Manoscritti economico-filosofici del 1844
Karl Marx(1844)

Proprietà privata e comunismo



* ad pag. XXXIX. Ma l'opposizione tra la mancanza di proprietà e la proprietà, sino a che non è intesa come l'opposizione tra il lavoro e il capitale, resta ancora un'opposizione indifferente, non ancora concepita nella sua relazione attiva col suo rapporto interno, cioè non ancora concepita come contraddizione. Questa opposizione si può esprimere nella sua prima forma, anche là dove il movimento della proprietà privata non è ancora progredito, come nell'antica Roma, in Turchia, ecc. In tal modo l'opposizione non appare ancora posta dalla proprietà privata stessa. Ma il lavoro, l'essenza soggettiva della proprietà privata in quanto esclusione della proprietà, e il capitale, il lavoro oggettivo in quanto esclusione del lavoro, è la proprietà privata come rapporto in cui la contraddizione è già sviluppata, e quindi come rapporto energico che con duce alla risoluzione.

** ad ibid. La soppressione della autoestraniazione percorre la stessa strada dell'autoestraniazione. In un primo tempo la proprietà privata viene considerata soltanto nel suo lato oggettivo; però il lavoro è pur sempre considerato come la sua essenza. La sua forma d'esistenza è quindi il capitale, che deve essere soppresso «come tale» (Proudhon). Oppure una. forma particolare di lavoro, cioè il lavoro livellato, suddiviso, e quindi non libero, è considerato come la fonte della dannosità della proprietà privata e della sua esistenza estranea all'uomo. Fourier, il quale, conformemente alla dottrina dei fisiocrati, considera di nuovo il lavoro agricolo per lo meno come il lavoro per eccellenza, mentre Saint-Simon considera al contrario come essenziale il lavoro industriale come tale e vuole soltanto il dominio esclusivo degli industriali e il miglioramento delle condizioni degli operai. Infine, il comunismo è l'espressione positiva della proprietà privata soppressa, e quindi in primo luogo la proprietà privata generale, Il comunismo comprendendo questo rapporto nella sua generalità è: I) nella sua prima forma soltanto la generalizzazione e il compimento della proprietà privata. Come tale si mostra in duplice forma: anzitutto, il dominio della proprietà sulle cose è così grande ai suoi occhi che esso vuole annientare tutto ciò che non è atto ad essere posseduto da tutti come proprietà privata; vuole quindi prescindere violentemente dal talento, ecc. Il possesso fisico immediato ha per esso il valore di unico scopo della vita e dell'esistenza; l'attività degli operai non viene soppressa ma estesa a tutti gli uomini; il rapporto della proprietà privata rimane il rapporto della comunità col mondo delle cose; infine tale movimento che consiste nell'opporre la proprietà privata generale alla proprietà privata, si esprime in una forma animale come la seguente: al matrimonio (che è indubbiamente una forma di proprietà privata esclusiva) si contrappone la comunanza delle donne, dove la donna diventa proprietà della comunità, una proprietà comune. Si può dire che questa idea della comunanza delle donne è il mistero rivelato di questo comunismo ancor rozzo e materiale. Allo stesso modo che la donna passa dal matrimonio alla prostituzione generale, cosi l'intero mondo della ricchezza, cioè dell'essenza oggettiva dell'uomo, passa dal rapporto di matrimonio esclusivo col proprietario privato al rapporto di prostituzione generale con la comunità. Questo comunismo, in quanto nega ovunque la personalità dell'uomo, non è proprio altro che l'espressione conseguente della proprietà privata, la quale è questa negazione. L'invidia universale, che si trasforma in una forza, non è altro che la forma mascherata sotto cui si presenta l'avidità, e in cui trova ma soltanto in un altro modo la propria soddisfazione. L'idea di ogni proprietà privata come tale è per lo meno rivolta contro la proprietà privata più ricca sotto forma di invidia e di tendenza al livellamento, tanto che questa stessa invidia e questa stessa tendenza al livellamento costituiscono persino l'essenza della concorrenza. Il comunista rozzo non è che il compimento di questa invidia e di questo livellamento partendo dalla rappresentazione minima. Egli ha una misura determinata e limitata. Proprio la negazione astratta dell'intero mondo della cultura e della civiltà, il ritorno alla semplicità innaturale [IV] dell'uomo povero e senza bisogni, che non solo non è andato oltre la proprietà privata ma non vi è neppure ancora arrivato, dimostrano quanto poco questa soppressione della proprietà privata sia una appropriazione reale.

