La lotta decisiva

Arrigo Cervetto (agosto 1975)

 


Scritto nell’agosto 1975
Pubblicato per la prima volta su Lotta Comunista, N°60
Trascritto per internet da Antonio Maggio (Primo Maggio), marzo 2002

 

La lotta delle classi in Italia attraversa un momento estremamente contradditorio proprio nella sua base materiale, nella base del diretto antagonismo degli interessi economici. E' il crescente peso dei fattori internazionali, da un lato, e la progressiva incapacità dell'imperialismo italiano ad influire su tale determinazione esterna, dall'altro, ad acuire le contraddizioni nel movimento degli antagonismi economici delle classi. A differenza di altri momenti, questo antagonismo si presenta in forme meno delineate e, quindi, meno caratterizzate e più indirette. Se l'antagonismo di interessi tra le frazioni borghesi sempre più si delinea in quello che abbiamo definito scontro tra schieramenti temporanei capeggiati da gruppi capitalistico-statali, l'antagonismo fondamentale ed irriducibile tra capitalismo e proletariato attualmente non presenta una dinamica.

Non basta constatare che in una fase controrivoluzionaria, come è l'attuale, il proletariato, mancando di una guida rivoluzionaria, non è in grado di esprimere in modo continuato una dinamica corrispondente ai suoi interessi immediati. Non basta perché, in primo luogo, questa constatazione se è valida come principio non aiuta a comprendere il momento contingente e, in secondo luogo, se è vero che in assoluto il proletariato non riesce, in una fase controrivoluzionaria, a condurre una lotta sistematica e continuata per i suoi interessi immediati è anche vero che questa lotta la conduce per brevi periodi, cioè la conduce ciclicamente.

Le lotte del proletariato per i suoi interessi immediati debbono, quindi, essere considerate come una dinamica di cicli, come ci insegna la teoria di Lenin sugli scioperi la quale non si limita a considerarne la quantità, come spesso fa l'osservatore borghese, ma ne valuta la compattezza, la forza, la disparità ed il frazionamento.

La teoria di Lenin permette non solo di concepire le lotte operaie nel loro andamento ciclico ma, altresì, di concepire il ciclo stesso come un fenomeno sociale con "carattere ad ondate". Se i cicli delle lotte operaie comportano di per sè fasi di riflusso, il loro carattere interno ad ondate implica necessariamente momenti di riflusso nel ciclo ascendente stesso.

Per la teoria leninista il riflusso della lotta operaia è un "fenomeno economico naturale" come lo è l'ascesa. Anzi, proprio perché la teoria leninista degli scioperi è una applicazione della scienza ad un particolare aspetto della lotta delle classi essa è in grado di analizzarne l'andamento dialettico e di smentire ogni visione gradualistica e riformistica di ascesa ininterrotta.

Per spiegare l'attuale riflusso delle lotte operaie ed il recupero sindacale dell'opportunismo non è, quindi, sufficiente analizzare il ciclo. E', invece, indispensabile considerare la fase ascensiva in tutti i suoi caratteri quantitativi e qualitativi, cioè tutti quei caratteri che permettono di dire che è stata troppo breve e poco profonda in confronto a fasi di altri paesi e di altri periodi storici.

Dalla quantità e dalla qualità di energia espressa dal proletariato dipende la valutazione strategica sul potenziale rivoluzionario e la valutazione tattica sugli aspetti politici dell'attuale momento controrivoluzionario. Le due valutazioni sono strettamente interdipendenti.

Se l'ampiezza e la profondità della lotta operaia è stata più limitata di quanto si ritenga significa che, in primo luogo, il proletariato ha manifestato solo parzialmente il suo potenziale e che, in secondo luogo, il recupero dell'opportunismo è stato più facilitato di quanto si creda.

Non è tanto una questione che riguardi l'analisi, in senso stretto, del ciclo delle lotte operaie, dato che la nostra valutazione fu di spontaneità tradeunionistica e non di spontaneità rivoluzionaria.

E' una questione che riguarda, invece, il tipo di contraddizioni sociali esplose.

