La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845)

Friedrich Engels


Tradotto direttamente dall'originale tedesco da Vittorio Piva (†1907) e trascritto da Leonardo Maria Battisti, giugno 2018


IV. La concorrenza.

Noi abbiamo veduto nella prefazione, come la concorrenza, subito al principio del movimento industriale, creò il proletariato, innalzando per la crescente domanda di stoffe tessute il salario del tessitore e inducendo perciò i tessitori-agricoltori ad abbandonare la coltivazione dei loro campi per poter guadagnare tanto di più al telaio; noi abbiamo veduto come soppiantò i piccoli agricoltori per il sistema della cultura in grande, come li trasformò in proletarii e quindi come in parte li trasse nelle città; noi abbiamo veduto in qual modo rovinò, nella grande maggioranza, la piccola borghesia e come parimenti gravò sui proletarii, come centralizzò il capitale nelle mani di pochi e la popolazione nelle grandi città. Queste sono le vie diverse ed i mezzi mediante i quali la concorrenza, come pervenne nell'industria moderna alla piena luce e al libero sviluppo delle sue conseguenze, creò ed allargò il proletariato. Ora noi abbiamo da considerare la sua influenza sul già esistente proletariato. E qui in primo luogo dobbiamo spiegare nelle sue conseguenze la concorrenza dei singoli lavoratori tra loro.

La concorrenza è l'espressione più completa della guerra dominante di tutti contro tutti nella moderna società borghese. Questa guerra, guerra per la vita, per l'esistenza, per ogni cosa, quindi in caso di necessità una guerra per la vita e la morte, non esiste soltanto tra le classi diverse della società, ma inoltre tra i singoli individui di queste classi; ognuno è sulla via dell'altro ed ognuno cerca quindi di soppiantare tutti coloro che sono sul suo cammino e di porsi al loro posto. I lavoratori si fanno concorrenza tra loro, i borghesi fanno altrettanto. I tessitori meccanici concorrono contro i tessitori a mano, il tessitore occupato o mal pagato contro quello occupato o meglio pagato e cerca di soppiantarlo.

Ma questa concorrenza dei lavoratori, degli uni contro gli altri, è per essi il lato più triste delle odierne condizioni, l'arma più acuta contro il proletariato nelle mani della borghesia. Quindi gli sforzi dei lavoratori per sopprimere con le associazioni questa concorrenza; quindi il furore della borghesia contro queste associazioni ed il suo trionfo per ogni sconfitta toccata ad esse.

Il proletario è senza appoggio: egli non può vivere da sè stesso un solo giorno. La borghesia si appropria il monopolio di tutti i mezzi di sussistenza nel significato più esteso della parola. Il proletario può solo ricevere quello che gli abbisogna da questa borghesia, la quale per la forza dello stato viene protetta nel suo monopolio. Il proletario è adunque legalmente e di fatto lo schiavo della borghesia; essa può disporre della vita e della morte di lui. Gli offre i mezzi d'esistenza, ma per un equivalente, per suo lavoro; gli lascia ancora persino, l'apparenza, come se egli trattasse per sua libera volontà, con consenso libero, senza restrizioni, come se l'uomo maggiorenne concludesse con essa un contratto. Bella libertà, dove al proletario non rimane altra scelta che di sottoscrivere le condizioni che gli pone la borghesia, o di morir di fame e di freddo, di coricarsi nudo vicino agli animali della foresta. Bell'«equivalente» il cui importo sta tutto nella volontà della borghesia! — E se v'è un proletario tanto pazzo da voler piuttosto morire di fame che conformarsi alle proposte «a buon prezzo» dei borghesi, «dei suoi naturali superiori»1 — dopo tutto se ne trovano facilmente degli altri, vi sono abbastanza proletarii nel mondo, e non tutti sono così pazzi, non tutti preferiscono la morte alla vita.