La comunità non è altro che una comunità del lavoro e l'uguaglianza del salario, il quale viene pagato dal capitale comune, dalla comunità in veste di capitalista generale. Entrambi i termini del rapporto vengono elevati ad una universalità rappresentata: il lavoro in quanto è la determinazione in cui ciascuno è posto, il capitale in quanto è la generalità riconosciuta e la potenza riconosciuta dalla comunità.

Nel rapporto con la donna, in quanto essa è la preda e la serva del piacere della comunità, si esprime l'infinita degradazione in cui vive l'uomo per se stesso: infatti il segreto di questo rapporto ha la sua espressione inequivocabile, decisa, manifesta, scoperta, nel rapporto del maschio con la femmina e nel modo in cui viene inteso il rapporto immediato e naturale della specie. Il rapporto immediato, naturale, necessario dell'uomo con l'uomo è il rapporto del maschio con la femmina. In questo rapporto naturale della specie il rapporto dell'uomo con la natura è immediatamente il rapporto dell'uomo con l'uomo, allo stesso modo che il rapporto con l'uomo è immediatamente il rapporto dell'uomo con la natura, cioè la sua propria determinazione naturale. Cosi in questo rapporto appare in modo sensibile, cioè ridotto ad un fatto d'intuizione, sino a qual punto per l'uomo l'essenza umana sia diventata natura o la natura sia diventata l'essenza umana dell'uomo. In base a questo rapporto si può dunque giudicare interamente il grado di civiltà cui l'uomo è giunto. Dal carattere di questo rapporto si ricava sino a qual punto l'uomo come essere appartenente ad una specie si sia fatto uomo, e si sia compreso come uomo; il rapporto del maschio con la femmina è il più naturale dei rapporti che abbiano luogo tra uomo e uomo. In esso si mostra sino a che punto il comportamento naturale dell'uomo sia diventato umano oppure sino a che punto l'essenza umana sia diventata per lui essenza naturale, e la sua natura umana sia diventata per lui natura. In questo rapporto si mostra ancora sino a che punto il bisogno dell'uomo sia diventato bisogno umano, e dunque sino a che punto l'altro uomo in quanto uomo sia diventato per lui un bisogno, ed egli nella sua esistenza più individuale sia ad un tempo comunità.

La prima soppressione positiva della proprietà privata, il comunismo rozzo, è dunque soltanto una manifestazione della abiezione della proprietà privata che si vuol porre come comunità positiva.

2) Il comunismo: a) ancora di natura politica, nelle due specie democratica e dispotica; b) accompagnato dalla soppressione dello stato, ma ad un tempo non ancora giunto al proprio compimento e pur sempre affetto dalla proprietà privata, cioè dalla estraniazione dell'uomo. In entrambe le forme il comunismo sa già di essere la reintegrazione o il ritorno dell'uomo a se stesso, la soppressione della autoestraniazione dell'uomo, ma non avendo ancora colto l'essenza positiva della proprietà privata, ed avendo altrettanto poco compreso la natura umana del bisogno, rimane ancora avvinghiato e infetto dalla proprietà privata. Ha, sì, compreso il suo concetto, ma non la sua essenza.

3) Il comunismo come soppressione positiva della proprietà privata intesa come autoestraniazione dell'uomo, e quindi come reale appropriazione dell'essenza dell'uomo mediante l'uomo e per l'uomo; perciò come ritorno dell'uomo per sé, dell'uomo come essere sociale, cioè umano, ritorno completo, fatto cosciente, maturato entro tutta la ricchezza dello svolgimento storico sino ad oggi. Questo comunismo s'identifica, in quanto naturalismo giunto al proprio compimento, con l'umanismo, in quanto umanismo giunto al proprio compimento, col naturalismo; è la vera risoluzione dell'antagonismo tra la natura e l'uomo, tra l'uomo e l'uomo, la vera risoluzione della contesa tra l'esistenza e l'essenza, tra l'oggettivazione e l'autoaffermazione, tra la libertà e la necessità, tra l'individuo e la specie. E' la soluzione dell'enigma della storia, ed è consapevole di essere questa soluzione.

[V] L'intero movimento della storia è quindi l'atto reale di generazione del comunismo - l'atto di nascita della sua esistenza empirica; ma è anche per la sua coscienza pensante il movimento, compreso e reso cosciente, del suo divenire, mentre il comunismo non ancora giunto al proprio compimento cerca per sé una prova storica, una prova in quella situazione di fatto, traendola da singole forme storiche antitetiche alla proprietà privata; e a questo scopo estrae singoli momenti dal movimento storico (Cabet, Villegardelle, ecc., ne hanno fatto particolarmente il loro cavallo di battaglia) e li fissa come prove storiche della purezza del suo sangue; ma con ciò riesce proprio a dimostrare che la parte incomparabilmente più grande di questo movimento contraddice alle sue affermazioni e che, se mai esso sia qualche volta esistito, proprio il fatto di essere esistito nel passato è in contraddizione con la pretesa di valere come essenza.