Quindi, se le contraddizioni furono acute ma non estreme si può dire che a queste ultime l'opportunismo avrebbe minori capacità di contenimento.

A questo punto, la questione fondamentale non è più la capacità dell'opportunismo ma la capacità di sviluppo teorico ed organizzativo del Partito Leninista.

Quando si analizzano gli aspetti politici della lotta delle classi non bisogna mai dimenticare, pena gli errori più gravi, l'avvertimento di Marx: "Le verità scientifiche sono sempre paradossali, se si ragiona fondandosi sull'esperienza quotidiana, la quale coglie soltanto l'apparenza fallace delle cose".

Marx pone una questione importantissima a cui il lavoro rivoluzionario non può sfuggire.

Nella misura in cui l'analisi scientifica, su cui si basa la strategia, scopre il movimento della realtà e trova le tendenze generali di questo movimento, essa definisce il reale e, quindi, il vero. Questi aspetti della realtà, queste "verità", sono "sempre paradossali" (sempre, dice Marx) per il quotidiano, per il contingente che appare sempre nella sua fallacia. Ma questa "apparenza fallace" del contingente è il rapporto politico tra le classi e, quindi, il loro rapporto contingente ed apparente di forza.

Il Partito Leninista se nella sua strategia non può essere minimamente condizionato dal rapporto contingente ed apparente di forza tra le classi,

nella sua azione tattica e quotidiana non può prescinderne. Importante è che il Partito Leninista abbia sempre coscienza dell'apparenza fallace della situazione contingente in cui opera e in cui deve operare, abbia cioè coscienza delle contraddizioni profonde che sono alla base dei rapporti sociali e dei rapporti politici che danno luogo a determinate combinazioni multiformi.

Quindi se teoricamente il problema è semplice anche se arduo, (scoprire la verità scientificamente, scoprire le tendenze oggettive del movimento di cui il contingente è solo un momento) e, quindi, è semplice per la strategia (o è scientifica o non è), nella pratica invece diventa difficile e complesso.

Perché? Perché l'azione rivoluzionaria, basata sulla strategia, deve applicarsi quotidianamente all'apparenza fallace delle cose, all'apparenza che domina nel quotidiano gli uomini nel loro ragionamento ideologico.

Se il Partito Leninista non affronta quotidianamente questa apparenza fallace fa solo del programmismo strategico e si limita, perció, a propagandare la validità della strategia.

Se, invece, l'affronta in modo unilaterale fa solo dell'agitazione sull'apparenza fallace. Anche se questa agitazione è, nell'immediato, efficace, è fallace pure essa perché è applicata all'apparenza.

Il lavoro pratico sul contingente è vero solo per quello che rappresenta per la strategia.

Dove va, quindi, cercata la coerenza o corrispondenza tra la strategia e il lavoro pratico-tattico? Non nella programmazione delle tattiche o tattiche preordinate dal programma. Non nelle tattiche condizionate solo dal contingente apparente.

La coerenza, la corrispondenza invece è nel Partito, nello strumento della continuità, assicurata dalla centralizzazione, del lavoro teorico e pratico quotidiano meno condizionato dal contingente apparente: il piano organizzativo, che è anche il piano organizzativo della continuità dei principi del comunismo.

In fondo, nel concetto del Partito-Piano, Lenin ha risolto dialetticamente il problema del rapporto strategia-tattica, problema semplice nella teoria e difficile nella pratica.

Lo ha risolto con la concezione di un Partito che deve avere un piano strategico e che per attuare questo piano strategico deve pianificare lo sviluppo dello strumento organizzativo necessario al fine tenendo conto, in questo sviluppo pianificato, più delle tendenze generali che dei momenti contingenti.

Il Partito-Piano di strategia e di organizzazione risolve il rapporto tra la teoria e la pratica trovando il nocciolo semplice e tipico della tattica: l'auto-organizzazione proletaria. Il potenziale di lotta del proletariato, problema strategico, diventa potenziale di organizzazione, problema tattico.