Allora noi abbiamo la reciproca concorrenza dei proletarii. Se tutti i proletarii avessero espressa soltanto la volontà di voler piuttosto morire di fame che di lavorare per la borghesia, questa avrebbe dovuto già desistere dal suo monopolio; ma questo non è il caso, questo è persino un caso impossibile, e quindi la borghesia è sempre di buon umore. Questa concorrenza dei lavoratori ha soltanto una barriera — nessun lavoratore vorrà lavorare per meno di quello che gli è necessario per la sua esistenza; se egli vorrà morire di fame, egli vorrà più volentieri morir di fame in ozio che lavorando. Invero questa barriera è relativa; l'uno ha maggiori bisogni dell'altro, l'uno più dell'altro è abituato a maggiori comodità — l'inglese il quale è un poco civilizzato ha più bisogni dell'irlandese che va in istracci, mangia patate e dorme in porcili. Ma ciò non impedisce agli irlandesi di far concorrenza agli inglesi ed a poco a poco abbassare il salario e con esso il grado di civiltà dell'operaio inglese al livello di quello irlandese. Certi lavori richiedono un determinato grado di civiltà, come quasi tutti quelli industriali; quindi in questo caso il salario nell'interesse della borghesia stessa deve essere alto in modo che renda possibile al lavoratore di mantenersi in questa sfera. L'irlandese che appena venuto, alloggia nella prima stalla, che se possiede un'abitazione sopportabile ogni settimana è posto sulla strada, perchè beve tutto e non può pagare l'affitto, sarebbe un cattivo operaio industriale; perciò ai lavoratori industriali deve venir dato quanto ad essi ò necessario per allevare i figli al lavoro regolare — ma non di più, poichè non possono privarsi del guadagno dei loro ragazzi e lasciarli divenire qualchecos'altro che semplici lavoratori. Anche qui la barriera del minimum del salario è relativa; dove nella famiglia ognuno lavora, il singolo ha bisogno di guadagnare molto meno e la borghesia ha approfittato dell'occasione che le venne dal lavoro meccanico, per abbassare bravamente il salario con l'occupazione e lo sfruttamento delle donne e dei fanciulli. Naturalmente non in ogni famiglia ognuno è capace di lavorare ed una tale famiglia starebbe male se volesse lavorare per il minimum di salario valutato su un'intera famiglia abile al lavoro; perciò il salario si mette su una media con cui, alla famiglia che intera è capace di lavorare, la va abbastanza bene, ed a quella che numera meno componenti abili al lavoro, la va assai male. Ma nel caso più triste, ogni operaio rinuncierà piuttosto al bocconcino di lusso e di civiltà, a cui era abituato, per continuare soltanto la nuda esistenza; egli vorrà piuttosto una stalla da maiale che rimanere senza ricovero, degli stracci piuttosto che restar senza abiti, delle patate piuttosto che morir di fame. In vista di tempi migliori, il lavoratore sarà contento piuttosto del mezzo salario, che di porsi muto sulla strada e morire innanzi agli occhi del mondo, come qualche senza-pane ha fatto. Questo bocconcino, questo qualchecosa più di niente, è il minimum di salario. E se vi sono più lavoratori di quelli che la borghesia stima utile occupare, se adunque, al termine della lotta di concorrenza, nondimeno ancora rimane superfluo un numero di operai che non trovano alcun lavoro, questi operai appunto devono morire di fame poichè il borghese non darà ad essi probabilmente lavoro se non può venderne il prodotto con utile.

Vediamo quindi che cosa è il minimum di salario. Il minimum viene stabilito per la concorrenza dei borghesi gli uni contro gli altri, poichè noi vedemmo come pur questi si fanno concorrenza. Il borghese può ingrossare il suo capitale solo mediante il commercio e l'industria e per i due scopi egli ha bisogno di lavoratori. Egualmente, se egli pone il suo capitale ad interesse, egli necessita in via indiretta di operai, poichè senza commercio ed industria nessuno gli potrebbe dare gli interessi, nessuno potrebbe utilizzare il capitale. Così il borghese abbisogna, di certo, di proletari, ma non direttamente per vivere — egli potrebbe consumare il suo capitale — ma come si abbisogna di un articolo di commercio o di una bestia da soma, per arricchire. Il proletario prepara al borghese le merci, che questi vende con profitto. Se adunque cresce la domanda di queste merci; in modo che tutti i lavoratori, concorrenti gli uni contro gli altri, vengono tutti occupati, forse allora rimangono troppo pochi, cade la concorrenza dei lavoratori ed i borghesi incominciano a farsi reciprocamente concorrenza. Il capitalista che cerca operai sa benissimo che, in seguito alla domanda crescente di valori che aumentano, fa maggiore guadagno, e adunque paga qualche cosa di più di salario piuttosto che lasciarsi scappare tutto il guadagno; egli getta con la salsiccia pure il prosciutto, e se guadagna soltanto questo, concede volentieri al proletario la salsiccia. In tal modo il capitalista riprende all'altro i lavoratori, ed il salario sale, ma tanto quanto lo permette la crescente domanda. Se il capitalista che sacrifica qualchecosa del suo guadagno straordinario, ne sacrificasse pure del suo ordinario, cioè se dovesse sacrificare una parte del guadagno medio, egli si guarderebbe bene dal pagare di più che il salario medio.