Si vede facilmente la necessità che l'intero movimento rivoluzionario trovi la propria base tanto empirica che teoretica nel movimento della proprietà privata, per l'appunto dell'economia.

Questa proprietà privata materiale, immediatamente sensibile, è l'espressione materiale e sensibile della vita umana estraniata. Il suo movimento - la produzione e il consumo - è la rivelazione sensibile del movimento di tutta la produzione sino ad oggi, cioè della realizzazione o realtà dell'uomo. La religione, la famiglia, lo stato, il diritto, la morale, la scienza, l'arte, ecc., non sono che modi particolari della produzione e cadono sotto la sua legge universale. La soppressione positiva della proprietà privata, in quanto appropriazione della vita umana, è dunque la soppressione positiva di ogni estraniazione, e quindi il ritorno dell'uomo, dalla religione, dalla famiglia, dallo stato, ecc., alla sua esistenza umana, cioè sociale. L'estraniazione religiosa come tale ha luogo soltanto nella sfera della coscienza [,] dell'interiorità umana; invece l'estraniazione economica è l'estraniazione della vita reale, onde la sua soppressione abbraccia l'uno e l'altro lato. S'intende che nei diversi popoli il primo inizio del movimento è diverso secondo che la vita vera e riconosciuta del popolo si svolga più nella coscienza che nel mondo esterno, sia più ideale che reale. Il comunismo comincia subito con l'ateismo (Owen), ma l'ateismo è ancora in principio ben lungi dall'essere comunismo: quell'ateismo è ancora più che altro un'astrazione1.

La filantropia dell'ateismo, quindi, è anzitutto soltanto una astratta filantropia filosofica; quella del comunismo è subito reale e immediatamente tesa verso il risultato effettivo.

Abbiamo visto che, presupposta la soppressione positiva della proprietà privata, l'uomo produce l'uomo, cioè produce se stesso e l'altro uomo; abbiamo visto poi che l'oggetto, che è l'attuazione immediata della sua individualità, è ad un tempo la sua propria esistenza per l'altro uomo, l'esistenza di questo e l'esistenza di questo per lui. Ma sia il materiale del lavoro sia l'uomo come soggetto sono nella stessa misura tanto il risultato quanto il punto di partenza del movimento (e nel fatto che l'uno e l'altro debbano essere il punto di partenza, consiste per l'appunto la necessità storica della proprietà privata). Quindi il carattere sociale è il carattere universale di tutto il movimento: come la società stessa produce l'uomo in quanto uomo, cosi l'uomo produce la società. L'attività e il godimento sono sociali tanto per il loro contenuto quanto per la loro origine: perciò sono attività sociale e godimento sociale. L'essenza umana della natura esiste soltanto per l'uomo sociale: infatti soltanto qui la natura esiste per l'uomo come vincolo con l'uomo, come esistenza di lui per l'altro e dell'altro per lui, e così pure come elemento vitale della realtà umana, soltanto qui essa esiste come fondamento della sua propria esistenza umana. Soltanto qui l'esistenza naturale dell'uomo è diventata per l'uomo esistenza umana; la natura è diventata uomo. Dunque la società è l'unità essenziale, giunta al proprio compimento, dell'uomo con la natura, la vera risurrezione della natura, il naturalismo compiuto dell'uomo e l'umanismo compiuto della natura.

[VI] L'attività sociale e il godimento sociale non esistono affatto soltanto nella forma di una attività immediatamente comune e di un godimento immediatamente comune, per quanto l'attività comune e il godimento comune, vale a dire l'attività e il godimento, che trovano la loro estrinsecazione e la loro conferma immediatamente in una società reale con altri uomini, avranno luogo ovunque quella espressione immediata della socialità sia fondata sull'essenza del suo contenuto e commisurata alla sua natura.

Anche quando io esplico soltanto un'attività scientifica, attività che io raramente posso esplicare in comunità immediata con altri, io esplico un'attività sociale, perché agisco come uomo. Non soltanto mi è dato come prodotto sociale il materiale della mia attività - come la stessa lingua di cui lo scienziato si vale per esplicare la propria attività -ma è un'attività sociale la mia stessa esistenza, onde quel che io faccio da me, lo faccio da me per la società e con la coscienza di essere un essere sociale.