La conclusione più importante a cui giunge Lenin, dopo aver analizzato tutti gli aspetti delle lotte operaie è questa: "Ma ciò dimostra quanto grande può essere l'energia che sonnecchia nel proletariato. Ciò dimostra che, in un periodo rivoluzionario, lo dico senza alcuna esagerazione, sulla base dei dati più precisi della storia russa, il proletariato può sviluppare una energia cento volte maggiore che in un normale periodo di calma. Ciò dimostra che, fino al 1905, l'umanità non sapeva ancora come la tensione delle forze del proletariato può essere, ed è, grande, enorme allorché si tratta di una lotta per scopi effettivamente grandi, allorché si tratta di lottare in modo veramente rivoluzionario!" E ancora: "Certamente ciò non significa che gli operai russi siano più progrediti e più forti che in occidente. Ciò significa, peró, che l'umanità non sapeva fino allora quale energia sia capace di sviluppare in questo campo il proletariato industriale. La peculiarità del corso storico degli avvenimenti è che la misura approssimativa di questa capacità si è rivelata prima che altrove in un paese arretrato, il quale sta ancora attraversando una rivoluzione borghese".

La conclusione di Lenin è più che mai attuale, specie se si assume come criterio di valutazione quello dell'energia e della tensione delle forze del proletariato. Anche se questa verità scientifica può sembrare paradossale al ragionamento che si fonda sulla esperienza quotidiana, si può dire che anche oggi, nei periodi di maggiore riflusso, l'energia dispiegata dal proletariato è cento volte meno di quella potenziale di un periodo di massima tensione, di un periodo rivoluzionario. Anche noi non esageriamo, ma ci basiamo sui dati più precisi. Ancora una volta dobbiamo vedere dietro le apparenze più ingannevoli che non fanno altro che confondere i veri termini del problema.

Chi non ha una strategia rivoluzionaria, basata su verità scientifiche, cade inevitabilmente nel codismo perché vede solo le apparenze e non riesce a vedere la sostanza, perché vede solo i fenomeni in superficie e non vede le tendenze più profonde. Al codista appare paradossale una verità scientifica: l'opportunismo organizza solo una minoranza del proletariato, l'opportunismo non può organizzare altro che una minoranza relativamente privilegiata.

In piena guerra imperialistica, quando i centristi alla Kautsky volevano giustificare il loro rinnegamento del marxismo col pretesto di adeguarsi al movimento apparente delle masse, Lenin facilmente demolì questa pretesa: "Uno dei sofismi più diffusi dai kautskiani è quello di riferirsi alle ‘masse’. Noi, vedete, non vogliamo staccarci dalle masse e dalle organizzazioni di massa!".

Lenin si richiama ad Engels per affermare che:

1) Quando le "organizzazioni di massa" seguono il "partito operaio borghese" questo va smascherato. I sindacati inglesi dell'800 seguivano il "partito operaio borghese".
"Ma non per questo Marx ed Engels si rassegnavano a un tale partito, anzi lo smascheravano".

2) "Essi non dimenticavano, in primo luogo, che le organizzazioni delle Trade Unions non abbracciavano direttamente che la minoranza del proletariato. Sia nell'Inghilterra d'allora che nella Germania d'oggi non più di 1/5 del proletariato è iscritto alle organizzazioni".
Quindi, coloro che giustificano il loro codismo con la tesi del legame con le masse, in realtà non vogliono staccarsi dalla minoranza delle masse organizzate direttamente dal "partito operaio borghese". Stanno con la minoranza e non con la maggioranza! Lenin dice di più: "Non si può pensare seriamente che durante il capitalismo sia possibile far entrare nelle organizzazioni la maggioranza dei proletari".
Questo è ancor più vero oggi.

3) Chiarita una volta per sempre la questione della maggioranza e della minoranza organizzata del proletariato, Lenin dice che l'aspetto più importante non è "del numero dei membri dell'organizzazione, quanto dell'importanza reale, oggettiva, della sua politica: rappresenta essa le masse, serve essa le masse, cioè la liberazione delle masse dal capitalismo, oppure rappresenta gli interessi della minoranza, la sua conciliazione col capitalismo?"
E sulla distinzione che Engels fa “tra partito borghese operaio”, “tra minoranza privilegiata e la ‘massa inferiore’, la maggioranza effettiva” può proclamare: "Ecco quale è il fondo della tattica marxista!".

