partito devono essere tesi all'estensione dell'organizzazione all'interno della classe per instaurare un costante rapporto tra l'avanguardia e la classe.

 


Ultima modifica 31.3.2002