La mia coscienza universale non è altro che la forma teoretica di ciò di cui la comunità reale, l'essere sociale, è la forma vivente, mentre al giorno d'oggi la coscienza universale è un'astrazione della vita reale e come tale si contrappone in forma ostile alla vita. Per questo anche l'attività della mia coscienza universale - in quanto tale - è la mia esistenza teoretica come essere sociale.

Anzitutto bisogna evitare di fissare di nuovo la «società» come astrazione di fronte all'individuo. L'individuo è l'essere sociale. Le sue manifestazioni di vita - anche se non appaiano nella forma immediata di manifestazioni di vita in comune, cioè compiute ad un tempo con altri - sono quindi una espressione e una conferma della vita sociale. La vita individuale dell'uomo e la sua vita come essere appartenente ad una specie non differiscono tra loro, nonostante che il modo di esistere della vita individuale sia - e sia necessariamente - un modo più particolare o più universale della vita nella specie, e per quanto, e ancor più, la vita nella specie sia una vita individuale più particolare o più universale.

Come coscienza di appartenere ad una specie l'uomo conferma la sua vita sociale reale e null'altro fa che ripetere la sua esistenza reale nel pensiero; inversamente, l'essere che appartiene ad una specie si conferma nella coscienza della specie ed è nella sua universalità, come essere pensante, per sé.

L'uomo, per quanto sia da quel che si è detto un individuo particolare, e sia proprio la sua particolarità che lo fa diventare un individuo e un essere reale individuale della comunità, tuttavia è la totalità, la totalità ideale, l'esistenza soggettiva della società pensata e sentita per sé, allo stesso modo che esiste pure nella realtà tanto in forma di intuizione e di godimento reale dell'esistenza sociale, quanto come totalità delle manifestazioni vitali dell'uomo.

Pensiero ed essere son dunque, si, distinti, ma, nello stesso tempo, uniti l'uno all'altro.

La morte in quanto è una dura vittoria della specie sull'individuo e sulla sua unità sembra in contraddizione con quel che si è detto; ma l'individuo determinato non è altro che un essere determinato appartenente ad una specie e quindi come tale è mortale.

4) Come la proprietà privata è soltanto l'espressione sensibile del fatto che l'uomo diventa nello stesso tempo oggettivo per sé ed anzi si riduce insieme ad essere un oggetto estraneo e inumano, che le sue manifestazioni di vita sono l'alienazione della sua vita, che il suo realizzarsi è il suo annientarsi, è una realtà estranea; così la soppressione positiva della proprietà privata, cioè l'appropriazione sensibile dell'essere e della vita dell'uomo, dell'uomo oggettivo, delle opere umane per l'uomo e mediante l'uomo, deve intendersi non soltanto nel senso del godimento immediato, unilaterale, non solo nel senso del possesso, nel senso dell'avere qualche cosa. L'uomo si appropria del suo essere onnilaterale in maniera onnilaterale, e quindi come uomo totale. Tutti i rapporti umani che l'uomo ha col mondo, vedere, udire, odorare, gustare, toccare, pensare, intuire, sentire, volere, agire, amare, in breve tutti gli organi che costituiscono la sua individualità, così come gli organi che sono immediatamente nella loro forma organi comuni, [VII] sono nel loro comportamento oggettivo o nel loro comportamento di fronte all'oggetto, l'appropriazione di questo stesso oggetto. L'appropriazione della realtà umana, il comportamento di questa di fronte all'oggetto è l'attuazione della realtà umana2: l'agire e anche il patire umano, dato che il patire, umanamente inteso, è un godimento proprio dell'uomo.

