Commenti illustrativi all'ultima esercitazione stilistica del gabinetto di Federico Guglielmo IV (1844)

Karl Marx


Versione di Leonardo Maria Battisti, novembre 2017

Avanti!, n° 66, 17 agosto 1844

Non posso il suolo patrio, manco per breve tempo, lasciare senza pubblicare il sentito grazie nel nome Mio e della Regina, da cui è mosso il Nostro cuore. Un grazie generato dalle innumerevoli testimonianze orali e scritte dell'amore per Noi, giunte dopo l'attentato a Berlino di Heinrich Ludwig Tschech del 26 luglio.1 Dell'amore che ci apparve nell'istante stesso del delitto, nelle manifestazioni di giubilo allorché la mano dell'Onnipotente aveva deviato dal Mio petto il colpo mortale. Con l'anima rivolta al Divin Salvatore vado con nuovo ardore ad assolvere il Mio compito, a finir quanto ho iniziato, a attuar quanto ho pensato, a combattere il male con la certezza della vittoria e ad essere per il Mio popolo quello che la Mia alta carica M'impone e l'amore del Mio popolo merita.
  Erdmannsdorf, 5 agosto 1844. (Firmato): FEDERICO GUGLIELMO
» [Gazzetta generale prussiana, n° 220, 9 agosto 1844].

L'emozione è una cattiva scrittrice. Mai la lettera scritta all'amata dall'amante preso dall'eccitazione è un capolavoro di stile, eppure tale espressione confusa è la più chiara, evidente, toccante del potere che l'amore ha sullo scrivente. La potenza dell'amore sullo scrivente è la potenza dell'amata su di lui, la quale è quindi lusingata dall'oscurità della passione, dal disordine dello stile; perché il linguaggio (la cui natura è la riflessione, universale per natura onde inadatta a suscitare fiducia) qui assume un carattere immediatamente individuale, recettibile ai sensi, ergo è credibile. La fiducia senza sospetto nell'autenticità dell'amore, che l'amato esprime per lei, è certo il sommo autocompiacimento dell'amata: la fiducia in sé stessa.
  Da tali premesse segue che renderemo al popolo prussiano un servizio incommensurabile, se eleviamo oltre ogni dubbio l'intima verità del grazie regale. E possiamo farlo provando la violenza del sentimento di gratitudine che domina il regale scrittore rilevando la confusione stilistica della gratulatoria lettera succitata. Onde sarà impossibile dubitare del fine della nostra analisi patriottica.

«Non posso il suolo patrio, manco per breve tempo, lasciare senza pubblicare il sentito grazie nel nome Mio e della Regina, da cui è mosso il Nostro cuore».

La struttura della frase suggerisce che i petti regali siano mossi dal loro proprio nome. Se lo stupore ante tale strana commozione aguzza l'ingegno, allora il pronome relativo: «da cui è mosso il Nostro cuore» non denota il nome, bensì quel grazie distante. Il «Nostro cuore» declinato al singolare per denotare il cuore del re e il cuore della regina si può giustificare come una licenza poetica, un'espressione cordiale della cordiale unità della cordiale nobile coppia. La brevità laconica: «nel nome Mio e della Regina» anziché di: «nel nome Mio e nel nome della Regina» induce facilmente ad un'interpretazione errata. Con «nome Mio e della Regina» si può intendere solo il nome del re, poiché il nome dell'uomo vale per marito e moglie. È invero privilegio dei grandi uomini e dei bambini parlare di sé in terza persona. Infatti Cesare scrive «Cesare vinse» anziché «io vinsi». E i bambini dicono «Federico, Carlo, Guglielmo, etc., vuole andare a scuola a Vienna» anziché «io voglio andare a scuola a Vienna». Ma sarebbe una pericolosa novità porre a soggetto il proprio «io» assicurando insieme che tale «io» parla in «proprio» nome. Tale assicurazione potrebbe apparire confessar che non si suol parlar per ispirazione propria.
  «Non posso il suolo patrio, manco per breve tempo, lasciare» è una circonlocuzione non troppo ben riuscita e certo inadatta a facilitare la comprensione anziché: «Non posso lasciare il suolo patrio, manco per breve tempo». Questa difficoltà sorge dalla combinazione di tre pensieri: 1) che il Re lascia il proprio paese; 2) che lo lascia solo per breve tempo; 3) che sente il bisogno di ringraziare il popolo. L'espressione troppo concisa di questi tre pensieri fa parere che il re esprima il suo grazie perché lascia il proprio suolo. Ma se il grazie fosse autentico, se sgorgasse dal cuore, sarebbe impossibile che nell'esternarlo incappasse in un incidente simile. Un cuore gonfio riesce a farsi strada in tutte le circostanze.

