La guerra e la rivoluzione

Vladimir Lenin (1917)

 


Conferenza tenuta da Lenin a Pietrogrado il 15 maggio 1917
Trascritto per Internet da Antonio Maggio - Primo Maggio, novembre 2003.

 

Negli ultimi tempi la questione della guerra e della rivoluzione è stata dibattuta così spesso nella stampa e nelle assemblee popolari che per molti di voi i vari aspetti della questione sono divenuti non solo familiari ma anche un po' noiosi. Non avendo ancora avuto la possibilità di prendere la parola o di assistere alle riunioni di partito e alle assemblee di popolo che si sono tenute in questo rione, rischio forse di cadere in qualche ripetizione o di non soffermarmi abbastanza a lungo sugli aspetti del problema che v'interessano in modo particolare.

A mio giudizio, la cosa essenziale, che viene di solito trascurata nella questione della guerra e a cui non si riserva la dovuta attenzione, la cosa fondamentale, su cui si discute tanto, e spesso, direi, in modo sterile, vuoto e improduttivo, riguarda il carattere di classe della guerra, le ragioni per cui essa è scoppiata, le classi che la conducono, le condizioni storiche e storiche-economiche che l'hanno provocata. Nella misura in cui, nei comizi e nelle riunioni di partito, sono riuscito a esaminare il modo come viene posta da noi la questione della guerra, sono giunto alla conclusione che la maggior parte dei malintesi nasce, su questo terreno, dal fatto che noi, analizzando la questione della guerra, parliamo spesso lingue radicalmente diverse.

Dal punto di vista del marxismo, cioè del socialismo scientifico moderno, la questione fondamentale, per dei socialisti che discutano sulla valutazione da dare a proposito di una guerra e sull'atteggiamento da assumere nei suoi confronti, consiste nell'individuare gli obiettivi per cui questa guerra viene condotta e le classi che l'hanno preparata e diretta. Noi marxisti non siamo avversari incondizionati di ogni guerra. Noi diciamo: il nostro scopo è l'instaurazione di un assetto sociale socialista che, sopprimendo la divisione dell'umanità in classi ed eliminando ogni sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo e di ogni nazione da parte di altre nazioni, sopprimerà immancabilmente ogni possibilità di guerra in generale. Ma nella lotta per il regime socialista ci troveremo di necessità in condizioni in cui la lotta di classe all'interno di ogni singola nazione dovrà fare i conti con una guerra tra diverse nazioni generata dalla stessa lotta di classe; pertanto noi non possiamo negare l'eventualità di guerre rivoluzionarie, cioè di guerre derivanti dalla lotta di classe, combattute dalle classi rivoluzionarie e aventi una portata rivoluzionaria immediata. Non possiamo negare questa eventualità anche perché, nella storia delle rivoluzioni europee dell'ultimo secolo, nel corso degli ultimi 125-135 anni, accanto a guerre per la maggior parte reazionarie, si sono prodotte alcune guerre rivoluzionarie, come, ad esempio, la guerra delle masse popolari rivoluzionarie di Francia contro la coalizione dell'Europa monarchica, retrograda, feudale e semifeudale. Oggi non c'è in Europa occidentale, ma negli ultimi tempi anche da noi, in Russia, una menzogna più diffusa di quella consistente nel richiamo all'esempio delle guerre rivoluzionarie. Vi sono guerre e guerre. Bisogna determinare le condizioni storiche da cui una guerra deriva, quali classi la conducano e quale scopo queste classi perseguano. In caso contrario, tutte le nostre considerazioni sulla guerra saranno frasi vuote, dibattiti sterili e puramente verbali. Ecco perché, dal momento che mi avete chiesto di parlare sui rapporti tra la guerra e la rivoluzione, mi permetterò di soffermarmi più a lungo su questo aspetto del problema.

È a tutti noto il detto di Clausewitz, uno degli autori più illustri che si siano dedicati alla filosofia della guerra e alla storia militare: "La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi". Questa massima appartiene a un autore che ha analizzato la storia delle guerre e ne ha tratto i dovuti insegnamenti filosofici subito dopo l'epoca delle guerre napoleoniche. Quest'autore, le cui idee essenziali sono divenute oggi patrimonio incontestabile di ogni uomo pensante, si batteva, ottanta anni or sono, contro l'ignaro pregiudizio filisteo secondo cui una guerra può essere avulsa dalla politica dei governi e delle classi che la conducono, o può essere considerata una semplice aggressione che violi la pace e a cui segua la restaurazione della pace violata! Prima se le suonano e poi si riconciliano! Si tratta di una concezione grossolana e insipiente, confutata ormai da decine di anni e smentita da ogni analisi in qualche modo attenta delle guerre di qualsiasi epoca storica.

La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. Ogni guerra è indissolubilmente connessa con il regime politico da cui deriva. È la stessa politica che una data potenza e una data classe in questa potenza ha condotto assai prima della guerra, è la stessa politica che questa classe prosegue durante la guerra, cambiando soltanto la forma della propria azione.

La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. Quando, alla fine del secolo XVIII, i cittadini e i contadini rivoluzionari di Francia, dopo aver rovesciato la monarchia con mezzi rivoluzionari, instaurarono la repubblica democratica, e, dopo aver fatto giustizia del loro monarca, fecero giustizia con mezzi rivoluzionari anche dei loro grandi proprietari fondiari, questa politica di una classe rivoluzionaria non poteva non sconvolgere dalle fondamenta la restante Europa, assolutista, monarchica, zarista, semifeudale. La continuazione inevitabile di questa politica della classe rivoluzionaria che aveva trionfato in Francia furono le guerre in cui, contro la Francia rivoluzionaria, si levarono tutti gli Stati monarchici d'Europa, che costituirono la loro famosa coalizione e sferrarono una guerra controrivoluzionaria. Il popolo rivoluzionario di Francia, che allora per la prima volta dopo secoli dispiegò al massimo la sua energia rivoluzionaria, nel corso della guerra della fine del secolo XVIII diede prova di un eccezionale slancio rivoluzionario, rinnovando tutto il sistema della strategia, rompendo con tutte le vecchie leggi e consuetudini della guerra e sostituendo al vecchio esercito un nuovo esercito, rivoluzionario, popolare, e un nuovo modo di condurre la guerra. Quest'esempio mi sembra particolarmente degno di considerazione, perché ci permette di toccare con mano ciò che oggi dimenticano ad ogni passo i pubblicisti dei giornali borghesi, speculando sui pregiudizi e sull'ignoranza filistea delle masse popolari assolutamente incolte, le quali non afferrano l'inscindibile legame economico e storico di ogni guerra con la politica svolta in precedenza da ciascun paese, da ciascuna classe che dominava prima della guerra e che cercava di raggiungere i propri scopi con mezzi cosiddetti "pacifici". Cosiddetti pacifici, perché non si possono certo qualificare come pacifiche le misure repressive di cui si servono, ad esempio, i colonialisti per imporre la loro "pacifica" dominazione.