Di qui noi possiamo determinare il salario medio. Se le condizioni medie, cioè se nè il capitalista nè il lavoratore hanno una ragione speciale di farsi reciproca concorrenza, se per l'appunto i lavoratori sono così numerosi da poter essere tutti occupati per la fabbricazione delle merci richieste, il salario allora ammonterà a qualche cosa di più che il minimum. Quando il salario sorpasserà di molto il minimum, dipenderà dai bisogni medii e dal grado di civiltà dei lavoratori. Se i lavoratori sono abituati a mangiare carne parecchie volte alla settimana, i capitalisti dovranno acconsentire a pagare ai lavoratori un salario che possa fornire a questi una tale nutrizione. Non meno, perchè i lavoratori non si fanno scambievole concorrenza, e adunque non hanno nessuna ragione di accontentarsi di meno: non più, perchè la mancanza di concorrenza tra capitalisti non dà alcun motivo d'attrarre gli operai con istraordinari favori.

Questa misura dei bisogni medii e della media civiltà dei lavoratori per le complicate condizioni dell'odierna industria inglese, è divenuta assai imbarazzante e diversa per le classi diverse dei lavoratori — come sopra abbiamo osservato. La maggioranza dei lavori industriali richiede frattanto una certa abilità e regolarità, e per questi, che domandano un certo grado di civiltà, deve pure il salario medio essere tale che esso permetta ai lavoratori di appropriarsi questa abilità e di sottoporsi a questa regolarità del lavoro. Quindi ne viene che il salario del lavoratore industriale è in media più alto di quello dei semplici facchini, dei giornalieri, ecc.. specie più alto di quello dei lavoratori di campagna, al che invero contribuisce pure per la sua parte il rincarire dei mezzi di sussistenza nelle città. O per gettarla in soldoni: il lavoratore è legalmente e di fatto schiavo della classe possidente, della borghesia, tanto suo schiavo che viene venduto come una merce, che come una merce sale ed abbassa di prezzo. Se cresce la richiesta di lavoratori, questi salgono in prezzo; se essa cade. con essa cade il prezzo dei lavoratori; se essa cade in modo che un numero di operai non sono vendibili, questi «rimangono in deposito» rimangono appunto a giacere, e, se non possono vivere semplicemente giacendo, essi muoiono di fame. Poichè, per parlare nella lingua degli economisti le spese impiegate per il loro mantenimento non si «riprodurrebbero», sarebbe denaro gettato via e nessun uomo dà per ciò il suo capitale. E sino a qui il signor Malthus ha completamente ragione con la sua teoria della popolazione. La sola differenza di fronte all'antica e franca schiavitù consiste in questo, che l'odierno lavoratore sembra libero perchè non viene venduto come una volta, ma pezzo per pezzo, per giorno, settimana, anno e perché un proprietario non lo può vendere all'altro, ma l'operaio si deve vendere ugualmente a questo modo, poichè egli non è lo schiavo di un singolo individuo, ma di tutta la classe possidente. Per esso la cosa in fondo rimane la stessa, e se questa apparenza di libertà gli può dare da un lato una reale libertà, d'altro lato egli ha pure lo svantaggio, che nessun uomo gli garantisce il mantenimento, che puo essere respinto ad ogni ora dal suo signore, dalla borghesia, e può esser lasciato a morir di fame, se la borghesia non ha più alcun interesse al suo lavoro e alla sua esistenza. La borghésia si trova nella presente organizzazione molto meglio che nell'antica schiavitù — essa può congedare la sua gente, se ne ha voglia, senza perciò perdere un capitale collocato e riceve generalmente lavoro fatto più a buon mercato di quello che per mezzo degli schiavi, come lo dimostrò Adamo Smith2.

Ne segue pure, che Adamo Smith ha completamente ragione quando egli pone la proposizione:

«che la richiesta di lavoratori appunto come la richiesta di qualsiasi altro articolo, regola la produzione dei lavoratori, la quantità degli uomini generati, accelera questa produzione se essa va lentamente, la rallenta se essa progredisce con troppa celerità».