La proprietà privata ci ha resi così ottusi ed unilaterali che un oggetto è considerato nostro soltanto quando lo abbiamo, e quindi quando esso esiste per noi come capitale o è da noi immediatamente posseduto, mangiato, bevuto, portato sul nostro corpo, abitato, ecc., in breve, quando viene da noi usato; sebbene la proprietà privata concepisca a sua volta tutte queste realizzazioni immediate del possesso soltanto come mezzi di vita, e la vita, a cui servono come mezzi, sia la vita della proprietà privata, del lavoro e della capitalizzazione. Al posto di tutti i sensi fisici e spirituali è quindi subentrata la semplice alienazione di tutti questi sensi, il senso dell'avere. L'essere umano doveva essere ridotto a questa assoluta povertà, affinché potesse estrarre da sé la sua ricchezza interiore. (Sopra la categoria dell'avere vedi Hess nei Ventun fogli)3. La soppressione della proprietà privata rappresenta quindi la completa emancipazione di tutti i sensi e di tutti gli attributi umani; ma è una emancipazione siffatta appunto perché questi sensi e questi attributi sono diventati umani, sia soggettivamente sia oggettivamente. L'occhio è diventato occhio umano non appena il suo oggetto è diventato un oggetto sociale, umano, che procede dall'uomo per l'uomo. Perciò i sensi sono diventati immediatamente, nella loro prassi, dei teorici. Essi si riferiscono alla cosa in grazia della cosa; ma la cosa stessa implica un riferimento oggettivo umano a se stessa e all'uomo, e viceversa4. Il bisogno o il godimento hanno perciò perduto la loro natura egoistica, e la natura ha perduto la sua mera utilità, dal momento che l'utile è diventato l'utile umano. Parimenti i sensi e il modo di goderne degli altri uomini sono diventati la mia propria appropriazione. Oltre questi organi immediati si formano quindi organi sociali, nella forma della società: per esempio, l'attività che io esplico immediatamente in società con altri, ecc., è diventata organo di una manifestazione vitale e un modo di appropriarsi la vita umana. S'intende che l'occhio umano gode in modo diverso dall'occhio rozzo, inumano, l'orecchio umano in modo diverso dall'orecchio rozzo, ecc. Abbiamo visto che l'uomo non si perde nel suo oggetto soltanto quando questo diventa per lui o un oggetto umano o un uomo oggettivo. Il che è possibile soltanto qualora l'oggetto diventi per lui un oggetto sociale ed egli stesso diventi per se stesso un essere sociale, allo stesso modo che la società diventa per lui un essere in questo oggetto. Per un verso, quindi, in quanto la realtà oggettiva diventa ovunque per l'uomo nella società come la realtà delle forze essenziali dell'uomo, come la realtà umana, e perciò come la realtà delle sue proprie forze essenziali, tutti gli oggetti diventano per lui l'ggettivazione di se stesso, diventano gli oggetti che realizzano e confermano la sua individualità, i suoi oggetti, in altre parole egli stesso diventa oggetto. Come gli oggetti divengano per lui i suoi oggetti, dipende dalla natura dell'oggetto e dalla natura della forza essenziale ad essa corrispondente; infatti, proprio la particolarità di questo rapporto costituisce il modo particolare, reale della affermazione. Un oggetto si presenta all'occhio in modo diverso da quel che si presenti all'orecchio, e l'oggetto dell'occhio è diverso da quello dell'orecchio. La particolarità di ogni forza essenziale è appunto la sua essenza particolare, e quindi anche il modo particolare della sua oggettivazione, del suo essere vivente, oggettivo e reale. Non solo dunque nel pensiero, [VIII] ma anche con tutti i suoi sensi l'uomo si afferma nel mondo oggettivo. Per l'altro verso, dal punto di vista soggettivo: come soltanto la musica risveglia il senso musicale dell'uomo; come la più bella musica non ha per un orecchio non musicale nessun senso, [non] rappresenta un oggetto, dal momento che il mio oggetto può essere soltanto la conferma di una mia forza essenziale, e quindi può essere per me soltanto nella misura in cui la mia forza essenziale in quanto facoltà soggettiva è per sé, estendendosi il senso di un oggetto per me quanto si estende il mio senso (e un oggetto ha un senso soltanto per il senso corrispondente); così i sensi dell'uomo, sociale sono diversi da quelli dell'uomo non sociale. Soltanto attraverso l'intero svolgimento oggettivo della ricchezza dell'essere umano, viene in parte educata, in parte prodotta la ricchezza della sensibilità soggettiva dell'uomo, e parimenti Un orecchio per la musica, un occhio per la bellezza della forma, in breve i soli sensi capaci di un godimento umano, quei sensi che si confermano come forze essenziali dell'uomo. Infatti non solo i cinque sensi, ma anche i cosiddetti sensi spirituali, i sensi pratici (il volere, l'amore, ecc.), in una parola il senso umano, l'umanità dei sensi, si formano soltanto attraverso l'esistenza dell'oggetto loro proprio, attraverso la natura umanizzata. L'educazione dei cinque sensi è un'opera di tutta la storia del mondo sino ad oggi. Inoltre il senso, prigioniero dei bisogni pratici primordiali, ha soltanto un senso limitato. Per l'uomo affamato non esiste la forma umana dei cibi, ma soltanto la loro esistenza astratta come cibi; potrebbero altrettanto bene esser presenti nella loro forma più rozza, e non si può dire in che cosa differisca questo modo di nutrirsi da quello delle bestie. L'uomo in preda alle preoccupazioni e al bisogno non ha sensi per il più bello tra gli spettacoli; il trafficante in minerali vede soltanto il valore commerciale, ma non la bellezza e la natura caratteristica del minerale; non ha alcun senso mineralogico; e quindi occorreva l'oggettivazione dell'essere umano, tanto dal punto di vista teoretico che dal punto di vista pratico, sia per rendere umano il senso dell'uomo, sia per creare un senso umano che fosse corrispondente a tutta la ricchezza dell'essere umano e naturale.