La pace regnava in Europa, ma solo perché la dominazione dei popoli europei sulle centinaia di milioni di abitanti delle colonie veniva realizzata attraverso guerre continue, incessanti, ininterrotte, che noi europei non consideriamo come tali, poiché troppo spesso somigliano piuttosto a un selvaggio massacro, allo sterminio di popolazioni inermi. Le cose stanno dunque in modo che noi, per comprendere la guerra in corso, dobbiamo gettare uno sguardo d'insieme sulla politica svolta dalle potenze europee. Non bisogna prendere singoli esempi, casi isolati, che è sempre facile distaccare dalla connessione dei fenomeni sociali e che non hanno alcun valore, perché è sempre facile addurre un esempio opposto. No, bisogna prendere l'insieme della politica di tutto il sistema degli Stati europei nei loro porti economici e politici, se si vuole capire in che modo la guerra in corso sia fatalmente e inevitabilmente scaturita da questo sistema.

Assistiamo senza posa ai tentativi, compiuti soprattutto dai giornali borghesi, poco importa se monarchici o repubblicani, di attribuire alla guerra attuale un contenuto storico che le è estraneo. Non c'è metodo più diffuso nella repubblica francese, per esempio, del tentativo di presentare questa guerra, da parte della Francia, come la continuazione, e quasi la ripetizione, delle guerre della grande rivoluzione del 1792. Il mezzo più comune per ingannare le masse popolari francesi, gli operai della Francia e di tutti i paesi, consiste nel trasporre al tempo nostro il "gergo" di quell'epoca, alcune sue parole d'ordine e nel far credere che ancora oggi la Francia repubblicana stia difendendo la sua libertà contro la monarchia. Si trascura la "piccola" circostanza che nel 1792 la guerra era condotta in Francia da una classe rivoluzionaria, che aveva compiuto una rivoluzione senza precedenti, che, in virtù dell'eccezionale eroismo delle masse, aveva distrutto dalle radici la monarchia e che era insorta, contro l'Europa monarchica coalizzata, al solo scopo di proseguire la propria lotta rivoluzionaria.

La guerra era allora in Francia la continuazione della politica della classe rivoluzionaria che aveva fatto la rivoluzione, conquistato la repubblica, giustiziato con un'energia senza precedenti i capitalisti e i grandi proprietari fondiari francesi e che, in nome di questa politica e della sua continuazione, condusse contro l'Europa monarchica coalizzata una guerra rivoluzionaria.

Oggi invece siamo in presenza anzitutto di due gruppi di potenze capitaliste. Siamo in presenza dei paesi capitalisti più potenti del mondo, Inghilterra, Francia, America, Germania, la cui politica è consistita per vari decenni in una ininterrotta rivalità economica per garantire il proprio dominio sul mondo, per soffocare le piccole nazioni, per triplicare e decuplicare i profitti del capitale bancario che tende a subordinare alla sua influenza il mondo intero. È questa la reale politica svolta dall'Inghilterra e dalla Germania. Insisto su questo punto, su cui non bisogna stancarsi di insistere, perché, tralasciandolo, non riusciamo a capire la guerra in corso e ci troviamo così impotenti, alla mercé di ogni pubblicista borghese, che ci rimpinzerà di frasi bugiarde.

Bisogna studiare e capire nel suo insieme l'effettiva politica realizzata per decenni prima della guerra dai due gruppi di giganti capitalisti, dall'Inghilterra e dalla Germania che, insieme con i loro alleati, si sono scagliate l'una contro l'altra. Se tralasciassimo questo esame, non solo dimenticheremmo un'istanza fondamentale del socialismo scientifico e di ogni scienza sociale in genere, ma ci priveremmo per giunta della possibilità di capire qualcosa della guerra attuale. Ci daremmo in balia di Miliukov, che inganna la gente, che attizza lo sciovinismo e l'odio tra i popoli con mezzi che vengono impiegati sempre, senza eccezione, con mezzi di cui già parlava ottant'anni fa il succitato Clausewitz, il quale già allora derideva l'opinione che i popoli vivono in pace e d'un tratto si dilaniano tra loro! Come se fosse vero! Si può forse spiegare una guerra senza collegarla con la politica anteriore di uno Stato, di un sistema di Stati e di determinate classi? Lo ripeto ancora una volta: è questo il problema fondamentale che viene eluso continuamente e la cui incomprensione trasforma i nove decimi dei discorsi sulla guerra in sterili alterchi e scambi di invettive. Noi diciamo: se non avete studiato la politica svolta dai due gruppi di potenze belligeranti negli ultimi decenni, - di modo che niente appaia casuale e non ci si lasci trascinare dagli esempi isolati, - se non avete mostrato il legame tra questa guerra e la politica precedente, non avete capito un bel niente!

Questa politica ci mostra una sola cosa, sempre la stessa: l'ininterrotta rivalità economica dei due giganti mondiali, delle due economie capitaliste. Da una parte l'Inghilterra, lo Stato che possiede la maggior parte del globo, lo Stato che è al primo posto per la sua ricchezza acquisita non tanto con il lavoro dei suoi operai, quanto invece, principalmente, con lo sfruttamento delle sue innumerevoli colonie, con la forza smisurata delle sue banche, riunitesi, alla testa di tutte le altre banche, in un gruppetto - tre, quattro o cinque - di banche gigantesche, le quali dispongono di centinaia di miliardi di rubli e ne dispongono in modo che non è esagerato dire: non c'è sul globo una spanna di terra su cui questo capitale non metta la sua mano pesante, non c'è una spanna di terra che non sia legata con mille fili al capitale inglese. Tra la fine del secolo XIX e l'inizio del nostro questo capitale ha assunto dimensioni tali da estendere la propria attività ben oltre i confini di alcuni Stati e ha costituito un gruppo di banche gigantesche con una ricchezza favolosa. Attraverso tali banche esso è riuscito ad avvolgere tutto il mondo in una rete di centinaia di miliardi di rubli. Ecco l'essenziale nella politica economica dell'Inghilterra e nella politica economica della Francia, a proposito della quale gli stessi pubblicisti francesi, tra gli altri i collaboratori dell'Humanité, un giornale diretto oggi da ex socialisti (per esempio, da Lysis, noto specialista di questioni finanziarie), così scrivevano qualche anno prima della guerra: "La Francia è una monarchia finanziaria, la Francia è un'oligarchia finanziaria, la Francia è l'usuraia dell'universo".

Dall'altra parte, contro questo gruppo, essenzialmente anglo-francese, si è levato un altro gruppo di capitalisti, ancor più rapace, ancor più brigantesco, un gruppo che si è presentato al banchetto del capitalismo quando i posti erano ormai occupati, ma che ha introdotto nella lotta nuovi metodi di sviluppo della produzione capitalista, una tecnica superiore, un'organizzazione incomparabile, in base alla quale il vecchio capitalismo, il capitalismo dell'epoca della libera concorrenza, diventa il capitalismo dei trusts, dei sindacati e cartelli giganteschi. Questo gruppo ha introdotto il principio della statizzazione della produzione capitalista, della fusione di forze gigantesche, come il capitalismo e lo Stato, in un meccanismo unico, che riunisce decine di milioni di uomini nell'unica organizzazione del capitalismo di Stato. Ecco la storia economica, ecco la storia diplomatica degli ultimi decenni, da cui nessuno può prescindere! Essa soltanto vi addita la via per risolvere il problema della guerra e vi induce a concludere che la guerra in corso è anch'essa il risultato della politica delle classi che si stanno scontrando nell'attuale conflitto, il risultato della politica dei due colossi che, assai prima dell'inizio delle ostilità, avevano steso sul mondo intero, su tutti i paesi, la rete del loro sfruttamento finanziario e che si erano spartito economicamente tutto il globo. Essi dovevano scontrarsi, perché una nuova spartizione di questo dominio era divenuta ormai inevitabile dal punto di vista del capitalismo.