Perfettamente come con ogni altro articolo di commercio — se ve n'è troppo poco, crescono i prezzi, cioè il salario, la va meglio ai lavoratori, i matrimonii si moltiplicano, vengono prodotti più uomini, crescono più fanciulli, sino a che vi sono lavoratori a sufficienza; se sono troppi, i valori cadono, si hanno la mancanza di pane, la miseria, la carestia, ed in seguito le epidemie che uccidono la «popolazione superflua». E Malthus, che spinge ai suoi ultimi termini il suddetto passo di Smith, ha altresì a suo modo ragione, quando afferma che vi è sempre popolazione superflua, che nel mondo vi sono sempre troppi uomini; egli ha soltanto torto quando afferma che vi sono più uomini degli esistenti mezzi di sussistenza che possono nutrirli. La popolazione superflua viene piuttosto prodotta dalla concorrenza reciproca dei lavoratori, che costringe il singolo lavoratore a lavorare giornalmente quanto appunto gli permettono solo le sue forze. Se ogni fabbricante può giornalmente occupare dieci operai per nove ore, così egli può, se gli operai lavorano dieci ore al giorno, occuparne soltanto nove ed il decimo resta senza pane. E se il fabbricante in un tempo in cui la richiesta di braccia non è molto grande, può costringere i nove operai con la minaccia di licenziarli, a lavorare per il medesimo salario giornaliero un'ora di più, adunque dieci ore, allora egli licenzia il decimo e risparmia il suo salario. Quello che avviene qui in piccolo, avviene in grande in una nazione. La produzione di ciascuno aumentata al maximum, per la reciproca concorrenza dei lavoratori, la divisione del lavoro, l'introduzione delle macchine, l'uso delle forze elementari, gettano nella disoccupazione una folla di operai. Ma questi lavoratori senza pane escono dal mercato: essi non possono più nulla comperare; per conseguenza la quantità di generi già da essi richiesta, ora non è più domandata, quindi non abbisogna più di venir fabbricata; i lavoratori prima occupati per la sua fabbricazione, ridivengono senza pane, escono parimenti dal mercato, e così tale fenomeno va sempre oltre per la medesima circolazione, o, piuttosto, così proseguirebbe, se altre circostanze non intervenissero. L'applicazione dei mezzi industriali sopra notati, per aumentare la produzione, conduce particolarmente alla stabilità dei prezzi bassi degli articoli prodotti, ed in seguito ad un crescente consumo, così che una gran parte dei nominati lavoratori senza pane viene alla fine occupata, ed invero dopo lunghe sofferenze, in nuovi rami di lavoro. E si aggiunga a questo, come avvenne in Inghilterra negli ultimi sessant'anni, la conquista dei mercati stranieri, così che la richiesta dei manufatti cresce di continuo e rapidamente, cresce pure la domanda di braccia e con essa nei medesimi rapporti la popolazione. Adunque, invece di diminuire, il numero degli abitanti dell'impero britannico aumenta rapidamente, aumenta ancora di continuo — e vicino allo sviluppo crescente dell'industria, presso alla grande richiesta di braccia, l'Inghilterra, per confessione di tutti i partiti ufficiali (cioè dei Tories, dei liberali, dei radicali), ha tuttavia una popolazione di continuo troppo numerosa e superflua, la concorrenza tra i lavoratori è tuttavia più grande della concorrenza per avere lavoratori.