Come attraverso il movimento della proprietà privata, della sua ricchezza e della sua miseria - o più precisamente della sua ricchezza e della sua miseria tanto materiali che spirituali - la società in formazione trova innanzi a sé: tutto il materiale necessario a questa educazione; cosi la società già formata produce l'uomo in tutta questa ricchezza del suo essere, produce l'uomo ricco e profondamente sensibile a tutto come sua stabile realtà.

Si vede come il soggettivismo e l'oggettivismo, lo spiritualismo e il materialismo, l'agire e il patire smarriscano la loro opposizione soltanto nello stato sociale, e quindi perdano la loro esistenza in quanto opposizioni; si vede come la soluzione delle opposizioni teoretiche sia possibile soltanto in maniera pratica, soltanto attraverso l'energia pratica dell'uomo, e come questa soluzione non sia per nulla soltanto un compito della conoscenza, ma sia anche un compito reale della vita, che la filosofia non poteva adempiere, proprio perché essa intendeva questo compito soltanto come un compito teoretico.

Si vede come la storia dell'industria e l'esistenza oggettiva già formata dell'industria sia il libro aperto delle forze essenziali dell'uomo, la psicologia umana, presente ai nostri occhi in modo sensibile. Questa storia dell'industria sino ad, oggi è stata intesa non nella sua connessione con l'essere dell'uomo, ma sempre soltanto in una relazione esteriore d'utilità, per il fatto che muovendosi nell'ambito dell'estraniazione, non si è saputo far altro che prendere in considerazione l'esistenza universale dell'uomo, la religione o la storia nella loro essenza universale e astratta, cioè come politica, come arte, come letteratura, ecc., [IX] come realtà delle forze essenziali dell'uomo e come atti dell'uomo in quanto essere appartenente ad una specie. Nell'industria ordinaria, materiale, noi abbiamo dinanzi a noi oggettivate le forze essenziali dell'uomo sotto forma di oggetti sensibili, estranei, utili, sotto forma dell'estraniazione: questa industria può essere considerata tanto come una parte del movimento universale, quanto come una parte speciale dell'industria, dato che ogni umana attività è stata sinora lavoro, e quindi industria, cioè attività resa estranea a se stessa. Una psicologia, per la quale sia chiuso questo libro, cioè sia chiusa proprio la parte della storia più presente e più accessibile ai sensi, non può diventare una scienza effettiva, ricca di contenuto e reale. Che cosa si può pensare in generale di una scienza che astrae sdegnosamente da questa grande parte del lavoro umano, e non sente in se stessa la propria incompletezza sino al punto che una sfera cosi ricca e cosi estesa dell'operare umano non le dice altra cosa che quella che si può dire in una parola: «bisogno» «bisogno volgare!?»

Le scienze naturali hanno sviluppato una enorme attività e si sono appropriate di un materiale sempre in aumento. La filosofia è rimasta frattanto estranea a loro, tanto quanto le scienze naturali sono rimaste estranee alla filosofia. La loro momentanea unione è stata soltanto un'illusione fantastica. C'era la volontà, ma mancava la capacità. La storiografia stessa tien conto della scienza naturale solo di sfuggita, come momento della illuminazione e della utilità di alcune singole grandi scoperte. Ma la scienza naturale si è intromessa tanto più praticamente nella vita dell'uomo mediante l'industria, e l'ha trasformata, e ha preparato l'emancipazione dell'uomo, pur avendo dovuto immediatamente condurre a compimento la sua disumanizzazione. L' industria è il rapporto storico reale della natura e quindi della scienza naturale con l'uomo; perciò, se essa viene intesa come la rivelazione essoterica delle forze essenziali dell'uomo, viene pure compresa l'essenza umana della natura o l'essenza naturale dell'uomo; di conseguenza le scienze naturali5 perdono la loro direzione astrattamente materiale o meglio idealistica, e diventano la base della scienza umana, come già ora son diventate, per quanto in forma estraniata, la base della vita umana reale; onde il dire che una è la base della vita e un'altra è quella della scienza è sin da principio una menzogna. La natura che diviene nella storia dell'uomo, nell'atto di nascita della società umana, è la natura reale dell'uomo, onde la natura, quale diviene attraverso l'industria, se pure in forma estraniata, è la vera natura antropologica.