L'antica spartizione era fondata sul fatto che per vari secoli l'Inghilterra aveva rovinato le sue vecchie rivali: l'Olanda, che già dominava su tutto il mondo e la Francia, che, per circa un secolo, aveva lottato per la supremazia. Con lunghe guerre, poggiando sulla sua forza economica, sulla potenza del suo capitale commerciale, l'Inghilterra riuscì a imporre il suo dominio incontrastato sul mondo intero. Comparve un nuovo predone, nel 1871 si costituì una nuova potenza capitalista, che prese a svilupparsi con ritmo incomparabilmente più rapido rispetto all'Inghilterra. Ecco il fatto essenziale. Non c'è un solo libro di storia economica che non riconosca il fatto incontestabile della più rapida evoluzione della Germania. Questa rapida espansione del capitalismo in Germania fu lo sviluppo di un predone giovane e vigoroso che, presentandosi nel concerto delle potenze europee, dichiarò: "Avete rovinato l'Olanda, sconfitto la Francia, vi siete impadroniti di mezzo mondo: datemi dunque la parte che mi spetta!". Ma che cos'era questa "parte"? Come determinarla nel mondo capitalista, nel mondo delle banche? La forza è data in questo mondo dal numero delle banche e, come ha scritto con franchezza e cinismo puramente americani uno degli organi di stampa dei miliardari statunitensi, è data a questo modo: "In Europa si combatte per il dominio del mondo. Per dominare sul mondo occorrono due cose: i dollari e le banche. I dollari li abbiamo, le banche le creeremo: così potremo dominare sul mondo". Ecco che cosa dichiara un autorevole giornale dei miliardari americani. Devo ammettere che in queste ciniche parole americane di un miliardario presuntuoso e insolente c'è mille volte più verità che nelle migliaia di articoli dei mentitori borghesi, i quali presentano la guerra in corso come una guerra condotta per chissà quali interessi nazionali, per chissà quali questioni nazionali e dicono altre evidenti menzogne di questo genere, respingendo tutta la storia nel suo insieme e prendendo un esempio isolato come quello del predone tedesco che si avventa contro il Belgio. Il fatto è indubbiamente autentico. Sì, questo gruppo di predoni si è avventato contro il Belgio con barbarie inaudita, ma ha fatto la stessa cosa che l'altro gruppo di predoni faceva ieri con altri metodi e fa oggi contro altri popoli.

Quando discutiamo delle annessioni (e si tratta di un problema che rientra nel quadro che ho tentato qui di delineare brevemente come storia dei rapporti economici e diplomatici da cui è scaturita la guerra attuale), dimentichiamo sempre che in genere va ricercato proprio qui il movente della guerra: la spartizione delle conquiste o, in linguaggio più popolare, la spartizione del bottino predato dai due gruppi di briganti. Quando discutiamo delle annessioni, c'imbattiamo sempre in metodi che, sul piano scientifico, non reggono alla critica e che, sotto il profilo pubblicistico, possono qualificarsi soltanto come una volgare turlupinatura. Interrogate uno sciovinista o un socialsciovinista russo e costui vi spiegherà a meraviglia che cosa sia un'annessione, quando questa venga fatta dalla Germania. Quest'annessione la capisce molto bene. Ma costui rimarrà muto ogni qualvolta gli chiederete una definizione generale del concetto di annessione, che si applichi a un tempo alla Germania, all'Inghilterra e alla Russia. Non vi fornirà tale definizione in nessun caso! La Riec (tanto per passare dalla teoria alla pratica) ha dileggiato la nostra Pravda dicendo: "Questi pravdisti considerano la Curlandia un'annessione! Come discutere con questa gente?". Allora abbiamo risposto: "Siate bravi, dateci una definizione del concetto di annessione che sia valida per i tedeschi, per gli inglesi e per i russi. E abbiamo aggiunto: o lascerete cadere la nostra sfida oppure vi smaschereremo subito". E la Riec non ha più replicato. Noi sosteniamo che nessun giornale, appartenga esso agli sciovinisti, che si limitano a parlare della necessità di difendere la patria, o ai socialsciovinisti, ha mai dato una definizione del concetto di annessione che valga tanto per la Germania quanto per la Russia e che possa essere applicato ad ogni paese. Nessun giornale può dare questa definizione, perché tutta la guerra in corso è la continuazione della politica di annessioni, cioè di conquista, di rapina capitalista, condotta dai due gruppi belligeranti. È pertanto chiaro che per noi non ha alcuna importanza stabilire quale dei due predoni abbia per primo tirato fuori il coltello. Esaminate la storia degli investimenti di carattere militare e navale dei due gruppi di potenze negli ultimi decenni, esaminate la storia delle piccole guerre che essi hanno fatto prima della grande guerra! Queste guerre sono "piccole", perché in esse sono morti pochi europei, mentre vi hanno perduto la vita centinaia di uomini appartenenti ai popoli che gli europei soffocano e che dal loro punto di vista non meritano nemmeno l'appellativo di popoli (sono forse popoli gli asiatici o gli africani?). Ecco le guerre combattute contro di loro: questi uomini erano inermi e gli europei li hanno sterminati con le mitraglie. Si può parlare di guerre? No, a rigore, non si può parlare di guerre e si può quindi tralasciare tutto questo. Ecco il loro atteggiamento in questa ininterrotta turlupinatura delle masse popolari.

La guerra in corso è la continuazione di una politica fondata sulla conquista, sullo sterminio di intere popolazioni e sulle inaudite atrocità commesse in Africa dai tedeschi e dagli inglesi e in Persia dagli inglesi e dai russi (non saprei dire chi sia stato più feroce) e per cui i capitalisti tedeschi consideravano gli altri come nemici. Ebbene, voi siete forti, perché siete più ricchi? Ma noi siamo più forti di voi e, quindi, abbiamo il "sacrosanto" diritto di predare. Ecco a che cosa si riduce la vera storia del capitale finanziario inglese e tedesco nei decenni che hanno preceduto la guerra. Ecco a che cosa si riduce la storia dei rapporti russo-tedeschi, russo-inglesi e anglotedeschi. Ecco la chiave per capire i moventi della guerra attuale. Ecco perché è solo ciarlataneria e menzogna la storia che si suol raccontare sulle cause della guerra. Se si dimentica la storia del capitale finanziario, la storia del modo come è maturata la guerra per una nuova spartizione, si finisce per far credere che due popoli vivevano in pace, che d'un tratto l'uno ha attaccato e l'altro si è difeso. Si dimentica così ogni scienza, si dimenticano le banche, si chiamano alle armi i popoli, si chiamano alle armi i contadini che ignorano che cosa sia la politica. Bisogna difendersi: ecco tutto! Se si ragiona così, sarebbe logico sopprimere tutti i giornali, bruciare tutti i libri e vietare che la stampa si occupi delle annessioni: solo così si potrebbe infatti giustificare questo punto di vista sulle annessioni. Essi non possono dire la verità sulle annessioni, perché tutta la storia della Russia, dell'Inghilterra e della Germania consiste in una guerra ininterrotta, implacabile e sanguinosa per le annessioni. In Persia e in Africa hanno condotto guerre spietate i liberali, i quali hanno fatto frustare in India i detenuti politici che avevano osato presentare le stesse rivendicazioni per cui si lottava da noi in Russia. Gli eserciti coloniali francesi opprimevano i popoli. Ecco la storia che ha preceduto la guerra, ecco la vera storia degli incredibili saccheggi! Ecco quale politica viene continuata dalla guerra in corso. Ecco perché, nella questione delle annessioni, questa gente non può dare la risposta che noi diamo dicendo: ogni popolo che venga unito a un altro popolo, non in base alla volontà liberamente espressa dalla propria maggioranza, ma per decisione dello zar o del governo, è un popolo asservito, è un popolo annesso. Rinunciare alle annessioni significa dare a ciascun popolo il diritto di costituirsi in Stato indipendente o di unirsi a chi vuole. Questa risposta è assolutamente chiara per ogni operaio in qualche modo consapevole.