Il partito rivoluzionario sa che l'opportunismo rappresenta solamente una minoranza. Il resto "lo dimostrerà soltanto la lotta, lo deciderà definitiva mente soltanto la rivoluzione socialista".

Perciò, il partito deve andare "più in profondità, verso le vere masse: in questo è tutta l'importanza della lotta contro l'opportunismo e tutto il contenuto di questa lotta".

"Smascherando gli opportunisti... noi insegniamo in questo modo alle masse a conoscere i loro veri interessi politici, a lottare per il socialismo e per la rivoluzione, attraverso tutte le lunghe e tormentose peripezie delle guerre imperialiste e delle tregue imperialiste. Spiegare alle masse l'inevitabilità e la necessità della scissione con l'opportunismo... ecco l'unica linea marxista del movimento operaio mondiale".

In questa chiarissima lezione di Lenin abbiamo un esempio di cosa si deve intendere per verità scientifica e di cosa si deve intendere per apparenza fallace. Chi ragiona fondandosi sull'esperienza quotidiana crede che le masse siano direttamente organizzate dall'opportunismo e, quindi, segue la minoranza organizzata dall'opportunismo ritenendo di seguire la maggioranza delle masse. Chi ragiona fondandosi sulla scienza dell'esperienza storica sa che la lotta decisiva si svolgerà sul terreno della rivoluzione e si pone il compito immediato, che non è un compito intermedio, di lavorare "più in profondità, verso le vere masse" contro l'opportunismo; poiché la vera lotta contro l'opportunismo è "in profondità" e non nella superficie e nella superficialità dei fronti unici con la minoranza privilegiata che spinge verso la conciliazione col capitalismo. Il lavoro rivoluzionario "in profondità" è l'organizzazione.

Dice Lenin: "Il proletariato nella sua lotta per il potere ha soltanto un'arma: l'organizzazione". Il proletariato diviso dalla borghesia, "può diventare, e diventerà inevitabilmente, una forza invincibile soltanto perché la sua unificazione ideologica, fondata sui principi del marxismo, è cementata dall'unità materiale dell'organizzazione".

I principi del marxismo nell'unità materiale dell'organizzazione: ecco la forma concreta del lavoro rivoluzionario "in profondità", svolto quotidianamente dal Partito Leninista, lavoro in cui le verità scientifiche che sembrano paradossali al ragionamento empirico trovano, invece, una traduzione pratica che è immediata proprio perché corrisponde al, movimento profondo della realtà sociale.

Già il Lenin della fase giovanile antipopulista aveva chiara la forma concreta del lavoro rivoluzionario quando sosteneva che "il lavoro teorico e il lavoro pratico confluiscono in un unico lavoro" che è quello dello "studiare, propagandare, organizzare".

Per cui non vi può essere un dirigente senza il lavoro teorico e senza il lavoro pratico che propagandi "i risultati di questa teoria fra gli operai e senza aiutarli ad organizzarsi".

Anche oggi una impostazione di questo tipo del lavoro rivoluzionario incontra la solita obiezione opportunistica: dogmatismo e settarismo. La risposta è già in Lenin:

"Non può esistere dogmatismo là dove l'unico e supremo criterio della dottrina è la sua corrispondenza al processo reale dell'evoluzione sociale ed economica; non può esservi settarismo quando il compito consiste nell'aiutare l'organizzazione del proletariato".

Se essere dogmatici e settari significa essere fedeli all'insegnamento di Lenin e non scivolare nel codismo opportunista, ebbene noi siamo inguaribilmente dogmatici e settari. Nel frattempo, però, proseguiamo infaticabilmente con la certezza della strategia e con la conferma di notevoli risultati, nel compito più antidogmatico e più antisettario che la storia ci ha affidato: il compito che corrisponde al processo reale dello sviluppo sociale, il compito di chi deve propagandare la teoria ed aiutare gli operai ad organizzarsi per l'oggi e, soprattutto, per il domani.

 


Ultima modifica 2.4.2002