La sensibilità (vedi Feuerbach) deve costituire la base di ogni scienza. Questa è scienza reale soltanto se procede dalla sensibilità, nella sua duplice forma, tanto della coscienza sensibile quanto del bisogno sensibile: dunque soltanto se procede dalla natura. Tutta la storia è la storia della preparazione a che l' «uomo» diventi oggetto della coscienza sensibile e il bisogno dell'«uomo in quanto uomo» diventi bisogno. La storia stessa è una parte reale della storia naturale, della natura che diventa uomo. La scienza naturale sussumerà in un secondo tempo sotto di sé la scienza dell'uomo, allo stesso modo che la scienza dell'uomo sussumerà la scienza della natura: allora ci sarà una sola scienza.

[X] L'uomo è l'oggetto immediato della scienza naturale; infatti la natura sensibile immediata per l'uomo è immediatamente la sensibilità umana (espressioni equivalenti), immediatamente come l'altro uomo presente a lui in modo sensibile, dato che la sua propria sensibilità si costituisce per lui stesso come sensibilità umana soltanto attraverso l'altro uomo. Ma la natura è l'oggetto immediato della scienza dell'uomo; il primo oggetto dell'uomo - l'uomo - è la natura, la sensibilità; e le forze essenziali sensibili particolari dell'uomo, allo stesso modo che possono trovare la loro realizzazione oggettiva soltanto in oggetti naturali, possono altresì trovare in generale la conoscenza di sé soltanto nella scienza degli enti naturali. Di natura sensibile è pure l'elemento stesso del pensiero, l'elemento della manifestazione vitale del pensiero, il linguaggio. La realtà sociale della natura, la scienza umana della natura, la scienza naturale dell'uomo sono espressioni equivalenti.

Si vede come al posto della ricchezza e della miseria come le considera l'economia politica, subentri l'uomo ricco e la ricchezza di bisogni umani. L'uomo ricco è ad un tempo l'uomo che ha bisogno di una totalità di manifestazioni di vita umane, l'uomo in cui la sua propria realizzazione esiste come necessità interna, come bisogno. Facendo l'ipotesi del socialismo, non soltanto la ricchezza, ma anche la povertà dell'uomo riceve in egual misura un significato umano e quindi sociale. E il vincolo passivo che fa sentire all'uomo come bisogno la più grande delle ricchezze, l'altro uomo. Il dominio in me dell'essere oggettivo, il prorompere sensibile dell'attività del mio essere, costituisce quella passione, che qui per ciò stesso diventa l'attività del mio essere.

5) Un essere si considera indipendente soltanto quando è padrone di sé, ed è padrone di sé soltanto quando è debitore a se stesso della propria esistenza. Un uomo, che vive della grazia altrui, si considera come un essere dipendente. Ma io vivo completamente della grazia altrui quando sono debitore verso l'altro non soltanto del sostentamento della mia vita, ma anche quando questi ha oltre a ciò creato la mia vita, è la fonte della mia vita; e la mia vita ha necessariamente un tale fondamento fuori di sé, quando non è la mia propria creazione. La creazione è quindi una rappresentazione assai difficile da sradicare dalla coscienza del popolo; questi infatti non riesce a concepire che la natura e l'uomo possano esistere per opera propria, posto che ciò contraddice a tutti i dati evidenti della vita pratica.

La teoria della creazione della terra ha ricevuto un fortissimo colpo dalla geognosia, cioè dalla scienza che presenta la formazione, il divenire della terra come un processo, come una generazione spontanea. La generatio aequivoca è l'unica confutazione pratica della teoria della creazione.