In ognuna delle risoluzioni, che vengono approvate a decine e pubblicate persino nel giornale Zemlià i volia, si può trovare una risposta mal formulata: noi non vogliamo una guerra per dominare sugli altri popoli, noi lottiamo per la nostra libertà: così dicono tutti gli operai e i contadini, esprimendo l'opinione dell'operaio, del lavoratore sulla guerra. Se la guerra fosse condotta nell'interesse dei lavoratori, contro gli sfruttatori, noi saremmo favorevoli a questa guerra. Anche noi saremmo in tal caso favorevoli alla guerra e nessun partito rivoluzionario potrebbe opporsi ad essa. Gli autori di queste innumerevoli risoluzioni hanno torto, perché immaginano di essere loro a condurre la guerra: "Noi soldati, noi operai, noi contadini combattiamo per la nostra libertà". Non dimenticherò mai la domanda che mi è stata posta dopo un comizio: "Perché parlate sempre contro i capitalisti? Sono forse un capitalista io? Noi siamo operai e difendiamo la nostra libertà". Non è vero! Voi combattete perché obbedite al vostro governo di capitalisti. Le guerre non sono condotte dai popoli, ma dai governi. Non mi stupisce che un operaio o un contadino, non avendo studiato la politica, non avendo avuto la ventura o la sventura di veder chiaro nei segreti della diplomazia, nello spettacolo del saccheggio finanziario (sia pur dell'oppressione della Persia da parte della Russia e dell'Inghilterra), dimentichi tutto questo e domandi ingenuamente: "Che c'entrano qui i capitalisti, se sono io a combattere?" Egli non si avvede del legame tra la guerra e il governo, non capisce che la guerra è condotta dal governo e che lui è solo lo strumento di cui il governo si serve per i suoi fini. Egli può ben sostenere di far parte del popolo rivoluzionario e scrivere risoluzioni magniloquenti: per i russi è già molto, perché tale usanza è entrata in vigore da poco. Di recente il governo provvisorio ha pubblicato una dichiarazione "rivoluzionaria". Ma questo non cambia niente e i capitalisti degli altri paesi, ben più esperti dei nostri nell'arte di ingannare le masse con i manifesti "rivoluzionari", hanno battuto da tempo tutti i primati in questo campo. Se si prende la storia parlamentare della repubblica francese, dal momento in cui essa ha cominciato a sostenere lo zarismo, si trovano decine di esempi, in alcuni decenni di storia parlamentare, in cui dei manifesti pieni di parole reboanti sono serviti a occultare la politica del più abietto saccheggio coloniale e finanziario. La storia della terza repubblica francese è da cima a fondo la storia di questo saccheggio. Da queste fonti sgorga la guerra in corso, che non è il risultato della cattiveria dei capitalisti o dell'erronea politica dei monarchi. Sarebbe sbagliato vedere le cose a questo modo. No, questa guerra è stata provocata inevitabilmente dallo sviluppo di un capitalismo, soprattutto bancario, ultrapotente, uno sviluppo il quale ha fatto sì che quattro banche di Berlino e cinque o sei banche di Londra dominino su tutto il mondo, si accapparrino tutti i fondi, assicurino alla propria politica finanziaria l'appoggio delle forze armate e, da ultimo, si scontrino in una collisione eccezionalmente selvaggia, perché non riescono a proseguire liberamente lungo la via delle conquiste. Un gruppo o l'altro deve rinunciare alle sue colonie. In questo mondo di capitalisti tali problemi non possono essere risolti amichevolmente ma solo con la guerra. Ecco perché è ridicolo accusare questo o quel brigante coronato. Sono tutti uguali tra loro, questi briganti coronati. Ecco perché è assurdo accusare i capitalisti di questo o quel paese. La loro unica colpa è di aver instaurato un sistema come l'attuale. Ma l'hanno fatto secondo tutte le leggi che lo Stato civile difende con tutte le sue forze. "Sono nel mio pieno diritto, compro le azioni. E tutti i tribunali, tutte le polizie, tutti gli eserciti permanenti e le flotte del mondo tutelano il mio sacrosanto diritto di possedere azioni".

Se si costituiscono banche, che dispongono di centinaia di milioni di rubli, se queste banche gettano sul mondo intero la rete del saccheggio bancario e poi si scontrano in un duello per la vita e per la morte, di chi è la colpa? Vallo a cercare il colpevole! Il colpevole è mezzo secolo di sviluppo capitalista e la sola via d'uscita è il rovesciamento del dominio capitalista, la rivoluzione operaia. Ecco la risposta a cui il nostro partito è pervenuto attraverso l'analisi della guerra. Ecco perché noi diciamo: i rappresentanti dei partiti borghesi hanno a tal punto ingarbugliato con le loro menzogne la questione per sé chiarissima delle annessioni che oggi possono cercare di far credere che la Curlandia non sia una annessione della Russia. I tre briganti coronati si sono spartiti di comune accordo la Curlandia e la Polonia. Se le sono spartite per un secolo, tagliando nella carne viva e il brigante russo ha arraffato il pezzo più grosso, perché era allora il più forte. Ma quando la Germania da giovane predone che aveva partecipato alla spartizione, è divenuta una grande potenza capitalista, ha dichiarato: "Forza, facciamo una nuova spartizione! Volete tenervi quello che possedete? Vi credete più forti? Bene, misuriamoci!".