Donde viene questa contraddizione? Dalla natura dell'industria e della concorrenza e dalle crisi commerciali che da tale natura derivano. Nell'odierna irregolare produzione e distribuzione dei mezzi di sussistenza, che non viene fatta per l'immediata soddisfazione dei bisogni, ma solo per guadagnare denaro, nel sistema ove ognuno lavora di proprio moto e sì arricchisce, deve nascere ad ogni momento un ristagno. L'Inghilterra ad esempio provvede un grande numero di paesi delle merci più diverse. Se, ora, il fabbricante sa quanto in ogni singolo paese annualmente abbisogna di ogni articolo, egli non sa tuttavia in ogni tempo a quanto vi ammontino le riserve ed ancor molto meno quanto vi inviano i suoi concorrenti. Egli può soltanto dai prezzi di continuo ondeggianti dedurre una conclusione incerta sullo stato delle riserve e dei bisogni, egli deve a caso inviare le sue merci; tutto avviene ciecamente, soltanto più o meno sotto l'egida del caso. Ognuno, secondo le più tenui notizie favorevoli, invia quel che può, e non a lungo un tale mercato si ricolma di merci, la vendita s'arresta, i prezzi cadono, e l'industria inglese non ha più lavoro per i suoi lavoratori. Al principio dello sviluppo industriale questi ristagni si limitavano ad un solo ramo di fabbricazione e a singoli mercati; ma per l'azione centralizzatrice della concorrenza, questa getta i lavoratori, che rimangono senza occupazione in un dato ramo di lavoro, in quel ramo che si apprende piu facilmente degli altri e getta sui rimanenti mercati le merci che non sono più vendibili in dato mercato, e perciò in seguito raccostandosi le singole piccoli crisi, sono queste a poco a poco state unite in un'unica serie di crisi periodicamente ritornanti. — Una tale crisi suole seguire ogni cinque anni ad un breve periodo di rifioritura e di generale benessere; il patrio mercato e tutti i mercati stranieri giacciono pieni di merci inglesi, e queste ultime possono soltanto venir consumate lentamente; il movimento industriale s'arresta in quasi tutti i rami; i piccoli fabbricanti e commercianti che non possono restar fuori con i loro capitali, falliscono; i grandi capitalisti durante l'epoca cattiva, cessano dagli affari, fermano le loro macchine, o fanno soltanto lavorare «poche ore», cioè circa soltanto mezza giornata; il salario cade per la concorrenza dei disoccupati, per la diminuzione della giornata di lavoro e per la mancanza di merci vendibili con guadagno; la generale miseria s'allarga tra gli operai; i piccoli risparmii sono rapidamente consumati, gli instituti di beneficenza vengono invasi, si raddoppiano, si triplicano i diritti dei poveri, e tuttavia non basta; il numero degli affamati cresce, e ad un tratto spaventevolmente numerosa si presenta tutta la massa della popolazione superflua». Questo dura lungo tempo; i «superflui» riescono a tirarla avanti, ed allora va bene, od anche non vi riescono; la beneficenza e le leggi sui poveri aiutano molti in una penosa prolungazione della loro esistenza; altri trovano qua e là in qualche ramo di lavoro che è meno esposto alla concorrenza, che resiste ancora all'industria, un misero mantenimento — e con così poco, l'uomo può accontentarsi per qualche tempo!

A poco a poco lo stato delle cose diviene di più in più favorevole; le riserve di merci ammassate vengono consumate, il generale abbattimento degli uomini dell'industria e commercio si oppone al rapido riempirsi del vuoti, fino a che alla fine i valori crescenti e le notizie favorevoli da tutte le parti ristabiliscono l'attività. I mercati sono per la maggior parte lontani; innanzi che i primi nuovi invii possano arrivare, la domanda cresce di continuo e con essa crescono i prezzi; dapprima si disputano le merci arrivate, le prime vendite animano ancor più il traffico, i trasporti ancora attesi promettono ancor maggiori prezzi, si incomincia, nell'attesa di un rincaro, a comperare per speculazione e così appunto a sottrarre al consumo le merci fissate per il consumo nei tempi più difficili — la speculazione aumenta ancor più i prezzi, incoraggia quindi altri a comperare ed acquistare i nuovi invii — tutto questo viene annunciato in Inghilterra, i fabbricanti ricominciano a lavorare abbondantemente, vengono innalzate nuove fabbriche e messi in uso tutti i mezzi per isfruttare l'epoca favorevole; pur qui penetra la speculazione, con il medesimo effetto come sui mercati stranieri; i prezzi crescenti, le merci portate via al consumo, spingono la produzione industriale al massimo sforzo di energia — quindi vengono gli speculatori «non solidi» che lavorano con capitale fittizio, vivono di credito, che sono rovinati se non possono vendere subito abbondantemente e si rovinano in questa generale e disordinata corsa, aumentano il disordine e la fretta per la loro propria sfrenata passione, che aumenta prezzi e produzione fino alla follia — è una vita eccessiva, che afferra pure i più tranquilli ed i più esperti; si martella, si fila, si tesse come si trattasse di equipaggiare di nuovo tutta l'umanità, come se fossero stati scoperti al mondo duecento milioni di nuovi consumatori. Ad un tratto gli speculatori non solidi, che hanno bisogno di denaro, incominciano dall'altra parte a vendere — al disotto del prezzo che fa il mercato, si capisce, poichè l'affare ha fretta; ad una vendita seguono altre, i prezzi vacillano, gli speculatori gettano spaventati le loro merci sul mercato, il mercato è in disordine, il credito è scosso, una casa dopo l'altra cessa i pagamenti, la bancarotta segue la bancarotta, e si trova che in piazza e per via vi sono tre volte più merci di quelle che sarebbero richieste dal consumo. Le notizie pervengono in Inghilterra, dove nel frattempo si è fabbricato sempre con l'egual forza: un panico terribile afferra pur qui i coraggiosi; i fallimenti d'altra parte traggono dietro altri, il ristagno rovina un numero grandissimo di case, nell'ansia vengono spostate al mercato tutte le riserve ed il terrore perciò viene spinto al massimo grado. Questo è il principio delle crisi, che di poi riprende appunto il medesimo corso della precedente e più tardi di nuovo si cangia in un periodo di rifiorimento. E così prosegue in una rifioritura, in una crisi, in una rifioritura, in una crisi; e questa eterna circolazione, nella quale si muove l'industria inglese, suole, come si è detto, effettuarsi ogni cinque o sei anni.