Ormai è certamente facile dire all'individuo singolo quello che già disse Aristotele: tu sei generato da tuo padre e da tua madre, e quindi la congiunzione di due esseri umani, cioè un atto proprio della specie umana ha prodotto in te l'uomo. Tu vedi dunque che l'uomo è debitore della sua esistenza anche fisicamente all'uomo. Devi quindi tener presente non un unico lato soltanto, cioè il progresso infinito per cui vieni a chiedere chi ha generato mio padre, chi suo nonno e via di seguito. Tu devi anche porre attenzione al movimento circolare, che si può vedere sensibilmente in quel progresso, in base al quale l'uomo nella generazione riproduce se stesso, e l'uomo rimane quindi sempre soggetto. Però tu mi potrai rispondere: io ti concedo questo movimento circolare, ma tu devi concedermi a tua volta il progresso che mi spinge sempre più indietro sino a farmi domandare chi ha generato il primo uomo e in generale la natura. Posso limitarmi a controbattere: la tua domanda è essa stessa un prodotto dell'astrazione. Domandati come hai fatto ad arrivare a questa domanda; domandati se la tua domanda non proceda da un punto di vista, a cui non posso rispondere perché è assurdo. Domandati se quel progresso esista come tale per un pensiero razionale. Quando tu ti poni la domanda intorno alla creazione della natura e dell'uomo, fai astrazione dall'uomo e dalla natura. Tu li poni come non esistenti, eppure vuoi che te li provi come esistenti. Ed io ora ti dico: se rinunci alla tua astrazione, devi rinunciare pure alla tua domanda; se vuoi invece rimaner fedele alla tua astrazione, devi essere conseguente, e se pensi [XI] l'uomo e la natura come non esistenti, allora pensa come non esistente anche te stesso, perché tu stesso sei pure natura e uomo. Non pensare, non interrogarmi, perché non appena pensi e interroghi, la tua astrazione dall'essere della natura e dell'uomo perde ogni senso. Oppure sei tu un tale egoista che ogni cosa poni nel nulla, ma ciò nonostante vuoi essere ?

Tu puoi ribattere: Io non voglio porre la natura nel nulla, ecc.; voglio interrogarti intorno all'atto d'origine della natura, come interrogo l'anatomo intorno alla formazione delle ossa.

Ma siccome per l'uomo socialista tutta la cosiddetta storia del mondo non è altro che la generazione dell'uomo mediante il lavoro umano, null'altro che il divenire della natura per l'uomo, egli ha la prova evidente, irresistibile, della sua nascita mediante se stesso, del processo della sua origine. Dal momento che la essenzialità dell'uomo e della natura è diventata praticamente sensibile e visibile, dal momento che è diventato praticamente sensibile6 e visibile l'uomo per l'uomo come esistenza della natura, e la natura per l'uomo come esistenza dell'uomo, è diventato praticamente improponibile il problema di un essere estraneo, di un essere superiore alla natura e all'uomo, dato che questo problema implica l'ammissione della inessenzialità della natura e dell'uomo. L'ateismo, in quanto negazione di questa inessenzialità, non ha più alcun senso; infatti l'ateismo è, si, una negazione di Dio e pone attraverso questa negazione l'esistenza dell'uomo, ma il socialismo in quanto tale non ha più bisogno di questa mediazione. Esso comincia dalla coscienza teoreticamente e praticamente sensibile dell'uomo e della natura nella loro essenzialità. Esso è l'autocoscienza positiva dell'uomo, non più mediata dalla soppressione della religione, allo stesso modo che la vita reale è la realtà positiva dell'uomo, non più mediata dalla soppressione della proprietà privata, dal comunismo. Il comunismo è, in quanto negazione della negazione, affermazione; perciò è il momento reale, e necessario per il prossimo svolgimento storico, dell'emancipazione e della riconquista dell'uomo. Il comunismo è la struttura necessaria e il principio propulsore del prossimo futuro; ma il comunismo non è come tale la meta dello svolgimento storico, la struttura della società umana.

 

 

NOTE

1. A questo punto, nel margine inferiore del foglio, si trova la seguente osservazione: «La prostituzione è soltanto un'espressione particolare della prostituzione generale dell'operaio, e siccome la prostituzione è un rapporto di tale natura che vi rientra non solo chi è prostituito ma anche chi prostituisce la cui abiezione è ancor più grande - anche il capitalista, ecc., rientra in questa categoria»

2. Alla parola «realtà» segue questa osservazione supplementare: «Essa è quindi molteplice quanto sono molteplici le determinazioni essenziali e le attività dell'uomo».

3. Einundzwanzig Bogen aus der Schweiz, Zürich und Winterhur, parte I, p. 329.

4. Nel margine inferiore del foglio l'osservazione: «Io mi posso in pratica comportare umanamente con la cosa solo se la cosa si comporta umanamente con l'uomo».

5. Il testo ha «die Naturwissenschaft» al singolare; ma si tratta manifestatamente di errore, perché i verbi che vi si riferiscono sono alla terza persona plurale («verlieren» e «werden»).

6. Il testo ha: «... praktisch, sinnlich...» Ho tolto la virgola facendo di «praktisch» un avverbio in analogia con l'espressione simmetrica dello stesso periodo «praktisch unmöglich». Del resto, poco più avanti si legge: «... theoretisch und praktisch sinnlicher Bewusstsein».


Ultima modifica 02.01.2008