Ecco a che cosa si riduce la guerra in corso. Naturalmente, questa sfida - "misuriamoci!" - esprime una politica di rapina condotta per decenni, esprime la politica delle grandi banche. Ecco perché nessuno può dire come noi la pura e semplice verità sulle annessioni, che è ben chiara a ogni operaio e contadino. Ecco perché la questione dei trattati, di per sé tanto semplice, viene ingarbugliata con grande impudenza da tutta la stampa. Voi dite che abbiamo un governo rivoluzionario, che di esso fanno parte ministri quasi integralmente socialisti, ministri populisti e menscevichi. Ma, allorché essi parlano di pace senza annessioni, senza però precisare che cosa sia una pace senza annessioni (il che significa: ai tedeschi toglieremo le loro annessioni e noi ci terremo le nostre), noi diciamo: che vale il vostro governo "rivoluzionario", che cosa valgono le vostre dichiarazioni, l'asserzione di non volere una guerra di conquista, se al tempo stesso invitate l'esercito a sferrare l'offensiva? Ignorate forse di essere vincolati dai trattati che Nicola il sanguinario ha stipulato nel modo più brigantesco? Ignorate queste cose? Queste cose possono ignorarle gli operai, i contadini, che non hanno mai fatto saccheggi e non hanno mai letto libri dotti. Ma i cadetti istruiti che affermano queste cose nella loro propaganda conoscono assai bene il contenuto di questi trattati. I trattati sono "segreti", ma tutta la stampa diplomatica di tutti i paesi ne parla in questi termini: "Tu ti prenderai gli Stretti, tu l'Armenia, tu la Galizia, tu l'Alsazia-Lorena, tu Trieste e noi ci spartiremo definitivamente la Persia". Il capitalista tedesco dice: "Io mi prenderò l'Egitto, e schiaccerò tutti i popoli d'Europa, se voi non mi restituirete le mie colonie e con gli interessi!". Le azioni sono inconcepibili senza utili. Ecco perché il problema dei trattati, che è così semplice e chiaro, ha suscitato un folla di menzogne flagranti, inaudite, impudenti sulle pagine di tutti i giornali capitalisti.

Si prenda il Dien di oggi. Vodovozov, che non si può certo accusare di simpatia per il bolscevismo, ma che è un democratico onesto, dichiara: "Io sono contrario ai trattati segreti". Permettetemi di parlare del trattato con la Romania, esiste infatti un trattato segreto con la Romania, in cui si dice che la Romania otterrà certi territori stranieri, se combatterà a fianco degli alleati. Assolutamente identici sono i trattati conclusi dagli altri alleati, che, senza stipulare un accordo, non si sarebbero accinti a soffocare tutti. Per informarsi sul contenuto di questi trattati, non c'è alcun bisogno di rovistare nelle riviste specializzate. Basta ricordare i fatti più importanti della storia economica e diplomatica. L'Austria, ad esempio, non ha marciato per decenni contro i Balcani, per soffocarli?... Se si è arrivati alla guerra, vuol dire che non si poteva fare altrimenti. Ecco perché, a tutti gli appelli delle masse popolari a pubblicare i trattati, appelli che divengono sempre più pressanti, l'ex ministro Miliukov e l'attuale ministro Terestcenko (il primo in un governo senza ministri socialisti, il secondo in un governo con tutta una schiera di ministri pseudosocialisti) rispondono dichiarando che pubblicare i trattati significa rompere con gli alleati.

Sì, è vero, non potete rendere pubblici i trattati, perché fate parte di una stessa banda di briganti. Concediamo volentieri a Miliukov e a Terestcenko che non si possono pubblicare i trattati. Ma da questo si possono derivare due diverse conclusioni. Se concediamo a Miliukov e a Terestcenko che non si possono pubblicare i trattati, che cosa ne consegue? Se è impossibile pubblicare i trattati, bisogna aiutare i ministri capitalisti a continuare la guerra. L'altra conclusione è questa: poiché i capitalisti non possono pubblicare i trattati, bisogna abbattere i capitalisti. Sta a voi decidere quale delle due conclusioni sia più giusta, ma vi invito tuttavia a riflettere sulle conseguenze. Se si ragiona al modo dei ministri populisti e menscevichi, si conclude che, poiché il governo afferma di non poter rendere pubblici i trattati, bisogna lanciare un nuovo manifesto. Il costo della carta non è ancora così alto che non si possono redigere nuovi manifesti. Scriviamone uno e propugniamo l'offensiva. Per che cosa? A quale fine? Agli ordini di chi? I soldati vengono incitati a realizzare i trattati di rapina con la Romania e con la Francia. Inviate l'articolo di Vodovozov al fronte e poi lamentatevi: sono di nuovo i bolscevichi, sono ancora i bolscevichi, non c'è dubbio, che hanno inventato il trattato con la Romania! Ma in tal caso non basta far sparire la Pravda dalla faccia della terra, bisogna espellere anche Vodovozov perché ha studiato la storia, bisogna dare alle fiamme i libri di Miliukov, perché si tratta di testi eccezionalmente pericolosi. Provatevi a sfogliare un qualsiasi libro del capo del partito della "libertà del popolo", ex ministro degli esteri. Sono libri eccellenti. Di che cosa parlano? Del fatto che la Russia ha dei "diritti" sugli Stretti, sull'Armenia, sulla Galizia e sulla Prussia orientale. L'autore ha ripartito tutte le zone e pubblicato in appendice una cartina. E quindi non basta mandare in Siberia i bolscevichi e Vodovozov per i loro articoli rivoluzionari, bisogna bruciare anche i libri di Miliukov, perché, se si tolgono da essi alcune semplici citazioni e si spediscono al fronte, nessun manifestino per quanto incendiario potrebbe sortire un effetto analogo.

Per restare nell'ambito del piano sommario, che ho abbozzato per la nostra conversazione, devo adesso affrontare il problema del "difensismo rivoluzionario". Ritengo che dopo quanto ho avuto l'onore di esporvi nel mio rapporto potrò trattare concisamente questo problema.

Il "difensismo rivoluzionario" consiste nel giustificare la guerra con il pretesto che noi abbiamo fatto la rivoluzione, che siamo quindi un popolo rivoluzionario, che siamo una democrazia rivoluzionaria. Ma quale è la nostra risposta, se ci si interroga su questo punto? Quale rivoluzione abbiamo fatto? Abbiamo rovesciato Nicola II. Questa rivoluzione non è stata troppo ardua rispetto a quella che dovrà rovesciare la classe dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti. Chi ha preso il potere, dopo la nostra rivoluzione? I grandi proprietari fondiari e i capitalisti, cioè le stesse classi che sono al potere in Europa da molto tempo. In Europa queste rivoluzioni sono avvenute cento anni or sono e il potere è detenuto ormai da un pezzo dai Terestcenko, dai Miliukov, dai Konovalov e poco importa che si paghi una lista civile ad un reuccio o che si faccia a meno di quest'articolo di lusso. La banca continua a essere una banca e, se i capitali sono investiti nelle concessioni, il profitto è sempre profitto, tanto in regime monarchico quanto in regime repubblicano. Se un qualsiasi paese selvaggio osa non obbedire al nostro capitale civilizzato, che crea banche stupende nelle colonie, in Africa, in Persia, se alcuni popoli selvaggi non si piegano alla nostra banca civilizzata, noi inviamo subito l'esercito per restaurare la civiltà, l'ordine e la cultura, come ha fatto Liakhov in Persia, come hanno fatto gli eserciti della Francia "repubblicana", che hanno sterminato con non minore crudeltà i popoli africani. Dov'è la differenza? È lo stesso "difensismo rivoluzionario", manifestato però dalle grandi masse inconsapevoli del popolo, le quali non colgono il rapporto tra la guerra e il governo e non sanno che questa politica è stata sancita nei trattati. I trattati sono rimasti, così le banche, così le concessioni. In Russia siedono oggi al governo i rappresentanti migliori proprio della classe dei grandi proprietari terrieri e dei capitalisti, ma il carattere della guerra mondiale non è cambiato per questo. Il nuovo "difensismo rivoluzionario" serve solo a occultare dietro la grande concezione della rivoluzione una guerra sporca e sanguinosa condotta in nome di trattati infami e ripugnanti.