Ne segue che in tutti i tempi, eccettuato nei brevi periodi del più alto rifiorimento, l'industria inglese deve avere una riserva di operai disoccupati per poter appunto nei mesi di maggior vitalità produrre sul mercato la massa di merci richieste. Questa riserva è più o meno numerosa secondo che la condizione del mercato causa una maggiore o minore occupazione della medesima. E se pure nello stato del maggior rifiorire del mercato, per lo meno di tempo in tempo, i distretti agricoli, l'Irlanda ed i rami dell'industria meno soggetti al rifiorimento possono fornire un numero di lavoratori, questi da un lato formano tuttavia una minoranza ed appartengono altresì d'altro lato alla riserva, con l'unica differenza che solo ciascun rifiorimento mostra appunto che vi appartengono. Quando passano in una branca di lavoro più viva, i componenti della riserva si limitano nelle spese di casa; per sentire meno il deficit lavorano di più, vengono occupate le donne ed i ragazzi, e, se essi al ritorno della crisi vengono congedati, trovano che il loro posto è occupato e sono sopra numero — almeno in parte. Questa riserva, durante la crisi è un'immensa moltitudine, e, nei tempi medii, che si possono prendere come la media del rifiorimento e della crisi, è sempre abbastanza numerosa — questa è la «popolazione supernumeraria» dell'Inghilterra, popolazione che, mediante le elemosine ed i furti, la pulitura delle strade, il raccogliere il letame, le corse con le carriuole e gli asini o con piccoli altri lavori d'occasione, trascina una misera esistenza. In tutte le grandi città si vede una massa di tale gente, la quale con i piccoli servizi occasionali, come dicono gli inglesi, «tiene uniti corpo ed anima». È notevole in quali rami di guadagno questa «popolazione superflua» si rifugia. Gli spazzaturai londinesi (crossing sweeps) sono universalmente conosciuti; ma sinora non soltanto questi crocicchi, ma anche le strade principali di altre grandi città vennero pulite dai disoccupati, che furono assunti per questo dalle amministrazioni per la pulizia delle strade e de' poveri — Ora v'é una macchina che ogni giorno rumoreggia attraverso le strade ed ha rovinato ai senza lavoro questo ramo di guadagno. Sulle grandi vie che conducono nelle città, e nelle quali è grande il movimento di vetture, si vede una folla di gente con piccoli carri, che porta via, tra le carrozze e gli omnibus in corsa, con pericolo di vita, il letame appena caduto e lo raccoglie per venderlo; per ciò questa gente deve spesso pagare ogni settimana un paio di scellini all'amministrazione delle strade, ed in molti paesi ciò è completamente proibito, perché l'amministrazione delle strade non potrebbe vendere come concime il suo sterco raccolto, che non contiene la conveniente parte di stallatico. Fortunati sono quei «superflui» che ottengono una carriuola e perciò possono fare i trasporti; sono ancora più fortunati coloro ai quali accade di avere denaro per ottenere un carro con un asino l'asino deve cercare il suo nutrimento o riceve un po' di resti e può nondimeno guadagnare qualche po' di denaro.

La maggior parte dei «superflui» si ripiega sul mestiere del rivendugliolo. Specie al sabato sera, quando tutta la popolazione lavoratrice è nella via, si vede una folla che vive di ciò. Cordoni, tiranti, lacci, aranci, dolci, in breve tutti gli articoli possibili vengono offerti agli innumerevoli uomini, donne e fanciulli — e si vede inoltre ad ogni momento qualche venditore con aranci, dolci, ginger-beer o nettle-beer3 star ritto o andare attorno. Fiammiferi e generi siffatti, ceralacca, composizioni patentate per accendere il fuoco formano altresì gli articoli di commercio di questa gente. Altri — i cosidetti jobbers — vanno attorno per le strade e cercano i piccoli lavori occasionali; a qualcuno accade di occuparsi per un giorno, molti non sono così fortunati.