«Un grazie generato dalle innumerevoli testimonianze orali e scritte dell'amore per Noi, giunte dopo l'attentato di Tschech del 20 luglio. Dell'amore che ci apparve nell'istante stesso del delitto, nelle manifestazioni di giubilo allorché la mano dell'Onnipotente aveva deviato dal Mio petto il colpo mortale».

Non si sa se l'attentato abbia provocato l'amore o le dimostrazioni di amore, tanto più che il genitivo «dell'amore» ricorre dopo l'inciso come la parte del discorso dominante e accentuata. La ricorrenza di tale genitivo è di un'audacia stilistica evidente. La difficoltà cresce considerando il contenuto della frase. L'amore che parlò e scrisse va identificata subito col soggetto che inneggiò per le strade? La verità cronologica non esigeva di iniziare con l'amore esibito nell'istante dell'evento, per poi passare alle successive espressioni d'amore scritte e orali?
  Non era meglio evitare il sospetto che il re volesse lusingare a un tempo l'aristocrazia e il popolo? L'aristocrazia poiché le sue espressioni di amore scritte e orali seppero generare per prime il grazie nel cuore reale (a giudicar dagli effetti), benché cronologicamente posteriori a quelle popolari; il popolo perché il suo giubilo mostra un amore della stessa natura d'amore delle suddette espressioni scritte e orali, e onde elide la nobiltà di nascita dell'amore? Infine, non era meglio che la mano di Dio parasse direttamente la pallottola, poiché altrimenti segue l'errata conclusione logica che Dio abbia pure diretto la mano dell'assassino contro il re e deviato il colpo dal re (poiché è impossibile supporre che Dio agisca unilateralmente).

«Con l'anima rivolta al Divin Salvatore vado con nuovo ardore ad assolvere il Mio compito, a finir quanto ho iniziato, a attuar quanto ho pensato, a combattere il male con la certezza della vittoria e ad essere per il Mio popolo quello che la Mia alta carica M'impone e l'amore del Mio popolo merita».

È sgrammaticato dire: «vado ad essere qualcosa». Semmai si può andare «a divenir qualcosa». Il movimento del divenir pare almeno il risultato del movimento dell'andare, benché noi non raccomanderemmo come corretto manco quest'ultimo modo di esprimersi. Che Sua Maestà «vada con l'anima rivolta a Dio» a «finir quanto iniziato, a attuar quanto pensato», pare ritenere improbabile sia il finimento sia l'attuazione. Per finir cose iniziate e attuare un pensiero serve concentrare tutto il proprio spirito alle cose e al pensiero in questione, senza distoglierlo da questi oggetti per contemplare il Cielo. Chi realmente «rivolge l'anima a Dio», non «si perderà nella contemplazione di Dio»? Non svaniranno tutti i suoi piani e i propositi mondani? La clausola, isolata e abbandonata a se stessa con una virgola: «e l'amore del Mio popolo merita», pare alludere a un pensiero inespresso e implicito: «merita lo staffile del cognato Nicola2 e la politica del compare Metternich»; o anche: «merita la costituzioncina del cavalier Bunsen3».


Note

1. Heinrich Ludwig Tschech (sindaco di Storkov dal 1832 al 1841) sparò due colpi contro il re Federico Guglielmo IV il 26 luglio 1844, per motivi personali (gli fu vietato di continuar a servir lo Stato), e non per motivi politici.

2. Nicola I (1796-1855; zar di Russia dal 1825) era cognato di Federico Guglielmo IV perché sposato alla sorella Alessandra Carlotta.

3. Nell'aprile e giugno 1844, su richiesta del re Federico Guglielmo IV, il barone Christian Karl Josiah von Bunsen (1791-1860), di Corbach, redasse in forma di memoriale proposte di riforma della costituzione prussiana.


Ultima modifica 2019.05.02