La rivoluzione russa non ha modificato la guerra, ma ha creato organismi che non hanno riscontro in nessun altro paese e che non sono esistiti nella maggior parte delle rivoluzioni occidentali. Da esse è sorto soltanto un nuovo governo, come quello dei nostri Terestcenko e Konovalov, mentre il paese rimaneva passivo e disorganizzato. La rivoluzione russa è andata più avanti. In questo fatto è racchiusa in germe la sua possibilità di vincere la guerra. Accanto al governo dei ministri "pseudo-socialisti", accanto al governo della guerra imperialista e dell'offensiva, accanto al governo legato al capitale anglo-francese, accanto a questo governo e indipendentemente da esso, abbiamo oggi in tutta la Russia una rete di soviet di deputati degli operai, dei soldati e dei contadini. Ecco la rivoluzione che non ha ancora detto l'ultima parola. Ecco la rivoluzione che non ha riscontro nell'Europa occidentale. Ecco le organizzazioni delle classi che non hanno alcun reale bisogno delle annessioni, che non hanno depositato milioni nelle banche, che non hanno alcun interesse a sapere se il colonnello russo Liakhov e l'ambasciatore liberale inglese abbiano effettuato una giusta spartizione della Persia. La garanzia che la rivoluzione potrà andare più avanti è qui, nel fatto che queste classi, prive di qualsiasi interesse reale per le annessioni, nonostante la loro illimitata fiducia nel governo dei capitalisti, nonostante la spaventosa confusione e menzogna che caratterizzano la concezione stessa del "difensismo rivoluzionario", nonostante l'appoggio al prestito e al governo della guerra imperialista, sono riuscite a creare degli organismi in cui sono rappresentate le classi oppresse. Questi organismi sono i soviet di deputati degli operai, dei soldati e dei contadini, i quali, in numerose località della Russia, sono andati molto più avanti che a Pietrogrado, nella propria azione rivoluzionaria. E questo è del tutto naturale, perché l'organismo centrale dei capitalisti si trova appunto a Pietrogrado.

E quando Skobelev ha detto ieri: "Noi prenderemo l'intero profitto, il 100% del profitto", si è lasciato trascinare dal suo slancio ministeriale. Leggete la Riec di oggi e vedrete quale eco abbia suscitato questo brano del discorso di Skobelev. "Ma questa è la fame, vi si scrive, la morte: il 100% è tutto!". Il ministro Skobelev va più lontano del bolscevico più estremista. È una calunnia dire che i bolscevichi sono più a sinistra. Il ministro Skobelev è molto più "a sinistra". Mi hanno coperto delle ingiurie più infami perché avrei proposto di spogliare un po' i capitalisti. Quanto meno Sciulghin ha detto: "Bene, che ci spoglino!". Immaginate un bolscevico che si avvicini al cittadino Sciulghin e cominci a spogliarlo! No, costui dovrebbe accusare il ministro Skobelev. Noi non siamo mai andati così lontano. Non abbiamo mai proposto di prendere il 100% del profitto. Tuttavia questa promessa è preziosa. Leggete la risoluzione del nostro partito e vedrete che in essa proponiamo, in forma meglio argomentata, le stesse cose che io avevo proposto. Bisogna istituire il controllo sulle banche e quindi un'equa imposta sui redditi. Tutto qui! Skobelev propone invece di prendere cento centesimi su ogni rublo. Non abbiamo proposto e non proponiamo niente di simile. E Skobelev ha ceduto a un impulso passeggero. Non ha alcuna intenzione di far questo e, se avesse tale intenzione, non potrebbe farlo per la semplice ragione che è alquanto ridicolo promettere di queste cose e vivere in buon accordo con Terestcenko e Konovalov. Si può prendere l'80 o il 90% dei profitti dei milionari, ma a condizione di non andare a braccetto con tali ministri. Se i soviet dei deputati degli operai e dei soldati assumeranno il potere, prenderanno realmente qualcosa, ma non tutto, perché non ne avranno necessità. Prenderanno una gran parte dei profitti. Ma nessun altro potere statale sarà capace di farlo. Quanto al ministro Skobelev, può essere animato dalle migliori intenzioni. Da vari decenni ormai osservo questi partiti e da trent'anni milito nel movimento rivoluzionario. Meno di ogni altro sono propenso a dubitare delle loro buone intenzioni. Ma non di questo si tratta, le buone intenzioni non sono in causa. L'inferno ne è lastricato. E tutte le cancellerie sono piene di carte firmate dai cittadini ministri. Ma niente è cambiato. Se volete istituire il controllo, fate pure! Il nostro programma è tale che, alla lettura del discorso di Skobelev, possiamo dire: non chiediamo di più. Siamo molto più moderati del ministro Skobelev. Lui propone il controllo e il 100%. Noi non vogliamo prendere il 100% e diciamo: fino a quando non vi sarete messi all'opera, non avremo fiducia in voi. Ecco dove sta la differenza: noi non crediamo alle parole e alle promesse e consigliamo agli altri di non crederci. L'esperienza delle repubbliche parlamentari insegna che non si può prestar fede alle dichiarazioni che rimangono sulla carta. Se volete il controllo, cominciate a realizzarlo! Basta appena un giorno per promulgare la legge sul controllo. Il soviet degli impiegati di ogni banca, il soviet degli operai di ogni fabbrica, ogni partito hanno diritto di esercitare questo controllo. È impossibile, ci si dirà, c'è il segreto commerciale, c'è la sacrosanta proprietà privata! Ebbene, fate come vi pare, ma scegliete. Se volete tutelare tutti questi registri, i conti e le operazioni dei trusts, non dovete parlare del controllo, non dovete strepitare che il paese è sull'orlo della rovina.

In Germania le cose vanno anche peggio. In Russia ci si può procurare il pane, in Germania no. Si può far molto in Russia con l'organizzazione. In Germania non si può fare più niente. Non c'è più pane e il popolo è condannato a una catastrofe inevitabile. Oggi si scrive che la Russia è sull'orlo dell'abisso. Se questo è vero, è un delitto proteggere la "sacrosanta" proprietà privata. Che significano allora le proposte di controllo? Avete forse dimenticato che anche Nicola Romanov ha scritto molto in tema di controllo? In lui troverete ripetute mille volte parole come controllo statale, controllo pubblico, nomina di senatori. Nei due mesi seguiti alla rivoluzione gli industriali hanno saccheggiato tutta la Russia, assicurandosi utili molto alti sul capitale, come attesta ogni relazione dei consigli di amministrazione. Ma quando, due mesi dopo la rivoluzione, gli operai hanno avuto l' "audacia" di dire che volevano vivere in condizioni umane, tutta la stampa capitalista del paese ha levato alte grida. Ogni numero della Riec è un urlo selvaggio, contro gli operai che depredano il paese, mentre noi, si dice, promettiamo soltanto un controllo diretto contro i capitalisti. Non potete fare meno promesse e più fatti? Se volete un controllo burocratico, un controllo effettuato dagli stessi organi di prima, il nostro partito dichiara con profonda convinzione che non potrà darvi il minimo appoggio, benché abbiate al governo non una mezza dozzina, ma un'intera dozzina di ministri populisti e menscevichi. Solo il popolo può esercitare il controllo. Questo controllo devono organizzarlo i soviet degli impiegati di banca, i soviet degli ingegneri, i soviet degli operai. E devono esercitarlo subito. Ogni funzionario dovrà essere penalmente perseguibile, se deporrà il falso davanti a queste istituzioni. È in causa la salvezza del paese. E noi vogliamo sapere di quanto grano, di quante materie prime, di quanta forza-lavoro disponiamo, vogliamo sapere come ripartire queste cose.