«Alle porte di tutti i docks londinesi — racconta il reverendo W. Champney, predicatore nel distretto orientale di Londra — in inverno appaiono ogni mattina, prima dello spuntare del giorno, centinaia di poveri, i quali, nella speranza di ottenere lavoro, attendono l'apertura delle porte, e se i più giovani, i più forti ed i più conosciuti sono ingaggiati, delle centinaia, abbattuti dalla speranza delusa, ritornano alle loro povere abitazioni».

Che cosa rimane a questa gente, se non trova lavoro e se non vuole rivoltarsi contro la società, se non l'accattonaggio? E non si può meravigliarsi della massa dei questuanti, che per la maggior parte sono uomini capaci di lavorare, con i quali la polizia deve di continuo lottare. La mendicità di questi uomini ha un carattere particolare. Essi sono soliti a girare con la loro famiglia, a cantare nelle vie una canzone che è una preghiera, o a chiedere con una recitazione la carità dei vicini. Ed è strano che si trovino questi questuanti quasi solo nei quartieri operai, che quasi soltanto l'elemosina sia fatta dai lavoratori. Oppure la famiglia si pone silenziosa in una via animata e lascia, senza dire una parola, che la semplice vista dell'abbandono produca da sola l'effetto. Anche qui i questuanti calcolano soltanto su quella parte di lavoratori che sanno dall'esperienza che è la fame, e che ad ogni momento possono cadere nell'egual condizione; poiché si trova questo muto e pur tuttavia così commovente linguaggio quasi solo in quelle vie che vengono battute dai lavoratori, ma specie al sabato sera, quando sopratutto i «misteri» dei quartieri operai si svelano nelle strade principali; la classe media si ritira quanto può da questi luoghi infetti. E chi, fra i superflui, ha abbastanza coraggio e passione da ribellarsi apertamente alla società e di rispondere alla guerra nascosta, che la borghesia gli conduce contro, con la guerra aperta contro la borghesia, ruba e preda ed uccide.

Secondo le notizie ufficiali, in Inghilterra e nel Galles, vi sono in media un milione e mezzo di questi superflui; in Iscozia per la mancanza di leggi sui poveri non è possibile determinarne il numero; dell'Irlanda avremo da parlare in modo particolare. Questo milione e mezzo include soltanto quelli che realmente chiedono gli aiuti delle amministrazioni di beneficenza; la grande massa che continua a vivere senza gli aiuti di queste, perciò si spaventa di ricorrere a tale risorsa, non vi è compresa; ma per conseguenza pure una buona parte del numero citato tocca ai distretti agricoli e non viene qui preso in considerazione.

Durante una crisi, il numero naturalmente aumenta in modo considerevole e la miseria cresce al più alto grado. Prendiamo ad esempio la crisi del 1842, la quale, perché ultima, fu anche la più violenta — poichè l'intensità della crisi crebbe con ogni ripresa e la prossima che apparirà al più tardi nel 1847, sarà, secondo tutte le apparenze, ancor più violenta e duratura. Durante la crisi del 1842, adunque, i diritti dei poveri si elevarono in tutte le città ad un punto non mai conosciuto. Tra l'altre si dovettero pagare in Stockport per ogni sterlina, che doveva venir pagata per l'affitto di casa, otto scellini d'imposta per i poveri; in modo che le tasse solo formavano il 40 per cento dell'importo d'affitto di tutta la città; inoltre vie intiere erano vuote, v'erano a dir poco 20,000 abitanti di meno di quanti erano soliti ad abitarvi, e si trovava scritto alle porte delle case vuote: Stockport to let — Stockport da affittare. In Bolton, ove negli anni normali l'affitto pagante l'imposta de' poveri ascendeva in media a 80,000 sterline. si abbassò a 36,000 sterline; all'incontro il numero dei poveri soccorsi salì a 14,000, adunque a più del 20 per cento del numero totale degli abitanti. In Leeds l'amministrazione dei poveri aveva un fondo di riserva di 10.000 sterline — questo, come una colletta di 7000 sterline, venne completamente esaurito, prima che la crisi salisse al suo punto massimo. Così ovunque; un rapporto, steso da un comitato della Lega contro la legge sul grano nel gennaio 1843, sulla condizione dei distretti agricoli nell'anno 1842 e che è basato su dati esposti dai fabbricanti, afferma che i diritti dei poveri in media erano saliti più in alto che nel 1839 e che il numero dei bisognosi d'aiuto dopo quel tempo si è triplicato e quintuplicato; che una folla di postulanti apparteneva ad una classe, che sino allora mai aveva chiesto aiuto; di due terzi della classe lavoratrice disponeva di minori mezzi di sussistenza che negli anni 1834-36; che il consumo della carne è stato sensibilmente più scarso — in alcuni luoghi del 20 per cento, in altri sino al 60 per cento: che gli operai i quali esercitavano i mestieri più comuni, fabbri, muratori, ecc., che pure nei tempi di maggior depressione avevano avuto sempre lavoro, avevano molto sofferto per la mancanza di lavoro e l'abbassamento del salario, e che egualmente ora, nel gennaio 1843, il salario continuava ad abbassare. E questi sono i rapporti dei fabbricanti!