Vengo adesso all'ultima questione, al modo come mettere fine alla guerra. Ci attribuiscono l'idea assurda di volere una pace separata. I briganti capitalisti di Germania fanno profferte di pace, dicendo: "Ti darò un pezzetto di Turchia e d'Armenia, se mi cederai dei territori ricchi di minerali". Ecco di che cosa parlano i diplomatici in ogni città neutrale! Nessuno lo ignora, anche se si ricorre ad una fraseologia diplomatica convenzionale. Del resto, i diplomatici esistono per poter parlare il linguaggio diplomatico. È assurda l'idea che noi vorremmo mettere fine alla guerra con una pace separata. Che una guerra condotta dai capitalisti delle potenze più ricche e generata da decenni di sviluppo economico possa concludersi con la decisione unilaterale di cessare le operazioni belliche è un'ipotesi talmente sciocca che è persino ridicolo star qui a confutarla. Se tuttavia abbiamo redatto un'apposita risoluzione per smentirla, si deve considerare che qui sono in causa le grandi masse, dinanzi alle quali si cerca di calunniarci. Ma non è certo il caso di parlare seriamente di tali cose. Ad una guerra condotta dai capitalisti di tutti i paesi si può mettere fine soltanto con la rivoluzione operaia contro questi capitalisti. Fino a che il controllo non sarà passato dalla sfera delle parole a quella dei fatti, fino a che il governo dei capitalisti non sarà divenuto il governo del proletariato rivoluzionario, fino ad allora il governo sarà costretto a ripetere: siamo perduti, siamo perduti, siamo perduti. Oggi, nella "libera" Inghilterra si incarcerano i socialisti perché dicono ciò che io sto dicendo. In Germania è stato imprigionato Liebknecht per aver detto quel che io dico. In Austria s'incarcera Friedrich Adler, che ha detto la stessa cosa con la pistola (e forse è stato già ucciso). In tutti i paesi la simpatia delle masse operaie è rivolta a questi socialisti e non a quelli che sono passati dalla parte dei loro capitalisti. La rivoluzione operaia avanza nel mondo intero. Naturalmente, negli altri paesi incontra maggiori difficoltà. Laggiù non ci sono dei pazzi come Nicola e Rasputin. Laggiù i migliori esponenti della classe dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti sono alla testa del governo. Laggiù non esistono le condizioni per una rivoluzione contro l'autocrazia. Laggiù il governo è nelle mani della classe capitalista. I rappresentanti più dotati di questa classe già governano da un pezzo. Ecco perché anche laggiù la rivoluzione, pur non essendo ancora scoppiata, è tuttavia inevitabile, per quanto grande sia il numero dei rivoluzionari che cadranno, come Friedrich Adler, come Karl Liebknecht. L'avvenire è con loro e gli operai di tutti i paesi sono con loro. E gli operai devono trionfare in tutti i paesi.

Riguardo all'entrata in guerra dell'America, vi dirò quanto segue. Si fa riferimento alla democrazia americana, alla Casa Bianca. Io dico: l'abolizione della schiavitù è avvenuta cinquant'anni fa. La guerra scatenata a causa della schiavitù si è conclusa nel 1865. Da quel tempo laggiù sono nati i miliardari, che tengono nel loro pugno finanziario tutta l'America, che preparano il soffocamento del Messico e inevitabilmente faranno guerra al Giappone per spartirsi il Pacifico. Questa guerra viene preparata già da qualche decennio. Lo attesta tutta una letteratura. E il vero scopo dell'entrata in guerra dell'America è il desiderio di prepararsi al futuro conflitto con il Giappone. Tuttavia il popolo americano gode di una notevole libertà ed è difficile che accetti il servizio militare obbligatorio e la creazione di un esercito che abbia scopi di conquista, che si batta ad esempio contro il Giappone. L'esempio dell'Europa mostra agli americani a che cosa conduca tutto questo. I capitalisti americani son dovuti intervenire in questa guerra per avere un pretesto con cui, invocando gli alti ideali della difesa dei diritti delle piccole nazionalità, creare un forte esercito permanente.

I contadini russi si rifiutano di dare il grano in cambio del denaro e chiedono attrezzi, calzature e indumenti. In questa decisione è racchiusa parzialmente una verità molto profonda. In realtà, il paese è giunto a un tal punto di sfacelo che in Russia si osserva oggi, benché in minor misura, quello che si riscontra già da un pezzo negli altri paesi: il denaro ha perso il suo potere. Il dominio del capitalismo è stato a tal punto minato dal corso degli eventi che i contadini, per esempio, rifiutano il denaro. "A che ci servono i soldi?", essi dicono. E hanno ragione. Il dominio del capitalismo non è minato perché taluni vogliono impadronirsi del potere. Sarebbe assurdo "impadronirsi" del potere. Sarebbe impossibile metter fine al dominio del capitalismo, se a ciò non conducesse tutto lo sviluppo economico dei paesi capitalisti. La guerra ha accelerato questo processo, rendendo ormai impossibile il capitalismo. Nessuna forza distruggerebbe il capitalismo, se la storia stessa non lo corrodesse e non lo minasse.

Ecco un esempio assai probante. Il contadino esprime ciò che tutti osservano: il potere del denaro è scalzato. Qui l'unica soluzione è la decisione dei soviet dei deputati degli operai e dei contadini di dare in cambio del grano attrezzi, calzature e indumenti. Ecco a che cosa conduce la realtà, ecco la risposta che ci suggerisce la vita. In caso contrario, decine di milioni di uomini sono costretti a restare affamati, senza calzature e senza indumenti. Decine di milioni di uomini sono sull'orlo dell'abisso, qui non si tratta di tutelare gli interessi dei capitalisti! L'unica soluzione è che tutto il potere passi nelle mani dei soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini, i quali rappresentano la maggioranza della popolazione. È possibile che si commettano qui degli errori. Nessuno pretende che si possa compiere di colpo un'opera così difficile. Noi non diciamo niente di simile. Ci si obietta: noi vogliamo che il potere passi nelle mani dei soviet, ma i soviet non lo vogliono. Replichiamo che l'esperienza suggerirà ai soviet e tutto il popolo vedrà, che non c'è altra soluzione. Noi non vogliamo "impadronirci" del potere, perché tutta l'esperienza delle rivoluzioni ci insegna che stabile è soltanto quel potere che poggia sulla maggioranza della popolazione. Quindi "impadronirsi" del potere sarebbe un'avventura, in cui il nostro partito non si getterà mai. Se il governo sarà il governo della maggioranza, forse condurrà una politica che sembrerà sbagliata nei primi tempi, ma non c'è altra soluzione. Si produrrà allora un pacifico mutamento di indirizzo politico all'interno di queste organizzazioni. Non si possono immaginare altre organizzazioni. Ecco perché affermiamo che non si può concepire una diversa soluzione del problema.