I lavoratori senza pane, le cui fabbriche erano chiuse, i cui padroni non potevano dare loro alcun lavoro, ovunque stavano sulle strade, mendicavano o da soli od in frotta, assediavano a squadre le vie e reclamavano soccorso dai passanti ma essi non chiedevano strisciando come fanno di solito i questuanti, ma minacciando con il loro numero, con i loro gesti, con le loro parole. Questo avveniva in tutti i distretti industriali, da Leicester sino a Leeds e da Manchester sino a Birmingham. Qui e là scoppiavano disordini isolati, come quelli che nel luglio si ebbero per opera degli stovigliai dello Staffordshire del Nord; il più pericoloso fermento dominava tra i lavoratori sino a che scoppiò nell'agosto in una generale insurrezione dei distretti industriali. Quando io alla fine di novembre del 1842 andai a Manchester, una folla eccitata di disoccupati stava ancora nelle vie e molte fabbriche erano chiuse; nei mesi seguenti, fino alla metà del 1843 se ne andarono a poco a poco i ciondoloni non volontarii e le fabbriche furono riaperte.

L'immensa miseria ed indigenza che domina fra questi disoccupati, non è necessario che io lo dica. I diritti dei poveri non bastano assolutamente non bastano; la generosità dei ricchi è un buco nell'acqua, il suo effetto si disperde in un momento; l'accattonaggio, dove gli accattoni sono molti, può soltanto aiutare pochi. Se i piccoli mercanti non vendessero a credito agli operai, quanto più a lungo è loro possibile essi invero per ciò si fanno pagare bene — e se i lavoratori non si aiutassero scambievolmente per quanto possono, ogni crisi ucciderebbe di certo, per la carestia, folle di «superflui». Ma l'epoca di maggior depressione è tuttavia breve, un anno — al massimo due o tre anni e mezzo ed i più nondimeno ne escono con la nuda vita e le più gravi privazioni. Noi vedremo che indirettamente in ogni crisi un gran numero di persone, per malattie, ecc., rimangono uccise. Frattanto osserviamo una altra causa di abbassamento al quale i lavoratori sono abbandonati, una causa che lavora di continuo ad opprimerli sempre più profondamente.


Note

1. Espressione favorita dei fabbricanti inglesi.

2. Si è detto che il logorìo dello schiavo avviene alle spese del suo padrone mentre quello di un libero lavoratore avviene per conto di questo lavoratore. Ma il logorìo di quest'ultimo è parimente per conto del padrone. Il salario pagato ai giornalieri, ai servi, ecc., in qualsiasi maniera deve essere così alto, da mettere questi nella possibilità di propagare la razza dei giornalieri e servi secondo che la richiesta di tale gente diminuisce, è stazionaria, o cresce. Ma quantunque il logorìo di un lavoratore libero avvenga a spese del suo padrone, tuttavia di regola gli costa molto meno di uno schiavo. Il capitale che vi è destinato, a riparare od a rimborsare il logoramento di uno schiavo, viene normalmente amministrato da un negligente padrone o da un disattento ispettore ecc. — A. Smith, Wealth of Nations, I, 8, p. 133 dell'edizione in quattro volumi di M. Culloch.

3. Due bevande fresche e spumanti — la prima con acqua, zucchero e ginepro; l'altra con acqua, zucchero ed ortiche — predilette dagli operai e specie dalle persone temperanti.


Ultima modifica 2019.07.31