Come mettere fine alla guerra? Se il soviet dei deputati degli operai e dei soldati avrà preso il potere e i tedeschi continueranno la guerra, che cosa faremo? Chi si interessa alle posizioni del nostro partito avrà potuto leggere proprio in questi giorni, nella nostra Pravda, la citazione testuale di ciò che abbiamo affermato all'estero fin dal 1915: se la classe rivoluzionaria della Russia, la classe operaia, prenderà il potere, dovrà proporre la pace. E se i capitalisti tedeschi o di un altro paese respingeranno le nostre condizioni di pace, allora la classe operaia sarà tutta per la guerra. Non proponiamo di mettere fine alla guerra d'un sol colpo. Non lo promettiamo. Non preconizziamo una cosa impossibile e irrealizzabile come il metter fine alla guerra per volontà di una sola parte. Le promesse di questo genere non costano niente, ma non si possono mantenere. È impossibile uscire facilmente da una guerra così spaventosa. Si combatte da tre anni. O vi rassegnate a combattere per dieci anni o vi avviate verso una rivoluzione difficile, gravosa. Non c'è altra soluzione. Noi diciamo: la guerra, cominciata dai governi dei capitalisti, può concludersi soltanto con la rivoluzione operaia. Chi si interessa al movimento socialista avrà letto il Manifesto di Basilea, approvato all'unanimità nel 1912 dai partiti socialisti di tutto il mondo, un manifesto che abbiamo ripubblicato nella nostra Pravda e che non può essere riprodotto oggi in nessun paese belligerante, si tratti della "libera" Inghilterra o della Francia repubblicana, perché esso, ancor prima della guerra, diceva la verità sulla guerra. Ci sarà una guerra tra l'Inghilterra e la Germania, è detto nel Manifesto, a causa delle loro rivalità capitaliste. Si è accumulata tanta polvere da sparo, è detto nel manifesto, che le armi cominceranno a sparare da sé. Esso indicava inoltre i motivi della guerra e affermava che la guerra avrebbe condotto alla rivoluzione proletaria. Per questo di quei socialisti che dopo aver firmato il Manifesto sono passati dalla parte dei loro governi capitalisti diciamo che hanno tradito il socialismo. I socialisti si sono scissi in tutto il mondo. Ad alcuni son toccati i ministeri, ad altri le carceri. In tutto il mondo una parte dei socialisti predica la partecipazione alla guerra, mentre altri, come Eugene Debs, il Bebel americano, così stimato dagli operai americani, dichiarano: "Meglio morire fucilato che dare un solo centesimo per questa guerra! Io sono pronto a combattere, ma soltanto in una guerra del proletariato contro i capitalisti di tutto il mondo". Così si sono scissi i socialisti nel mondo intero. I socialpatrioti di tutti i paesi sono convinti di difendere la patria. Ma sbagliano, perché difendono gli interessi di un gruppo di capitalisti contro un altro gruppo. Noi predichiamo la rivoluzione proletaria, l'unica causa giusta per la quale decine di uomini sono stati impiccati e centinaia e migliaia di uomini sono stati gettati in carcere. I socialisti imprigionati sono una minoranza, ma hanno dalla loro la classe operaia, hanno dalla loro tutto lo sviluppo economico. Tutto questo ci dice che non esiste altra soluzione. Alla guerra in corso si può mettere fine soltanto con la rivoluzione operaia in alcuni paesi. Intanto dobbiamo preparare questa rivoluzione, facilitarla. Il popolo russo, con tutto il suo odio per la guerra e con tutta la sua volontà di pace, non poteva far altro, fino a quando la guerra era condotta dallo zar, che preparare la rivoluzione contro lo zar e abbattere lo zar. Così è stato. La storia ve lo ha confermato ieri e ve lo confermerà domani. Da molto tempo dicevamo: bisogna spingere avanti la rivoluzione russa in ascesa. L'abbiamo dichiarato alla fine del 1914. Per questo sono stati deportati in Siberia i nostri deputati alla Duma. A quel tempo ci obiettavano: "Ma voi non date una risposta. Incitate alla rivoluzione nel momento in cui gli scioperi sono finiti, in cui i deputati si trovano ai lavori forzati, in cui non c'è più un solo giornale!". Ci si accusava di voler eludere la domanda. Queste accuse, compagni, le abbiamo udite ripetere per anni. E noi rispondevamo: potete ben indignarvi, ma, fino a quando lo zar non sarà rovesciato, non ci sarà niente da fare contro la guerra. E la nostra previsione si è avverata. Non si è avverata pienamente, ma già comincia ad avverarsi. La rivoluzione comincia a modificare il carattere della guerra condotta dalla Russia. I capitalisti continuano la guerra e noi diciamo: fino a quando, la rivoluzione operaia non si realizzerà in alcuni paesi, la guerra non potrà finire, perché il potere resterà nelle mani di coloro che vogliono questa guerra. Ci si dice: "Tutto sembra dormire in molti paesi. In Germania tutti i socialisti sono favorevoli alla guerra, il solo Liebknecht è contrario". Rispondo: questo solo Liebknecht rappresenta la classe operaia, le speranze di tutti sono riposte soltanto in lui, nei suoi seguaci, nel proletariato tedesco. Non credete a questo? Ebbene, continuate la guerra! Non c'è altra soluzione. Se non credete in Liebknecht, se non credete nella rivoluzione degli operai, se non credete nella rivoluzione che sta maturando, se non credete in tutto questo, allora prestate fede ai capitalisti!

Nessuno, tranne la rivoluzione operaia in alcuni paesi, uscirà vincitore da questa guerra. La guerra non è un giuoco, la guerra è una cosa mostruosa, che costa milioni di vite umane e a cui non è facile mettere fine.

I soldati al fronte non possono staccarsi dallo Stato e decidere per proprio conto. I soldati al fronte sono una parte del paese. Fino a che lo Stato è in guerra, il fronte non farà che soffrire. Non c'è niente da fare. La guerra è stata provocata dalle classi dominanti, solo la rivoluzione della classe operaia potrà metterle fine. E la rapidità con cui avrete la pace dipenderà soltanto dallo sviluppo della rivoluzione. Non basta dire frasi sentimentali, non basta dichiarare: forza, smettiamo subito questa guerra! Per farlo è necessario lo sviluppo della rivoluzione. Quando il potere sarà passato nelle mani dei soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini, i capitalisti si pronunceranno contro di noi: il Giappone sarà contro, così la Francia, così l'Inghilterra, così i governi di tutti i paesi. Contro di noi si schiereranno i capitalisti, saranno con noi gli operai. Allora si metterà fine alla guerra scatenata dai capitalisti. Ecco la risposta da dare a chi domanda come metter fine alla guerra.

 


Ultima modifica 24.12.2003